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NOVELLO DI SANLUCANO UN ARCHITETTO ALLA CORTE DEI SANSEVERINO PRINCIPI DI SALERNO

Premessa

L’epigrafe conservata sulla facciata del Palazzo Sanseverino1 in Piazza del Gesù a Napoli, lega la storia di quell’importante Palazzo napoletano all’opera di Novello di Sanlucano, architetto al servizio dei principi di Salerno:

N O V E L L U S D E S A N C T O L U C A N O A R C H IT E C T O R U M E G R E G IU S O B S E Q U IO M A G IS Q U A M S A L A R I O P R IN C IP I S A L E R N IT A N O S U O E T D O M IN O E T B E N E F A C T O R I P R A E C IP U O H A S A E D E S E D ID IT A N N O 1 4 7 0

Delie opere di questo “Artefice virtuoso”2 si conosce ben poco; molto di quello che sappiamo è legato alla costruzione del grande Palazzo voluto da Roberto Sanseverino, principe di Salerno, che con quell’opera volle dimostrare la sua potenza e magnificenza nella competizione con il Re, un aspetto che avrebbe coinvolto i nobili del Regno di Napoli anche negli anni successivi e fino alla fine del XVIII see..

Quella grande opera, che sembra sia l’unica che gli si possa attribuire con assoluta certezza, riuscì a dargli grande lustro così come la diede al suo committente. Il grande successo di quell’edificio fu determinato dal fatto che la sua composizione contribuì alla nascita di un nuovo modo di concepire l’architettura a cui il Sanlucano, con la sua inventiva, apportò un indubbio arricchimento 1 C. CELANO, Notizie del bello dell’antico e del curioso della città di Napoli per i signori forastieri, date dal Canonico Carlo Celano napoletano, Divise in Dieci Giornate, In ogn’una delle quali s ’assegnano le Strade, per dove bassi à caminare. Dedicate alla Santità del nostro Sig. Papa Innocentio Duodecimo, Napoli, 1692, a cura di Giovanni Battista Chiarini, Napoli, (rist. anast.), Napoli, 2000, Vol. Ili, tomo 2, p. 359

2 B. DE DOMINICI, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani. Non mai date alla luce da Autore alcuno, Napoli, 1743, pp. 65-70

attraverso le ricerche di spazialità che anche altri maestri suoi contemporanei conducevano in quegli anni. Queste determinarono anche lo sviluppo di importanti innovazioni nel modo di intervenire sulle facciate degli edifici, una ricerca estetico- formale che si proponeva di coniugare estetica e spazialità nell’architettura con Γobiettivo di conferire all’aspetto esteriore degli edifici una grande rilevanza riconducendo i risultati al rispetto dei canoni classici che imponeva il Rinascimento3.

Come già riferiva Bernardo De Dominici “non si ha certezza alcuna della nascita di Novello di Sanlucano, né da quali maestri avesse egli primieramente apparati i principi dell'Architettura, ma dicesi, che da Maestro Agnolo Aniello Fiore avesse sua prima scuola”4. Stando sempre alle affermazioni di Bernardo De Dominici, 1’ ”Artefice virtuoso”, oltre al Palazzo Sanseverino, “fece opere assai, condotte con buona Architettura; fra le quali contasi la ristaurazione della Chiesa di S. Domenico Maggiore, la quale benché in se, avesse molto dell’acuto, ed in forma gotica condotta, pure era assai migliorata”5.

Ad ogni modo Roberto Pane, nel suo studio “Il Rinascimento nell’Italia Meridionale”6 riferisce che l’anno di nascita di Novello di Sanlucano potrebbe essere il 1440; Bernardo De Dominici, invece, ne attesta la morte a Napoli nel 15IO7 * * * il. Nei suoi settant’anni di vita non c’è dubbio che con la sua opera Novello di

