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UN RESTAURO D I TERRA * IL TEATRO DI VELIA

CLASSICITÀ’ E RICERCA: ITALO GALLO

UN RESTAURO D I TERRA * IL TEATRO DI VELIA

Dispiegato sul versante sud-est dell’acropoli, a confine con il temenos, il teatro di Velia attendeva da tempo una ricomposizione dei suoi elementi, tale da frenarne il progressivo degrado e riconquistare un ruolo nel ‘paesaggio’. A premessa della ricomposizione sono state poste le indagini condotte diffusamente sul teatro, a partire da quelle conseguenti alla sua ‘scoperta’. Risalenti agli inizi degli anni Settanta, queste consentirono a Mario Napoli - l’archeologo di Porta Rosa - di ipotizzarne le caratteristiche monumentali nel rapporto con il lungo muro isodomo di terrazzamento del temenos. Riprese con maggiore sistematicità nel 1979 ed affidate a Clara Bencivenga Trillmich, le indagini portarono a risultati di più vasta ampiezza conoscitiva.

Rappresentato da un koilon impostato in parte su terrapieno, in parte su roccia - quest’ultima ben visibile nei gradoni del versante a nord-ovest -, il teatro si presentava limitato a tre soli cunei, essendo stato ampiamente squarciato dalla realizzazione, tra ΓΧΙ ed il XIII see. d.C., del fossato che delineava il castello e l’insediamento di Castellamare della Bruca. I cunei, inoltre, erano costituiti da numerosi blocchi d’arenaria locale: irregolari nelle dimensioni, si presentavano inclinati e sconnessi a causa del terreno sovrastante e del sottile strato di terra che li collegava alla roccia.

Al di sotto dei blocchi, l’indagine rivelò una gradinata di più rozza esecuzione, nella quale si documentava una fase precedente. L’ambito di datazione di tale fase derivò, tuttavia, da un più significativo versante di scavo, aperto in corrispondenza dell’analemma occidentale, nel tratto in cui questo si forma come angolo del muro di terrazzamento, nonché di delimitazione di una verosimile stoà. Datato al V see. a.C. da Emanuele Greco, tale angolo evidenziò tre filari di blocchi a profilo rientrante, mentre un quarto, elegantemente sagomato, si raccordava ad un crepidoma.

Contestualmente al predetto angolo ed in parte sovrapposta ad esso, lo scavo mise in evidenza anche una consistente struttura in opera poligonale ‘lesbia’: con la

L’autore ringrazia il Soprintendente Archeologo di Salerno, Avellino e Benevento, dott.ssa Giuliana Tocco, per aver favorito la realizzazione del restauro neH’ambito di un più generale programma di valorizzazione del parco archeologico di Velia; ringrazia, altresì, la prof.ssa Giovanna Greco e la dott.ssa Carla Antonella Fiammenghi per la collaborazione fornita.

facciavista orientata all’interno del terrapieno, questa si saldava in perpendicolare all’analemma della parodos occidentale, oggi direttamente visibile.

Sulla base dei materiali ritrovati nel terrapieno esterno, datati tra la fine del IV e Γinizio del I see. a.C., gli archeologi ipotizzarono per tale struttura una duplice funzione: di contenimento del terrapieno e della roccia franosa, di probabile rappresentazione di un primo impianto teatrale, o forse di un bouleuterion. Meno ipotetica era, però, l’appartenenza della stessa ad una prima fase programmatica per la monumentalizzazione dell’acropoli, matrice delle successive manipolazioni ellenistiche, in verticale e in orizzontale.

Sull’impianto ellenistico si sovrapporrà quello d'età imperiale, datato tra il II ed il III see. d.C.: inquadrato in un nuovo riassetto dell’intero contesto urbano di Velia, tale impianto vedrà, tra l’altro, il riempimento dei gradoni in roccia e una più complessa articolazione dell’edificio scenico. Quest’ultimo, giuntato mediante un arco al koilon, esprimerà una maggiore continuità tra l’insieme architettonico cui appartiene e quello monumentale proprio dèli’acropoli.

