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Analisi linguistica del Colloquium Heptaplomeres

III. 2. 1 Morfologia e ortografia

a) Romània occidentale. Una prima osservazione della lingua del Colloquium

Heptaplomeres può fornirci degli indizî utili per individuare la provenienza

dell'autore, o quanto meno l'area geografica in cui il testo fu confezionato. Questo è possibile grazie ad una serie di elementi inerenti alla pronuncia locale

del latino e ad infiltrazioni lessicali e grammaticali dalla lingua vernacola usata abitualmente dallo scrivente. Gli indizî linguistici che ho preso in considerazione sono due: gli errori di grammatica e le latinizzazioni di termini derivati da altre lingue.

Per quanto riguarda la morfologia, colpisce la seguente frase:

...filium a coelestibus illis sedibus in terras delapsum foeminae viscera subire, deinde utero clauso egredi et in ipsa aetatis flore acerbissimis cruciatibus ac suppliciis addici, cum solo nutu omnia omnium scelera diluere facile potuisset198.

Se qualcuno cercasse di difendere l'attribuzione del testo ad un autore veneziano del circolo di Leon Modena - come Faltenbacher aveva cercato di fare nel suo primo lavoro199- questo passo basterebbe per gettare seri dubbi su tale ipotesi. È infatti assai improbabile che un italiano cada nell'errore di trattare flos come un sostantivo femminile, dal momento che né nel toscano del tempo, né negli altri idiomi d'Italia di cui abbiamo attestazione sembra sia stato in vigore questo uso. Anche per le parlate venete, che spesso operano oscillazioni di genere proprio nelle parole monosillabiche e bisillabiche derivanti dalla terza declinazione latina200, non è attestata nessuna forma femminile per la parola

fior/fiore. Al contrario, è noto che in Francia e nella penisola Iberica questa

parola è trattata come femminile: la fleur (francese), la flor (castigliano,

198 Coll. Hept. p. 284.

199 Faltenbacher, Das Colloquium Heptaplomeres: ein Religiongespräch zwischen Scholastik und

Aufklärung, pp. 101-115. D'altra parte la possibilità di un'origine veneziana dell'opera si

riaffaccia nell'introduzione di Faltenbacher a "Der kritische Dialog des Colloquium Heptaplomeres", p. 14: Ob Venedig oder Paris als Ursprungsort gedacht werden sollte, wir wissen es

nicht, im Augenblick.

200 p. es. el/la late, el/la sal, el/la sangue, cfr. M.Cortellazzo, dizionario veneziano della lingua e

provenzale, catalano), a flor (gallego, portoghese) etc. Questo è un primo indizio che ci spinge a rifiutare un'attribuzione veneziana o più in generale italiana.

L'autore del Colloquium adopera spesso il verbo dispareo201 in luogo del

latino classico evanesco202. Sebbene il verbo disparire si trovi anche nell'italiano

del tempo, il suo impiego è decisamente minoritario rispetto a scomparire,

svanire o simili; questa è invece la forma regolare in francese e in castigliano

(rispettivamente disparaître e desparecer).

Anche le latinizzazioni offrono degli elementi interessanti. Il termine normalmente utilizzato in latino per designare l'edificio di culto dei musulmani - la moschea - è la trasposizione dell'arabo masgid, e si configura come

meschita/meskita in Italia e nella maggior parte d'Europa203. Nel Colloquium Ottavio, parlando di come i musulmani costruiscono le moschee in modo che gli uomini non possano esser distratti dalla vista delle donne e viceversa, dice così:

Illud etiam praeclare, quod Mesquedas vel fana sic construunt, ut nec a viris foeminae conspici, nec viros foeminae contueri possint, sed habeant utrique stationes medio pariete discretas204.

Questa forma è dovuta chiaramente agli usi scrittorî della Romània occidentale, dove i nessi [ki] e [ke] vengono resi con le scritture qui e que. Anche questo elemento ci porta decisamente fuori dell'Italia, probabilmente in Francia, in Spagna o in Portogallo.