3 L. B. ALBERTI, L ’architettura, Firenze, 1485. Traduzione di Giovanni Orlandi, Milano, 1989, pp. 6-7. Il Grande architetto del Rinascimento affermava che i tre criteri fondamentali che informano la tecnica costruttiva in ogni campo erano basati sul fatto che gli edifìci risultassero adeguati alle loro funzioni, che avessero la massima solidità e durata, e siano eleganti e piacevoli nella forma. (Libro VI, Cap. I, p. 253). L’Alberti attribuiva grande rilevanza alle decorazioni nell’architettura. Tale convinzione derivava dal fatto che l’opinione diffusa formatasi sull’architettura era “che l ’impressione di leggiadria e di piacevolezza derivi esclusivamente dalla bellezza e dall ’ornamento ” (Libro VI, Cap. II, p. 233)

4 B. DE DOMINICI, Vite..., op. cit., pp. 65-70 5 B. DE DOMINICI, Vite..., op. cit., pp. 65-70

6 R. PANE, Il Rinascimento nell’Italia Meridionale, Milano, 1975, Vol. I, pp. 181-203 7 B. DE DOMINICI, Vite..., op. cit., pp. 65-70. I riferimenti alle date di nascita di Novello di San Lucano sono riportati oltre che da B. De Dominici nelle sue “Vite...”, anche da R. Pane nel suo “Il Rinascimento nell’Italia Meridionale” e da N. Pevsner - J. F. Fleming - H. Hnour nel “Dizionario dell’Architettura” dove alla voce “Novello da San Lucano” (che il testo rimanda alla voce “Valeriani”) vengono attribuite al San Lucano la data di nascita 1440 (circa) e la data di morte 1510 sempre però in riferimento agli scritti di Roberto Pane. Giuseppe Valeriani (1542-96), architetto gesuita, si interessò della sistemazione del Palazzo Sanseverino trasformandolo, fra il 1582 e il 1584 nella Chiesa del Gesù Nuovo che attualmente ammiriamo in Piazza del Gesù. Forse fu lo stesso Valeriani che volle conservare sulla facciata la lapide con riscrizione che ricorda l’opera di Novello di San Lucano.

Sanlucano abbia influenzato in modo determinante l’architettura dei suoi contemporanei.

Ma la bravura di questo architetto, nonostante sia stato pressoché ignorato dalla grande critica e dalla storiografia, derivò sicuramente anche dalla sua volontà di formarsi anche a costo di sostenere lunghi viaggi e soggiorni lontano dalla sua terra.

Il De Dominici nei suoi scritti ammette implicitamente che Novello di Sanlucano si sia potuto recare a Roma per assimilare “l ’ottimo gusto de’ Romani Architetti", evidentemente per studiare l’architettura dell’antica Roma che, con le sue importanti presenze architettoniche, offriva in quegli anni non pochi spunti nella costruzione di nuovi edifici. E’ importante rilevare che, secondo Bernardo De Dominici, il Sanlucano avrebbe consigliato anche a Gabriel d’Agnolo di recarsi a Roma “per osservarvi le buone fabbriche”. Carlo Celano invece è più esplicito, perché afferma che il Sanlucano come Gabriele d’Agnolo (amico del Sanlucano) “si trassero a Roma per istudiare ed apprendere la buona maniera sui venerandi avanzi della bellezza dell ’arte antica”8.

Modellato e plastica delle decorazioni nelle facciate rinascimentali. Esperienze a confronto

Lo studio delle proporzioni, della prospettiva e di tutto quanto potesse rendere più preziosa l’architettura fu uno dei principi elaborati nell’età dell’Umanesimo. I risultati ottenuti in quel campo fecero sì che ogni azione dell’Uomo fosse indirizzata verso il miglioramento della qualità della vita.

