• Non ci sono risultati.

NONSOLOCINEMA.COM di Gianluca Capaldo

Nel documento ORFEO 9 Opera Rock di Tito Schipa Jr. (pagine 68-76)

GIUDIZIO DELLA CRITICA

NONSOLOCINEMA.COM di Gianluca Capaldo

Il film, concepito come opera lirica "beat", travolge lo spettatore per l’originalità della messa in scena, se si pensa che Tito Schipa Jr. stava lavorando al suo lavoro parallelamente (o forse anche prima) al famoso Tommy degli Who. Va ricordato inoltre che il primo videoclip della storia, Bohemian Rapsody, è del 1975: Tito Schipa Jr. in questa trasposizione cinematografica anticipa con un estro artistico degno di nota le soluzioni visive che da lì a poco avrebbero inondato la televisione e il mondo del videoclip.

69 EUROMEDITERRANEO

di Carlo Infante

Ma (il film, ndr), appena pronto, fu violentemente censurato dalla stessa Rai perché l’autore aveva saputo cogliere, con estrema lucidità, l’Italia del tempo. Soprattutto, l’Italia che scopriva il flagello della droga. Flagello contro cui si scagliava, denunciando, in primis, l’uso sbagliato degli allucinogeni. Il primo piano di una siringa divenne il pretesto, impugnato dai benpensanti, che suggerì all'azienda di ridimensionare drasticamente il proprio impegno per la promozione di film e disco. (…) Più che lusinghiere le recensioni della stampa non specializzata che ne ha voluto trattare (Il Mattino, Il Secolo XIX, La Regione Ticino e pochi altri). Attenzione anche dal Tg1. Alla vigilia se n’erano occupati, tra i più importanti, il Tg3 ed il Corriere della Sera. Ottimi i riscontri sulla stampa specializzata.

Ovviamente euforia alle stelle tra gli orfeomani (pare siano decine di migliaia) in Italia ed oltreconfine (Svizzera, Argentina, Australia, Giappone ecc.).

ZEIT

Aber es war die Unbekümmertheit der Rockmusik, die zu ernst gemeinten popularmusikalischen Opernversuchen führte. Die sogenannte Beat-Oper Then an Alley (1967) von Tito Schipa auf der Basis von 18 Liedern Bob Dylans und sein Orfeo 9 (1970) sind frühe Beispiele.

Trad.: "Ma era la spensieratezza della musica rock che portò a seri esperimenti di opera musicale popolare. La cosiddetta opera beat Then an Alley (1967) di Tito Schipa basata su 18 canzoni di Bob Dylan e il suo Orfeo 9 (1970) ne sono i primi esempi"

MUSICALNEWS.COM

“Boom del musical in Italia: una moda o una sana realtà?”

di Giancarlo Passarella

Anche La7 ha dedicato un dibattito su questa situazione da Jesus Christ Superstar a Mamma mia! Ricordiamo di Orfeo9, opera rock di Tito Schipa Jr, con Renato Zero:

siamo nel 1969. La mia personale soddisfazione e' aver visto anche Tito Schipa Jr.

seduto su quelle poltrone alle 12:30.

(… ) Di musical (e di territori innovativi di ricerca artistica) non si sta interessando solo negli ultimi mesi, ma ne ha fatto un motivo di vita e di battaglia culturale. Fatti i debiti paragoni, Orfeo 9 sta all'Italia, come il Rocky Horror Picture Show sta al resto del mondo: ci sembra giusto ogni tanto ricordarlo, anche per far capire che il musical che ora va di moda, ha dei padri ed in tempi nemmeno troppo lontani.

70 SENTIERISELVAGGI.IT

di Davide Di Giorgio

Riscoprire dopo più di trent’anni la prima opera rock italiana significa rendersi conto della estrema vitalità di un cinema più spregiudicato di quello attuale, afflitto da una medietà e da una costante ricerca del consenso di massa oltremodo inquietante.

