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In accordo con le metodologie illustrate ad inizio capitolo, la ricerca qualitativa è stata condotta nell’arco di un periodo prolungato di tempo. Questo per dare legittimità all’indagine, accumulando dati ed osservazioni che costituiscono una solida base su cui poter ricostruire la specifica intelaiatura relazionale che si configura negli Apple Store. Tuttavia, in accordo con la natura del presente lavoro, sono state qui presentate due singole osservazioni partecipanti (svolte nelle date 19/10/2013 e 21/10/2015). Esse, in quanto inserite nell’ambito di una ricerca più ampia e approfondita, ne rappresentano il compendio. Infatti, l’alto grado di similarità fra le due esperienze è dovuta ad un’elevata coerenza di fondo del fenomeno studiato. La capacità di Apple di saper continuamente ricreare un’atmosfera ed un’esperienza pienamente attinenti ai valori dell’azienda (ed in quanto tali standardizzate) è stata ulteriormente riscontrata nell’attività di ricerca qui presentata.

CONCLUSIONI

Partendo dall’esposizione dei concetti fondamentali teorizzati da Ritzer, ‘cattedrali del consumo su tutti’, si è compiuta un’analisi sulle Cattedrali di Apple, così definite sia perchè rientrano nel modello proposto da Ritzer sia per la presenza di un chiaro elemento

“trascendentale” in esse. Gli Apple Store non rappresentano solo un fenomeno di

straordinario successo (numeri alla mano); ma anche un’evoluzione del concetto stesso di ‘cattedrale del consumo’, grazie alla capacità di Apple di ricreare in ognuno di essi un “incanto efficientemente razionalizzato”.

Inoltre, sono stati eretti come testimonianze concrete del “culto Apple”, dei luoghi che incarnano ed allo stesso tempo diffondono i capisaldi principi della filosofia della Mela. In essi, la filosofia di design di Apple e l’elemento mistico/religioso si intrecciano per andare a creare un’esperienza di consumo estremamente peculiare. Esperienza di consumo tanto maniacalmente studiata e indirizzata da Apple, quanto spontaneamente e “umanamente” vissuta dai consumatori.

Non semplici luoghi di consumo quindi, ma Cattedrali investite di una forte valenza mistica, dove i fedeli possono perpetuare dei rituali perfettamente codificati e condivisi,

frutto dell’unione tra gli input lanciati dall’azienda e la devozione sincera dei suddetti. Rappresentano, stando alle parole di Atkin, “un nesso esperienziale tra le credenze della corporation e quelle della comunità”.

Gli studi di Segalen hanno permesso di sezionare e analizzare a fondo questi rituali,

consentendo di individuare i nessi causali che li governano, frutto dell’interazione appunto tra Apple e la sua comunità.

Ci si è serviti di testimonianze dirette per corroborare quanto detto. E la legittimazione ultima è stata incarnata dall’osservazione partecipante, una pratica di ricerca sociologica consistente nell’immersione diretta e critica in un dato contesto, per carpirne meccaniche e simbolismo.

Sono state condotte due diverse osservazioni partecipanti, che hanno portato alla stessa conclusione: l’esistenza stessa del “culto Apple” è testimoniata dal modo in cui l’azienda di Cupertino infonde il proprio credo nell’esperienza di consumo fornita ai consumatori e da come questi ultimi siano parte attiva di questi rituali così “razionalmente incantati”.

PARABOLE

Nella sua accezione classica, una Parabola è la narrazione di un fatto immaginario ma appartenente alla vita reale, con il quale si vuole adombrare una verità o illustrare un insegnamento morale o religioso.

La propagazione del credo attraverso di esse è da sempre stata associata alla figura di Gesù Cristo, sospinto dal bisogno di comunicare il “mistero di Dio” a chi gli stava davanti. Trattandosi di un concetto estremamente complesso, richiedeva un profondo lavoro di semplificazione per poter essere compreso da tutti. Si tratta dello stesso approccio utilizzato da Apple, che si vota alla Semplicità per “eliminare le pieghe”, le complessità innecessarie e dannose.