Anche l’architettura, come affermava Leon Battista Alberti, nel recupero del concetto ciceroniano di validità edonistica e morale dell’arte nella società, deve assolvere il compito di “render felice la vita" perché “essa - se si medita 8 8 B. DE DOMINICI, Vite..., op. cit., pp. 65-70. L’affermazione del De Dominici è abbastanza interessante perché confermerebbe che anche Novello di San Lucano, come gli altri architetti del Rinascimento Italiano abbia voluto trarre spunti dalle nuove tendenze deH’Umanesimo che vedevano nella classicità romana le fonti dalle quali attingere per una società nuova. E quindi anche “gli avanzi della bellezza dell ’arte antica ” potevano dare ai nuovi artefici utili indicazioni per la nuova architettura. Tale tendenza fu seguita da molti artefici del Rinascimento Meridionale, anche se l’opera di molti di essi è rimasta anonima. Paolo Peduto nel suo studio “Nascita di un mestiere. Lapicidi, Ingegneri, Architetti in Cava dei Tirreni (sec. XI-XVI)” attesta la presenza di un altro artefice di quegli anni, Onofrio de lordano, a Roma dove l’artista cavese (che operò anche nella fabbrica di Castel Nuovo) fu impegnato in opere di ingegneria quali il restauro di Ponte Rotto. E’ questo un argomento di grande interesse perché l’opera degli artefici meridionali è stata spesso sovrastata dai “grandi” del Rinascimento (talvolta anche stranieri, quali ad esempio Giullermo Sagrerà), lasciando nell’anonimato molti artisti ai quali sono stati quasi esclusivamente attribuiti dalla critica compiti esecutivi sovente di secondo piano.

attentamente in proposito - è quanto mai vantaggiosa alla comunità come al privato, particolarmente gradita all ’uomo in genere e certamente tra le prime per

importanza”9.

La ricerca degli architetti del Rinascimento tesa a trovare nuove soluzioni architettoniche per la composizione delle facciate delle nuove architetture che in quegli anni sorgevano e che stavano arricchendo le città italiane, era iniziata proprio con Leon Battista Alberti nel Palazzo Medici-Riccardi (1444-64) e nel Palazzo Rucellai (1446-47) a Firenze e con Filippo Brunelleschi nel Palazzo Pitti (1444-1549), sempre a Firenze10 11. I due architetti fiorentini sono considerati dalla critica e dalla storiografia gli iniziatori di tale ricerca estetica rientrando le loro esperienze nel dibattito culturale e architettonico del Rinascimento. Essi, primi fra tutti affrontarono in quegli anni il tema della composizione della facciata di un edificio imponendo l’eventuale ricorso all’applicazione degli ordini classici (tema centrale della rinascita dell’architettura di quegli anni) che, nelle prime esperienze condotte fra gli anni ‘40 e ’50 del XV see., risultavano sovrapposti alla leggera trama delle bugnature11.

Ma il tema trattato da Leon Battista Alberti e da Filippo Brunelleschi a Firenze oltre che essere il frutto di studi e approfondimenti, potrebbe essere riconducibile a contatti avuti con altri maestri operanti in aree culturali diverse e anch’essi impegnati nella ricerca di nuove forme che potessero condurli alle realizzazioni di nuove architetture. E forse proprio nel corso di questa continua ricerca di riferimenti all’architettura classica che gli architetti i quali operarono in quel formidabile periodo avevano inventato un nuovo modo di edificare elaborando nuove teorie di modellato spaziale, ma soprattutto inventando nuove forme decorative tese alla produzione di una architettura nuova che potesse suffragare la concezione della centralità dell’opera dell’Uomo del Rinascimento. La loro ricerca continuò valutando anche esperienze condotte altrove e che gli artefici fiorentini avevano assimilato nel corso di contatti con altri maestri; ma soprattutto attraverso lo studio dell’architettura classica.

9 L. B. ALBERTI, L ’architettura, op. cit., pp. 6-7

10 R. WITTKOVER, Principi architettonici dell’età dell’Umanesimo, Torino, 1964, pp. 35- 59. Fra i Palazzi realizzati dai grandi architetti fiorentini (tutti fra gli anni 40 e 50 del XV see.) il solo Palazzo Pitti, fu iniziato dal Brunelleschi nel 1444 e, alla sua morte, sopraggiunta nel 1446, fu continuato da Luca Fancelli che ebbe l’incarico da Luca Pitti nel 1458, ma lo lasciò incompiuto. Dal 1549 l’incarico fu assunto dall’Ammannati che lo portò a compimento. E’ importante rilevare che tutti questi palazzi, tutti provvisti di facciate bugnate, furono realizzati almeno 40 anni dopo il Palazzo Penna in via banchi Nuovi a Napoli (1406) fatto che potrebbe confermare che Γ inizio della ricerca formale potrebbe essere iniziata anni addietro proprio nella capitale partenopea ad opera di un anonimo artefice.