La resa Latina di Maometto è altrettanto interessante. È più facile immaginare che il Mahummedes205, usato costantemente nel Colloquium, sia stato

201 Coll. Hept. 35, 56, 97, 234, 235, 261.

202 Giova notare che dispareo non è attestato da nessun autore antico.

203 In assenza di riferimenti lessicografici soddisfacenti per l'epoca in questione, rimando a

Du Cange Lexicon mediae et infimae latinitatis, ad. voc. (Meschita).

foggiato sulla base della forma francese (Mahomet) che a partire da quella italiana Macometto/Maometto.

La trascrizione delle voci ebraiche ci porta nella medesima direzione:

SALOMO: Nostrum illud schema, quod ab omnibus Judaeis quotidie usurpatur, non est precatio, sed commemoratio, ne ab aeterno Dei cultu unquam discedamus.

Salomone allude chiaramente alla preghiera לארש׳ עםש (scemà Israèl206). La

prima lettera, ש (scin), viene resa secondo le norme grafiche del francese dell'epoca, che non disponendo del fonema fricativo postalveolare sordo [ʃ], è costretto a ricorrere al trigramma sch207.

Tutti questi elementi ci confermano nell'ipotesi che l'autore parlasse come lingua madre un idioma romanzo occidentale, probabilmente il francese.

Un'ulteriore conferma di questa supposizione ci viene da un passaggio della disputa sui mirabilia naturae contenuta nel secondo libro del dialogo. Si parla di portentose apparizioni di pesci e uccelli, che secondo i sette sapienti non possono essere spiegate altrimenti che come miracoli operati dalla volontà divina. Ognuno contribuisce alla discussione narrando di prodigi che ha visto coi propri occhi o di cui è stato informato da terzi. Il calvinista Curzio parla di stormi di pivieri apparsi improvvisamente nel contado di Orleans:

Cum agerem in Gallia, callidus quidam auceps noctu facibus accensis palumborum multa millia, quae ab oceano in littus Rhotomagum versus advolaverant, nullo negotio venabatur. Cum ab illo percontarer, unde tanta vis

205 p. es. Coll. Hept. pp. 104, 105, 228, 234, 251.

206 Per la trascizione dei termini ebraici, mi attengo alla tradizione ortografica italiana. 207 A differenza del francese moderno, in cui questo suono è rappresentato da ch,

anticamente indicante l'affricata palatale sorda. Da notare che Bodin segue quest'uso: rende il nome di Guicciardini con Guichardinus Meth. 167; p. 246 Cadileschieri; p. 242 Mareschallus "maresciallo"p. 248 meth.

palumborum? illud reposuit, illis tantum annis advolare, quibus abundaret fagina glans, qua pascantur. Item liviarum et earum avium, quas ipse patria lingua „pluviers“ appellabat, e genere columbarum, examina infinita in Aurelianorum agros impluere, nusquam tamen nidos ac ne ciborum quidem in ingluvie aut ventriculo argumentum exstare.

Evidentemente l'autore non sapeva come designare in latino questa specie di volatili: in effetti presso gli scrittori antichi non si trovano parole per nominare gli uccelli che noi chiamiamo pivieri. Per aggirare il problema, egli ricorre dunque alla traduzione francese, pluviers, mettendola però elegantemente in bocca ad un uccellatore di Rouen, di modo che il quadretto agreste renda l'impiego del verbum parum Latinum non solo giustificato, ma funzionale alla verisimiglianza del racconto. La cosa curiosa è che, nel resto della disputa, i pesci e gli uccelli cui si fa riferimento sono resi in latino con grande precisione, anche con nomi piuttosto ricercati (leggiamo di galei, scombri,

mugiles, gobiones etc.), e non accade mai che altri interlocutori se ne escano coi

nomi vernacoli delle bestie di cui parlano.

b) urbs Venetia. Uno degli indizî più significativi a favore dell'identificazione

dell'autore del Colloquium Heptaplomeres con Jean Bodin si trova proprio nelle prime righe del nostro dialogo:

Nam cum Adriatici maris littora post difficilem navigationem legissemus, Venetiam appulimus, omnium fere gentium vel potius orbis terrarum portum communem...208

A questo punto chiunque abbia una certa familiarità col latino rinascimentale non potrà fare a meno di notare un elemento d'inciampo. La città che fa da sfondo al dialogo è infatti indicata come Venetia, in contrasto con

la consuetudine, ben consolidata tra gli scrittori latini del tempo, di impiegare esclusivamente la forma plurale Venetiae. Questo, benché a prima vista possa sembrare una minuzia grammaticale, dà adito ad una serie di considerazioni di grande interesse per la nostra ricerca.

Nel latino classico, Venetia designa la terra dei Veneti; nella discriptio

Augustea essa abbraccia la regione compresa tra l'Oglio e il Timavo, tra il Po e le

Alpi, e costituisce la Regio X insieme all'Istria. Nel medioevo, la comunità che si formò intorno a Rialto prese il nome di civitas Venetiarum, probabilmente a causa del processo sinecistico che portò alla sua nascita e in continuità con la toponomastica tardoimperiale e bizantina (districtus Ventiarum). Nei documenti medievali la città è costantemente designata come commune Veneciarum; gli umanisti accolsero questa consuetudine, e designarono la città di Venezia sempre con la forma plurale, che presentava tra l'altro il vantaggio di evitare ambiguità con la Venetia degli antichi209.

Si capisce dunque come la forma singolare del toponimo in riferimento alla città sia un uso, se non unico, sicuramente rarissimo nei testi letterarî dell'epoca, tanto più nel Cinquecento, quando i dotti di tutta Europa sfogliavano ogni giorno libri recanti la scritta Venetiis sul frontespizio. Ciò ci spinge ad interpretare questa particolarità o come un lapsus, favorito verosimilmente dal nome di Venezia nelle lingue vernacole, o come una scelta motivata da qualche

209 Sul nome latino della città di Venezia in rapporto con la formazione della città, vedi

Olivieri, Toponomastica Veneta, Firenze 1962, p. 151; Gallicciolli, Delle memorie venete antiche,

profane ed ecclesiatiche, Venezia 1795, l. 1, capp. II-III (par. 17); G. Fasoli, Comune Veneciarum, in

"Venezia dalla Crociata alla conquista di Costantinopoli nel 1204", Firenze 1965, pp. 73-102. La forma plurale del nome della città lagunare doveva essere penetrato anche nel volgare, se Ruzante mette in bocca ad uno dei suoi villani la frase: A' ghe son pur arivò a ste Veniesie! (Ruzante, Teatro, Torino, 1967, p. 517). Bisogna comunque notare che Bodin in un passo della stessa Methodus usa il nome plurale di Venezia: Meth. p. 224: Soderinus vero populare imperium

tuebatur et eos qui Venetiis rem publicam gerunt, docebat errore patricios vocari. Parimenti, in De rep.

scrupolo etimologico. Bisogna notare che la cosa non doveva essere affatto indifferente all'autore del Colloquium Heptaplomeres, dal momento che egli in diversi passi del dialogo lascia trapelare un certo interesse per la storia veneziana; in uno di questi viene citata correttamente la traduzione latina di un nome patrizio Contarini (Contarenus), cosa che manifesta se non altro una certa familiarità di chi scrive coi testi latini su Venezia210.

Consideriamo ora le opere di sicura attribuzione bodiniana. Come si comporta Bodin, studioso interessatissimo alle istituzioni venete, avido lettore di Gaspare Contarini, di Bembo, di Sabellico? Curiosamente, nonostante i riferimenti alla Serenissima siano costanti nei suoi libri, egli fa raramente riferimento a Venezia come città, e quando lo fa usa perlopiù circonlocuzioni del tipo civitas/urbs Venetorum. Ci sono però almeno due punti in cui egli menziona la città senza perifrasi:

• Meth. hist. cogn. p. 219: Igitur planum fit ex ipsius Contareni, Sabellici, et Bembi scriptis, Venetiam ab originis suae primordio popularem fuisse, postea temporis decursu ad optimates delapsam.

