Questo comandamento ha una radice strutturale (‘il desiderio’) che lo accomuna al successivo (dove si parla della
‘roba’).
Quindi le cose che diremo riguarderanno implicitamente in parte anche il successivo.1
“Non desiderare la donna d’altri” è ovviamente da intendersi altrettanto come “l’uomo d’altri”.
Cosa voglia dire il termine ‘d’altri’ ce lo dice il Cantico dei Cantici.2
D’altri vuol dire “tutti coloro che non sono lo sposo / la sposa”.
1 La Chiesa cattolica è stata accusata di aver scisso il comandamento ‘per far quadrare i conti’
(dovendo essere dieci), avendo ‘eliminato’ il comandamento che imponeva di non riprodurre immagini di Dio. (E infatti i protestanti riaggiungono il divieto di immagini e non scindono.) Nella Bibbia infatti, testualmente abbiamo quanto segue nel Deuteronomio: 6-10 - 6 Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile. 7 Non avere altri dèi di fronte a me. 8 Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù in cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. 9 Non ti prostrerai davanti a quelle cose e non le servirai. Perché io il Signore tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano, 10 ma usa misericordia fino a mille generazioni verso coloro che mi amano e osservano i miei comandamenti; e 21 - Non desiderare la moglie del tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo.
In realtà l’immagine di Dio (anzi Dio stesso visibile) è Cristo; per cui quel comandamento non aveva più senso riguardo a Dio raffigurato in Cristo (era stato superato).
L’ultimo a ben vedere, riflette una concezione del tempo, quella di possesso: la moglie è in fondo come la casa, la schiava, il bue, ecc.: parte di ‘ciò’ che si possiede.
L’aver separato i due comandamenti è in realtà frutto di una lungimiranza che ridefinisce questo
‘possesso’ (‘della moglie) in un senso ben diverso, quello del Cantico dei Cantici (6,3) - Io sono del mio amato e il mio amato è mio.
E cioè in primo luogo come ‘dono’ (‘Io sono del mio amato’ precede ‘il mio amato è mio’).
2 2,2 - Come un giglio fra i rovi, così l’amica mia tra le ragazze.
Tutte le altre donne sono per lo sposo come rovi (e quindi da evitare), perché solo la sua donna è un giglio.
2,3 - Come un melo tra gli alberi del bosco, così l’amato mio tra i giovani.
Tutti gli altri uomini sono per la sposa alberi da non considerare, perché l’unico con frutto in mezzo a essi è il melo (che è il suo sposo).
Questo dovrebbe bastare a chiarire che il concetto di uomo/donna d’altri non è legato all’amore c.d. romantico: ‘non mi ama più’ –o, altrimenti, ‘non è amata più’- quindi ‘finisce’ il legame (non essendo più ‘d’altri’). Assolutamente no.
Tanto –a maggior chiarimento- perché gli “altri” (per come visto dal Cantico) sono TUTTI gli altri/altre che non siano il proprio sposo / la propria sposa (quindi anche i non sposati e non sposate in quanto un giorno potrebbero sposarsi, appunto, con altri).
Il punto discriminante è infatti la sussistenza di un legame matrimoniale –di un legame sacramentale in cielo- di chi guarda.3
Accettare semplicemente di poter desiderare (da sposati) la donna d’altri, è implicitamente ‘ripudiare’ la nostra in quel momento di desiderio.4
Ma non è lecito ‘ripudiare’ la propria donna per qualsiasi motivo.5
3 Dato che (Mt 19, 6): - Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi. (E, specularmente, il legame sacramentale di chi è guardato.)
4 Non si può infatti amare contemporaneamente più di una persona (l’amore non può essere a metà a tre quarti ecc.: è amore vero –cioè vero dono di sé- quando è integrale ed esclusivo; ci si dona integralmente del resto: non per due quarti a una e per altri due a qualche altra).
Al contempo desiderare l’altra è come ‘sposarla’ in quel momento (nel senso che ciò è equivalente alla commissione di un adulterio col cuore con lei): Mt 5,27-28 - 27 Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; 28 ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.
5 Mt 19, 3-5 e 7-9 - 3 Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». 4 Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: 5 Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? (…)
7 Gli obiettarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l'atto di ripudio e mandarla via?».
8 Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. 9 Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra commette adulterio».
Il termine ‘concubinato’ è tradotto così dal greco ‘pornéia’.
Questa traduzione va chiarita: una relazione di concubinato è una relazione ‘non matrimoniale’
nella sua stessa essenza. Il ‘caso di concubinato’ che consente il ripudio non sarebbe quello –che a prima vista si è portati a pensare- della donna –la propria sposa- con un altro (o l’adulterio di essa con quello), ma della donna con chi la ripudia. Per chiarire meglio ciò vediamo quanto segue.
