221 A sostegno di questa ricostruzione potrebbe richiamarsi, Cass., sez. I, 10 ottobre 2007 n. 22842, in
Foro it., 2007, 1123, che si occupa della legittimità della rinuncia degli interessi nel settore degli
appalti pubblici, ammettendo, anche in tale ambito, la possibilità di una rinuncia successiva. 222
F. BARTOLINI- A.M. BENEDETTI-M. GRONDONA- S. PAGLIANTINI- T. PASQUINO, La nuova
disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, cit., 41 ss.
223 Ad esempio, Cass., sez. III, 29 gennaio 1996 n. 683, in Giur. it., 1997, I, 1, 1440 ss., si riferisce alla rinuncia , contenuta nella convenzione stipulata in sede di conciliazione, a domandare la restituzione di somme pagate in eccedenza a titolo di canone.
224 Tale argomentazione risulta essere confermata da alcune pronunce giurisprudenziali. In particolare, secondo Cass.. sez. II, 30 luglio 2002 n. 2695, in Foro it., 2002, 1235, la rinuncia del credito può rivestire una convenienza economica per il creditore.
64
La libertà delle parti di derogare alla disciplina legale introdotta in materia di ritardi di pagamento, incontra un limite nelle previsioni di cui all’art. 7 del D.lgs. n. 231 del 2002225
.
Tale articolo, infatti, vieta, sanzionandole con la nullità, le clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento dei costi di recupero, che risultino gravemente inique in danno per il creditore.
In virtù della necessità di interpretare la disciplina italiana in senso conforme alla direttiva europea, si ritiene che la grave iniquità delle clausole derogatorie sia riconducibile ad una ipotesi di abuso di autonomia contrattuale, da intendersi come lo sfruttamento, da parte del debitore, della posizione di debolezza del creditore226.
L’iniquità ex art. 7, comma 1, deve essere necessariamente “grave”: situazioni di iniquità “non grave”, dunque, in quanto ordinarie nella pratica degli affari, devono ritenersi pienamente tollerate227.
Occorre, quindi, che le clausole derogatorie, non solo debbano risultare prive di giustificazione, ma, altresì, arrecare un danno significativo al creditore.
Risultando la nozione di “grave iniquità” connotata da un certo grado di vaghezza, il medesimo art. 7, al comma 2, individua dei parametri in base ai quali valutare, caso per caso, se il comportamento, di uno dei contraenti, possa qualificarsi abusivo228.
225
A.FINESSI, Sub art. 3, d.lgs. n. 231 /2002, in G. De Cristofaro (a cura di), La disciplina dei ritardi
di pagamento nelle transazioni commerciali (d.lgs. 9 ottobre 2002 n. 231), in Leggi civ. comm., 2004,
506 ss. 226 A.M.B
ENEDETTI, L’abuso della libertà contrattuale in danno del creditore, cit., 134 ss. 227
V.PANDOLFINI, I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali dopo il d.lgs. 9 novembre
2012, n. 912, cit., 39 ss.; A.M.BENEDETTI, L’abuso della libertà contrattuale in danno del creditore, in I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, profili sostanziali e processuali, cit., 134 ss. 228 F. B
ARTOLINI- A.M. BENEDETTI-M. GRONDONA- S. PAGLIANTINI- T. PASQUINO, La nuova
65
In particolare, viene richiesto al giudice di tenere in considerazione tutte le circostanze del caso concreto “ tra cui il grave discostamento
dalla prassi commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza , la natura della merce o del servizio oggetto del contratto, l’esistenza di motivi oggettivi per derogare al saggio degli interessi legali di mora, ai termini di pagamento o all’importo forfettario dovuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero”229.
Per quanto riguarda il primo criterio previsto dall’art. 7 d.lgs. n.231 del 2002, occorre precisare che per prassi commerciale debba intendersi, sia quella generalmente seguita nel settore all’interno del quale la transazione si colloca, sia quella specificatamente utilizzata dai contraenti nei loro rapporti commerciali230.
Per poter rilevare, lo scostamento dalla prassi commerciale, deve essere necessariamente “grave” e non porsi in contrasto con i principi di correttezza e buona fede.