Realizzato in attuazione di un finanziamento straordinario, il restauro è stato commisurato ad un precedente progetto, redatto alla metà degli anni Ottanta. Incentrato su un accurato rilievo, sviluppato dal 1973 in poi, questo primo progetto prevedeva due fasi interconnesse: la prima, relativa allo smontaggio dei blocchi ancora in situ del koilon romano; la seconda, all’esecuzione di telai strutturali in cemento armato corrispondenti alla geometria del teatro, previa l’eliminazione parziale del terrapieno. La caratteristica dei telai, radicati al terreno mediante travi continue di fondazione, era in un andamento radiale per quelli obliqui, in uno circolare per quelli orizzontali, con l’alloggiamento in essi dei blocchi e delle eventuali integrazioni in tufo.

Rispetto a quest’ultima fase, l’autore del progetto proponeva uno schema ricompositivo semplice, organizzato su un passo netto tra i blocchi di 42 cm. circa. Derivante da un incastro del blocco nel calcestruzzo di 10-12 cm ed una fuoriuscita dello stesso di 12-16 cm su un’altezza variabile da 30 a 50, lo schema si traduceva in una sezione ‘normalizzata’ su una doppia sequenza di quote. Tali quote, in particolare, erano minori in un primo tratto di 7 sedili, maggiori nel successivo di 12, essendo questo più inclinato rispetto all’altro di circa 3 gradi - in applicazione di un canone proprio del teatro antico.

Si determinava, in altri termini, una soluzione che, benché tutta intenzionata sulla ricomposizione del koilon romano, riduceva questo stesso ad un piano bidimensionale, che era tale in quanto scollato dal continuum stratigrafico del terrapieno sottostante, a sua volta parzialmente ‘sottratto’ per la creazione dei telai portanti. In questa misura, quindi, non essendo altro che un rivestimento d’immagine, chiuso ad eventuali, future verifiche stratigrafiche, la ricomposizione del koilon smarriva un fondamentale principio del restauro. Non a carattere assoluto, bensì relativo, perché necessariamente legato ai modi peculiari del processo conoscitivo, il principio - già ampiamente enunciato ed applicato negli

anni in cui fu redatto il progetto in questione - è quello della reversibilità delle operazioni e della leggibilità delle scelte conservative che orientano le operazioni stesse.

C’era, poi, un altro rilevante aspetto del progetto, che riguardava la soluzione in termini di ‘over-restore’. Per la sua dimensione alterante ed aggressiva, la soluzione, infatti, sembrava porsi come una sorta di rischioso ‘paradigma’ metodologico per gli altri interventi di recupero attuabili nel contesto dell 'acropoli, tra i quali quelli relativi agli edifici medioevali.

Radicalmente diverso dal precedente è il progetto realizzato. Infatti, pur mutuando dal primo lo schema ricompositivo dei blocchi - che sarebbe stato meglio definire nel rispetto del loro stato di sconnessione - , al restauro è sottesa una visione completamente conservativa, nella convinzione che, insieme al “massimo ascolto dell’esistente”, il restauro debba “aggiungere semmai, non sottrarre risorse al contesto”, qualunque esso sia.

Le aggiunzioni, in questo caso, hanno riguardato il riempimento dei saggi di scavo, da tempo lasciati in condizione di sfrangiamento delle pareti. In tal modo sono stati riacquisiti il profilo del koilon romano e le quote d'imposta per la sagomatura dei gradoni, al fine di procedere al montaggio dei relativi blocchi. Per queste ultime operazioni si è ritenuto di utilizzare la cosiddetta ‘terra armata’, già positivamente sperimentata in altre occasioni: costituita da un impasto di terra e di resine, questa è stata applicata, mediante casseforme e con la predisposizione del ‘tessuto-non tessuto’, ad un nucleo fondale di pietrame, con un risultato di notevole efficacia aggregativa.

La stessa tecnica è stata seguita per la sistemazione delle sezioni della testata a sud-ovest del koilon e per la messa in evidenza della struttura in opera poligonale. Inoltre, essendosi posta la necessità di contenere il retrostante terrapieno - realizzato al fine di evitare stagnazioni d’acqua piovana, pur ottenendo così l’occlusione visiva dell’angolo sagomato pertinente al muro di contenimento -, la struttura è stata rialzata fino all’altezza terminale del koilon, sotto forma di un piano neutro in ‘terra armata’, tagliato a gradoni sul profilo verso Vorchestra.

