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I NTRODUZIONE : UN GIUDIZIO DI B ODIN SULLO STILE LATINO

II. 2 2 Roellenbleck

III. 1 I NTRODUZIONE : UN GIUDIZIO DI B ODIN SULLO STILE LATINO

ANALISI DELLA LINGUA DEL

COLLOQUIUM HEPTAPLOMERES

IN RAPPORTO ALLE OPERE BODINIANE

DI SICURA ATTRIBUZIONE

III. 1

Introduzione: un giudizio di Bodin sullo stile latino di Pietro Bembo Per avvicinarci al cuore del problema e al confronto tra lo stile del Colloquium

Heptaplomeres e quello delle opere bodiniane di sicura attribuzione, presentiamo

un brano della Methodus in cui il Bodin dà voce alla propria idea su come si debba scrivere in latino. Si tratta - credo - dell'unico giudizio del genere che si possa rintracciare nelle sue opere.

Ci troviamo nel capitolo III (De recto historiarum delectu) in cui vengono passati in rassegna diversi storiografi antichi e moderni, e di ognuno Bodin fornisce un'analisi ponderata di pregi e difetti. Con ciò l'Angevino si propone di offrire al lettore una panoramica di tutte le fonti storiche leggibili all'epoca, raccomandando certe letture e sconsigliandone altre. I motivi della scelta sono varî: Bodin prende in considerazione il modo di trattare e di esporre gli avvenimenti storici, la qualità delle informazioni di cui dispone un autore, la sua parzialità, la sua fabulositas, ovvero la tendenza ad indulgere o meno alla narrazione di eventi futili o favolosi. Notevole importanza assume in questi giudizî l'usus rerum, la conoscenza pratica, da parte di uno storico, degli argomenti che tratta: di qui il modello di Polibio opposto a Timeo, e il disprezzo in generale verso gli storici da tavolino e verso tutto quello che lucernam olet. Ad un certo punto, dopo aver portato in palmo di mano Guicciardini, di cui

vengono esaltate le virtù di prudentia, eruditio, integritas, Bodin passa ad affrontare un altro eminente storico d'Italia, Pietro Bembo, che intorno al 1530 redasse la storia ufficiale della Repubblica Veneta.

Ut enim Bembus vir clarus, et in luce totius Italiae diu multumque versatus sit (omitto singularem eius eloquentiam) nihilominus aut multa in gratiam suorum civium aliter atque gesta sunt scripsisse, aut certe Guichardinus saepe mentitus convincitur193.

Bembo oltrepassa infatti ogni limite nella lode della Serenissima, per la quale non esita a manipolare gli eventi storici, presentando le sconfitte come vittorie e viceversa, dipingendo per esempio il ritorno volontario dei francesi oltre le Alpi come una fuga precipitosa davanti agli eserciti veneziani, e indulgendo sovente in offese all'indirizzo dei nemici, contro i quali egli dispiega tutta la potenza del suo arsenale oratorio. Ci sono però altri elementi - più interessanti per il discorso che stiamo conducendo - che fanno scadere Bembo come storico:

Et vero cum invitus, ut ipse testatur, annosque natus sexaginta ad scribendum se contulisset eum laborem, quem in historia scribenda quaerimus, aegre ferebat: "Taedet me", inquit libro quarto, "eius belli leviora consectari. Quis enim legat sine fastidio singula?" Haec plane sunt oratoria194.

Questo rifiuto di Bembo di addentrarsi nei particolari, rende particolarmente oziosa la sua opera storica: egli infatti, proponendosi come narratore di eventi storici, alla fine si rivela come uno scrittore che sfrutta la storia solo come pretesto per dar diletto al lettore e per far emergere le proprie doti di latinista. Un difetto - questo - insopportabile per uno scrittore che nelle

193Meth. p. 81. 194 Meth. p. 83.

proprie letture storiche cercava più le res che i verba (e qui abbiamo una conferma di quanto leggevamo prima nell'epistola di Grozio).

Ed eccoci giunti al punto cruciale:

Puritatem enim dictionis ita consectatur, ut verbis quidem parum Latinis, sed tamen ad significandum necessariis uti nolit. Turcarum Imperatorem regem Thraciae, quae vix centesima pars est eius imperii; et Mediolani Ducem regem quoque vocat. Id quidem Latine, sed non satis, opinor, ad id quod decuit accommodate.

