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STORIA D’UN CANDELABRO IN UNA SCUOLA INDUSTRIALE

Nel documento ARTE ITALIANA (pagine 68-71)

— v. Tav. 25 —

« Vorrei fare un candelabro » e mostra loro pochi se­

gni tracciati sulla carta.

La sua calda fantasia gli suggerisce una composizione molto animata, molto viva.

La scuola ha severamente richiesto da lui una ese­

cuzione più che coscienziosa, dai primi studii di disegno d’ornato, andando su su ai disegni dalla stampa e dal gesso, ed a quelli dai fiori, dalle foglie e dalle piante vere, studiate, anatomizzate, sarei per dire, nelle loro forme e nei loro minuti particolari, con i più rigorosi principii della grande arte. Egli non ha fatto uno studio speciale di figura, ma ha avuto sotto gli occhi i più corretti esemplari antichi, specie le famose terre-cotte della collezione Campana, nelle quali la figura, nella sua perfezione d’insieme, nella squisita ele­

ganza d’un antica arte purissima, è rappresentata come elemento, come parte di un tutto decorativo, unita ai fiori, alle foglie, a ornati d’ ogni maniera. Guidato dai suoi mae­

stri, ha contemplato, nelle sale del Museo di Napoli, i mi­

gliori antichi lavori artistici industriali, e in particolar modo i piccoli bronzi di Ercolano e di Pompei. La scuola, insom­

ma, prefiggendosi di non perder mai il proprio carattere di scuola d’arte applicata e di non invadere il campo dell’Ac- cademia, è stata severissima verso il proprio alunno, ma se ha tenuto a freno la sua ambizione, non ha però isteri­

lita la sua fantasia. E così il giovane artefice napoletano ha ideato un satiro posato su una base di stile greco-romano ad ornati finissimi, un satiro che regge fra il braccio destro e il giovane alunno napoletano, che

ha immaginato ed eseguito questo can­

delabro, non fosse stato educato all’arte in una scuola industriale, probabilmente a diciotto anni, quando fece quest’ o- pera decorativa, avrebbe fatto figurine in terra cotta, o magari in bronzo, rappresentanti monelli di Santa Lucia, marinai, venditrici di acqua, o qualcosa di simile, per poi salire gradatamente alle regioni più alte della scultura, portandovi, con l’ ingegno maturo, forse anche le ingenue ispirazioni naturalistiche dei giovani anni, quelle ispirazioni che contradistinguono tanta parte della modellazione e della scultura meridionale.

Nel Museo Industriale di Napoli (vedi nota a pag. 86) ove questo alunno entrò quasi bambino senza alcuna cogni­

zione di disegno ; ove passò per tutte le scuole, da quella elementare a quella di disegno superiore, a quella di pla­

stica, e finalmente a quella di decorazione, egli incominciò a modellare per la ceramica, poiché l’ officina di ceramica fu la prima creata nell’ Istituto, e compose vasi con ornamenti a rilievo, fece fregi per rivestimenti murali, candelabre, soprapporti. Finalmente, quando l'officina per le lavorazioni metalliche fu pure fondata, egli pensa di darsi alla lavora­

zione dei bronzi, entra nella scuola speciale della modella­

zione in cera, annessa a quella di plastica, e un bel giorno dice ai suoi maestri e al direttore artistico :

DECORATIVA E INDUSTRIALE 67 queste equilibrate, e cominciato il lavoro di dettaglio, l’alun­

no si ferma turbato innanzi alla figura, a questa figura che o tutta una pianta che gli sta davanti, immobile e silenziosa, è una creatura che lo guarda negli occhi, e sente, e parla

mente atteggiata, e mentre il maestro di plastica vigila alla fedele interpretazione delle forme, il maestro di decorazione bada che quelle forme restino nella linea decorativa e non discordino dall’ insieme voluto.

Finita la figurina si ritorna alla base che prima era ovale e poi si fa tonda, e si posa su un dado quadrato or­

nato in giù di piccoli festoni di fiori e frutta e da quattro teste di ariete agli angoli. L’alunno consulta modelli e stam­

pe antiche, fa e disfà col consiglio dei maestri quei minuti ornamenti e lavora, lavora attentamente, scrupolosamente quella poca cera che è sul modulo di legno tirato a tornio e finito esattamente di lima poiché serve da modello alla prima fusione. E qui egli torna l' operaio paziente, diligente, minuzioso, torna l’ esecutore che non deve appagarsi sol­

