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Necessità di sviluppo delle competenze comportamentali in ambito accademico

CAPITOLO 5: Sviluppare le Competenze Comportamentali in ambito accademico

5.1 Necessità di sviluppo delle competenze comportamentali in ambito accademico

5.1 Necessità di sviluppo delle competenze comportamentali in ambito accademico - 5.2 Casi Internazionali - 5.3 Il caso italiano del Ca’ Foscari Competency Centre - 5.4 Metodi di analisi di alcuni esercizi - 5.5 I miei valori: metodologia e risultati - 5.6 La mia Vita nel 2023: metodologia e tematiche - 5.7 Questionario sulle competenze: l’impatto dei diversi valutatori – 5.8 Conclusioni

Il quinto capitolo è stato strutturato per trattare in modo più approfondito la possibile applicazione del Processo di Cambiamento Intenzionale all’interno dell’ambito accademico, e più in generale per dimostrare la necessità di introdurre lo sviluppo delle competenze emotive e sociali come finalità educativa nell’higher education. Questa necessità, come espresso dal primo paragrafo, nasce dal gap formativo che le aziende riscontrano nei neolaureati in termini di competenze trasversali. Grazie ad analisi statistiche condotte a livello nazionale questa tesi verrà supportata evidenziando il fatto che le competenze trasversali sono elemento generatore di performance superiori e di conseguenza vengono prese in particolare considerazione dai datori di lavoro come criterio di selezione per l’impiego. La risposta delle università italiane e le misure introdotte per colmare il gap evidenziato dal mercato del lavoro appaiono però ancora insufficienti. Nel secondo paragrafo vengono presentati degli esempi virtuosi di adozione e creazione di programmi per lo sviluppo delle competenze trasversali da parte di alcune università internazionali. La terza parte è dedicata invece al caso italiano del Ca’ Foscari Competency Centre, Centro d’Ateneo dell’Università Ca’ Foscari, alle sue peculiarità e attività, presentando un modello con cui strutturare e applicare in modo innovativo un programma di cambiamento e di sviluppo dello studente e delle sue competenze all’interno del contesto accademico. Questo modello consente allo studente di sviluppare il suo capitale umano attraverso la scoperta del proprio Sé Ideale, la crescita di consapevolezza riguardo il proprio Sé Reale e fornendo mezzi e contenuti per lo sviluppo delle soft skill. Il quarto paragrafo rappresenta la parte empirica della trattazione. Dopo aver esaminato approfonditamente il Processo di Cambiamento Intenzionale e aver determinato un suo possibile metodo di applicazione innovativo rivolto agli studenti universitari, sono stati considerati tre esercizi proposti all’interno del cammino di cambiamento ed esaminati proponendo metodologie di

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analisi in base agli specifici obiettivi di ricerca. Infine nell’ultimo paragrafo verranno presentati gli aspetti conclusivi.

5.1 Necessità di sviluppo delle competenze comportamentali in ambito accademico

Le competenze emotive e sociali sono state fin qui descritte come elemento distintivo di performance superiori. Nel corso della trattazione sono stati riportati studi e approcci teorici autorevoli che hanno esplicitato e dimostrato i benefici delle competenze comportamentali in termini di crescita personale e professionale e soddisfazione per la propria vita. Le soft skills infatti, come sostengono molti studiosi del settore (Doh 2003) possono essere insegnate e apprese. Tuttavia non sono ancora molte le università che cercano di capitalizzare le proprie risorse utilizzando l’intelligenza emotiva e sociale come mezzo per sviluppare le capacità intrapersonali e interpersonali degli studenti (Jaeger 2003). Questo genera un evidente gap tra le competenze sviluppate in ambito accademico, prevalentemente legate a sistemi tradizionali di insegnamento, e le competenze richieste dal mondo del lavoro che non sono solo quelle professionali e tecniche, ma sono costituite anche da competenze personali di tipo comportamentale. Come sostiene Goleman (1998) il metro valutativo nel contesto lavorativo non è più solamente dato dall’intelligenza, dalla preparazione e dall’esperienza, ma prende in considerazione il modo di comportarsi verso di sé e verso gli altri come nuova misura per raggiungere l’eccellenza. La critica che viene spesso mossa dalle aziende riguarda quindi la mancanza di competenze adeguate nei neolaureati per ciò che concerne ad esempio la gestione delle proprie emozioni e di quelle degli altri, l’efficacia nel lavoro in team, l’adattamento al cambiamento, e porta Mayur, James e Swamynathan (2013) a chiedersi quale sia il ruolo dell’higher education se non quello di preparare i giovani al mondo del lavoro e a renderli preparati in un’ottica di impiego. Secondo Jaeger (2003) i corsi di studio raramente sono progettati per aiutare gli studenti a scoprire e migliorare i loro livelli di intelligenza emotiva, sebbene per i laureati sia di fondamentale importanza possedere le competenze necessarie per interagire con gli altri e affrontare situazioni lavorative complesse. I programmi universitari tradizionali si basano generalmente su una trasmissione passiva di conoscenza, tuttavia come sostengono Mintzberg e Gosling (2002) gli studenti non sono vasi da riempire, devono essere al contrario attivi e pienamente coinvolti nel processo di apprendimento. Il sistema educativo attuale dà più importanza allo sviluppo di competenze tecniche che a quello di competenze soft, ma nel mondo del lavoro la performance matura grazie al contributo di entrambe (Mayur, James, Swamynathan 2013). I metodi di insegnamento tradizionali sicuramente sono utili per sviluppare familiarità con alcune caratteristiche e attributi legati alla leadership e per trasferire

