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vv. 1-12 Sebbene la maggior parte dei romances medievali inizino con una

preghiera o un’invocazione, questa è tra le più lunghe. Secondo la Rickert, addirittura, si tratterebbe della più lunga preghiera introduttiva di tutti i romances inglesi (p. 33); la Morte Arthure118 detta “allitterativa” viene subito dopo, con 11 versi.

Già dalla prima strofe, la lingua di Emaré si presenta poco accurata dal punto di vista grammaticale e logico: basti osservare la continua oscillazione tra la terza persona e la seconda, sia nell’invocazione a Gesù (es.: «Jhesu þat is kyng in trone, as þou shoope […]») sia in quella alla Vergine Maria (es.: «And þy modur Mary […] bere our arende so bytwene, that semely ys of syght, to þy sone […] »).

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Per quanto il testo di Emaré non spicchi per finezza letteraria, tuttavia un’attenta indagine del vocabolario e delle espressioni formulari in esso contenuti lo rende interessante come parte integrante della tradizione letteraria medio- inglese. Infatti, la maggior parte delle formule convenzionali che si trovano in tutto il testo si ritrovano anche in numerosi altri testi della stessa epoca, a volte identici, a volte con leggere varianti. Ad esempio, la caratterizzazione di Dio come “colui che creò il sole e la luna” si ritrova anche nel Brut di Laȝamon119, v. 10523: «þat i-scop mone and sunne»; in Havelok120, v. 436: «Crist that maude mone and sunne»; negli York Plays121, 127/27: «Lorde god […] made […] both mone and sonne»; nel primo poema su Sant’Anna pubblicato in The Middle English Stanzaic Versions of the Life of Saint Anne122, v. 3018: «He shop son and mone». Altri esempi verranno richiamati nelle note di commento che seguiranno.

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þat: probabilmente dovrebbe essere omesso, come suggerisce Gough (Dissertation, p. 37).

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dele and dyghte: questa giuntura è piuttosto frequente non solo nell’ambito del nostro poema, dove si ritrova altre due volte (al v. 42 in riferimento a Artyus, e al verso 826 in riferimento all’elargizione di elemosine), ma anche in altri testi medio-inglesi, sia come attributo di Dio, sia come formula fissa per indicare un potere governativo o organizzativo in generale; per il primo caso cfr. The romance

118 King Arthur's Death: The Middle English Stanzaic Morte Arthur and Alliterative Morte

Arthure, ed. by L.D. BENSON, Kalamazoo, Michigan, 1994.

119 Laȝamon, Brut, ed. by W.R.J. B

ARRON - S.C. WEINBERG, Harlow 1995.

120 Havelok, ed. by F. H

OLTHAUSEN, London-Heidelberg 1901.

121 The York Cycle of Mystery-plays: a Complete Version, ed. by J. S. P

URVIS, London 1978.

122

The Middle English Stanzaic Versions of the Life of Saint Anne, ed. by R.E. PARKER, London 1928.

of Duke Rowland and Sir Otuell of Spayne123: «God […] Þat all shall dighte and dele» (v. 490); «godde Þat diede on the rode Þat alle shall deme and dighte» (vv. 1268-69); «I vowe to god Þou shall a-bye, Þat alle shalle deme and dele» (vv. 1316-17); Firumbras124: «Ihesu […] þat al þyng canst boþe dele and diȝt, pyte of me þou haue!» (v. 3915); Chester Plays125: «A Childe […] in Bethlem shall be borne, That shall be Duke to dight and deale, and rule the folke of Israell» (101/397); per il secondo cfr.: Chester Plays: «He shall […] all the world haue in his hand, as lord to dight and deale» (97/296); The Romance of Otuel126: «þo miȝte men seen and here Harde strokes dele and diȝte» (v. 1561); Laȝamon, Brut: «þe king bi-queth Wiðer al his kineriche, and he dihte and delde aefter his fader daeie» (v. 9192); Arthour and Merlin127: «þis þing was deled and diȝt So hem þouȝt best» (v. 5339)