Eppure, anche se rapportato al cinema di ieri, il film è contemporaneamente dentro e fuori i meccanismi produttivi dell’epoca, risultando un oggetto che sembra letteralmente venire dallo spazio.

Non poteva esserci chiusura migliore per una Mostra di Venezia che ha dedicato ampia parte del suo programma a una interessante mappatura del cinema italiano di oggi e di ieri: nel riscoprire Orfeo 9, particolare opera rock realizzata da Tito Schipa Jr. (figlio dell’omonimo tenore salentino) nel 1973 per la televisione e dimenticata per anni, sembra infatti di assistere a una chiosa della retrospettiva “Questi fantasmi”, a dimostrazione di come tanto cinema (e tv) del passato fosse molto più vitale e spregiudicato rispetto a quello del presente che, pur con la discreta qualità dei film presentati in concorso e non, rivela una inquietante medietà, una ricerca costante del consenso di massa che dice di un sistema culturale pavido e troppo poco incline all’azzardo.

Orfeo 9 è quindi un vero e proprio corpo alieno nell'Italia di ieri e di oggi, uno di quegli oggetti filmici che sembrano letteralmente venire dallo spazio, prodotto da una Rai in vena di sperimentazioni e che non cerca riferimenti nella realtà circostante, ma attinge da fonti altre, da tradizioni meno scontate: non soltanto il musical americano (il cast aveva già lavorato in teatro a Hair), ma anche tutto quel sottofilone trasversale a epoche e generi che cerca il fantastico nelle pieghe della realtà, descrivendo un universo immaginifico le cui fondamenta sono profondamente radicate nell’Italia contemporanea (sebbene in maniera diversa tornano alla mente certe opere di Sergio Citti oppure il Pinocchio di Comencini). Ecco dunque che il viaggio di Orfeo alla ricerca della perduta Euridice diventa uno spostarsi lungo le strade di una Italia industrializzata (e non) e dove l’Inferno è un complesso di gallerie metropolitane. Un luogo familiare eppure alieno come lo stesso film, che riprende perfettamente il mito greco e le sue forme di rappresentazione (non manca anche il classico coro che racconta e commenta l’azione, all’interno nel quale riconosciamo fra gli altri una giovanissima Loredana Bertè) e ne fa una metafora di una cultura del viaggio, del rapporto con lo spazio e con le alterazioni delle percezioni, della guerra e della droga. I riferimenti alla cultura hippy sono evidenti, ma non riescono a rendere del tutto datato l’impianto grazie a una voglia di esserci e di manifestare la propria voce fuori dal coro, capace di elevare il mezzo espressivo a livelli alt(r)i.

Nonostante la regia manifesti a tratti la sua origine televisiva, nel complesso Orfeo 9 è quindi un’opera intrigante e intelligente, che si avvale di collaborazioni ricercate: il compositore Bill Conti, un mefistofelico Renato Zero dal volto diviso in due (e che rivisto oggi sembra quasi rimandare a una grottesca parodia del Due Facce batmaniano ibridato con il Cappellaio Matto di Lewis Carroll), mentre lo stesso Schipa oltre a essere regista e autore dei brani musicali, è anche interprete nel ruolo di Orfeo.

71 CINEBLOG.IT

Orfeo 9 meriterebbe una recensione ben più lunga ed articolata di quanto non si riesca a pubblicare in pochi paragrafi, su un blog.

Nonostante possa fregiarsi del titolo di prima rock-opera mai realizzata in Italia, è stato severamente censurato (per via delle scomode tematiche legate alla droga ed alla ricerca della libertà da parte di una generazione ‘problematica’ come quella dei figli dei fiori) e ritirato dalle scene, eppure mai del tutto dimenticato: la colonna sonora non ha mai smesso di vendere nell’arco di questi 35 anni ed è ormai arrivata all’ottava edizione.

