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No al taglio dirigenti penitenziari anche in Emilia-Romagna

Nel documento relazione annuale delle attività svolte (pagine 85-111)

Una serie di sigle sindacali ha proclamato lo stato di agitazione dei dirigenti di istituto penitenziario e di esecuzione penale esterna.

Sulla vicenda interviene Desi Bruno, Garante regionale per le persone private della libertà personale.

“Esprimo solidarietà alle OO.SS. del personale della carriera dirigenziale penitenziaria che hanno proclamato lo stato di agitazione in riferimento alle problematiche della categoria, con particolare riguardo alla prossima emanazione di un decreto del Governo volto ad operare una riduzione del numero dei dirigenti penitenziari.

Già nei mesi scorsi, insieme ai garanti dei diritti dei detenuti, in un’apposita lettera a firma congiunta indirizzata alla Ministra Severino, avevo stigmatizzato il riesame della spesa dell’Amministrazione penitenziaria, e oggi ribadisco con forza la contrarietà a provvedimenti che abbiano ad oggetto la riduzione del numero dei dirigenti penitenziari, paventando, in particolare, che in quelle carceri dove è assente la titolarità della direzione possa prevalere un’organizzazione della vita dell’istituto caratterizzata in termini di contenzione. In verità, già allo stato c’è una carenza di personale direttivo, tanto in Emilia-Romagna quanto su tutto il territorio nazionale, il che comporta attribuzioni plurime delle direzioni. Anche nella nostra regione è in atto l’accorpamento di più istituti sotto una direzione unica. Ciò comporta disagi per chi riveste ruolo direttivo nell’organizzare la vita dell’istituto e assicurare la fondamentale presenza all’interno. Non va dimenticato che è il direttore che svolge funzione di sintesi e di coordinamento tra le varie aree (della sicurezza, educativa, contabile) che si occupano del carcere.

Nell’attuale momento storico in cui l’Amministrazione penitenziaria si accinge ad effettuare la sua “rivoluzione normale” – così come è stata definita dal Capo Dipartimento la realizzazione dei circuiti regionali -, consistente in una razionalizzazione del sistema della detenzione per implementarne l’efficienza e l’efficacia, con un auspicato miglioramento delle iniziative trattamentali per la popolazione detenuta, appare privo di logicità un intervento orientato a privare alcuni istituti penitenziari della figura di un direttore titolare, la cui funzione fondamentale è di propulsione, controllo e coordinamento dell’istituto, venendosi così, di fatto, a rendere non attuabile la riorganizzazione”.

Desi Bruno conclude così la sua presa di posizione: “Si ritiene che il Governo, ad una manciata di giorni dal finire della legislatura, non possa ulteriormente provare un sistema penitenziario ridotto ai minimi termini, riducendo anche il numero dei direttori, ma debba prioritariamente valutare l’opportunità politica di bandire un nuovo concorso per l’assunzione di figure direttive, risalendo l’ultimo ad oltre 20 anni fa”.

Relazione delle attività svolte - anno 2012

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economicamente e culturalmente avanzata si misuri anche dalla ca-pacità di farsi carico e occuparsi dei più deboli.

Il carcere sovraffollato e disumano di questi tempi è ormai abitato dai diseredati di quest’epoca, costretti a vivere in pochi metri quadrati la condizione di privazione di una libertà spesso compromessa già all’esterno da emarginazione e debolezza.

La carenza di lavoro all’interno del carcere (macroscopica, se si pensa che solo il 15% circa dei detenuti svolge un’attività benché il lavoro sia previsto come fulcro del trattamento penitenziario) rende i detenuti più fragili e meno capaci di solidarizzare in senso collettivo e spesso porta addirittura alcuni di loro ad avere, in situazioni di povertà estrema, comportamenti di sopraffazione o anche di aperta ostilità, ad esempio nei confronti degli stranieri, accusati di rendere il carcere sovraffollato o di sottrar-re quelle poche opportunità che esistono.

Le persone con problemi di tossi-codipendenza, poi, sono vittime di uno stato di malattia che le porta ad orientare spesso i comporta-menti nel senso voluto dalla loro dipendenza, che meriterebbe for-me di intervento riabilitativo e non certo carcerario.

Va però segnalato che, soprattutto negli ultimi tempi, è stato possibile segnalare comportamenti più orien-tati a far valere istanze comuni, nelle lavorazioni alle dipendenze

dell’Amministrazione Penitenziaria perché non possono permettersi neanche un francobollo oppu-re perché vogliono guadagnaoppu-re qualcosa da poter inviare alla fa-miglia che vive in una baracca in qualche parte dell’Europa o del Nord-Africa.

Le persone in carcere – soprattutto gli immigrati, che sono nella qua-si totalità irregolari senza legami familiari sul territorio – possono ri-trovarsi a non poter disporre di un cambio di biancheria, di un denti-fricio o di un sapone.

Succede anche che non si abbia-no i soldi per fare una telefonata e che si possano perdere le tracce dei propri familiari, troppo lontani o in condizioni economiche a loro volta così precarie da non consen-tire visite ai propri congiunti.

Da diverso tempo, a seguito di un costante ridimensionamento dei fondi destinati al pianeta carcere (persino la carta igienica ed i pro-dotti per la pulizia degli ambienti sono razionati), l’Amministrazione Penitenziaria si trova a non poter garantire il minimo indispensabile:

anche ciò che per legge sarebbe obbligata ad assicurare alla pro-pria utenza.

Al fine di sopperire a questo gene-re di lacuna risulta pgene-rezioso e in-sostituibile l’apporto della società civile (associazioni di volontariato, fondazioni, enti locali e istituzioni in genere), nella consapevolez-Ormai da diversi anni stiamo

as-sistendo al progressivo aumento della presenza nelle strutture deten-tive della cosiddetta “detenzione sociale“ (le percentuali parlano di circa un 80% del numero com-plessivo dei detenuti): ovvero di persone che vivono in uno stato di svantaggio, disagio o marginalità per le quali – più che una risposta penale o carceraria – sarebbero opportune politiche di prevenzione e sociali appropriate.

Per lo più fanno parte di questa fa-scia marginale i tossicodipendenti e gli immigrati le cui condizioni economiche sono di estrema po-vertà, con uno sfondo di precarie-tà familiare e di carenze educati-ve. Sono poi sempre più numerosi i casi di detenuti portatori di disagio psichico, che avrebbero bisogno di interventi più terapeutici che repressivi.

In ragione di questo scenario c’è chi sostiene che il carcere sia, per certi versi, l’unica risposta alla con-dizione sociale di emarginazione e che il processo di criminalizza-zione oggi più che mai abbia ra-dici sociali, tanto da colpire le per-sone non per la gravità dei reati e per il disvalore delle condotte, ma per il modo di essere di chi, non integrato, costituisce quella diver-sità fastidiosa. Anche nelle carceri della nostra regione, come altrove, la situazione presenta queste stes-se caratteristiche. Così può acca-dere di imbattersi in detenuti che

Nel documento relazione annuale delle attività svolte (pagine 85-111)