In G. Ravasi (“Le pietre di inciampo del Vangelo”, Mondadori, Milano, 2015, p.71) è detto infatti che “Non può essere, come si traduceva in passato, il “concubinato” non essendo esso un matrimonio in senso autentico, né una generica “fornicazione”, cioè l’adulterio, perché in questo caso si sarebbe usato il termine proprio moichéia. Tra l’altro, è interessante notare che alcune opere dei primi tempi cristiani – come Il pastore di Erma (IV,1,4-8) – e autori come Clemente di Alessandria (Stromata 2,23) dichiarano che il marito che lascia la sposa adultera non può risposarsi perché permane il precedente legame matrimoniale”.
In questo stesso testo è riportata un’interpretazione più coerente di quanto implicato da questo termine: “Nel giudaismo del tempo esisteva un termine, zenût, equivalente alla pornéia matteana (“prostituzione”) che indicava tecnicamente le unioni illegittime come quella tra un uomo e la sua matrigna, condannata già dal libro biblico del Levitico (18,8;20,11) e dallo stesso san Paolo (1Corinzi 5,1). In pratica, anche se non era in uso allora questa fattispecie giuridica, si tratterebbe di una dichiarazione di nullità del matrimonio contratto, linea seguita dalla Chiesa cattolica sui casi di nullità del vincolo matrimoniale precedente [grassetto nostro. N.d.r.]. Sappiamo, però, che le Chiese ortodosse e protestanti hanno interpretato l’eccezione della pornéia come adulterio e, perciò, hanno ammesso il divorzio, sia pure limitandolo a questo caso. In realtà, la visione di Cristo sul matrimonio era netta e radicale, nello spirito di una cosciente, piena e
-
Se questa è la base testuale del comandamento, esso però in realtà “richiede di vincere la concupiscenza carnale nei pensieri e nei desideri” (CCCC n. 527). E riguarda sposati e no.6
Quindi: “Il nono comandamento ci proibisce di coltivare pensieri e desideri relativi alle azioni proibite dal sesto Comandamento” (CCCC n. 528)
E con esse anche azioni come quelle del n. 201 del Catechismo di San Pio X, e cioè “ogni impurità: perciò le azioni, le parole, gli sguardi, i libri, le immagini, gli spettacoli immorali”.
Come abbiamo detto in precedenza, non è avere un ragnaccio sulla spalla a farci commettere peccato, ma non scuoterci per scrollarcelo di dosso quando ce ne accorgiamo (e anzi quasi quasi l’accarezzarlo).
In altre parole: non è la tentazione che possiamo avere a farci commettere peccato. E’ il non cacciarla immediatamente quando ce ne rendiamo conto (e quindi indulgere nella concupiscenza in relazione a essa, ‘coltivarla’).
Ciò nella considerazione che è dall’interno che viene fuori il male, da un desiderio che si è formato.7
Questa impurità si badi bene è soggettiva: cioè va cacciato quanto ha per noi l’effetto di far sorgere concupiscenza.8
Infatti ciò che (soggettivamente) ‘ci è occasione di scandalo’, richiede drastico intervento (come il ragno immediatamente cacciato).9
209. Che ci proibisce il nono
comandamento «non desiderare la donna d'altri»
?
I1 nono. comandamento non desiderare la donna d'altri ci proibisce i pensieri e i desideri cattivi.
indissolubile donazione reciproca, pur nella misericordia nei confronti del peccatore (si veda la vicenda dell’adultera in Giovanni 8,1-11)”.
Quindi in questo caso il ‘ripudio’ sarebbe un formale atto di allontanamento di due soggetti non legati da alcun vincolo matrimoniale. Per questo non espone all’adulterio: non essendoci vincolo.
Questa interpretazione può seguirsi anche nella linea di Mt. 5, 31-32 - 31 Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio; 32 ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all'adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Appunto solo il ripudio in un legame legittimo espone all’adulterio. E solo chi sposa (anzi ora possiamo dire ‘chi desidera’) una donna ripudiata in questo senso commette adulterio.
Invece nel caso di concubinato non essendoci un legame legittimo (cioè il sacramento del matrimonio –e quindi avendo la donna il nome solo apparente di moglie-) l’allontanamento non espone la donna all’adulterio e chi la sposasse non commetterebbe adulterio.
6 Fra non sposati è pensiero cattivo tutto ciò che rende ‘oggetto’ della propria passione l’altro: tutto ciò che lo rende ‘cosa’ per le nostre passioni (che fra non sposati sarebbero ‘fornicazioni’).
7 Mc. 7,20-23 - 20 Quindi soggiunse: «Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo.
21 Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, 22 adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. 23 Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo».