Ciò si spiega in quanto, se qualsiasi prassi commerciale, solo perché consolidata, fosse in grado di giustificare una deroga alla disciplina legale, la normativa sui ritardi di pagamento rischierebbe di non raggiungere gli scopi per i quali essa è stata emanata231.
Ne conseguirà che, al fine di escludere l’iniquità di tale deroga, non potrà ritenersi sufficiente il semplice adeguamento ad una prassi commerciale vigente e consolidata, potendo, infatti, trattarsi di una prassi
229 A.M.B
ENEDETTI, L’abuso della libertà contrattuale in danno del creditore, cit., 130 ss. 230
F. DE MARZO, Ritardi di pagamento nei contratti tra imprese: l’attuazione della disciplina
comunitaria, cit.,1161 ss.
231 A.D’A
DDA, La correzione del ‘contratto abusivo’: regole dispositive in funzione ‘conformativa’
ovvero una nuova stagione per l’equità giudiziale?, in A. Bellavista – A. Plaia (a cura di), Le invalidità nel diritto privato, Giuffrè, Milano, 2011, 345 ss.
66
applicata unicamente in ragione dello sfruttamento della maggiore forza contrattuale facente capo al debitore in danno al creditore232.
Ulteriore parametro, interno allo specifico affare, rilevante ai fini del giudizio inerente alla grave iniquità, risulta essere, poi, quello riguardante la natura della merce o del servizio oggetto del contratto233.
Infine, come precedentemente rilevato, il medesimo articolo fa, altresì, riferimento al criterio dell’“esistenza di motivi oggettivi per derogare al
saggio degli interessi legali di mora, ai termini di pagamento o all’importo forfettario dovuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero” .
Tali “motivi”, secondo la dottrina, consisterebbero in circostanze di fatto, diverse dalla prassi commerciale e dalla natura della merce o dei servizi234, idonei a rappresentare una giustificazione razionale alla deroga posta in essere alla disciplina legale235.
Occorre, inoltre, rilevare come la locuzione “tutte le circostanze del
caso”236, che precede l’elencazione degli specifici criteri enunciati, si
presterebbe a lasciare spazio all’utilizzazione di ulteriori parametri non elencati dal medesimo articolo237.
Essa, inoltre, comporterà che, ai fini del sindacato di grave iniquità, la singola previsione contrattuale dovrà essere valutata tenendo conto
232 S.Z
ORZETTO, I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Itinerario di una riforma, in
Nuove leggi civ. comm., 2013, 1056 ss.
233
F. DE MARZO, Ritardi di pagamento nei contratti tra imprese: l’attuazione della disciplina
comunitaria, cit., 1164 ss.
234 A.M.B
ENEDETTI, L’abuso della libertà contrattuale in danno del creditore, cit., 138 ss. 235
V.CUFFARO, Il regime di invalidità delle clausole sulle modalità di pagamento, cit., 232 ss. 236 A.D’A
DDA, La correzione del ‘contratto abusivo’: regole dispositive in funzione ‘conformativa’
ovvero una nuova stagione per l’equità giudiziale?, cit., 348 ss.
237 S.Z
ORZETTO, I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Itinerario di una riforma, cit., 1057 ss.
67
dell’intero regolamento contrattuale all’interno del quale viene a collocarsi238.
Un criterio aggiuntivo, non richiamato dall’art. 7 in questione, ma deducibile implicitamente dal considerando 28 della direttiva n. 7/2011, sembrerebbe essere quello della presenza di una clausola relativa al termine di pagamento, al tasso di interesse di mora o al risarcimento dei costi di recupero, che abbia principalmente l’obiettivo di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore239.
In realtà240, però, si ritiene che, il procacciamento di una maggiore liquidità a danno del creditore, non possa considerarsi quale indice autonomo di abuso della libertà contrattuale, risultando, piuttosto, una specificazione della generale nozione di grave iniquità ex art. 7 primo comma del d.lgs. n. 192 del 2012.
Da ultimo si evidenzia come, il previgente art. 7 comma 2, recependo il considerando19 della direttiva n. 35/2000, prevedesse, come ulteriori ipotesi di grave iniquità, determinate fattispecie desunte dalla disciplina dedicata alla subfornitura241.