• ibid. p. 329: Non video cur Venetia rerumpublicarum praestantissima sit.

Come si vede, anche qui abbiamo un Venetia al posto di Venetiae. Questa coincidenza è, a mio avviso, decisiva per attribuire il Colloquium Heptaplomeres a

210 I nobili veneziani avevano stabilito, per i loro cognomi, delle traduzioni paretimologiche

intese a sottolineare l'antichità della famiglia. Nel caso di Contarini, il nome Contarenus era pensato come contrazione di Comes Reni o Cotta Reni, il che avrebbe dovuto ricollegare la casata veneziana alla gens Aurelia. Bodin nelle sue opere latine mostra di conoscere benissimo la versione ufficiale di questi nomi; fatto singolare, visto che gli scrittori non veneti che scrivono di Venezia spesso inciampano proprio in questo (p.es. Callimaco Esperiente nell'operetta storica

De his quae a Venetis temptata sunt Persis ac Tartaris contra Turcos movendis chiama Barbarigo Barbaricus invece di Barbadicus, Loredan Loredanus invece di Lauredanus, Mocenigo Mocenigus in

luogo di Mocenicus etc.). Probabilmente questa precisione è dovuta al fatto che Bodin conoscenva Venezia soprattutto grazie alla lettura su di essa scritta in latino.

Bodin: sia in quest'opera che nella Methodus riscontriamo un uso del toponimo che, nella letteratura Latina moderna, sembra essere del tutto isolato. Si può discutere se quest'uso sia dovuto ad un lapsus o se sia invece intenzionale. La prima opzione mi sembra più probabile, anche se è possibile ch'egli si sia lasciato guidare da un brano della Naturalis Historia, in cui Plinio sembra parlare di Venetia come di una città211; ad ogni modo, ciò che importa è che questo idiotismo depone decisamente a favore della paternità bodiniana del nostro dialogo. Chi sostiene che il Colloquium è una magistrale opera di falsificazione, difficilmente potrà dire lo stesso su questo punto: è davvero improbabile che un imitatore di Jean Bodin, per quanto abile, sia riuscito a riprodurre lo stile dell'Angevino così perfettamente da trasferire nel Colloquium un idiotismo così poco appariscente, nascosto peraltro nelle oltre cinquecento pagine della Methodus.

c) Genitivo dei nomi in -as(<-atis)/atis: Il genitivo plurale dei sostantivi del terza declinazione in -as/-atis esce, sia nel Colloquium che nelle opere bodiniane, in -atum invece che in -atium212.

d) Aliquid alicui acceptum ferre. La locuzione alicui aliquid acceptum ferre col

significato di aliquid alicui debere è, soprattutto nel senso traslato, abbastanza frequente sia nelle opere di sicura attribuzione che nel Colloquium Heptaplomeres;

211 Plin. VI 218: Septima divisio ab altera Caspii maris ora incipit, vadit super Callatim, Bosporum,

Borysthenen, Tomos, Thraciae aversa, Triballos, Illyrici reliqua, Hadriaticum mare, Aquileiam, Altinum, Venetiam, Vicetiam, Patavium, Veronam, Cremonam, Ravennam, Anconam, Picenum, Marsos, Paelignos, Sabinos, Vmbriam, Ariminum, Bononiam, Placentiam, Mediolanum omniaque ab Appennino, transque Alpis, Galliam Aquitanicam, Viennam, Pyrenaeum, Celtiberiam.

212 p. es. Meth. p. 33 de optimatum imperio et libidine paucorum; ibid. 222 in Senatu optimatum;

Resp. 247 Venetorum fines quattuor habere consilia... praeter Senatum, et coetum optimatum. p. 290 est

autem lucensium status in optimatum potestate. [in genereale, cfr. tutta la sezione 219-240] Coll.