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conoscenze tecniche e schemi cognitivi, ma non appaiono sufficienti allo sviluppo delle competenze trasversali (Doh 2003), non sono idonei ad apprendere e praticare nuovi repertori comportamentali (Gerli et al. 2013). La sfida degli atenei è perciò quella di creare curricula universitari che comprendano lo sviluppo delle competenze emotive e sociali (Jaeger 2003; Boyatzis, Stubb e Taylor 2002) in modo da fornire agli studenti la possibilità di uno sviluppo psicologico ed emotivo, migliorando così la propria offerta formativa per far fronte alle esigenze e alle critiche del mercato del lavoro. Per fare questo bisogna adottare metodi di insegnamento efficaci nel migliorare le competenze emotive e sociali dello studente (Gerli et al. 2013). Secondo Elmuti (2004) questo tipo di educazione manageriale può portare benefici sia all’individuo, che alle organizzazioni, che alla società nel suo complesso. Conoscere le proprie emozioni ed avere una chiara visione del proprio futuro funge da elemento motivante per migliorare la propria performance e sviluppare le proprie competenze, cosa di cui si avvantaggia sia l’individuo che l’azienda. Sviluppare attività di riflessione e introspezione aiuta l’individuo ad agire in modo consapevole e coerente con i propri valori e desideri, a riconoscere specifici problemi e carenze. La fiducia nelle proprie potenzialità riduce il livello di stress e porta a un’apertura mentale che favorisce il distinguere di opportunità e l’affrontare i problemi in modo diverso. Inoltre i soggetti sono orientati al proprio sviluppo personale e professionale, acquisendo competenze necessarie per sostenere un’economia competitiva, specialmente le attività di business education infatti hanno un forte impatto sociale che dipende dall’uso della professionalità (Friga, Bettis, Sullivan 2003). Come constatato in precedenza, questo approccio si innesta all’interno di una visione dell’educazione centrata sullo studente e sulle sue esigenze. Le conseguenze dell’adozione di questo orientamento riguardano ad esempio modifiche nell’impostazione dell’attività didattica, nei metodi di insegnamento e nel ruolo dell’insegnante. Come sostiene Cameron (2000) è necessario sviluppare i curriculum iniziando dallo specificare le competenze che uno studente dovrebbe essere in grado di dimostrare al termine di un corso, e non basandosi unicamente sull’individuazione di un insieme di conoscenze che egli deve imparare. Inoltre è richiesta una maggior considerazione degli stakeholder legati al processo formativo accademico, viene considerato in particolar modo il rapporto tra università, studenti e aziende e il valore che si può creare attraverso un’interazione e un coordinamento tra le parti. Dal punto di vista degli studenti il vantaggio di questo approccio sta nello sviluppare competenze particolarmente richieste e apprezzate nel mercato del lavoro, che hanno dimostrato avere effetti positivi sulla performance, sulla crescita personale e che possono portare a una più facile assunzione e a uno sviluppo più rapido della propria carriera. Dall’altra parte in questo modo le imprese sarebbero in grado di ottenere personale già dotato delle competenze richieste, favorendo così la dinamicità delle attività ed evitando di dover sopperire alle mancanze formative dei neolaureati (Camuffo, Gerli 2004). Il fine ultimo è quello di dare alla popolazione una formazione intellettualmente e culturalmente idonea ad affrontare il presente e il futuro, per

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rendere ciascuno in grado di condurre una vita soddisfacente e significativa. Sono le istituzioni dell’higher education ad avere un ruolo chiave nel soddisfare queste esigenze, preparando gli studenti a una carriera e a una cittadinanza attiva in prospettiva di un apprendimento permanente (Salvaterra 2010).