Il film è stato restaurato e presentato a Venezia per volere di Marco Giusti, creatore del televisivo Blob, e di Marco Muller stesso, entrambi estimatori dell’opera. La speranza è che la partecipazione al Festival sia servita per sdoganare la pellicola, così da poterla rivedere nelle sale cinematografiche. Ora che il musical comincia ad essere apprezzato da vaste fasce di pubblico, Orfeo 9 (liberamente ispirato al mito di Orfeo ed Euridice, ruba il numero 9 al brano dei Beatles Revolution number 9, contenuto nel White Album) avrebbe le carte in regola per diventare un successo al botteghino.

Nonostante risenta, in alcuni momenti, di arrangiamenti un po’ datati, stupisce per la modernità della regìa e del linguaggio visivo, estremamente avanguardistico per l’epoca (tanto che meriterebbe una seconda visione per coglierne appieno le sfumature), precedente all’avvento dei video-clip come li conosciamo oggi (quello che viene considerato come il primo della storia - Bohemian Rapsody dei Queen - arriverà solo nel 1975).

Bellissime le elaborate musiche dello score, ancora attualissime, che perfettamente si adattano alle voci di quelle che erano, in quegli anni, alcune giovani e sconosciute promesse della musica leggera, fra cui Loredana Bertè, Renato Zero e Tullio De Piscopo. Il direttore d’orchestra era quel Bill Conti che dieci anni dopo vinse un Oscar per The Right Stuff.

MYMOVIES.it

Con Orfeo 9 Tito Schipa Jr. ha conseguito molti record. Interpretandola e dirigendola ne ha accompagnato il successo straordinario. Musicalmente si tratta dell’unico doppio disco italiano che non è mai uscito in trent’anni dal catalogo e che è stato classificato tra i 100 eventi da non perdere del rock made in Italy.

Sul piano cinematografico si tratta di un film fantasma: girato per il settore sperimentale della RAI, nel 1973 venne pesantemente boicottato tanto da essere programmato senza promozione nel 1975 e circolando poi solo in qualche sala d’essai. La Mostra del Cinema di Venezia ha deciso di ripresentarlo quale evento di chiusura della 65° edizione restituendolo così a una visione collettiva a lungo rinviata.

72 FILMSCOOP.IT

di Kowalsky

C'era un tempo, non troppo lontano, in cui la creatività si misurava anche attraverso la musica.

Misticismo hippie, rivoluzione culturale, pacifismo senza inutili boomerang ideologici, la libertà che non c'è ma si può trovare, la schiavitù da cui liberarsi.

A giudicare dalla controversa reazione degli spettatori della 65esima Mostra del Cinema di Venezia, quel tempo è morto e defunto. E, a dirla tutta, l'"Orfeo 9", libera rielaborazione in chiave (prog)rock del mito di Orfeo ed Euridice, rappresenta per l'italiano medio di oggi (e forse anche di ieri) un problema.

Per una nazione avara sia di teatro che di cultura rock, per non dire di tragedie greche et similia, la giocosa vitalità delle coreografie, lo stilismo rassicurante (in rima) delle canzoni, la sfacciata irriverenza della mise in scene, o la provocazione della ridondanza espressiva del testo (per esempio le scritte sui muri antenate dei murales di oggi) può essere l'inedito esperimento da rispedire al mittente:

confusione e sconcerto.

Ma altrove c'è un margine, bellissimo: la città con la frenetica corsia di macchine (il memorabile viaggio di Orfeo in autostop, per esempio), miraggio (?) di un mondo contemporaneo sempre più distante dal cuore.

L'"Orfeo 9" di Schipa Jr. resta comunque un cult, a dispetto dell'avversione dei media e dell'ostracismo censorio della Rai, scandalizzata per il "linguaggio aperto" dei testi e delle allusioni imperanti.

La vicenda di Orfeo, innamorato di Euridice, trova stavolta un riscatto dal mondo della droga, baratro in cui finisce la sua amata per mano di un "venditore" (Renato Zero docet) tentatore e ammiccante. Ovviamente la felicità "artificiale" promessa è ben diversa dalla realtà.

