Lo scenario che emerge a livello nazionale è quello in cui, le aziende del settore idrico italiano, presentano tutte notevoli margini di miglioramento e il principale motivo, stante il livello degli indicatori legati al bilancio e alla redditività aziendale (Ebitda, Roe, Roi, Roa, Ros, Rot_Ci), sembra essere una carenza di investimenti iniziali.
In effetti, la clusterizzazione con l’algoritmo genetico ci ha posto di fronte a cluster i cui elementi, nella media, si comportano in maniera simile rispetto a questi indicatori, eccezion fatta per il Roe.
Ora, le condizioni iniziali con cui si è proceduto all’istituzione degli ATO, hanno generato una situazione omogenea di scarsa redditività, che possiamo legare all’impianto generale della legge “Galli” 72: quest’ultima proponeva un disegno strategico complesso ed ambizioso,
delegando agli enti locali (ai Comuni) il ruolo di “traghettatori” nella transizione dal vecchio sistema idrico, estremamente frammentato, in quanto basato su aziende municipalizzate e di piccola consistenza economica, verso un sistema più integrato e gestito secondo logiche industriali.
Tuttavia, la legge de qua, come rileva anche Senn (2009) non ha predisposto un chiaro sistema di incentivi a supporto di questa politica, e gli investimenti dei privati hanno stentato a confluire in un settore nel quale almeno due attori pubblici, stato centrale ed enti locali, impongono stringenti regole e rischi troppo alti per gli investitori privati.
Pertanto, la carenza strutturale di redditività, generalizzata per tutte le aziende del campione (a meno degli immancabili outlier) può spiegarsi anche come una debolezza dell’impianto normativo di riferimento.
Notiamo a questo proposito, e in specifico riferimento al risultato della clusterizzazione, che colloca l’ATO della Basilicata nel cluster B e che lo vede “vicino” alle cinque società localizzate a Pescara, Latina, Avellino, Ascoli Piceno e Terni, che sono tutte aziende a ciclo integrato. Al pari delll’ATO della Basilicata svolgono, cioè, tutte le fasi di ampliamento, potenziamento, ristrutturazione e riqualificazione delle strutture esistenti. Questo implica che si tratta di società che dovrebbero avere una gestione dei rischi integrata.
La collocazione del nostro ATO, e di quelli ad esso simili, in base alla clusterizzazione da noi operata, in una fascia di bassa performance reddituale, indica, dunque, secondo la nostra interpretazione, anche che il management di queste strutture risulta carente nella gestione dei rischi finanziari che una tale impresa integrata comporta.
In altri termini, se le potenzialità per realizzare società solide dal punto di vista della redditività ci sono, manca, però, una gestione che tenga conto delle complessità della conduzione di un sistema integrato.
Questo stato di cose non è tuttavia interamente addebitabile al management della società, ma anche a una sorta di ambiguità contenuta nella legge “Galli”; a questo proposito, in effetti, la legge stabilisce chiaramente la separazione fra le funzioni di pianificazione e monitoraggio, e le funzioni di gestione effettiva del servizio per un gestore idrico.
72 Legge 5 Gennaio 1994 n.36 “Disposizioni in materia di servizi idrici”.
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D’altra parte, la stessa legge ammette come modello gestionale possibile la società mista pubblico-privato, nella quale, tipicamente, socio di maggioranza è l’ente pubblico locale.
Una separazione ”vera” tra i due ambiti avrebbe dovuto comportare la decisione di demandare al pubblico la parte di programmazione e controllo e al privato la parte relativa alla gestione del servizio. Va in ogni caso ricordato, che il d.l. 06/12/2011 n.201, poi convertito nella legge 22 dicembre 2011, n.214, all’articolo 21, comma 9, specifica come le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi siano trasferite all’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas. Questa Autorità, in virtù del successivo D.P.C.M. 20 luglio 2012 (GU 3 ottobre 2012, n.231) art.3, viene investita di importanti responsabilità gestionali, come la definizione dei livelli minimi di servizio e degli obiettivi di qualità, la determinazione delle componenti di costo per la composizione della tariffa da applicare agli utenti, il controllo periodico del metodo tariffario, l’approvazione delle tariffe del servizio idrico integrato, la tutela dei diritti degli utenti, etc.
In altri termini, sembrerebbe che una gestione mista pubblico-privata sia comunque considerata con sospetto, nel senso che è necessario garantire, tramite il controllo e il monitoraggio, i livelli e l’efficienza del servizio affidandone la verifica e validazione a una entità pubblica.
Dunque, il trend è quello di continuare a consentire un controllo e la possibilità di intervento da parte delle istituzioni pubbliche nella gestione idrica, e questo vorrebbe dire che il Legislatore ha interpretato le difficoltà e le inefficienze dell’implementazione della legge“Galli” come una carenza strutturale della capacità dei privati di gestire i servizi idrici integrati.
I risultati che abbiamo qui ottenuto in merito alla scarsa redditività delle aziende oggetto del nostro interesse, possono essere visti come una conferma di questo timore: i gestori idrici integrati non sembrano essere stati, dall’attuazione della legge “Galli”, in grado di fornire una risposta efficace ed efficiente, completamente privata, al problema della gestione del ciclo di vita dell’acqua nei vari territori di competenza.