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Il narratore invoca Dio per ottenere un atto di grazia (grace) per guidare le azioni sia del narratore che del lettore. Una analoga preghiera viene fatta anche nel ciclo di miracle-plays conosciuto come Ludus Coventriae128, dove si chiede ugualmente l’ausilio della grazia divina per compiere buone azioni: «Sende me grace nevyr for to do thyng þat xulde be to þy displesaunte» (45/67). La concezione medievale della grazia divina in relazione alle azioni degli umani è esposta chiaramente in un passo del Donet di Reginald Pecock129, una dissertazione sulle principali verità della fede cristiana in forma di dialogo tra padre e figlio: cfr. l. 46: «Sone, wiþoute grace no man may eny good dede do deservingli for to have for it eny rewarde of blys of heuene»; dunque senza l’intercessione divina le buone azioni dell’uomo non hanno nessuna utilità per ottenere il regno dei Cieli. Il nostro testo, aderente a questa concezione, ci mostra come le buone azioni e la fede, caratteristiche della protagonista, insieme all’intervento divino, che viene invocato varie volte nell’ambito della narrazione, conducano alla fine alla salvezza, non solo terrena ma anche eterna.

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blys: secondo il MED il sostantivo blis veniva usato principalmente con il significato generico di ‘condizione di gioia, proseperità, felicità, piacere’. Oltre a questo ne esistono numerose attestazioni anche in senso più propriamente

123 In The English Charlemagne Romances, vol. 2, ed. by S.J. H

ERRTAGE, London 1879.

124

In Firumbras and Otuel and Roland, ed. by M. O’SULLIVAN, Oxford 1935.

125 The Chester plays, ed. by D. M

ATTHEWS, Oxford 1916.

126 In H

ERRTAGE, English Charlemagne Romances, cit. vol. 6.

127 Arthour and Merlin, hrsg. von E. K

ÖLBING, Leipzig 1890.

128

Ludus Coventriae; or the Plaie called Corpus Christi, ed. by K.S. BLOCK, London 1922.

129 The Donet by Reginald Pecock, ed. by E.V. H

teologico, ovvero nell’accezione di ‘estasi spirituale, felicità propria di coloro che stanno in paradiso, gloria divina’ etc., come testimoniato in questo verso; cfr. MED, s. v. blis(se

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Il genitivo heuen si presenta senza desinenza; secondo Gough (Dissertation, p. 7) è impossibile stabilire se questo uso sia dovuto al poeta o al copista; analizzando però in altri testi la stessa locuzione ci accorgiamo che diffusamente viene usata senza desinenza (o forse, in alcuni casi, si tratta di forme particolari di genitivo?): cfr. De initio creature130, 217: «Heo [Dio] is hefone liht and eorðe brihtnesse»; The owl and the nightingale131, v. 732: «Clerkes, munekes and kanunes […] ariseþ up to midel niȝte / An singeþ of þe houene liȝte»; Robert of Cisyle132, v. 484: «Hyt made hym to knowe god allmyght, That hym broght to heuyn lyght» etc.

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heuyn qwene: in molti testi medio-inglesi troviamo invocazioni alla Vergine Maria come queen of heaven; spesso l’appellativo è accompagnato dallo stesso aggettivo milde, che ai vv. 478 e 640 connota anche il personaggio di Emaré, descritto in tutto il poema come in possesso di qualità più ultraterrene che umane; cfr. William of Palerne133, v. 1741: «Bi marie, sire […]þe milde quen of heuene»; Alliterative Morte Arthure, v. 3998: «I make myn avowe […] to Marie, the mylde qwenne of heuen».