Previsione, quest’ultima, venuta meno con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 192 del 2012242.
Secondo quanto statuito dal medesimo art. 7 comma 1, le clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento dei costi di recupero, che risultino gravemente inique in
238 F. B
ARTOLINI- A.M. BENEDETTI-M. GRONDONA- S. PAGLIANTINI- T. PASQUINO, La nuova
disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, cit., 54 ss.
239
V.CUFFARO, Il regime di invalidità delle clausole sulle modalità di pagamento, cit., 232 ss. 240 F. D
E MARZO, Ritardi di pagamento nei contratti tra imprese: l’attuazione della disciplina
comunitaria, cit.,1162 ss.
241
F.TAGLIALAVORO, La nuova direttiva europea in materia di lotta contro i ritardi di pagamento
nelle transazioni commerciali, cit., 1237 ss.
242 F.P
ASQUINO, D. lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 (come modificato dal d.lgs.9 novembre 2012, n. 192, nel Commentario del Codice civile, diretto da E. Gabrielli, Delle obbligazioni, a cura di V. Cuffaro, Utet, Torino, 2013, 684.
68
danno del creditore, sono nulle con conseguente applicazione degli articoli 1339 e 1419, comma 2, del codice civile243.
Da tale richiamo esplicito, fatto alla disciplina codicistica, ne deriverà che le clausole in questione verranno automaticamente sostituite da quelle legali e che la nullità della singola clausola non comporterà quella dell’intero contratto, a meno che non sia stata determinante ai fini della conclusione dello stesso244.
Il precedente testo normativo consentiva di configurare l’inefficacia della clausola come nullità di protezione245, posta a favore dell’impresa creditrice, in quanto considerata parte debole246, rilevabile d’ufficio nell’interesse esclusivo del creditore.
Il profilo maggiormente problematico riguardava, però, l’eccessivo potere di controllo che veniva attribuito al giudice, legittimato a sindacare, non soltanto lo squilibrio della contrattazione, ma anche la ragionevolezza delle scelte adottate, fino ad essere in grado di porre in essere un’attività di correzione e integrazione del regolamento contrattuale247.
243 M.C.V
ENUTI, Nullità della clausola e tecniche di correzione del contratto, Cedam, Padova, 2004, 93 ss.
244 V.R
OPPO, Il contratto, Giuffrè, Milano, 2011, 472 ss. 245 In tema di nullità di protezione, C.C
ASTRONOVO, Profili della disciplina nuova delle clausole c.d.
vessatorie cioè abusive, in Europa dir. priv., 1998, 7; A. D’ADDA, Nullità parziale e tecniche di
adattamento del contratto, Cedam, Padova, 2007, 145 ss.; M.GIROLAMI, Le nullità di protezione nel
sistema delle invalidità negoziali, Cedam, Padova, 2008, 816 ss.; M.MANTOVANI, Le nullità e il
contratto nullo, in Trattato del contratto a cura di G. Roppo, IV. Rimedi a cura di G. Gentilini,
Giuffrè, Milano, 2006, 155 ss.; S.MAZZAMUTO, Brevi note in tema di conservazione o caducazione
del contratto in dipendenza della nullità della clausola abusiva, in Contr. e impr., 1994, 1098; M.
PASSAGNOLI, Nullità di protezione, in Codice del consumo a cura di G. Vettori, Cedam, Padova, 2007, 370 ss.; G.PERLINGIERI, La convalida della nullità di protezione e la sanatoria dei negozi giuridici, Esi, Napoli, 2010, 122 ss.; S.POLIDORI, Nullità di protezione e interesse pubblico, in Rass. dir. civ., 2009, 1019 ss.; P.M.PUTTI, La nullità parziale, Esi, Napoli, 2002, 134; V. SCALISI, Contratto e
regolamento nel piano d’azione delle nullità di protezione, in Riv. dir. civ., 2005, I, 459 ss.; G.SPOTO,
Le invalidità contrattuali, Esi, Napoli, 2012, 27 ss.