Al progetto parteciparono intellettuali di spicco come Dacia Maraini, attori come Paola Pitagora, Giorgio Albertazzi e Renzo Rossellini, mentre nel cast, oltre a un memorabile e freak Renato Zero (che domina l'amore altrui con diabolici ricatti: la somiglianza con l'inglese Marc Bolan è impressionante), Loredana Bertè, Tullio De Piscopo.

Visto oggi, "Orfeo" risulta inevitabilmente datato, ma risulta indispensabile per comprendere quanto fosse "moderno" e innovativo l'approccio sociale con la realtà (il mondo della droga come le illusioni delle utopie generate dal brusco risveglio capitalista degli anni settanta).

Il ricordo si fa strada, e - come suggerisce l'opera (difficile considerarla esclusivamente "cinema" o "teatro") "in un mondo deserto un uomo è la città".

Una lunga strada di autoco(no)sc(i)enza per il passato, il presente e il futuro.

IL SECOLO XIX (Genova) di Raffaella Grassi

"Orfeo 9" è una specie di pre-Rocky Horror Picture Show, assolutamente rivoluzionario per l'Italia dell'epoca.

73 NOCTURNO

di Davide Pulici

Dopo più di trent'anni di ostracismo e di censura, l'immaginifica opera rock che assume la favola di Orfeo e Euridice come mot de passe al varco verso la libertà totale, torna visibile e integra. Il mito nel mito...

(…) Non è senza ragione che noi - Nocturno - ci siamo lasciati irretire dalla possibilità di presentare quest'anno a Venezia non una retrospettiva sui gialli di Umberto Lenzi, non una personale di Enzo Castellari, non una rassegna sul post-atomico, ma Orfeo 9. I nostri lettori non lo conoscono di certo come conoscono la filmografia di Lenzi o l'opera omnia di Castellari, ma vi è certezza sul fatto che una volta visto, non gli cadrà di mente con facilità. Perché Orfeo 9 non passa invano, per nessuno. Date un'occhiata al suo sito in Rete, e avrete immediata la sensazione che entrare nei suoi meandri sia un po’ come visitare la cattedrale di Chartres al tramonto, mentre il sole esplode dai rosoni alchemici, o seguire il filo di Arianna nel labirinto di Creta, o vagare per i sotterranei di Parigi. Non passa invano, Orfeo 9, certo che no. Eva Axèn - colei che tutti conoscono per essere stata eternata dalle prime pugnalate di Suspiria - ci è rimasta sotto, dentro, invischiata nel profondo: se è vero come è vero che ha chiamato sua figlia Euridice, col nome, cioè, del personaggio che interpreta nel film.

Orfeo 9 è un'opera rock. La prima opera rock italiana. E la prima opera rock mai rappresentata al mondo, il 23 gennaio 1970, al Teatro Sistina di Roma. Autore e interprete principale ne è Tito Schipa jr., figlio del tenore Tito Schipa. Lui con altri giovani talenti (Virginie, Alberto Dentice, Simon Catlin, Monica Miguel... una miscellanea di persone provenienti da oltre dieci nazioni diverse), ma lui più degli altri. Librettista, musicista e regista oltre che attore centrale, nel ruolo di Orfeo. A teatro come poi in pellicola. Cercate nel sito, nella rassegna stampa, ciò che scrissero le recensioni dopo lo spettacolo al Sistina. Piero Vivarelli su Playmen o Vittorio Pescatori su ABC, che stralciamo nel suo incipit: “Preghiere e luci psichedeliche, canti gregoriani e inviti allucinogeni nell'ultimo spettacolo di gruppo con happening finale (e se qualcuno vuole anche spogliarsi, sono fatti suoi)”. Quale nocturniano, soltanto da queste poche frasi non sentirebbe montargli la frenesia?