tanto dell’inventare, ma deve applicare alla sua invenzione la tecnica. Così fa il vaso e il coperchio che è nella mano sinistra del satiro, così fa i bocciuoli, e lì si ferma; poiché i serpenti, per essere troppo sottili, non possono facilmente modellarsi con la cera e prendere tutta quella varietà di per ogni verso, e virtualmente scomposto e ricomposto dal pensiero dell’ operaio, si fa una prima domanda : in un pezzo solo, senza riporti, senza saldature, senza giunte;

mentre le altre parti, divise e suddivise in quanti pezzi si vorrà, saranno fuse a terra, perchè riescano più facili, più precise, meno bisognevoli di un lungo lavoro di cesello, e però di fattura più industriale. Se non che, prima di pro­

cedere all’ ultima definitiva fusione, bisogna trasformare questo modello di cera, di legno e di piombo in un mo­

dello di metallo resistente, cesellato e finito di tutto punto come se si dovesse esporre alla vendita, e da questo secondo modello si caveranno gli stampi precisi e corretti per le

gli sfiatatoi, si accresce in alcuni punti la grossezza del cavo di cera, si ritorna a fondere, e finalmente il primo modello compagni della officina, ed all’ atto della rifinitura riprende il suo lavoro di modellatore, questa volta non più con del lavoro industriale. Inoltre quei pezzi possono conside­

rarsi come inalterabili alla calcatura e però possono servire a quante riproduzioni si vogliano fare di essi per poi com­

porre quanti candelabri si vogliano. Della figurina di ottone cesellato si prende un nuovo cavo a tasselli, o di gesso, o di un miscuglio di gesso e di cera, e da questo cavo, che è tanto più preciso del primo, si ricavano quante copie in cera si vogliono del piccolo satiro per essere ritoccate dalla mano del modellatore e fuse a cera persa ; e mentre egli si fonde minaccia cento danni alla riuscita della fusione, ma promette in cambio i vantaggi di un lavoro serio e dure­

vole come gii antichi bronzi greci e romani. Le fiamme azzurrognole del colze circondano i crogiuoli, dai quali si

sprigionano i vapori verdi del rame, il metallo è fuso, e. che segna per lui una prima vittoria nel lavoro industriale.

Quei pezzi sono ripuliti dell’ ultimo strato aderente di terra dopo che furono tolte le corse di metallo e le sbava­

ture, indi si fanno sbiancare nell’acqua acidula, e finalmente si preparano a quel lavoro lunghissimo, minuto e paziente in cui si nasconde uno dei pregi maggiori di un bronzo artistico industriale : il cesello.

La scuola di cesello è una scuola artistica nell'officina ; gli alunni che la frequentano hanno frequentato e frequen­

tano le scuole di disegno e di plastica e quella della cera specialmente; non tutti sono o possono essere inventori di modelli, ma l’inventore di modelli, pure non facendo il cesellatore come mestiere speciale, deve saper cesellare, poiché il cesello in fondo non è che la modellazione del par cosa tutta materiale, vuole sicurezza d’occhio e di mano, e consiglio d’ artista, poiché si tratta di dare all’ oggetto la tecnica in una scuola industriale sono due corde della stessa lira, l’ una e l' altra debbono vibrare all’ unisono e gene­ quali un orologio esposto ultimamente alla Mostra Didat­

tica di Roma. Non è in officina, ma lavora per le officine, la mano, potrebbero forse naturalmente risuscitarsi gli an­

tichi ardimenti dell’ arte, sposati ai bisogni della vita mo­ operaio, ho voluto narrare semplicemente e molto, ma molto sommariamente, la storia tecnica di un’opera non prodotta da un’ officina, ma immaginata ed eseguita in una scuola

gliori cose eseguite nelle officine e nei corsi superiori delle principali Scuole italiane d’ arte industriale e decorativa, prin­

cipiando da uno squisito lavoro in bronzo condotto nel Museo artistico-industriale di Napoli.

Su codeste Scuole vigila il Ministero d i Agricoltura, Industria e Commercio, che aiuta eziandio questo Periodico. È nostro debito dunque il prestarci a fa r conoscere i più lodevoli, i più singolari resultati di esse, destando così, in faccia al pubblico, una seria e nobile emulazione fra g li istituti, i quali servono all’ insegnamento ed alla diffusione d i quelle discipline, di cui appunto ci dobbiamo occupare.

Ma, nemmeno in sim ili casi, perderemo di vista lo scopo pratico e tecnico, come dimostra il seguente scritto ; nè ci lasceremo m ai trascinare a invadere, se non assai d i rado e con molta cautela, il campo destinato alla bellezza dei passati secoli.

La Dir e z io n e

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Nel documento ARTE ITALIANA (pagine 68-71)