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LA NIELLATURA DEL MARMO

Nel documento ARTE ITALIANA (pagine 30-33)

— v. Tav. I0, I l e D ettagli 7a fino a 7g, 8 fino ad 8bb —

enezia non apparisce giammai così grande nelle visioni del passato come nella seconda metà del secolo decimoquinto.

È allora che ogni monumento assume una nuova impronta, e u n’ aura benefica di classicismo si diffonde nell’ arte ad opera del Bellano, e dei fiorentini, mercè il Verrocchio ammirato e celebrato fra noi.

In quell’ età gloriosa sorgono la Scuola di S. Marco e la Chiesa di S. Maria dei Miracoli ; si abbelliscono con nuove costruzioni la Piazza e il Palazzo dei Dogi, e in que­

st’ ultimo, sotto la direzione e l’ opera di Antonio Rizzo và innalzandosi la scalea famosa detta poi dei Giganti quando Jacopo Sanso vino, nella seconda metà del XVI secolo vi aggiunse quei due colossi di marmo rappresentanti Marte e Nettuno, simboli della grandezza veneziana nella terra e nel mare.

Ben a ragione il Rizzo, assunto nell’ ultimo ventennio del secolo X V quale Proto nella rifabbrica del Palazzo, rivol­

geva ogni sua cura affine di lasciare un’ opera la quale riu­

scisse degna del suo nome, e corrispondente ai desiderî del Governo, il quale in considerazione del grave lavoro andava accordandogli frequenti gratificazioni. In un documento del 1491 i Provveditori al Sal, visto quanto diligentemente il Rizzo aveva atteso alla fabbrica, e trovando necessaria

« la persona sua a questo per satisfation et belleza di tal opera, et azo che perseverar possa cum bon cuor et animo al bisogno di quella », considerato ch ’ egli non avea potuto

« ni far dote a la sua vechieza ni a la fameia sua per haver dii tutto serado et abandonato la sua botega per cessar d ’ ogni suspicion suportando intolerabil fatiche » gli conce­

devano l’ annuo salario di duecento ducati d’ oro (1). Ma per poco ancora egli potè godere del nuovo stipendio, im­

perciocchè in breve dovette lasciare il lavoro. La fabbrica perciò rimase incompiuta, e fu perfetta soltanto nei primi anni del secolo XVI.

Il Rizzo mirò ad arricchire quella scalea, dalla quale il Doge e i Magistrati scendevano in forma solenne per recarsi alle feste pubbliche, o alle cerimonie religiose, ove

( I ) L o ren zi - Monumenti p er servire alla storia del Palazzo Ducale - V e­

n ezia, V isen tin i, I 869.

il Principe veniva incoronato, e riceveva gl i omaggi della Signoria e del popolo plaudente ; ed ajutato a quanto sem­

bra da scalpellini, che poteano dirsi veri artisti (1), la decorò con ornamenti a bassorilievo svariatissimi, e parve che al magistrale scalpello obbedisse il marmo come alla stecca la creta.

A quei bassorilievi, soggetti in ogni età di studio, le cui riproduzioni vanno per le scuole e per le officine quali mo­

delli di stile perfetto, si aggiunsero negli specchi dei gra­

dini e in alcune parti della facciata interna del Palazzo fregj scolpiti a solchi nel marmo, e riempiuti di piombo, destinato a dar loro il risalto. Questi fregi piani, dei quali iniziamo la riproduzione, rispecchiano quasi gli altri a basso- rilievo, che decorano la stupenda scala e si ripetono le cento volte sotto cento diverse forme. I meandri e i lemnischi non possono essere più leggiadramente composti ed intrecciati, le volute, i viticci, le foglie di acanto si accompagnano nelle linee eleganti, senza peccare di leziosaggine o di monotonia.

I contorni del disegno sono accurati e perfetti, come aves­

sero dovuto servire ad opera di fine intaglio, e l’insieme ci fa davvero conchiudere come in nessuna età l’ arte dell’ or­

namento fosse come in questa veramente intesa e profon­

damente studiata.

Quei motivi di ornamentazione, di una simmetria armo­

niosa, riempiti di piombo o di cementi policromi, ricordano le iscrizioni e le decorazioni dei monumenti romani. Ma ispirazione vera crediamo si avessero i nostri dai greci ; imperciocchè capitelli e cornici di stile neo-bizantino lavorati con questo sistema possiamo vedere nella Basilica Marcia­

na, e sembrano imitazione dei lavori di niello in propor­

zioni grandiose. Commessi in marmo, sigilli sepolcrali ed iscrizioni anco nei secoli precedenti al XV presentano il medesimo artificio, e si trovano principalmente in Toscana, ove si impiegarono nell’ ombreggiare e nei fondi dei rilievi piani la pece bollita, l’ asfalto nero, o il nero di terra (2).