Hept. p. 116: Istud quidem assentior in optimatum et populari civitate; Coll. Hept. p. 355: Sapienter

istud quidem, ut omnia huius civitatis instituta, quibus in optimatum statu diutissime floruit ac florebit, in quo civitatis genere nulla pestis perniciosior exoriri potest, quam discordiae civium inter ipsos.

qui occorre notare che alla locuzione propria aliquid alicui acceptum referre, molto più frequente presso gli autori antichi, si preferisce esclusivamente aliquid alicui

acceptum ferre, molto più rara.213

e) Nomi proprî. Sia nel Colloquium Heptaplomeres che nelle opere sicuramente

bodiniane Mosè è sempre chiamato Moses, mai Moyses214. Il nostro dialogo

presenta la medesima latinizzazione del nome di Tamerlano che troviamo nella Methodus: Tamerlanes-is215. Questo particolare acquista un qualche significato se

si considera che all'epoca esistevano più versioni del medesimo nome:

Tamburlanus, Timurus, Timurbecus, Temurlenus, Tamerlanus.

III. 2. 2 Lessico

a) Classicismo nelle cose di religione. La fantasia di Jean Bodin è popolata di

immagini legate alla dimensione giuridico-sacrale della civiltà Romana: cosa abbastanza naturale, considerata la sua formazione di giurista. A questo va ricondotto l'uso frequente di auspicari nel senso di incipere, initium ab aliqua re

sumere216.

Anche la rappresentazione delle religioni moderne è filtrata attraverso un immaginario genuinamente Romano, con dei procedimenti pressoché identici

213 Coll.Hept. p. 79: Eo quidem errore me Salomo liberavit, ut ingenue illum acceptum feram;

Coll.Hept. p. 98: ii, cum omnia uni ac praepotenti Deo accepta ferre debuissent; Coll.Hept. p. 150: Et

quemadmodum Deus accepta ferre et praemia tribuere solet prae-claris hominum voluntatibus. Meth. p.

243: cum ipsi vitam, fortunas, agros, ac ius omne potestatis ordinibus acceptum ferant. Paradox. p. 34

cum...dotes corporis...uni Deo acceptas ferre debeat...

214 de rep. p. 752 Moses vero diis omnibus Graecorum antiquior est.

215 Meth. 14 5 Scythae... carnibus equorum epulantur, ut de Tamerlanis exercitu proditum est. Coll.

Hept. p. 66 OCTAVIUS: Hunc integrandi supplicii modum secutum fuisse audio Timurbecum, quem

nostri Tamerlanem vocant.

216 p. es. Meth. p. 17 brevia illa quidem, sed auspicantibus facilia; Meth. p. 34 ab historia rerum

humanarum nobis auspicandum esse videtur; Meth. 323 videmus enim - ut a minimis auspicer - in formicis eam quae alata dicitur.Paradox. p 6 A principibus auspicatus...; Paradox. p. 10 Ab ipsius boni definitione auspicemur. Coll. Hept. p. 321 a capite justificationis humanae auspicandum putaverunt.

nel Colloquium Heptaplomeres e nelle opere di sicura attribuzione, ma alquanto singolari nel quadro della letteratura Latina dell'epoca. I rappresentanti dell'alto clero, a qualsiasi confessione o setta essi appartengano, vengono da lui designati con il generico pontifices217: con questo termine egli indica, all'interno

della religione cristiana, gli alti prelati e nello specifico i vescovi (ove la maggior parte degli scrittori Latini usa correntemente episcopi o, per purismo, praesules o

antistites218). In riferimento all'ebraismo antico, con lo stesso termine si allude ai

leviti (normalmente levitae); in ambito islamico i pontifices sono i califfi sunniti e gli imam sciiti; inoltre la medesima voce serve a designare i brahmini e gli sciamani delle religioni dell'India e dell'America. I semplici ministri del culto sono sacrificuli (contrariamente al latino d'uso che li chiama sacerdotes o

presbyteri).

A questo si aggiunge il primato riconosciuto alla religione e alla sapienza ebraica sulle altre culture antiche e moderne219. Tanto nel Colloquium quanto nelle opere di sicura attribuzione si avverte lo stesso curioso contrasto: sono testi pervasi di cultura ebraica, scritti però in una prosa che ci fa continuamente respirare un'aria "Romana", assai più di quanto sarebbe normale aspettarsi da un testo scritto in un buon latino.