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Una delle clausole convenzionali numerose nei romances, specialmente quelli in tail-rhyme stanzas. Circa 140 versi di Emaré si ripetono in altri luoghi del poema, a volte solo con leggeri cambiamenti. Nella maggior parte dei testi dell’epoca l’eccessivo (per un orecchio moderno) uso della ripetizione, sia di parole che di frasi intere, situazioni o idee, era sicuramente legato al fatto che per lo più venivano recitate oralmente, e questo costituisce una delle differenze più nette fra il lavoro degli narratori medievali e di quelli moderni. I primi non erano interessati alla perfezione stilistica, ma miravano soprattutto a trasmettere in maniera chiara e semplice le loro storie, spesso ricorrendo ad immagini “banali”. Infatti nella letteratura medievale era molto diffuso l’uso di clausole descrittive (diverse dagli epiteti fissi della letteratura classica in quanto questi ultimi descrivevano tratti individuali dei singoli personaggi, mentre queste vengono

130 In Old English Homilies, ed. by R. M

ORRIS, London 1868.

131 The owl and the nightingale , ed. by N. C

ARTLIDGE, Exeter 2001.

132 Amis and Amiloun, Robert of Cisyle, and Sir Amadace, ed. by E.E. F

OSTER, Kalamazoo, Michigan, 1997.

133 William of Palerne, ed. by W.W. S

usate indiscriminatamente in tutti i romances)134 come questa del v. 9, che ritroviamo uguale oppure leggermente variata ai vv. 48, 135, 141, 171, 471, 486, 942. In Emaré ve ne sono fittissimi esempi. Inoltre la stessa iunctura è piuttosto frequente anche in altri testi: cfr. ad esempio Sir Launfal135, v. 285: «He fond a bed of prys / […]þat semyle was of syȝte»; Stanzaic Guy of Warwick136, vv. 74- 75: «To fair Felice that sat him bi / That semly was of sight»; Sir Cleges137, vv. 5- 6: «Kyng Artour fader of grete renoune / A sembly man of syght» etc.

Spesso la ristretta gamma lessicale e fraseologica di Emaré è stata vista come indice dell’incompetenza e scarsa fantasia dell’autore; Mehl invece fa notare138 come queste ripetizioni servano a enfatizzare il carattere esemplare di tutta la trama: tutta la tecnica narrativa del poema contribuisce al suo tono devoto, compresa la lunga preghiera iniziale. Dunque l’intento dell’autore sarebbe stato quello di riadattare la forma popolare di una favola romantica per scopi più edificanti, rendendo il tono della narrazione quasi simile a quello delle leggende, con un carattere decisamente devozionale, poco interessato a un’esposizione drammaticamente efficace della storia.

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Fre è uno degli aggettivi convenzionali comuni a tutti i romances medio- inglesi; la sua sfera semantica è quella della nobiltà, della generosità e della bellezza. In Emaré ricorre spessissimo, in riferimento a Gesù, in questo caso, a Emaré (vv. 308, 1014), all’Imperatore (v. 47), a Segramore (vv. 507, 844, 884), alla madre del re (v. 792) e al re (v. 979). Ai versi 22, 71, 831 e 963 troviamo invece la locuzione fayr and fre, anch’essa molto diffusa nella letteratura inglese medievale; riporto solo alcuni esempi: Firumbras, v. 64: «He tok […] þe relyqes fayre and free»; Octavian139, v. 87: «With childe thane yode that lady thore; / Full grete scho wexe with paynnes sore, / That was so faire and free», v. 514: «The childe that was so faire and fre», v. 786: «Sche was bothe feyre and fre»; Sir Gowther140, v. 120: «Of ladys feyr and fre» etc.

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vv. 13-18 Oltre alla costante ripetizione di frasi fisse (cfr. nota al v. 9),

un’altra caratteristica tipica dei testi destinati a essere trasmessi oralmente è il

134 Cfr. R. C

ROSBY, Oral delivery in the Middle Ages, «Speculum», vol. 11, n. 1 (1936), pp. 88- 110.

135

In LASKAYA-SALISBURY,The Middle English Breton Lays.

136 Stanzaic Guy of Warwick , ed. by A. W

IGGINS, Kalamazoo, Michigan, 2004.

137 In L

ASKAYA-SALISBURY, Breton Lays, cit.