Alcuni sigilli sepolcrali, niellati in piombo o con ma­

stici variamente colorati dovuti alla mano dei Toscani e dei Lombardo, eseguiti verso la fine del decimoquinto o nei primi anni del decimosesto secolo, stanno fra noi in S.

Giob-( I ) Il S elvatico Giob-(Sulla Architettura etc.) ritie n e co llabo ratori del Rizzo in q u e s t’ o p e ra gli scu lto ri D om enico e B ern ard in o d a M antova. Forse egli m ale in te rp re tò le n o tizie d a te c i dal S ansovino ( Venetia) in to rn o ai due a rtis ti v issu ti in ep o c a p o ste rio re al Rizzo.

(2) V asari — Vite — Il chiar. prOf. P aoletti tr a tte rà diffusam ente intorno a q u e sti m astici n ella sua Storia del Rinascimento a Venezia.

DECORATIVA E INDUSTRIALE 29 be, in S. Maria dei F rari, a S. Zaccaria, e quel tesoro che

è la Chiesa di S. Maria dei Miracoli ha una parte del pre­

sbiterio decorata con ornamenti in mastice nero o cene­

rognolo.

Più singolare fra tutti quei monumenti è il sigillo sepol­

crale di Lodovico Diedo esistente in Ss. Giovanni e Paolo.

Consta esso di una lastra rettangolare, nella parte superiore della quale è collocata altra grande lastra sormontata da un frontone. La grande lastra ha scolpito in piano a bassissimo rilievo due putti ignudi in atto di sostenere uno stemma a testa di cavallo ; ognuno di essi porta con l’altra mano un’ asta ornata di elmi a lambrecchini e svolazzi, ricordanti lo stile gotico, su cui stà una sfera armillare, dalla quale armiilare e il busto d’ uomo alato sui cimieri degli elmi, sono pure imprese dei Diedo, e tali ci appariscono anco in monu­

menti anteriori al nostro.

Di Lodovico Diedo, patrizio veneto, le cui ossa sono racchiuse in questa tomba, poche notizie invero ci serba­

rono gli storici. Si sa che il Diedo, nato nei primi anni del decimoquinto secolo, capitanò valorosamente le galere vene­

ziane, ed aperse loro una via attraverso alla flotta nemica quando Costantinopoli fu presa dai Turchi nel maggio del 1453 (1). Ristabilitasi la pace nel 1454, il Diedo ebbe impor­

tanti ufficj nel governo, e nel 1459 venne eletto Capitano delle galere di Fiandra (2). Rimasto prigione in Inghilterra, lasciò in ostaggio uno fra i ventiquattro figli ch’ egli ebbe dal matrimonio con Creusa Boldù (3), e nel 1462, ritornato in patria, fu nominato Conte di Zara, ove rimase fino a no­

vembre del 1463 (4). Il Diedo morì dopo il 1466, mostrando, secondo l’iscrizione surriferita, e che risente tutta la poesia e il classicismo del tempo, quanto sia bello il morire per la Repubblica.

Il genealogista Barbaro dice il Diedo morto,, per alle­

grezza; ma di questa allegrezza non ci riuscì di trovare giustificazione. Era forse la gioja di aver compiuto il proprio dovere, o i progressi della lega conchiusa fra Pio II,

Altri cronisti invece asseriscono che per allegrezza delle accoglienze festose preparategli dai Veneziani fosse morto Vittore Diedo, figlio di Lodovico, lasciato dal padre in ostaggio dei turchi, il quale riuscì ad ottenere da essi, mercè le attrattive della persona e il dolce suono del liuto, il per­

messo di ritornare per breve tempo in patria nel 1480 per rivedervi i parenti. Ma questa notizia non venne finora suf­

fragata da documenti attendibili, e d’altronde l’ indole del lavorato per commissione di Lodovico, probabilmente da un artefice fiorentino degli ultimi anni del secolo decimoquinto.

E nell’ affermare questa attribuzione dobbiamo far notare che quella foggia di sigillo sepolcrale non apparisce in altri esempj fra noi; mentre in Toscana non è raro il riscon­

trarla in quell’ età, specie a Firenze e a Pisa. Si ha poi dal Grevembrock nei suoi preziosi manoscritti la notizia che soltanto nel 17 di Giugno del 1466, acquistò Lodovico il terreno nella Chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo per costruirvi la tomba di famiglia, che deve ritenersi quella ora esistente.