Avremo modo più avanti di tornare sulla questione della competenza di Bodin in fatto di riti e costumi ebraici. Per ora mi limito a segnalare qualche altro aspetto che unisce il Colloquium alle opere bodiniane nel senso del purismo linguistico nelle definizioni religiose.

217 Coll.Hept. passim. Meth. p. 31: ut sacerdotia et pontificum munera. Meth. p. 239 qui cum

sacris initiantur, magno iureiurando verbis conceptis a pontificibus et regni proceribus sese obligant...;

ibid. 246 admittuntur ii omnes qui Pontifices aut Castellani sunt.

218 Vedi antistes, praesul, episcopus in Du Cange, Lexicon Medie et Infimae Latinitatis; e Lexique

de la prose latine de la Renaissance, ad voc.

Per quanto riguarda l'inquisizione - un fenomeno che, chiamando in causa questioni giuridiche e al contempo teologiche, interessa moltissimo a Bodin- sono significativi i termini che vengono utilizzati per definire i suoi organi e i relativi rappresentanti. L'inquisizione in generale è un insieme di impietatis

quaestiones, calco dalle quaestiones della Roma repubblicana e delle prima età

imperiale: quaestio repetundarum, peculatus, ambitus etc. L'inquisitore, di conseguenza, è chiamato iudex impietatis. Nel latino corrente, l'inquisizione è

inquisito fidei e l'inquisitore inquisitor fidei220.

Si può notare un interessante slittamento nei termini usati per designare la religione islamica. Nel Colloquium i musulmani sono indicati quasi sempre come

ismaelitae221, talvolta come agareni per necessità di variazione222; nella Methodus sono invece chiamati muhamedici223; il fatto però che in almeno due passi di

quest'ultima opera l'islam venga chiamato ismaelitica religio, lascia presagire il futuro sviluppo di quest'uso224.

Bisogna rilevare una differenza anche nel verbo usato per designare i pagani: nella Methodus essi sono chiamati ethnici225, secondo l'uso di molti e

soprattutto di Erasmo; nel Colloquium, con un termine generalmente evitato dai puristi per la sua ambiguità, si trova perlopiù pagani226.

Per evitare il grecismo apostata in riferimento all'imperatore Giuliano, sia nella Methodus che nel Colloquium troviamo transfuga, il cui uso traslato è un

220 Erasmo e altri da citare. 221 Coll.hept. passim.

222 Coll.Hept. p. 151: Quae cum ita sint, quid opus erat tot ac tam multis ritibus, quibus obligantur

Judaei, Christiani, Agareni, Pagani? vedi anche pp. 175, 196, 203, 322.

223 Meth. p. 133: Sic Muhamedici precantur.

224 Meth. p. 130 Itaque mirum videri non debet si Calipharum, sive pontificum Ismaeliticae

religionis tanta fuit maiestas.

225 Meth. p. 49 Non placet Ethnicorum de Iudaeis, aut Iudaeorum de Christianis, vel etiam

nostrorum de Mauris ac Muhamedicis exquirere opiniones.

calco dal Greco παραβάτης, l'epiteto che insieme ad ἀποστάτης era stato affibbiato a Giuliano dai cristiani. L'uso di questo epiteto è regolare nelle opere di Bodin, e non ho trovato esempi del medesimo uso in altri autori rinascimentali227, presso i quali prevale la forma apostata. Nella Methodus e nel

Colloquium troviamo una frase identica riferita a Giuliano: Iulianus Augustus, is qui transfuga usurpatur228, con l'uso alquanto ricercato di usurpari in luogo di

vocari, appellari, nominari. Su questa ricorrenza, particolarmente utile per

comprendere il modo in cui Bodin lavorava, torneremo più avanti229.

I roghi dell'inquisizione vengono sempre designati, sia nel Colloquium che nelle altre opere, con la circonlocuzione flammae ultrices230.

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