Attraverso alcune indagini statistiche cercheremo ora di comprendere quanto le competenze trasversali vengono considerate nel mercato del lavoro italiano e a che punto è l’evoluzione della didattica accademica nell’adozione di un approccio allo sviluppo di tali competenze. La prima parte dei dati forniti, rivolti all’individuazione delle competenze richieste nel mercato del lavoro e all’accertamento dell’esistenza possibili skill mismatch, viene presentata da Excelsior, un Sistema informativo per l’occupazione e la formazione nato nel 1997, che monitora e sintetizza a scadenze annuali e trimestrali il quadro della domanda di lavoro italiana e dei fabbisogni formativi e professionali (Centro Studi Unioncamere 2012). Le indagini svolte comprendono trasversalmente tutti i settori economici e riguardano principalmente:

 le caratteristiche delle imprese che assumono  il perché le imprese non assumono

 i movimenti occupazionali previsti per livello di inquadramento  le assunzioni previste per tipologia contrattuale

 le figure professionali, i titoli di studio, i livelli formativi ed i relativi indirizzi richiesti  le principali caratteristiche delle assunzioni programmate

 le previsioni di assunzione di lavoratori immigrati

 le dimensioni e le caratteristiche degli investimenti annuali delle imprese in formazione continua e le tipologie di risorse umane coinvolte

 le imprese che ospitano tirocinanti e il numero di tirocini ogni anno complessivamente attivati.

A supporto della nostra ricerca lo studio sulla domanda di professioni e di formazione delle imprese italiane svolto da Excelsior nel 2012 (Centro Studi Unioncamere 2012) mostra come le competenze comportamentali incidano in modo rilevante nella valutazione di un candidato per un’assunzione non stagionale.

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Figura 5.1 Competenze che le imprese ritengono molto importanti per le assunzioni non stagionali previste per il 2012 (incidenza percentuale, per ciascuna competenza, dell’indicazione “molto importante” sul totale delle assunzioni non stagionali)

Fonte: Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior

Come evidenziato dal grafico a livello aggregato la competenza più richiesta e considerata (53,1%) è la “Capacità di lavorare in gruppo”, attività che riflette requisiti forti di intelligenza sociale ed emotiva dati dalla necessità di comprendere le proprie emozioni e quelle degli altri e saperle gestire per convergere insieme verso risultati soddisfacenti. E’ stato rilevato da Sturges, Simpson, Altman, (2003) che questa abilità ha un influsso notevole sulla performance professionale e quindi sulla progressione della carriera. Una caratteristica considerata quasi della stessa importanza (50,5%) è la “Flessibilità/Capacità di adattamento” che in ambienti mutevoli e dinamici come quelli moderni permette di restare al passo e accettare e favorire il cambiamento. Al terzo posto la “Capacità di lavorare in autonomia”, competenza rilevante in particolar modo per le piccole imprese, interessa la necessità di saper portare a compimento individualmente attività e progetti spesso decisi a livello collegiale. A seguire con rispettivamente il 42,3% e il 37,3% si inseriscono l’”Abilità di gestire i rapporti con i clienti”, particolarmente significativa per il settore dei servizi, e la “Capacità comunicativa”. Entrambe si riferiscono all’importanza di creare, gestire, migliorare i rapporti sociali. Questi dati suggeriscono ancora una volta quanto l’acquisizione di competenze trasversali sia indispensabile per soddisfare le richieste delle imprese e per garantire una maggior

employability di coloro che concludono un periodo di studio universitario. La domanda che

viene da porsi ora è quanto il sistema dell’higher education abbia recepito questo bisogno e cosa è stato fatto finora per adeguarsi a questo nuovo modello di insegnamento. Per quanto riguarda il contesto nazionale ci rifacciamo ai dati di una ricerca svolta nel 2013 da un gruppo di ricerca

