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Il negozio come strumento di regolazione degli interessi pubblici dopo la l 241/

Si è già accennato come la legge 241/90 abbia riaperto il dibattito sull’idoneità degli strumenti negoziali a costituire valido strumento di regolazione degli interessi pubblici e come tale riflessione abbia poi condotto alla rimeditazione dei rapporto tra attività autoritativa e consensuale della P.A. e ad un’analisi sempre più approfondita delle fattispecie coinvolte.

In particolare, autorevole dottrina74 rileva come, secondo la teoria della

doppia natura, anche l’attività contrattuale della P.A. è attività amministrativa, solo che, all’interno della medesima fattispecie, sono riscontrabili sia atti di natura privatistica che pubblicistica. Il consenso si situa dunque in maniera differente asseconda che si tratti di contratti ad evidenza pubblica o di concessioni; sebbene in entrambi i casi il consenso sia collocato al di fuori della fattispecie, nel caso dei contratti, questo è situato a valle del procedimento, come condizione di efficacia dell’atto, mentre per quel che concerne le concessioni esso rappresenta il presupposto per l’emanazione dell’atto unilaterale.

Per Scoca, l’autorità secondo un significato tecnico giuridico è eteroregolazione, ossia il potere di regolare la sfera giuridica altrui, in questo senso è diametralmente opposto al concetto di autonomia privata che consiste in un potere di autoregolamentazione degli interessi. Ciò che rileva però è che l’autorità è attributo del potere e non dell’atto caratterizzato piuttosto dai connotati dell’imperatività. Il potere autoritativo può esprimersi pertanto in atti precettivi unilaterali o bilaterali, senza che l’elemento consensualistico elida il profilo di autoritarietà. L’autoritarietà viene meno solo qualora il consenso sia condizione di esistenza del regolamento il che, secondo l’autore, si

I contratti pubblici e l’annullamento dell’aggiudicazione dopo la direttiva ricorsi

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verifica proprio nei contratti di evidenza pubblica. In questo caso però non può parlarsi di autonomia privata della P.A. poiché l’azione amministrativa è sottoposta ad un vincolo di scopo che non la limita solo nel fine perseguibile, ma che la costringe anche al rispetto di norme procedurali ed al rispetto dei principi tipici dell’agire amministrativo, in primis il principio di proporzionalità.

Si rileva come un forte limite all’autonomia della P.A. sia rappresentato proprio dal rispetto degli interessati coinvolti nel procedimento, dei terzi e nell’adeguatezza degli strumenti utilizzati per giungere al fine preposto.

Per l’autore il diverso collocamento del consenso all’interno della fattispecie muta la natura stesso a dell’atto: se il consenso costituisce un presupposto o condizione di efficacia dell’atto, si è pur sempre in presenza di atti autoritativi della P.A., se invece questo assume i connotati di condizione di esistenza del contratto in quanto elemento indispensabile per la struttura stessa della fattispecie, l’atto precettivo è senz’altro di natura consensualistica

Anche altri autori75 concordano sulla generale capacità di diritto privato in capo alla Pubblica Amministrazione, intesa idoneità per la Pubblica Amministrazione di essere titolare di situazioni soggettive di diritto privato (si fa per lo più riferimento alla possibilità per la p.a. di ricevere donazioni, eredità stipulare contratti etc) ma anche qui si pone in dubbio sulla loro idoneità ad essere validi strumenti per la gestione degli interessi pubblici.

Cerulli-Irelli mette in evidenza come la riflessione sugli strumenti di diritto privato non investa solo il contratto, ma tutti gli strumenti di diritto privato, inclusi gli atti unilaterali a carattere negoziale ex art 1324, non infrequenti, ad esempio, nel rapporto di pubblico impiego.