A Napoli, già nel 1406, viene realizzato per Palazzo Penna12 (v. Fig. 2), in via Banchi Nuovi, una facciata con bugnature leggermente emergenti dal piano della facciata stessa; innovazione che sicuramente fu frutto dell’incontro della cultura rinascimentale italiana con le nuove idee portate nel Regno di Napoli dagli architetti e dai maestri lapicidi venuti al seguito di Alfonso I d’Aragona, oppure da quest’ultimo chiamati ad operare nella capitale13. A Napoli e nei territori limitrofi la presenza di tali maestranze fece sì che nel Palazzo Penna in primis (quindi con quarant’anni di anticipo sulle esperienze dei due grandi architetti fiorentini precedentemente citati) nascesse per la prima volta nel territorio campano l’idea di decorare le facciate con bugne, realizzate utilizzando pietra vulcanica (pipemo, pietrarsa, tufo grigio e tufo nero) proveniente da cave situate nell’area nord- occidentale del Vesuvio. Altre importanti esperienze napoletane da annoverare sono il Palazzo Cuomo o Como14, situato in via Duomo, edificato nel 1464, ma restaurato ed ultimato fra il 1488 e il 1490 e il Palazzo di Diomede Carafa15, situato lungo il “decumanus inferior”, edificato nel 1466 e che presenta un bugnato semplice, più reiazionabile alle facciate del Palazzo Penna e della Chiesa Collegiata di San Giovanni Battista16 ad Angri (ca. 1470-80) (v. Fig. 4), che devono essere considerati esempi ancora lontani dalle innovative esperienze che Novello di Sanlucano nel Palazzo Sanseverino (1470) a Napoli17 e Biagio Rossetti nel Palazzo dei Diamanti (1493) a Ferrara18 avrebbero condotto qualche decennio più tardi.

Nel 1470 il Grande Almirante del Regno di Napoli, Roberto Sanseverino, principe di Salerno, affidò a Novello da Sanlucano l’incarico di edificare nella 12 M. ROSI, Architettura meridionale del Rinascimento, Napoli, 1983, pp. 15-84; R. PANE, Il Rinascimento..., op. cit., pp. 181-203 (cfr. anche successiva nota 32); D. DEL PESCO, Architettura feudale in Campania (1443-1500), in “Storia e Civiltà della Campania”, Napoli, 1994, pp. 91-142.

13 G. DORIA, Storia di una capitale, Napoli dalle origini al 1860, Napoli-Milano, 1963, pp. 109-130; C. DE SETA, Storia della città di Napoli dalle origini al Settecento, Bari, 1973, pp. 125-174; P. PEDUTO, Nascita di un mestiere. Lapicidi, ingegneri, architetti in Cava dei Tirreni (secc. XI-XVI), Cava de’ Tirreni, 1980, pp. 15-46.

14 M. ROSI, Architettura..., op. cit., pp. 15-84 e pp. 113-145; R. PANE, Il Rinascimento..., op. cit., pp. 181-203; D. DEL PESCO, Architettura..., op. cit., pp. 91- 142. Per quanto attiene l’argomento in questione si rimanda anche alla successiva nota 35. 15 M. ROSI. Architettura..., op. cit., pp. 15-84 e pp. 113-145; R. PANE, Il Rinascimento..., op. cit., pp. 181-203; D. DEL PESCO, Architettura..., pp. 91-142. Per quanto attiene l’argomento in questione si rimanda anche alla successiva nota 36.

1(1 D. COSIMATO - P. NATELLA, Il territorio del Sarno, 41-45; G. VITOLO, Angri. Territorio di transiti, Napoli, 1982, pp. 35-43.

17 M. ROSI, Architettura..., op. cit., pp. 15-84 e pp. 113-145; R. PANE, Il Rinascimento..., op. cit., pp. 181-203; D. DEL PESCO, Architettura..., op. cit., pp. 91-

142.

capitale un “Sontuoso Palagio, che avesse del particolare” e che soprattutto riuscisse ad affrontare il tema di come uscire dalla composizione in forme gotiche degli edifici che aveva resistito per molti decenni19. Bernardo De Dominici afferma che Novello da Sanlucano “per corrispondere al genio nobile del Principe Roberto, fece prima il disegno, e poi il modello di un sontuoso Palagio, e cominciò ad erigerlo con grossezza di mura meravigliose”20.

