La lettura che trabocca in scrittura. Appunti sull’arte del pastiche
1. Neoliberalismo e competizione
La nozione di “neoliberalismo” è sfuggente e controversa, ma la sua connotazione prevalente fa riferimento all’idea secondo la qua-le la promozione del bene generaqua-le può essere perseguita al meglio lasciando alle sole forze di mercato il compito di provvedere alla distribuzione dei beni economici prodotti da una società mercan-tile schermata dalle indebite interferenze dello Stato.1 L’idea che il neoliberalismo equivalga alla liberazione dall’assoggettamento al potere livellatore dello Stato lascia però in ombra il fatto che questo progetto necessita di uno Stato forte, capace di resistere alla pressione che su di esso possono esercitare le rivendicazioni di giustizia sociale. La creazione di un ordine competitivo da ap-plicare a tutti gli attori del mercato va realizzata in un quadro di governamentalità attiva e richiede l’adesione dei cittadini al prin-cipio della giustizia di scambio tramite una vera e propria ortope-dia morale – ossia un processo di rieducazione che li deve portare a ritenere giusti, o quanto meno privi di ogni alternativa, i risulta-ti della distribuzione così come vengono attuarisulta-ti dai soli meccani-smi di mercato.2 Il soggetto neoliberale va ritagliato su misura per
1. Cfr., a puro titolo esemplificativo, D. Harvey, Breve storia del neoliberismo (2005), il Saggiatore, Milano 2006; G. Leghissa, Neoliberalismo. Un’introduzione critica, Mimesis, Milano-Udine 2012; W. Davies, The Limits of Neoliberalism, Sage, London 2014, pp. 18-22; J. Gledhill, “Neoliberalism”, in D. Nugent, J. Vincent (a cura di), A Companion to
An-thropology of Politics, Blackwell, Oxford 20072, pp. 332-348, e la parte monografica (inti-tolata Fantasmi neoliberali) di “aut aut”, 376, 2017.
2. W. Streeck, Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico (2013), Feltrinelli, Milano 2013, p. 67.
183
l’esercizio egoistico dei diritti soggettivi, affinché l’ordine sociale possa configurarsi come il risultato spontaneo delle azioni interes-sate di soggetti razionali che applicano una forma di agire strate-gico spiegabile in termini di calcolo egocentrico e utilitaristico, e che perciò “non hanno bisogno di interessarsi scambievolmente
l’uno per l’altro”.3 La desolidarizzazione che ne consegue è perciò il risultato di un vero e proprio processo di apprendimento, il cui obiettivo è creare un homo œconomicus “esperto di se stesso, da-tore di lavoro di se stesso, invenda-tore di se stesso, imprendida-tore di se stesso”4 – e indifferente alla sorte degli altri.
La tesi che si intende proporre nelle pagine che seguono è che il neoliberalismo non sia perciò solo una teoria economica, ma sia anche un progetto politico-pedagogico che mira a trasformare “l’anima e il cuore” delle persone per costruire ovunque situazio-ni in cui gli individui siano indotti a interiorizzare la morale della concorrenza in vista della massima remunerazione del capitale in-vestito. È questo, in fondo, il senso del concetto di “capitale uma-no”, per cui la soggettività deve adeguarsi – al lavoro come nella vita privata – alla logica della concorrenza e della prestazione. Il neoliberalismo è una razionalità specifica che guida le condotte in-dividuali, struttura le relazioni umane, plasma le soggettività. La concorrenza è il suo principio, l’impresa il suo modello, la sostitu-zione della giustizia sociale con la giustizia di mercato il suo risul-tato.5 L’ortopedia morale del neoliberalismo punta a trasformare gli individui in soggetti di diritto privato disponibili ad accettare come “naturale” la distribuzione dei risultati del processo di pro-duzione definita in base alla valutazione della prestazione indivi-duale fornita dal mercato in termini di remunerazione. La compe-tizione ha sia un aspetto economico sia un aspetto morale: da un lato migliora l’efficienza complessiva del sistema economico per-mettendo ai “migliori” di contribuire al Bene comune grazie alla loro capacità di massimizzare in tutti i campi il proprio capitale
3. J. Habermas, La costellazione postnazionale (1998), Feltrinelli, Milano, 1999, p. 77. 4. P. Dardot, C. Laval, La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità
neoliberi-sta (2009), DeriveApprodi, Roma 2013, p. 424.
184
umano, dall’altro li premia in base ai loro “meriti”, e cioè in pro-porzione all’energia, iniziativa, ambizione, calcolo e responsabilità personale di cui hanno dato prova.6
Naturalmente, l’idea che i mercati ridistribuiscano la ricchezza secondo regole generali e imparziali non può ignorare il fatto che nel gioco “spontaneo” dei meccanismi di mercato la dotazione di partenza dei partecipanti è diseguale. Non tutti i possibili parteci-panti hanno le stesse opportunità di accesso e partecipazione ed è perciò irrealistico confidare nella loro efficacia egualizzante. Anzi, “i mercati reali riproducono (e rafforzano) sproporzioni e vantaggi già in precedenza esistenti tra imprese, bilanci e persone”.7 L’egua-glianza delle situazioni ex ante è una situazione tutt’altro che vero-simile, e anche all’interno della famiglia neoliberale non manca-no divergenze riguardo a eventuali misure compensative suscetti-bili di fare in modo che i mercati possano valutare i contributi e le prestazioni di tutti i partecipanti secondo un criterio realmen-te imparziale.
A essere comunque decisiva è la competizione. Anzitutto sot-to forma di principio normativo, così da mantenere l’economia di mercato al riparo da qualsiasi correttivo democratico. La sola for-ma di intervento pubblico possibile è quella che fissa le condizioni- quadro per un regime di concorrenza in cui vincono coloro che dispongono di una migliore allocazione iniziale di risorse. Le de-cisioni che rafforzano la concorrenza vanno intraprese sulla base di valutazioni indipendenti da considerazioni politiche, ritenute distorsive nei confronti del funzionamento del mercato. Questo processo di de-politicizzazione dell’economia promuove una sorta di interdizione tecnocratica alla sua possibile democratizzazione, poiché la politica viene ritenuta incapace di cogliere quell’astuzia della ragione economica capace invece di coniugare efficienza e imparzialità tramite l’oggettivazione tecnica di problemi che van-no protetti da ogni forma di pressione esterna esercitata da gruppi
6. N. Rose, Inventing Ourselves. Psychology, Power and Personhood, Cambridge Uni-versity Press, Cambridge 1996, p. 154.
200 aut aut, 389, 2021, 200-207