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Una volta chiarita l’importanza capitale del design in casa Apple, è interessante analizzare l’influenza che il buddismo ha avuto sull’approccio progettuale stesso. Si tratta di uno dei punti di massima vicinanza tra sfera religiosa e design.

“Per capire quale sia il trait d’union tra il buddismo di Jobs e lo spirito dei prodotti Apple è necessario prestare attenzione all’arte e all’estetica zen, di cui fanno parte varie idee- chiave (o principi) che possono essere ricollegate a certi esiti del design occidentale, e del design Apple in particolare, ma sempre tenendo a mente l’esistenza di una diversità sostanziale tra il linguaggio e il bagaglio concettuale del pensiero occidentale e gli

equivalenti del pensiero cinese e giapponese. La cosa deriva in particolare dal fatto che il pensiero e il linguaggio occidentali procedono in modo lineare e convenzionale,

potremmo dire segmentato, ossia organizzato su basi spiccatamente razionali, ordinatorie. Invece il pensiero cinese si fonda su un modo più intuitivo e globale di cogliere cose e fenomeni, come dimostrato, tra l’altro, dalla scrittura per ideogrammi, sorta di “piccoli quadri””. 39

LASHINSKY A., cit, p. 60

38

GUERRIERI A., cit, p. 60 e ss.

Di tali idee-chiave, si possono qui menzionare le seguenti:

• kanso: da ‘kan’ (semplice) e ‘so’ (essenza), vale a dire l’eliminazione del disordine, dell’eccesso, la semplicità, la sobrietà, la non complessità, la mancanza di artificio. Si tratta di una semplicità, di un ordine non fini a sé stessi, ma capaci di lasciar correre la fantasia, la creatività, o anche (cosa particolarmente evidente nella filosofia estetica Apple) la sintesi di un concetto, la sua formulazione più chiara. La decorazione, specie se ridondante e dunque pretenziosa, cede il passo alla chiarezza;

• fukinsei: significa ‘irregolare’, ‘disordinato’ ed esprime una particolare idea di

naturalezza, apparentemente l’opposto di quanto enunciato dal concetto di kanso. A ben vedere, però, l’irregolarità e l’asimmetria sono proprie della natura. L’eccesso di linearità, di ordine frutto di una razionalità tipicamente umana prima ancora che

occidentale, sfocia nell’innaturalezza, nell’artificio a cui si oppone il kanso. La regolarità, l’esattezza geometrica è piuttosto rara in natura;

• shizen: intende esprimere la naturalezza, la non artificiosità, anche nel caso di un oggetto, dove è percepibile la mano e il lavoro dell’uomo. Entro certi limiti la si può quindi perseguire anche nel design industriale, qualora si riesca a ricrearne la

sensazione. Significa ricercare, o lasciar fluire, una forma e una superficie le meno alterate possibile da interventi di vario tipo, con una preferenza per materiali naturali (legno e ferro) e uno sfavore per la plastica. La realizzazione di qualcosa che sia shizen richiede abilità e concentrazione, sforzo psichico e fisico, oblio di sé e fusione dell’uomo con la cosa da produrre o con l’ambiente, affinché la creazione fluisca in modo, appunto, naturale;

• datsuzoku: da ‘datsu’ (fuga) e ‘zoku’ (tradizione, abitudine). Con esso si indica l’andare oltre, tramite la creatività, ciò che è convenzionale. Apple si è sempre sforzata, sotto la guida di Jobs, di innovare, di percorrere l’insolito, anche a costo di spiazzare i propri clienti o il mondo dell’informatica in generale.

Questi sembrano i principi dell’arte e dell’estetica zen meglio rintracciabili nella ricerca estetico-funzionale di Apple dal ritorno di Jobs in avanti. Per quanto sia difficile stabilire con certezza quando e in che misura Apple si sia richiamata in modo diretto a queste

idee-chiave nella progettazione dei propri prodotti, è innegabile tuttavia la profonda influenza che l’estetica zen ha esercitato sull’approccio adottato in quel di Cupertino, come chiara conseguenza del grande impatto prodotto dal buddismo nella vita del Profeta.

PROFETA

Sono da poco trascorsi quattro anni dalla morte di Steve Jobs. Apple è stata la sua creatura, l’ha plasmata a sua immagine e somiglianza, legandone indissolubilmente le sorti alle proprie. Una delle questioni più dibattute dal momento della sua dipartita è stata: riuscirà Apple a preservare le sue caratteristiche distintive, continuando a rimanere sé stessa ed allo stesso tempo “different” rispetto ai dogmi del mondo aziendale, senza la visionarietà del suo Profeta?