8 Per Mt 6,22-23 - 22 La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; 23 ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!
(E dalla tenebra interiore verranno fuori le cose cattive dette prima nei versetti di Marco.)
9Mt 5, 27-29 - 29 Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te:
conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. 30 E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te:
Come si noterà, pertanto, anche e soprattutto questo comandamento sta alla base di un ferreo allenamento in vista della Comunione dei santi della Gerusalemme celeste (non essere buttati nella Geenna), dove nessuno è ‘cosa’ dell’altro, ma anzi al contrario ci si dona reciprocamente.
La finalità pertanto del comandamento è la purezza del cuore, che è alla base della partecipazione alla Comunione dei santi, perché non vi può partecipare chi non abbia un cuore puro, per come dice San Paolo.10
A essa non si potrà partecipare perciò se non con il proprio cuore puro (cioè con la propria espressione esistenziale che dia zero).11
Occorre pertanto preservare la purezza (e anzi tendere sempre più a giungervi).12
Per ciò fare va attuato quanto la purezza esige:
- (soggettivamente): il pudore;13
- (oggettivam.): la purificazione dell’ambiente sociale.14
210. Che ci ordina il nono comandamento?
Il nono comandamento ci ordina la perfetta purezza dell'anima e il massimo rispetto, anche nell'intimo del cuore, per il santuario della famiglia.
conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.
10 1 Timoteo 1,5 - Il fine di questo richiamo è però la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera.
(La carità è l’amore nella Comunione dei santi.)
11 Abbiamo detto che il corpo risorto sarà la nostra espressione esistenziale (amorosa), la nostra
‘carne relazionale’ risorta, in un ambiente divino in cui tutto è ‘linguaggio’ amoroso.
Anche e soprattutto in caso di concupiscenza il non guardare (occhio) e il non agire (braccio) è allenamento per partecipare alla Comunione dei santi (e quindi partecipare a essa col proprio corpo, in cui i nostri sacrifici –aver cavato l’occhio e tagliato il braccio per non cadere nel peccato- sono parti di merito della nostra espressione esistenziale che dà zero).
Altrimenti esso finisce intero (e cioè per espressione esistenziale che non dà zero, avendo secondato le proprie voglie e concupiscenze) nella Geenna –nel fuoco infernale-; e cioè come tale –parlando un linguaggio non amoroso ma egoistico, verrebbe escluso dalla Comunione dei santi-cioè dall’intima unione con Cristo –vero amato- (perché è come se parlasse una lingua diversa: per cui si dannerebbe proprio per non poter ‘parlare’ col suo VERO amore Cristo, ora che ce l’ha a portata di mano; con un dolore derivante da ciò –appunto- come un fuoco infernale).
12 A essa il battezzato giunge “mediante la virtù e il dono della castità, la limpidezza d’intenzione, la trasparenza dello sguardo esteriore ed interiore, la disciplina dei sentimenti e dell’immaginazione, la preghiera”. (CCCC n. 529).
13 Il pudore “che, custodendo l’intimità della persona, esprime la delicatezza della castità, e regola sguardi e gesti in conformità alla dignità delle persone e della loro comunione. Essa libera dal diffuso erotismo e tiene lontano da tutto ciò che favorisce la curiosità morbosa.” (CCCC n. 530.)
14 La purificazione dell’ambiente sociale si ottiene “mediante una lotta costante contro la permissività dei costumi, basata su un’erronea concezione della libertà umana.” (CCCC n. 530.) Chiariamo questo punto.
I libri, le immagini, gli spettacoli (come al n. 201 del Catechismo di San Pio X) potrebbero (ormai per l’età, le nostre esperienze, ecc.) non suscitare concupiscenza in noi. Quindi, come detto, agendo noi su noi stessi dobbiamo soggettivamente eliminare ciò che ci è (cioè ‘è per noi’) occasione di scandalo.
Ma il n. 201 aggiunge “immorali”: pertanto quelli che siano, ‘oggettivamente’, immagini, libri, ecc. deliberatamente formati per suscitare concupiscenza o scandalo (‘immorali’).
La lotta va rivolta pure perciò contro ciò che oggettivamente può essere occasione di scandalo perché formato a questo fine (per lucrarci –ad es. la pornografia-; o per corrompere proprio i costumi) Essi infatti possono scandalizzare le anime semplici e costituire per loro occasione di peccato (se non addirittura peccato proprio) –si pensi all’attuale rischio per i bambini di accedere a certi contenuti in internet, mai come prima d’ora a portata di mano-.
Così perciò va intesa la lotta costante contro la permissività dei costumi (e cioè contro libri, immagini ecc. immorali): come atto di carità in relazione a quelle anime.