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sulle competenze e l’occupazione (CARED) dell’Università di Genova e di Milano-Bicocca che attraverso un questionario hanno interpellato i Responsabili di Corso di Laurea di diverse università italiane in merito all’applicazione dei principi guida del già citato Processo Bologna, mirato all’armonizzazione dei sistemi di educazione europei e al loro ammodernamento nell’uso di una visione student-centred. All’interno di questo programma le competenze trasversali hanno assunto un loro ruolo separato dalle specifiche competenze disciplinari e costituiscono uno dei principali focus tra le tematiche educative. Il campione ottenuto da 488 questionari è disposto abbastanza uniformemente per area geografica: il 28,1% dei questionari proviene da università del Nord-Ovest, il 27,7% dal Nord-Est, le università del Centro sono rappresentate per il 27,3% e quelle del Sud per il 17%. In base alle aree disciplinari la distribuzione delle risposte è stata: 12% per l’area tecnologica, 26% per quella scientifica, 25% per quella politico- sociale, 19% l’area umanistica e 18% quella medica. In generale le risposte hanno mostrato che nel sistema universitario italiano l’organizzazione basata sui soli contenuti disciplinari è ancora prevalente, ciò significa che il sistema educativo è ancora centrato sul docente e le modalità didattiche sono spesso solamente trasmissive, tuttavia negli atenei italiani ha cominciato a diffondersi la consapevolezza della necessità di inserire tra gli obiettivi formativi anche le competenze trasversali. Una delle domande poste nel questionario richiedeva di individuare al massimo cinque competenze trasversali, tra le quarantaquattro proposte, fornite dai rispettivi Corsi di Laurea. Tra tutte la “Capacità di sintesi e analisi” è quella maggiormente indicata in tutte le aree disciplinari, insieme alla “Capacità di risolvere i problemi”. Competenze come la “Capacità di lavorare in gruppo”, che abbiamo visto essere quella generalmente più rilevante per il mercato del lavoro, assume invece qui un ruolo ben più modesto. La stessa cosa accade per la “Capacità di comunicazione”, ad evidenza dell’esistenza di un gap tra le attività formative e le caratteristiche richieste dal mercato del lavoro. Lo sviluppo di queste competenze secondo gli intervistati avviene grazie al contributo degli insegnamenti accademici, attribuendo ad altre attività formative una percentuale di contribuzione decisamente bassa. Oltre alla tradizionale lezione frontale altre metodologie sono state indicate in relazione al tipo di competenza da acquisire. Per l’area scientifica la metodologia più utile risulta essere il laboratorio (48,1%), per l’area politico-sociale è lo studio di casi (42,2 %), quelle più citate per l’area umanistico- letteraria sono l’analisi linguistica, la comprensione, la traduzione e sintesi (46 %), per l’area medica risulta importante il lavoro di gruppo (35,2 %), mentre per quella tecnologica le pratiche di progettazione (41,9%). Risultati positivi emergono invece dal crescente rapporto tra università e soggetti terzi, in particolare le aziende, con le quali si cerca di interagire al fine di accrescere la capacità di utilizzo nell’ambito lavorativo delle conoscenze e competenze acquisite. Le attività più diffuse di collegamento tra le due parti sono stage e tirocini anche collegati all’elaborazione della tesi di laurea.

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Come attesta il Report Nazionale sull’implementazione del Processo di Bologna nel periodo 2009-2012 (EHEA 2012), l’Italia si sta adoperando per implementare le nuove direttive che pongono al centro della missione dell’insegnamento accademico gli studenti, le loro esigenze e aspirazioni. I temi centrali maggiormente considerati nelle politiche del Paese sono l’apprendimento indipendente, i risultati di apprendimento e la valutazione degli insegnanti da parte degli studenti. Tuttavia sono necessari maggiori sforzi nel seguire in modo sistematico un’unica direzione orientata a una nuova organizzazione didattica che tenga conto delle competenze e degli obiettivi di apprendimento che uno studente deve raggiungere per avere una maggiore attrattività per il mercato del lavoro.

A livello europeo negli ultimi anni il coordinamento didattico è stato favorito dal fatto che ora più della metà dei paesi che hanno sottoscritto il Processo di Bologna fanno parte dell’Unione Europea, generando così una potenziale maggiore coerenza tra le linee guida del Processo di Bologna e le politiche di sviluppo dell’EU (Sursock, Smidt 2010). Per quanto riguarda le modifiche dei programmi scolastici a favore di un approccio student-centred e di sviluppo delle competenze Sursock, Smidt (2010) attestano che in Europa ciò è avvenuto nel 77% delle università e nella maggior parte dei casi il cambiamento ha interessato tutti i corsi di laurea (53%).

Un più consistente numero di programmi basati sulle competenze si rileva invece in ambito internazionale extra-europeo, in particolar modo negli Stati Uniti. In molte università strutture di sviluppo delle competenze sono state adottate e implementate come risposta istituzionale alle preoccupazioni circa la qualità della preparazione degli studenti per il mondo del lavoro (Klein- Collins 2012). Ciò che viene richiesto non riguarda più solamente le abilità tecniche, ma comprende capacità di adattamento, competenze interpersonali e capacità di risolvere problemi complessi (Spady 1994). L’introduzione di sistemi basati sulle competenze nelle istituzioni americane è avvenuto principalmente in due modi: il primo prevede l’introduzione della definizione delle competenze che saranno sviluppate nel corso di studi oppure prevede il riconoscimento di metodologie didattiche alternative utilizzate per sviluppare precise competenze; il secondo comporta invece la creazione di nuovi curricula che adottano un approccio competency-driven. Nel prossimo paragrafo verranno presentati in modo più approfondito alcuni esempi di programmi che seguono questo modello già avviati in ambito internazionale.

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