A tal proposito, scrive Lashinsky: “Nel confrontarsi con questi complessi problemi, Apple continuerà senza dubbio a sfidare molti tra i dogmi del management insegnati nei corsi di economia e il responso su quale sarà il suo futuro difficilmente verrà dal pensiero

aziendale. Al contrario, la miglior risposta potrebbe essere fornita dalla teologia,

considerato che la differenza tra un vero e proprio sistema religioso e l’idolatria è che una religione sopravvive al proprio fondatore. Steve Jobs voleva che i valori di Apple gli

sopravvivessero, sebbene perfino i suoi amici e ammiratori sospettino che egli provasse un piacere diabolico immaginando come tutta la baracca sarebbe andata in rovina se non ci fosse stato lui a manovrare nell’ombra”. 40

Provocazioni a parte, questo fa capire quanto tutto in Apple sia scrupolosamente, ossessivamente, pianificato. La cura maniacale dei dettagli, così come tante altre caratteristiche proprie della filosofia Apple, rappresenta un esempio lampante di come Jobs abbia attinto dalle esperienze della propria vita, per infondere questi spunti nella propria azienda. Non ci si stupisca quindi se ci si riferisce ad Apple come costruita a immagine e somiglianza del suo co-fondatore.

Ad esempio, Segall sottolinea un aspetto del carattere di Jobs spesso trascurato,

l’umanità: “Non è possibile abbracciare pienamente la Semplicità se non si è in grado di

LASHINSKY A., cit, p. 230 e ss.

apprezzare i valori umani e di capire che cosa guidi il comportamento altrui. L’umanità di Steve e la sua dedizione all’idea di mettere le persone nelle migliori condizioni per realizzarsi sono evidenti in tutta la sua esperienza in Apple. Con l’Apple II ha messo il potere dell’informatica nelle mani dell’uomo comune; con il Macintosh ha umanizzato i computer, sostituendo arcane stringhe di comando con un’interfaccia grafica dove serve soltanto “puntare e cliccare”; con l’iPad ha reso accessibili le risorse dell’informatica a individui di ogni età e professione, migliorando il modo in cui viviamo, impariamo, lavoriamo, giochiamo e scopriamo. Le esperienze professionali e private che si trovò a vivere, per quanto a volte dolorose, acuirono la sua sensibilità verso le speranze e i sogni delle persone”. 41

Steve Jobs è stato, tra le altre cose, uno straordinario esempio di leadership carismatica. Il tema della leadership aziendale ha assunto sempre maggiore importanza, man mano che discipline di stampo psicologico sono andate a confluire negli studi sul management. Nel testo ‘La leadership risonante’ , Richard E. Boyatzis (uno dei massimi esperti globali di 42

intelligenza e leadership emotive) e Annie McKee (autrice in ambito business e consulente di molti leader a livello mondiale), analizzano il tema della risonanza. Questa può essere definita come la capacità di “essere sintonizzati” o “sulla stessa lunghezza d’onda” con gli altri. Essa influenza lo stato emotivo del gruppo, orientando le emozioni delle persone in senso positivo. Le due dimensioni chiave della risonanza sono:

• sincronia: connessione con le necessità altrui; • tono emotivo positivo: coinvolgimento degli altri.

Vengono quindi individuati sei stili di leadership fondamentali: visionario, coach, affiliativo, democratico, autoritario, battistrada. Di questi, i primi quattro portano alla risonanza, mentre i restanti due possono creare dissonanza.

Ciò che qui interessa direttamente è lo stile visionario. Con esso, la risonanza è ottenuta dal leader attraverso una serie di comportamenti quali:

• tracciare una rotta da percorrere, dando al gruppo una prospettiva chiara;

SEGALL K., cit, p. 178 e ss.

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BOYATZIS R. E., MCKEE A., La leadership risonante, Etas Edizioni, 2006

• definire scopi, obiettivi e ideali, piuttosto che comportamenti. Viene lasciata discreta autonomia ai membri del gruppo, trattandosi di un approccio orientato ai risultati; • motivare gli altri spiegando il disegno complessivo (“why”), la visione d’insieme; • valutare il contributo effettivo di ognuno al risultato complessivo;

• consentire di innovare, sperimentare, correre rischi calcolati; • creare un entusiasmo contagioso.

La figura di Steve Jobs incarna pienamente questo profilo. Era un uomo ambizioso,

audace, votato all’innovazione. E la stessa cosa pretendeva da tutta l’organizzazione, a cui ha donato una direzione chiara e “different”, generando l’entusiasmo che ha aiutato Apple ad elevarsi dal ruolo di semplice realtà aziendale, diventando un oggetto di culto. Secondo Guerrieri: “Jobs ambiva non solo a che la tecnologia fosse comprensibile a chiunque, ma anche a offrire una “user experience” improntata alla facilità d’uso,

lasciando invisibile la complessità retrostante. E voleva che, quale naturale conseguenza, alla facilità d’uso seguisse l’efficacia e l’affidabilità. Per Jobs il design non è mai stato la semplice forma esterna, l’aspetto di un prodotto, ma il suo spirito, la manifestazione esteriore di un’idea. Egli, in altre parole, aveva due obiettivi: rendere l’utilizzo di uno strumento elettronico un’esperienze appagante dal punto di vista sia visivo sia tattile, oltre che da quello puramente tecnico; e allo stesso tempo rendere facile e dunque personale la fruizione dell’oggetto”. 43