246 G.G
ENTILINI, La “nullità di protezione”, in Eur. dir. priv., 2011, 77, secondo il quale la nullità di protezione non può qualificarsi come categoria unitaria se non nella misura in cui è un genere comune che accoglie però diverse specie e , quindi, discipline diversificate.
69
A seguito della novella ex d.lgs. n.192 del 2012 è, però, venuto meno tale ultimo aspetto e, conseguentemente, è stata anche rivista la possibilità di configurare una forma d’invalidità quale la nullità di protezione.
Occorre al riguardo rilevare come, in realtà, anche sotto la vigenza del vecchio testo normativo, vi era qualche perplessità in riferimento alla possibilità di parlare, in quel determinato contesto, di nullità di protezione248.
La principale perplessità era, infatti, data dal fatto che tale tipologia di invalidità dovesse essere condizionata al perseguimento dell’interesse del contraente debole; invece, la formula prescelta dal legislatore del 2002, non era quella di richiamare la contrarietà dell’interesse del creditore ma, piuttosto, “l’iniquità in danno al creditore”.
L’interpretazione maggioritaria, al contrario, aveva accolto la ricostruzione dell’invalidità, delle clausole pattuite in danno al creditore, come vera e propria nullità di protezione, seguendo una tesi suffragata da una lettura sistematica con le disposizioni in tema di subfornitura e di clausole vessatorie.
Secondo tale orientamento, pertanto, veniva introdotta, nel nostro ordinamento, un’ipotesi di nullità di protezione c.d. virtuale, in quanto sanzione per un accordo stipulato in violazione di una norma imperativa finalizzata a tutelare il contraente debole, rilevabile solo dalla parte protetta o dal giudice nell’interesse di quest’ultima.
Con le modifiche apportate dal d.lgs. n. 192 del 2012249, nell’ambito dell’art. 7 è stata prevista una ipotesi di nullità testuale parziale,
248 Sul dibattito ante riforma, la disamina critica più dettagliata si legge nell’attento studio di M.C. VENUTI, Nullità della clausola e tecniche di correzione del contratto, cit., 45 ss.
249 Di fronte, soprattutto, al mancato raggiungimento dei risultati prefissati dalla disciplina sui ritardi di pagamento della pubblica amministrazione, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione
70
attraverso il richiamo espresso agli articoli 1339 e 1419 del codice civile, con conseguente scomparsa della nullità di protezione virtuale250.
Come precedentemente rilevato, nel testo ante riforma veniva superato il dogma dell’intangibilità del contratto, mediante la previsione di un potere integrativo da parte del giudice, tendente a riportare ad equità l’accordo intervenuto tra le imprese251.
Tale potere si giustificava in quanto finalizzato a tutelare, non tanto l’interesse della piccola o media impresa creditrice, quanto, piuttosto, l’esigenza di assicurare tempi certi ed uniformi ai pagamenti transnazionali all’interno del mercato europeo252
.
L’art. 7 del d.lgs. n. 231 del 2002, nella sua formulazione originaria, infatti, assegnava al giudice la facoltà di ricostruire il regolamento contrattuale, integrando così la lacuna che si veniva a creare dalla declaratoria di nullità della clausola derogatoria sui termini di pagamento253.
Nello specifico, l’attività del giudice si basava su due alternative, rimesse alla sua discrezionalità: applicare i termini legali o ricondurre ad equità il contenuto dell’accordo medesimo254
.
Europea sono stati ccostretti ad intervenire nuovamente, a distanza di pochi anni, ed hanno approvato la direttiva n. 2011/17/UE che è stata recepita in Italia con il d.lgs. n. 231. In realtà, anche tale secondo intervento normativo, ha, purtroppo, lasciato aperti vari problemi. Cfr., G.SPOTO, La nuova
direttiva contro i ritardi di pagamento della P.A., cit., 449.
250
V.PANDOLFINI, I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali dopo il d.lgs. 9 novembre
2012, n.192, cit., 135 ss.
251 A.M. B
ENEDETTI, P. CANEPA, M. GRONDONA, I ritardi di pagamento nelle transazioni
commerciali, Giappichelli, Torino, 2003, 61 ss.