138 In M

EHL, Romances, p. 139.

139

Octavian, ed. by H. HUDSON, Kalamazoo, Michigan, 2006

140 In L

frequente uso di incipit ed explicit religiosi: il poeta invoca una benedizione per sé e per il pubblico, e in genere chiude con una benedizione. Come suggerisce Christensen141, non c’era niente di più efficace per guadagnarsi il favore e l’attenzione del pubblico che offrire una preghiera per le anime dei presenti. I versi 13-18 sono interessanti in quanto rendono esplicita questa consuetudine. Se prendiamo in considerazione la maggior parte dei romances medio-inglesi e francesi ci accorgiamo che tutti i cantastorie effettivamente si appellavano a quel «ryghtwes kyng» di cui si parla al v. 17; cfr. ad esempio Arthour and Merlin, Sir Isumbras142, Alliterative Morte Arthure, Sir Eglamour of Artois143 e molti altri.

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La Rickert discute la derivazione del nome Emaré, supponendo sia inteso in contrasto con Egaré, il nome che Emaré adotta al verso 360. Egaré deriverebbe dall’antico francese esgarée ‘espulso, bandito’. Il nome Emaré invece sembra stare per Emarie (e in effetti nel testo troviamo Emarye in un caso, al v. 840), derivato dal francese esmarie ‘afflitta, turbata’, ma, secondo la Rickert, è poco probabile che il poeta intendesse usare il nome in questo senso; l’altro nome che il poeta poteva avere in mente è Emeré, che significa ‘pura, raffinata’, e che avrebbe potuto diventare Emaré per analogia con Egaré. (Cfr. RICKERT, p. xxix).

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È del tutto convenzionale il rimando alla “fonte”, da intendersi come artificio retorico volto a conferire autorità alla propria narrazione inserendola nella tradizione; cfr. anche vv. 115, 162, 216, 319.

14

In altre sette versioni della storia il padre è imperatore romano (in TRIVET;

nella Historia de la regina Oliva; in Mai und B., in GOWER CA., in CHAUC. CT.

ML., nella Istoria de la filla de l'emperador Contasti). 15

Secondo RICKERT (p. 34) il nome Artyus viene introdotto perché molti lays erano associati ad esso (la forma comune in francese è Artus); analizzando quelli arrivati fino a noi lo troviamo solo in Sir Launfal, in Sir Cleges e in Lanval di Maria di Francia .

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Il sostantivo whale, oltre a indicare indistintamente tutti i cetacei, è spesso usato per indicare la sostanza di cui sono fatte le zanne dei trichechi o dei narvali e l’avorio in generale (cfr. MED s. v. whāle). Questo uso è particolarmente diffuso in paragoni convenzionali come white as whales bon o bon of whale, di

141 P.A. C

HRISTENSEN, The Beginnings and Endings of the Middle English Metrical Romances, Stanford 1927

142

In Four Middle English Romances, ed. by H. HUDSON, Kalamazoo, Michigan, 2006

143 In H

cui forse l’esempio più eclatante è un componimento tramandato dal manoscritto Harley 2253, il cui incipit è «A wayle whyt ase whalles bon»144.

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Gough ipotizza si possa trattare della bizantina Eirene (Dissertation, p. 31), l’imperatrice di Costantinopoli, vagheggiata da Carlo Magno come sua sposa, per normalizzare i rapporti del Sacro Romano Impero con Bisanzio (cfr. G. VITOLO, Medioevo, Milano 2000). Ma il nome Erayne è stato probabilmente alterato per l’influenza di Elayne (Hélène), ampiamente connesso con la storia attraverso BHC. O forse si tratta del nome Igraine, la moglie di Uther, madre di Artù.

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vv. 37 e sgg. La descrizione dell’imperatore è in parte modellata su quella

del re Cambiscano nello Squire’s Tale dei Canterbury Tales di Chaucer145, vv. 12- 20: «This noble kyng was cleped Cambyuskan, / Which in his tyme was of so greet renoun / That ther was nowher in no regioun / So excellent a lord in alle thyng […] / And therto he was hardy, wys, and riche, / And pitous and just, alwey yliche»; la iunctura «of greet renown» in riferimento all’imperatore in Emaré la ritroviamo più avanti, al v. 208.