In secondo luogo bisogna risolvere il problema della compatibilità costituzionale ed in particolare se l’uso del negozio sia compatibile con il principio d’imparzialità, con la tutela giurisdizionale e con il combinato disposto tra gli art. 3 e 41 della Carta Costituzionale, (principio di uguaglianza di trattamento e quello di libertà negoziale). Se, infatti, nei primi due casi i principi sarebbero meglio garantiti dal provvedimento amministrativo per via delle procedure istruttorie ad esso connesse e dei principi che le regolano.

Un diverso discorso deve essere fatto per il terzo. La libertà negoziale e la parità di trattamento, che potrebbero essere sintetizzate nella libertà di concorrenza, sarebbero infatti meglio garantiti dallo strumento contrattuale. Da questo rilievo si può dedurre che la limitazione dell’uso degli strumenti imperativi in favore di quelli negoziali dev’essere calibrata al fine di rispettare tutti i principi che coinvolgono la P.A., e dunque contenuta nei limiti del principio di proporzionalità. Interessante appare inoltre l’analisi, seppur sintetica delle differenze tra i due strumenti. In primo luogo si rileva una grande difformità sostanziale in sede di formazione dell’atto.

La legge 241/90 disciplina le varie fasi del provvedimento, garantendo la tutela degli interessi partecipativi dei soggetti coinvolti nel procedimento, mentre in generale, per i contratti vige il principio di libertà nelle forme e nelle attività col solo limite dettato dall’art. 1337, della libertà delle forme.

Un secondo profilo è quello dell’efficacia, dove il provvedimento amministrativo sembrerebbe essere caratterizzato dalla precarietà. Secondo l’Auore infatti, una volta concluso, il contratto può essere rimosso solo dal giudice (e, si potrebbe aggiungere dall’accordo delle parti, per non paralare poi delle ipotesi di recesso) mentre il potere di autotutela, in capo alla Pubblica Amministrazione sotto forma di revoca o annullamento, espone l’assetto degli interessi stabilito nell’atto ad

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una maggiore instabilità, che porta con se inevitabilmente i caratteri dell’autorietà-imperatività considerando che questo potere è attribuito esclusivamente alla Pubblica Amministrazione.

Particolarmente interessanti appaiono i rilievi sulla tutela delle posizioni soggettive, non tanto per quel che attiene al riparto di giurisdizione, quanto per quel che concerne la tutela accordata al ricorrente che risulta essere più ampio nell’ambito del provvedimento piuttosto che in quello del negozio. Si rileva che la tecnica di tutela dei diritti soggettivi legittima solo le parti del contratto, mentre nell’ambito dei diritti soggettivi trovano tutela anche le posizioni soggettive dei contro interessati.

Secondo quest’impostazione, i contratti pubblici presentano una serie di principi peculiari estranei al diritto privato76 proprio in virtù dell’azione vincolata della Pubblica Amministrazione77.

Un ulteriore principio è quello della parità d’accesso a tutti i possibili interessati. A riguardo la Legge di Contabilità di Stato, R.D. 18 novembre 1923 n. 2240 all’art. 3, prevedeva i pubblici incanti per i contratti attivi ed le pubbliche gare per i contratti passivi. Il principio svolge una duplice funzione: una immediata che consiste nel consentire alla Pubblica Amministrazione di reperire il miglior prodotto o la migliore prestazione sul mercato al minimo dei costi e l’altra, che si potrebbe definire mediata, che garantisce a tutti gli interessati di potere concludere contratti con la Pubblica Amministrazione. L’argomento, che sarà approfondito in seguito, ha una certa rilevanza soprattutto sotto il profilo della tutela giurisdizionale78.

76 Rientranti secondo F. G. SCOCA, op. cit., nello statuto della Pubblica

Amministrazione

77 Anche V. CERULLI IRELLI concorda con impossibilità di parlare di un’autonomia

negoziale riferibile alla P.A., la cui azione deve esplicarsi nel rispetto del principio di buona amministrazione, op. cit.

78 La giurisprudenza della corte di Cassazione infatti fino alla fine degli anni ‘90 ha