In realtà, non emerge dalla nostra analisi empirica alcun elemento che possa avvalorare la tesi che una gestione demandata completamente ai privati, almeno nei territori del Centro Italia dove si collocano le aziende prossime a quella di nostro interesse, presenti quei vantaggi economici che conducono ad un abbassamento delle tariffe. Come già osservato da Senn (2009) e poi da Nardi (2012), infatti, l’assetto proprietario, al centro dei dibattiti, riveste, invece, un ruolo statisticamente non significativo; la dimensione proprietà pubblica/mista non sembra essere, infatti, un fattore di discrimine per le performance. Tali evidenze sono state confermate anche dai risultati condotti con l’analisi della Frontiera Stocastica (SFA). Per quanto riguarda le conclusioni di Nardi (2012), circa le evidenze che segnalano un forte squilibrio territoriale, e una maggiore difficoltà delle imprerse del Sud, anche nel nostro caso la clusterizzazione ottenuta, in due grandi gruppi (che abbiamo chiamato B e C), nei quali la ripartizione territoriale è molto simile, più un gruppo più ristretto (che abbiamo chiamato A) di aziende prevalentemente del Nord (e nessuna del centro) caratterizzato da una bassa produttività, sembra rendere conto del fatto che la clusterizzazione delle aziende non ha determinato una classificazione solo in base all’efficienza del servizio ed alla economicità: in questo caso avremmo ottenuto più cluster e sicuramente gli indicatori medi di redditività sarebbero stati ben più differenziati da un cluster all’altro (questo avviene solo con la produzione, che in qualche modo distingue A dai cluster B e C, questi ultimi due differenziandosi in modo netto, come mostrato dalla Tabella 8).
Il mercato non è stato in grado di creare una situazione di competitività (relativa agli indicatori di redditività) ma ha subìto piuttosto, questa è la nostra interpretazione, l’influenza di fattori esterni, come quelli territoriali, quelli relativi alla numerosità delle aziende per area geografica e soprattutto quelli relativi al contesto industriale delle singole aziende, che rende quelle del Centro-Sud e del Sud particolarmente svantaggiate.
La struttura dei cluster che abbiamo determinato ci suggerisce, quindi, che l’attuazione della legge “Galli” non ha creato un divario netto solo in termini di economicità e finanza fra le aziende che operano nel settore, bensì di aver comunque risentito di fattori esterni, geografici, sociali e anche politici, estranei alle dinamiche pure del mercato, a conferma dei risultati di Senn (2009), circa l’impossibilità di identificare, in modo univoco, caratteristiche fondamentali premianti in termini di performance.
Se così è, la nostra analisi suggerisce un’ulteriore riflessione: una gestione completamente privata del settore in questo momento, oltre che poco realistica, non è nemmeno auspicabile (appare essere valida la tesi di Adam Smith secondo la quale una gestione completamente privata e senza alcun intervento statale, del servizio idrico di una nazione, o di ambiti territoriali più ristretti collegati ai vari bacini idrografici, non è, appunto, né realistica né auspicabile); perché si possa lasciare il mercato di imporre i propri equilibri, (che in fin dei conti vuol dire far tendere i prezzi a quelli che rendono più efficiente l’incontro della produzione con quello della domanda), è prima necessario eliminare, o almeno attenuare, i fattori che rendono disomogenea la gestione del servizio nelle aree geografiche e territoriali.
Peraltro, l’auspicabile riduzione di questi fattori non economici, dovrebbe favorire l’aggregazione di aziende che operano su territori limitrofi, generando fenomeni di fusione e acquisizione con la presenza di aziende di dimensioni maggiori, con economie di scala più alte, in grado di abbattere i costi fissi, a vantaggio delle tariffe degli utenti e della gestione del servizio in generale.
Naturalmente, questo non vuol dire rinunciare alla regolazione del mercato da parte di Autorità istituzionali, che possano imporre vincoli che vadano a beneficio degli utenti come i price cap (e in questo concordiamo con Nardi (2012), sulla necessità che l’operato degli enti locali e gestori sia supervisionato da un ente regolatore), piuttosto significa rendere ininfluenti fattori che dovrebbero essere scorrelati alla dinamica dei prezzi e dei costi e che invece, come il livello di coesione dei cluster della nostra analisi ha mostrato, risultano ancora fondamentali nel classificare i diversi gestori idrici.
Non siamo, qui, in grado di dire se la legislazione attuale vada rivista, tuttavia, nel caso dello specifico ATO della Basilicata e degli altri ad esso similari secondo la nostra classificazione, il miglioramento delle performance, e quindi il beneficio in termini di erogazione del servizio, va individuato non solo in un management più competente, in grado di ottenere miglioramenti in redditività, in capitalizzazione, etc., ma anche in un sistema economico territoriale e in Autorità locali che siano in grado di operare per abbattere l’influenza di fattori esogeni di natura territoriale e sociale ma, soprattutto, orientate ad una minore ingerenza politica nella composizione del management dando invece spazio a ruoli in cui le competenze specifiche siano rilevanti nella gestione del ciclo integrato del servizio.