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both: nel manoscritto si distinguono chiaramente solo le lettere b e o, il resto è illeggibile a causa di una piccola abrasione della carta.

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þynge: a fine parola sembra esserci una macchia che potrebbe lasciar ipotizzare la presenza di una e

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L’uso di questa locuzione ricorre altre cinque volte nell’ambito del poema (vv. 65, 380, 725, 301, 610) e costituisce una tipica coppia allitterante, di puro riempimento metrico, intesa a fornire una rima, che aggiunge poco o nulla dal punto di vista del significato, come ve ne sono tante nella versificazione medievale; cfr. anche grete and smale, vv. 462, 864; wo and wele, v. 573; towre and towne (o viceversa), v. 804, 898; more and myn, v. 915; wyte withouten wene, v. 153.

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Dal momento che il verso rima con il precedente con la stessa parola, RICKERT (p. 34) suggerisce di leggere corne o korne anziché borne.

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vv. 52-54 In Man. la regina, sul letto di morte, prega il re di sposare la

propria figlia. Ella insiste perché questo avvenga solo in caso i baroni rifiutino di riconoscere la figlia come erede al trono. Inoltre gli fa giurare che, se mai si fosse

144 Edito in Early Middle English Verse and Prose, ed. by J.A.W. B

ENNETT –G.V.SMITHERS, Oxford 1974, pp. 117-119

145 In B

risposato, la nuova moglie avrebbe dovuto essere pari a lei in bellezza e onestà. Ovviamente l’unica donna a eguagliare la madre era la figlia. Nella versione di Perrault della fiaba popolare Pelle d’asino troviamo lo stesso obbligo che spinge il re all’incesto. Il bambino orfano di un genitore o di tutti e due è un elemento molto diffuso sia nel folkore che nella letteratura medievale codificata. Ne troviamo alcuni esempi nei testi legati al nome di Perceval (Le Conte du Graal di Chrétien de Troyes, Parzival di Wolfram von Eschenbach etc.), o di Tristano (il Roman de Tristran di Béroul, quello di Tommaso d’Inghilterra, l’anonimo Sir Tristrem etc.), nel Lay Le Freine, in King Horn, Havelok the Dane, Le Bone Florence of Rome e molti altri.

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La figura della nutrice che alleva e educa la giovane protagonista è presente anche in BHC. La Rickert nelle sue note di commento al testo (RICKERT,

pp. 34-35) discute ampiamente sulla possibile origine del nome Abro, pur senza arrivare a una soluzione sicura: potrebbe trattarsi del termine medio-latino “Abra”, che significa ‘serva’, a sua volta derivata dal greco e forse di origine orientale146. Il poeta di Emaré avrebbe potuto conoscerlo dalla Septuaginta o da glosse e lessici medievali, usandolo poi per il personaggio la cui condizione il termine indicava. In arabo, dal quale la Rickert è convinta che il nome derivi, esiste però solamente un nome di donna Abla che letteralmente significa ‘cammella’, dunque con poca attinenza di significato. Nella Storia dei Musulmani di Sicilia di Michele Amari (Firenze, 1854-72) si parla di una principessa egiziana di nome Abda, che morì alla fine del X sec., e che, casualmente, possedeva grandi tesori tra cui “vesti siciliane”: questa però mi sembra casualità, senza contare che, dal punto di vista fonetico, il collegamento è difficilmente giustificabile.

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vv. 58-62 Il narratore sottolinea a più riprese nel testo l’abilità di Emaré

nel ricamo: cfr. vv. 67, 376-77, 382-84, 427-29, 730. In TRIVET Costanza impara le sette arti liberali e numerose lingue straniere. Per l’eroina istruita cfr. anche Le Bone Florence of Rome (lines 58-63): «He set to scole that damsyell, / Tyll sche cowde of the boke telle, / And all thynge dyscrye, / Be that she was xv yere olde, / Wel she cowde as men me tolde, / Of harpe and sawtyre.»