Orfeo 9. Nove - per i più prosaici - perché era la nona volta che il mito di Orfeo veniva messo in musica, dopo Monteverdi, Gluk, Bach, Haydn, Liszt, Casella, Stravinsky, Offenbach. Nove - per i più esoterici - perché si tratta di numero perfetto, perché nove è l'energia antichissima del femminile, perché simboleggia al contempo il fiorire e il decadere di tutte le cose, l'eterno ciclo della vita e della morte. Nove come il Tetti ebraico, il geroglifico della solidità, del tetto e dello scudo... e si potrebbe continuare all'infinito, anche proprio nel senso dell'infinità, il cui simbolo, l’

"otto disteso", occhieggia, enfatizzato, nell'architettura mistico-surreale dell'Orfeo di Tito Schipa jr. messo su pellicola nel 1973. Questo è, perlappunto, l'Orfeo 9 veneziano, il nostro Orfeo, finalmente recuperato e riproposto, dopo trent'anni di esistenza carsica, nascosta, obnubilata. Dopo la congiura del silenzio. Una restituzione dovuta.

74

Era andata così: che l’Orfeo 9, dopo la vita teatrale, diventò un doppio album nel 1973, vendutissimo: l'unico doppio italiano che per trent’anni non ha mai cessato di vendere e non è mai uscito di catalogo nemmeno per un giorno, giungendo, al momento attuale, a sei edizioni diverse tra LP, musicassette e CD. Un record. Sempre nel 1973, la Eidoscope di Mario Orfini e Emillio Bolles e la Mount Street di Ettore Rosboch lo produssero in forma di lungometraggio per i programmi sperimentali della Rai. Girato in 16 millimetri con una Arriflex e poi "gonfiato" in 35, secondo le migliori regole del cinema da battaglia, da trincea, di quegli anni bui e meravigliosi.

Ma alla Rai scoprirono di essersi portati in casa lo scandalo, che l'Orfeo 9 di Schipa jr.

gli avrebbe recato solo guai. Il piissimo Bernabei tremò e la sorte del film si fece oscura, votata al solo culto sotterraneo da parte dei suoi numerosi adepti, dopo essere stato trasmesso, quasi di soppiatto, soltanto nel 1975.

Facce dipinte, striate di colore, imbiancate. Oppure scomposte, in un'esplosione di piccole tessere di mosaico. Il lessico famigliare del cinema pop-surreale dei Seventies. La realtà oltre l'apparenza o il sembiante nascosto delle cose, della gente.

Eppure non bisogna equivocare, perché Schipa jr. portò in pellicola il suo Orfeo con un senso della misura encomiabile. Non eccedendo nelle astrazioni psichedeliche

"pop", che pure caratterizzano con forza questa rilettura del Mito, piegata flessibilmente, come un giunco, a descrivere un apologo che investe la libertà, la poesia, il sogno, la necessità di non lasciarsi integrare, comperare, redimere.

L'immagine più folgorante sono un paio di occhi dipinti sulle palpebre del protagonista. Era lo stesso 1973 in cui la disperata Verushka, nel film omonimo di Franco Rubartelli, si tracciava a matita altri occhi sugli occhi. Forse a significare che ogni sguardo esterno è posticcio e che il raggio visivo vero procede in senso opposto, verso la buia luce dell'interiorità: è pura introiezione, rivelazione dal di dentro.

Orfeo-Schipa incontra Euridice-Èva Axèn in una chiesa abbandonata e sconsacrata, dove ha sede una comunità hippy. Poi però la perde per via del morso di un serpente in figura, un venditore di paradisi artificiali che ha i tratti di Renato Zero vestito un po' come il Cappellaio Matto di Alice. E se per molti l'appeal del film si sunteggia nella sola presenza di Zero o di Loredana Bertè, a noi ammaliano piuttosto il volto e la voce di Penny Brown, che insieme alla Bertè e a Marco Piacente svolge il compito di narratrice - i fulciani capiscono e tanto basta. Gli inferi in cui cercare Euridice perduta saranno i bassifondi di una città industrializzata, gironi dalle tinte ocra e rossastre. Il fantastico di un'opera simile è che potrebbe avere più sfumature del piumaggio cangiante del pavone, senza possederne nessuna precisa; o meglio, contemplandole tutte quante, allo stesso tempo. Secondo il magnifico equivoco che sta in fondo alla base di tutta l'arte moderna. E anche della filosofia sublime del bis, che è la nostra. Puoi far diventare tutto, tutto ciò che vuoi...