Alla medesima altezza del piano appena descritto è stata impostata la restante parte del koilon, con un criterio molto simile a quello previsto nel primo progetto. Gradualmente inclinata verso la parodos orientale e fino all’altezza di cm. 70, rivestita con un manto erboso che esalta il colore e la trama dei blocchi sul versante opposto, tale parte restituisce l’ampia spazialità del koilon come riflesso di una nitida figura geometrica, a sua volta sottolineata dallo spessore dell’analemma. Quest’ultimo, tuttavia, svolge la sua funzione solo nel tratto nord, nord-ovest, interrompendosi nell’impatto con i gradoni scavati nella roccia, indicatori di una posizione più arretrata dell’impianto monumentale cui essi appartenevano e del relativo analemma - posizione restituita attraverso una siepe continua e compatta, utile anche al fine di inibire l’accesso dal versante superiore.

Il restauro si è concluso con il recupero dell’edifìcio scenico, attuato mediante l’integrazione minima dei segmenti murari - sempre distinguendo i nuovi dagli antichi - e la ricomposizione ‘segnica’ della sua pianta. Questa scelta ha indotto, inoltre - a causa dello sconfinamento dell’edificio in un salto di quota - lo spostamento dell’attuale percorso: esterno al teatro, esso è stato sostituito con quello delle parodoi, determinandosi così un punto d'osservazione tutto interno all’invaso del koilon. Ancora parzialmente rivestito di lastre rettangolari poggianti su roccia, lo stesso percorso è stato trattato con la colmatura delle piccole cavità presenti nella roccia e con l’azzeramento dei dislivelli tra questa e le lastre. Sia la colmatura sia l’azzeramento - estesi a tutta la superfìcie dell’orchestra - sono stati eseguiti con un battuto di calce e graniglia d’arenaria mescolata a frammenti di cotto, più volte sperimentato nella consistenza e nella compatibilità del colore.

Al recupero dell’edificio scenico, hanno fatto seguito, per un verso, la pulizia, con soluzioni leggere, dei blocchi del koilon e di quelli costituenti 1’ euripos e la recinzione de\V orchestra-, per un altro, il consolidamento d'alcuni intonaci ancora presenti sull’analemma della parodos occidentale, con la preliminare eliminazione dei lacerti in cemento risalenti agli anni Settanta.

Infine, con apparecchi dislocati ai lati dell’edificio scenico, è stato predisposto un impianto d’illuminazione: radente e discreta, questa sarà tale da esaltare, in una ritrovata spazialità, gli elementi del koilon e le loro differenti qualità materiche. Non solo; ben presto - e sarà questa, paradossalmente, una riprova del corretto restauro conservativo - l’illuminazione consegnerà alla visione notturna di quanto realizzato anche un degrado ‘altro’: più lento per manutenzione, più controllato per verifiche, esso sarà inevitabilmente progressivo e fisiologico nei risultati.

Bibliografìa

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M. NAPOLI, L ’attività archeologica nelle province di Avellino, Benevento e Salerno, Metaponto, in Atti del XIII Convegno Sulla Magna Grecia (Taranto 14-

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E. GRECO, Velia, Locri Epizefìrii, in Atti del XVI Convegno Sulla Magna Grecia (Taranto 3-8 ottobre 1976), Napoli 1977.

J. DAUM, Das Theater auf der Akropolis von Elea, in Forschungen und Funde, Festschrift Bernhard Neutsch, Innsbrucker Beitràge zur Kulturwissenschaft - Band 21, Innsbruck 1980. Dello stesso autore, Progetto Per La Ricostruzione Del Teatro Sull’Acropoli di Elea, in Velia. Studi e Ricerche (a cura di G. Greco e F. Krinzinger), Franco Cosimo Panini, Modena 1994.

C. BENCIVENGA TRILLMICH, Il Teatro Sull’Acropoli di Elea. Rendiconto dello scavo ed alcune considerazioni sulle fasi edilizie ed urbanistiche, in AA.VV.,

Velia. Studi e Ricerche (a cura di G. Greco e F. Krinzinger), Franco Cosimo Panini, Modena 1994.

F. KRINZINGER, Zu Den Monumentalisierungsphasen Der Akropolis Voti Velia, in Neue Forschungen in Velia. Akten des Kongresses “La Ricerca Archeologica a Velia” (Rom, 1 - 2 Juli 1993). Verlag der Òsterreichischen Akademie der Wissenschaften, Wien 1999.

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