Questo monumento nel suo insieme venne pubblicato recentemente dal Meurer in iscala minore del vero (2), e noi che abbiamo data lode ad altre opere dello stesso autore, stimavamo che la riproduzione fosse degna del nome del- l’autore e dell’ opera, che parea destinata a rendere segna­

lati servizj nell’ insegnamento industriale, e si era pensato superfluo a darne un altro disegno in questo periodico. Ora, forse non per colpa del Meurer, ma di chi eseguiva la riprodu­

zione, ci è forza convenire che le tavole forniteci nell’ Italieni- sche Flachornamente devono reputarsi, se non una mistifica­

zione, uno sforzo di memoria su schizzi assai inesatti. Colle tavole alla mano del Meurer abbiamo verificati gli errori principali, dei quali dobbiamo notare i più evidenti ; imper­

ciocchè le linee dell’insieme si riconoscono a prima vista mancanti di proporzione, e la composizione in generale difetta di quel sentimento di puro stile, che è caratteristica di quel secolo.

Le tavole del Meurer ci presentano i particolari di questo sigillo alterati in molta parte; certe foglie di edera furono trasformate in volute, e non tenendo conto che dai due va­

setti laterali sorge l’ornamento che ragionevolmente tende a salire verso la sommità, si rovesciarono le foglie all’in­

giù; i putti perdettero la loro espressione; la loro accon­

ciatura a zazzera nel disegno tedesco è tramutata in una moderna pettinatura a ricciolini. E approfittando di certi bucherelli che si trovano paralleli alla fascia e nel centro dello stemma, se ne fecero altrettante figure circolari, e alla fascia si aggiunsero linee che sfigurano assolutamente lo stemma. In luogo del putto collocato sopra la sfera armil­

lare si pose un bastoncino con una palla infilata e un cer­

chio trasversale. E così via, via, in modo, come si disse, che quasi sembra siasi voluta riformare 1’ opera, che di corre­

zioni davvero non abbisogna. Nè correzioni sono i numerosi punti posti dopo varie parole dell’ iscrizione, ed è

assoluta-(I ) Cosi anche il Cicogna nelle sue schede m anoscritte. E gli anzi os­

serva che il Soravia stoltamente indica i due F come iniziali delle parole : Felicitati Futurae.

(2) Italienische Flachornamente aus der zeit der Renaissance. K arlsruhe, V eith.

m e n te in e s a tto n e lla q u a r t a lin e a d i e s s a q u e l : ET. EX. BRI-TANIANLIO. REI., i n l u o g o di: ET. EX. BRITANIA. FILIO. REI.

La riproduzione che oggi diamo di questo monumento, diligentemente calcata dall’ originale, lo restituisce nel suo vero aspetto, e nei più esatti particolari. Abbiamo accen­

nato al disegno del Meurer, di un’ opera che a buon diritto doveva occupare un posto importante nell’insegnamento, solo a dimostrare come lo studio dei nostri monumenti di arte decorativa meriti di essere nuovamente rivolto alle fonti pure, evitando quegli errori che guastano di sana pian­

ta la mente e l’occhio dello scolare, e come di un’ opera simile difettino le scuole nostre. Saggio pensiero adunque fu quello del Governo incoraggiando questa pubblicazione,

in cui, come il lettore si sarà già persuaso, si mise ogni cura perchè non abbiansi a rinnovare gli errori dei quali le opere straniere abbondano a dovizia.

In quel prezioso cimelio, che è il sigillo sepolcrale di Lodovico Diedo, ogni singolo particolare venne reso in an­

tico più appariscente mercè il fondo e le ombre di mastice cenerognolo, i riporti di bronzo, di piombo e di mastice colo­

rato nello stemma. È questo il più splendido esempio di un monumento, nel quale si fece uso di quei mastici che ora sembrano ritornare in onore, e ci dà un’idea della impor­

tanza che l’ imitazione dei nielli sul marmo potrebbe avere anco oggidì nell’arte figurativa.

G. M. U RBANI D E G HELTOF.

Fig. 22. Cassa in legno in ta g lia to — Sec. XVI — Museo Civico di V enezia

L E C A S S E E I C O F A N E T T I I L E G N O

Nel documento ARTE ITALIANA (pagine 30-33)