In genere i film musicali non sono fatti per chi ama il cinema e vale anche il contrario;

ma Orfeo 9 ci sembra eccezionalmente in linea con una forma mentis cinematografica che è molto più intimamente nostra di quanto non lo siano un sacco di ciofeche "di genere" che spesso ci troviamo costretti a farci piacere. Una rivelazione sulla Via di Damasco, che quest'anno è passata ancora una volta per Venezia..

75 IL PAESE NUOVO

di Maurizio Nocera

Tutt’altra cosa è stata la visione di Orfeo 9 l’altra sera: un’esplosione di immagini, un concerto infinito di musiche psichedeliche, un entrare ed uscire da uno stato modificato di coscienza naturalmente indotto. E poi l’arguta perizia con la quale il regista è riuscito a creare una serie di capitoli di un romanzo mitico per immagini, che non poche volte mettono lo spettatore nella condizione di domandarsi: “ed ora che succede?”; “siamo giunti alla fine?”; “siamo arrivati al dunque?”. Macchè dunque, macchè fine. Si è trattato di vivere la stessa condizione di quando si era molto giovani. Mettersi uno zaino sulla spalla e avviarsi sulle strade del mondo.

L’abbiamo fatto tutti noi delle generazioni nate dopo la seconda guerra mondiale. Si trattava di quell’abitudine comune ai più, venuta su con la rivoluzionarizzazione della società del mitico ’68, cioè quella di andare per il mondo con l’autostop. Eri sul ciglio della strada, col braccio e il ditino distesi ad indicare il percorso che volevi fare, poi ti capitava di trovare un passaggio che ti portava in un posto e lì, quel buon uomo d’autista, ti lasciava; ma quel posto non era proprio la meta che tu avevi nella mente. Da lì ricominciava il nuovo autostop, e così fino ad andare avanti.

Il regista di Orfeo 9 ti da l’idea di aver raggiunto il traguardo e quindi tu, appena qualche minuto dopo, ti aspetti di vedere sullo schermo la parola fine; invece no, perché attacca subito dopo con un altro brano musicale pop, rock, etno, blues, altro, e ti fa ancora apparire sulla scena un’Euridice dolente e silenziosa, che volge lo sguardo ora verso il “venditore di felicità” (droga), ora verso la luce, oltre il tunnel infernale, con nel cuore la speranza che il suo Orfeo non commetta l’errore preannunciatogli da Ade, dio degli inferi. E quindi, tu ti ritrovi con gli occhi incollati allo schermo, col fondo della schiena incollato alla poltrona, nell’attesa della nuova

Il regista di Orfeo 9 ti da l’idea di aver raggiunto il traguardo e quindi tu, appena qualche minuto dopo, ti aspetti di vedere sullo schermo la parola fine; invece no, perché attacca subito dopo con un altro brano musicale pop, rock, etno, blues, altro, e ti fa ancora apparire sulla scena un’Euridice dolente e silenziosa, che volge lo sguardo ora verso il “venditore di felicità” (droga), ora verso la luce, oltre il tunnel infernale, con nel cuore la speranza che il suo Orfeo non commetta l’errore preannunciatogli da Ade, dio degli inferi. E quindi, tu ti ritrovi con gli occhi incollati allo schermo, col fondo della schiena incollato alla poltrona, nell’attesa della nuova

Nel documento ORFEO 9 Opera Rock di Tito Schipa Jr. (pagine 68-76)

Documenti correlati