“Ed egli disse loro: “A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole, perché guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano, perché non si convertano e venga loro perdonato””. (Marco 4,10-12) Da queste parole traspare chiaramente un concetto: il “mistero di Dio”, in quanto tale, non era comprensibile a tutti, se non ad una ristretta élite, guidata dal Profeta. Per renderlo fruibile, era necessario concretizzarlo in narrazioni estremamente semplici, attinenti a fatti e situazioni proprie della vita di tutti i giorni.

L’assoluta coerenza filosofica dell’azienda di Cupertino fa sì che ogni azione e decisione venga presa in virtù del processo di semplificazione sopracitato. Ciò vale nella definizione del suo core ideologico, nella progettazione dei prodotti, nella creazione dell’esperienza di consumo. Ed allo stesso modo vale nella comunicazione del proprio brand.

Marketing e religione hanno da sempre condiviso degli elementi di fondo, a partire dal tipo di storytelling, fino ad arrivare ad un più o meno marcato “adombramento della

verità”. Ambedue basati su narrazioni non necessariamente veritiere, si appellano alla fede dei fruitori per “donare” loro un messaggio. Ed è la natura stessa di questo messaggio a sancire la più netta distinzione tra religione e marketing: l’una votata (almeno sulla carta) alla trascendenza, l’altro volto al ben più “basso” consumo.

È indubbio, tuttavia, che questa evidente somiglianza di fondo tra due “mondi” molto distanti ne permetta la compenetrazione. Se non è qui il caso di addentrarsi nella disamina sull’influenza esercitata dalle tecniche di marketing nell’ambito dei culti religiosi attuali, è d’altro canto doveroso analizzare l’ispirazione che molte realtà aziendali moderne hanno tratto dalle antiche Parabole. Su tutte Apple.

Nella società di Cupertino, la trascendenza ed il consumo crescono in simbiosi. È proprio l’alone “mistico” dell’azienda ad averne negli anni fatto incrementare la reputazione, e di conseguenza i profitti. Come si è visto nel Capitolo 1, il nucleo filosofico di ciò che viene definito “culto Apple” è stato meticolosamente progettato da Apple stessa. Questo credo viene poi instillato nelle Reliquie, contenute nelle Cattedrali, che si ergono quali

imponente manifesto di esso. Ma poiché questo giunga ai Fedeli, è fondamentale la trasmissione della “Parola”. Servono delle Parabole, che spingano i consumatori a visitare i luoghi di culto, prendendo possesso degli “oggetti sacri” ed abbracciando grazie ad essi il culto. E lo devono fare con la massima chiarezza, semplicità ed efficacia.

Apple ha negli anni sviluppato la capacità di presidiare tanto l’aspetto consumistico quanto quello trascendentale: riesce oggi a vendere dispositivi elettronici ed allo stesso tempo uno stile di vita, legati gli uni all’altro. Nello specifico, i device della Mela arrivano a rappresentare i mezzi per raggiungere un nuovo ed ambito status sociale: un luogo ideale dove potersi conformare ad una comunità di simili ed allo stesso tempo emanciparsi. E gran parte del merito di ciò va dato alla divisione Marketing dell’azienda, da sempre fiore all’occhiello dell’organizzazione.

Scrive Cherubini: “Apple è un’azienda innovativa anche per il modo in cui comunica ai suoi clienti con l’obiettivo non solo di fare affari ma di fare affari con gente che crede alla stessa cosa in cui crede Apple. Da pochi anni a questa parte si parla di un vero e proprio marketing religioso: in particolare, l’attenzione si incentra sul Cristianesimo analizzando possibilità, problemi, spazi e condizioni per poter applicare il marketing al Vangelo. Il marketing ha ripreso dalla religione una dimensione molto importante e questa è la comunicazione. Nella Chiesa ha da sempre avuto un ruolo importante quasi da

protagonista e senza di essa sarebbe impensabile ogni forma di istituzionalizzazione della religione. Così, il marketing non comunica solo per farsi propaganda e pubblicità,

compenetrando parola e immagini, linguaggi e tecnologie, razionale ed emotivo, ma anche per attrarre a sé i fedeli”. 102