Ma la particolarità dell’opera di Novello da Sanlucano a Palazzo Sanseverino, più che nelle dimensioni dell’edificio è da ricercare nel modo con il quale egli decise di decorare la facciata. Egli “fece tutta la maggior facciata di pipemi travertini quadrati, lavorati a punta di diamante”, una sicura innovazione che dal 1470 in poi molti vollero imitare dal momento che, come afferma il De Dominici, “dopo l ’anno suddetto nacque la gara di fabbricare altri Palagi”21.

E’ importante rilevare che nell’edificazione del Palazzo di Piazza del Gesù, voluto da Roberto Sanseverino, l’architetto Novello da Sanlucano elaborò con più di venti anni di anticipo la soluzione che Biagio Rossetti avrebbe adottato nel Palazzo dei Diamanti a Ferrara22. Fra le due opere a confronto la seconda, più che la prima, espleta un ruolo rilevante nel panorama dell’architettura rinascimentale italiana.

La differenza fra le esperienze di Novello da Sanlucano a Napoli e di Biagio Rossetti a Ferrara sta nella costituzione materica del bugnato. L ’architetto dei Sanseverino aveva adottato blocchi di piperno squadrati a punta di diamante provenienti sicuramente da una delle cave vesuviane, mentre per il bugnato del Palazzo dei Diamanti a Ferrara è stata adottata una pietra calcarea proveniente da cave dell’Appennino Emiliano. Il risultato architettonico in linea generale sembra essere lo stesso se non fosse che nella forma della facciata del Palazzo dei Sanseverino a Napoli si percepisce una maggiore capacità dell’architetto nel cimentarsi in opere di grande ardimento strutturale, di grande plasticità e soprattutto tese alla ricerca di nuove soluzioni decorative raggiungibili attraverso la semplice lavorazione dei singoli blocchi di piperno che, una volta assemblati, avrebbero conferito alla facciata una indiscussa bellezza conseguendo nel contempo un indiscutibile rigore compositivo.

Un grande rispetto per Novello da Sanlucano, V ”Artefice virtuoso” di tale opera, fu nutrito dagli stessi Gesuiti o forse dall’architetto da essi incaricato per la trasformazione del “Sontuoso Palagio” in Chiesa del Gesù Nuovo (v. Fig. 1) perché ne rispettarono l’architettura conservandone addirittura la memoria nella lapide che ricorda il lavoro del Sanlucano e che si può leggere sulla facciata sinistra della Chiesa del Gesù Nuovo23.

19 B. DE DOMINICI, Vite..., op. cit., pp. 65-70 20 B. DE DOMINICI, Vite..., op. cit., pp. 65-70 21 B. DE DOMINICI, Vite..., op. cit., pp. 65-70 22 D. DEL PESCO, Architettura..., op. cit., pp. 91-142 23 C. CELANO, Notizie..., op. cit., Vol. Ili, tomo II, p. 359

Novello di Sanlucano architetto. La vita e le opere di un protagonista del Rinascimento meridionale

In un articolo pubblicato su “Napoli Nobilissima ” da Giuseppe Ceci dal titolo “Due architetti napoletani del Rinascimento. Novello di Sanlucano e Gabriel D’Agnolo”24 lo studioso, nell’analizzare la vita di quei due artisti, cerca anche di individuarne i riferimenti anagrafici e soprattutto i luoghi di nascita, argomento affrontato già da Bernardo De Dominici nelle sue “Vite d e’ Pittori, Scultori ed Architetti napoletani ”, lavoro dato alle stampe nel 1743.

Nel suo articolo il Ceci ritenne affrettatamente (come giustamente afferma anche Pasquale Natella) che un certo Novello da Paparo, di origini cilentane, fosse identificabile proprio con Novello di Sanlucano. La conclusione del Ceci fu determinata probabilmente dal fatto che San Severino, oggi frazione di Centola, è ubicata nel Cilento, feudo dei Sanseverino di Marsico, principi di Salerno, fin dall’XI see..

Secondo il Ceci infatti, il nostro architetto si sarebbe chiamato Novello de Sancto [Severino] Lucano25.