252
F. DI MARZIO, Direttiva europea 2011/7/UE sui ritardi nei pagamenti nelle transazioni
commerciali, in Riv. amm., 2011, n.3-4, 177.
253 Scelta molto criticata perché, sostanzialmente, ha determinato un recepimento “sbilanciato” della direttiva: si veda sul punto, V.CUOCCI, Brevi note sulla direttiva comunitaria relativa ai ritardi di
pagamento nelle transazioni commerciali e sulla sua attuazione in Germania, in Contr. e impr./Europa, 2006, 349 ss.
254 C.C
HESSA, Il potere giudiziale di ristabilire l’equità contrattuale nelle transazioni commerciali, in
71
Con la novella del 2012 è, quindi, venuta meno una delle più rilevanti ed incisive forme di intervento equitativo del giudice.
La scelta del legislatore è stata quella secondo la quale, il giudice, dichiarata la nullità parziale255 della clausola che pattuisce un iniquo termine di pagamento, la debba sostituire facendo riferimento al termine legalmente determinato, senza avere più la possibilità di ricondurre ad equità il regolamento contrattuale.
Occorre al riguardo rilevare come, parte della dottrina, sostiene che l’art. 7, I comma, del d.lgs. n.231 del 2002, nella versione riformata dal d.lgs. n.192 del 2012, a dispetto dell’apparente tenore letterale, continui ad annoverare un sindacato giudiziale oscillante tra un’applicazione dei termini legali e ed una riconduzione ad equità dell’accordo nullo in quanto gravemente iniquo256.
Il giudice, pertanto, potrebbe non applicare i termini legali se motivi oggettivi giustifichino un discostamento da questi e sarà legittimato, quindi, a ricondurre la deroga “entro i limiti del non abuso”257.
Tale opportunità concessa al giudice è stata fortemente criticata, soprattutto da parte della Corte di Giustizia258, secondo la quale il giudice nazionale dovrebbe limitarsi semplicemente ad escludere
255 F.P
ASQUINO, D. lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 (come modificato dal d.lgs. 9 novembre 2012, n. 192), cit., 691.
Il richiamo all’art. 1419, secondo comma, c.c. serve ovviamente ad escludere che la nullità della singola clausola, sul termine di pagamento, possa comportare la nullità dell’intero contratto. Sul punto, G.PATTI-S.PATTI, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, ne Il Codice civile.
Commentario, diretto da P. Schlesinger, Giuffrè, Milano, 1993, 268 ss.
256
Secondo tale orientamento dottrinale, dunque, sopravvivrebbe in capo al giudice il potere di individuare, sulla base di circostanze oggettivamente apprezzabili, un termine di pagamento diverso da quello legale, assegnando così al richiamo fatto agli articoli 1339 e 1419 del codice civile un significato puramente atecnico.
257
F.DI MARZIO, Deroga abusiva al diritto dispositivo, nullità e sostituzione di clausole nei contratti
del consumatore, in Contr. e impr., 2006, 701.
258 Corte Giust., 14 giugno 2012, n. C-618/ 2010, Banco Espanol de Credito C. J.C.C., in
Contratti, 2013, 16, con nota di A.D’ADDA, Giurisprudenza comunitaria e “massimo effetto utile per
72
l’applicazione della clausola abusiva, senza intraprendere alcuna operazione ricostruttiva che potrebbe, oltretutto, rilevarsi dannosa259.
Inoltre, l’ipotizzata resurrezione della riduzione ad equità, secondo una parte della dottrina, rischierebbe di tradire il senso della direttiva 2011/7/UE che aveva fatto scomparire il potere del giudice di riportare il contratto ad equità previsto espressamente, invece, dalla direttiva 2000/35/CE260.
Occorre, infine, rilevare come l’art. 8 del D.lgs. 231 del 2002, come modificato dal D.lgs. del 9 novembre 2012 n. 192, abbia riconosciuto alle associazioni di categoria degli imprenditori presenti nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) la legittimazione ad agire a tutela degli interessi collettivi, nel caso in cui vengano utilizzate condizioni generali di contratto contenenti clausole gravemente inique in materia di termini e ritardi di pagamento261.