146

Cfr. DU CANGE, Glossarium mediae et infimae latinitatis, Graz, 1954, s. v. abra: «Ancilla, famula honoratior cujusmodi ditiores ad honestiora servitia, seu ministeria domi suae alunt».

26

La stessa formula si ritrova ai vv. 310, 742, 946 e risponde all’esigenza di chiarezza del poeta, dovuta al carattere di oralità della poesia del tempo147, che rendeva necessaria l’enfatizzazione delle svolte narrative; cfr. anche Amis and Amiloun148, vv. 337-340: «Lete we Sir Amiloun stille be […] / And of Sir Amis telle we»; Guy of Warwick149, vv. 4239-40: «Now wille we of Gij duelle, / and of his lyoun ichil ȝou telle»; William of Palerne, vv. 78-79: «But from þe cherl and þe child nov chaunge we oure tale, / for i wol of þe werwolf a wile nov speke»; Bevis of Hampton150, vv. 1345-46: «Let we now ben is em Saber / And speke of Beves, the maseger!», vv. 1708-09: «Now reste we her a lite wight, / And speke we scholle of Brademond», vv. 3117-18: «Lete we with Sire Beves thanne / And speke of Josiane»; Floris and Blancheflour151, vv. 203-04: «Now let we of Blancheflour be / And speke of Florys in his contree»; Sir Perceval of Galles152, vv. 1057-60: «Late we Percyvell the yynge […] / And untill Arthoure the Kynge / Will we agayne take», vv. 1121-1124: «The Kyng es now in his waye; / Lete hym come when he maye! / And I will forthir in my playe / To Percyvell agayne»; Ywain and Gawain153, vv. 41-42: «Tharfore hereof now wil I blyn, / Of the Kyng Arthure I wil bygin»; vv. 869-70: «Now lat we the lady be / And of Sir Ywaine speke we».

27

He: la Rickert suggerisce in nota due possibili emendamenti: ‘and he ledde’ e ‘a ledde’, in analogia col verso 989.

28

Secondo il MED il verbo pleien è attestato anche con connotazione chiaramente sessuale, come sembra il caso del suo uso in questa sede e al verso 254, ad indicare l’indole licenziosa dell’imperatore.

29

vv. 80-83 Le prime sete medievali provenivano dalla Sicilia, dove le

scuole di tessitori di seta erano famose dalla metà del XII sec. in poi. L’invasione araba e l’occupazione dell’isola dall’827 al 1091 vi portò abili tessitori e ricamatori dal Medio Oriente. In seguito, sotto i re normanni che conquistarono l’isola nel 1091, l’industria serica continuò a prosperare, soprattutto a Palermo,

147

Cfr. CROSBY, Oral Delivery.

148 In F

OSTER, Amis and Amiloun.

149 The romance of Guy of Warwick-Auchinleck and Caius MSS, a cura di J. Z

UPITZA, rist. 1966

150 In Four Romances of England, a cura di R. B. H

ERZAMAN -G.DRAKE -E.SALISBURY, Kalamazoo, Michigan, 1999.

151 In Sentimental and Humorous Romances, a cura di E. K

OOPER, Kalamazoo, Michigan, 2006.

152 In Sir Perceval of Galles and Ywain and Gawain, a cura di M. F. B

RASWELL, Kalamazoo, Michigan, 1995.

153

tanto che le sete di quella città erano molto apprezzate in tutta Europa.RICKERT

(p. xxxi) fa notare come la stoffa di Emaré potrebbe corrispondere ad una descrizione delle sete di Palermo: «tessuti con bell’artifizio a figure di animale e di piante, rilevati ad oro ad a colori diversi» (la citazione è riportata in italiano dalla stessa Rickert, ma non è chiaro quale sia la sua fonte). Inoltre ragiona su

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