Le riflessioni di Pasquale Natella26 a proposito sono condivisibili soprattutto sotto il profilo paleografico perché stando alle tecniche con le quali venivano riportate le iscrizioni nel Medioevo e per tutto il Rinascimento, l’attribuzione del Ceci non può essere ritenuta fondata. La tesi di Natella è legata al fatto che non essendo riportata sull’iscrizione della lapide conservata sulla facciata della chiesa del Gesù Nuovo (già Palazzo Sanseverino) a Napoli, le dovute abbreviazioni relative alla parola [Severino], non si ritiene che il sito in questione sia San Severino di Centola27 o meglio San Severino di Camerata28 denominazione che il centro cilentano conservò fino a tutto il XVI see..

24 G. CECI, Due architetti napoletani del Rinascimento. Novello di San Lucano e Gabriel d’Agnolo, in “Napoli Nobilissima”, VII, fase. 11, Nov. 1898, pp. 181-182

23 G. CECI, Due architetti..., op. cit., pp. 181-182

26 P. NATELLA, / Sanseverino di Marsico. Una terra, un regno, Mercato San Severino, Sa., 1980, pp. 111-113.

27 P. NATELLA, / Sanseverino..., op. cit., pp. 111-113; E. BUONOMO, San Severino di Centola, Ed. del Centro di Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli, Sa., 1998, pp. 1- 8.

28 E. BUONOMO, San Severino..., op. cit., pp. 1-8. Il collega Emilio Buonomo in un lavoro pubblicato qualche anno fa teso ad individuare un’ipotesi di intervento sostenibile per il restauro del Borgo di San Severino di Centola afferma che il Borgo ha assunto tale denominazione in epoca recente. Anticamente infatti era noto come San Severino di Camerota. E’ importante rilevare come non si faccia alcuna menzione del San Severino Lucano. Tale affermazione suffraga quanto affermato da Pasquale Natella nel suo “I Sanseverino di Marsico. Una Terra, un Regno”. Inoltre dall’esame di alcune carte storiche risulta che la denominazione San Severino è riportata anche su antiche mappe. Si confronti

Altro sito legato alla probabile nascita dell’architetto potrebbe essere San Severino Lucano (già San Severino) che però nella pubblicazione “L ’Italia. Dizionario topografico” edito nel 1870, viene identificato come comune “sito nel napoletano, provincia di Basilicata, circondario di Lagonegro, mandamento di Chiaromonte”* 29. Pasquale Natella avanza l’ipotesi che Sanlucano possa essere, invece che il luogo di provenienza dell’architetto, l’attributo di paternità30.

Altra riflessione fatta dal Natella è in ordine alle affermazioni di C. De Frede che pubblicò nel 1961 un saggio sul Palazzo Sanseverino31. Questi sostenne che i blocchi lapidei a punta di diamante di cui è costituita la decorazione della facciata, sono di un “piperno grigio e scabro cavato nelle terre sanseverinesi del Cilento”. In effetti più che materiali lapidei vulcanici quali piperno, pietrarsa e tufi (prevalentemente grigi e neri), utilizzati abitualmente nei secc. XV - XVI per tali opere, nel Cilento, che notoriamente non è terra di vulcani, sono presenti soprattutto rocce calcaree. I materiali lapidei di natura vulcanica adottati per l’edificazione degli edifici napoletani provenivano tutti dall’area vesuviana (pietrarsa, piperno, basalto e tufi grigi e neri) e dall’area flegrea (soprattutto tufo giallo).

In realtà l’utilizzazione del materiale lapideo vulcanico lavorato a bugna o con altre tipologie decorative risale, nell’area napoletana, ad anni addietro. Uno dei primi esempi conosciuti è il Palazzo di Antonio Penna (1406) sito in via Banchi Nuovi a Napoli32, mentre gli ultimi esempi conosciuti possono essere identificati con il Palazzo dei Tufi33 a Lauro di Nola (1513-29) e con il Palazzo Gravina34 a ad esempio le mappe inserite nel “Regno di Napoli in prospettiva” di G. B. Pacichelli (1702).

29 P. NATELLA, ISanseverino..., op. cit., pp. 111-113.