Nello specifico, la tutela giurisdizionale degli interessi collettivi prevista dall’art. 8 del Decreto in questione si sostanzia nella richiesta al giudice competente di accertare la grave iniquità delle predette condizioni generali e di inibirne l’uso262
.
Viene, poi, riconosciuto al giudice il potere di adottare misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi derivanti dalle violazioni accertate, nonché di ordinare la pubblicazione del relativo provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale o locale,
259
F. BARTOLINI, A.M. BENEDETTI, M. GRONDONA, S. PAGLIANTINI, T. PASQUINO, La nuova
disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, cit., 103.
260 S.P
AGLIANTINI, L’integrazione del contratto tra Corte di Giustizia e nuova disciplina sui ritardi di
pagamento: il segmentarsi dei rimedi, in Pers. e merc., 2013, 1, 12 ss.
261 F. B
ARTOLINI, A.M. BENEDETTI, M. GRONDONA, S. PAGLIANTINI, T. PASQUINO, La nuova
disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, cit., 103.
262 F.T
AGLIALAVORO, La nuova direttiva europea in materia di lotta contro i ritardi di pagamento
73
nell’ipotesi in cui anch’essa possa contribuire a correggere o ad eliminare gli effetti in questione.
Accanto all’inibitoria ordinaria, il d.lgs. n. 231 del 2002, configura, inoltre, un’inibitoria cautelare che può essere concessa, secondo quanto statuito dall’art. 8 comma 2, quando ricorrono motivi di urgenza, ai sensi degli articoli 669-bis e seguenti del codice di procedura civile263.
Occorre dire che, secondo l’orientamento dottrinale maggioritario, l’inciso “giusti motivi d’urgenza” andrebbe valutato in relazione ad elementi di carattere quantitativo, quali la natura, le dimensioni, l’importanza dell’attività imprenditoriale coinvolta e l’impiego realmente diffuso delle condizioni generali incriminate264.
Ai sensi del medesimo articolo 8, al suo ultimo comma, viene infine statuito che “In caso di inadempimento degli obblighi stabiliti dal
provvedimento reso nel giudizio di cui ai commi 1 e 2, il giudice, anche su domanda dell’associazione che ha agito, dispone il pagamento di una somma di denaro, da Euro 500 a Euro 1.100, per ogni giorno di ritardo, tenuto conto della gravità del fatto”265
.
Tale previsione è stata qualificata, da alcuna parte della dottrina266, come un’ipotesi tipizzata di danno punitivo.
La responsabilità civile, all’interno del nostro ordinamento, ha generalmente, infatti, funzione riparatoria267.
Tale natura della responsabilità civile ha da sempre costituito un ostacolo al riconoscimento, all’interno del nostro sistema giuridico, dei
263
A.M.BENEDETTI, L’abuso della libertà contrattuale in danno del creditore, cit., 133 ss. 264C.C
HESSA, Il potere giudiziale di ristabilire l’equità contrattuale nelle transazioni commerciali, cit., 443 ss.
265
F.PASQUINO, D. lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 (come modificato dal d.lgs. 9 novembre 2012, n. 192, cit., 691ss.
266 G.C
HINÈ,M.FRATINI,A.ZOPPINI, Manuale di diritto civile, a cura di G. Alpa e R. Garofoli, VII, Nel diritto, 2016, 2410 ss.
267 C.M.B
74
danni punitivi, la cui ratio, invece, risulta essere prettamente sanzionatoria.
Salvo, infatti, le ipotesi legalmente tipizzate, tra le quali vi sarebbe, appunto, la condanna al pagamento di una somma di denaro ex art. 8 del d.lgs. n. 231 del 2002, al giudice italiano sarebbero preclusi poteri meramente punitivi in quanto incompatibili con l’ordine pubblico nazionale.
La Corte di Giustizia Europea268 ha più volte preso posizione in merito all’istituto dei punitive damages.
A parer di quest’ultima, infatti, pur spettando agli Stati il compito di stabilire i criteri di determinazione dell’entità del risarcimento del danno, in ogni caso va sempre garantito il rispetto dei principi di effettività o di