Chiunque abbia anche solo sfogliato il Bembo latino sa infatti che le sue opere costituiscono uno degli esempî più radicali di ciceronianesimo. Si tratta infatti di una lingua da cui non solo sono banditi tutti i termini estranei alla Latinità aurea, ma nella quale lo stesso contenuto viene forzatamente piegato all'ideale classicistico: all'immagine reale dei fatti si sovrappone così una finzione romaneggiante, che il lettore stesso deve idealmente rimuovere per comprendere il reale significato di ciò che si narra. Negli esempî citati da Bodin, il rex Mediolanensium per il corrente Dux Mediolani appartiene ancora all'ordine del classicismo lessicale il quale, sebbene oscuri il significato reale, è limitato al piano della forma. Il rex Thraciae usato per alludere al sultano rappresenta già un grado più avanzato di classicismo, in quanto qui viene impiegato un termine solo in ragione del fatto che la Tracia rientra nei dominî ottomani, e in parte forse per la consonanza tra Thracia e il sotteso Turcia. Il lettore però in questo caso è costretto ad una decodifica più tortuosa: deve prima ricordarsi che la Tracia fa parte dell'impero Turco, e di qui dedurre che il rex Thraciae altri non può essere se non il rex Turciae. Leggendo Bembo, ci si imbatte spesso in passi ancora più radicalmente classicistici, come quando, per evitare di nominare il poco ciceroniano Christus o Deus al singolare, non si perita di dire dii immortales,

a cui lo stato veneziano decreta sacrifici195, per non parlare dei conventi di monache, che vengono descritti come aedes virginum vestalium196.

Ma lo scrittore a cui si riferisce questo giudizio è secondario: ciò che ci importa è la misura in cui esso riflette le idee linguistiche di Bodin stesso, e dà adito ad una serie di osservazioni che possono integrare il quadro delineato nei paragrafi precedenti. Quel verbis parum latinis, dimostra innanzitutto che Bodin scriveva con una buona consapevolezza linguistica, e che il problema del purismo non gli era indifferente; vi si trova inoltre conferma dell'impressione che si riceve dalla lettura delle opere latine. Leggendo infatti le opere latine di Bodin si osserva questo: v'è in lui un'adesione moderata agli ideali estetici ciceroniani per quanto attiene all'armonia della frase, alla morfologia e al

delectus verborum, che prevede perlopiù l'uso di termini e di locuzioni del latino

aureo, filtrati attraverso le maglie di una prosa che esclude scientemente i poetismi (salvo poche eccezioni). Epperò questo ideale di purezza non si spinge mai oltre un certo segno; anzi Bodin rifiuta esplicitamente, come vediamo in questo passaggio, gli eccessi di maniera bembiana, anteponendo all'ideale di

sinceritas quello della perspicuitas. È in nome di questo che il dettato bodiniano,

pur seguendo sempre un'armonia classica, è costellato di neologismi anche spinti: non solo sultanus e dux venetorum, ma anche mareschallus e cadilischerius. Vedremo più avanti come queste osservazione possano essere utilizzate nel confronto tra lingua delle opere bodiniane di sicura attribuzione e il Colloquium

Heptaplomeres.

Un altro passaggio interessante della critica di Bodin a Bembo riguarda l'eccesso di retoricità:

195 P. Bembi Rerum Venetarum Historiae p. 2 196 P. Bembi Rerum Venetarum Historiae p. 24

Quae igitur de perfidia Gallorum oratorie scribit, tam vera sunt quam in Appulia bello Veneto corvos ac vultures tanta ex aere vi, tantisque agminibus inter se conflixisse, ut carri duodecim eorum cadaveribus explerentur.

[...]

haec plane sunt oratoria: cuiusmodi est etiam Lauredani concio adversus Minium, qua nihil fieri potest ornatius197.

Dietro quell'oratorie e a quel nihil ornatius è facile scorgere una punta di veleno. Nel primo caso l'oratorie è un bel modo per bollare l'attacco di Bembo contro i francesi come un'altisonante calunnia; leggendo invece, a proposito dell'oratio ficta di Loredan, quel qua nihil ornatius, ci sembra di scorgere un sottinteso: Sed quid attinet?- a che pro condire un racconto storico, il cui valore dovrebbe consistere nell'esposizione fedele dei fatti, con questi fiori d'eloquenza? Bodin sembra dire: "Io questi mezzucci li conosco, li so anche apprezzare, ma ai fini del racconto storico non hanno alcun valore, anzi sono addirittura d'impaccio".

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