• Non ci sono risultati.

Il numero di abitanti, l'altitudine e le realtà museali: il ruolo resistenziale

2 5 Osservazione della popolazione dal punto di vista operativo

SMO, Museo d

2.5 Il numero di abitanti, l'altitudine e le realtà museali: il ruolo resistenziale

Nel primo capitolo abbiamo accennato al concetto di museo come forma di resistenza, legandoci alla ricerca svolta in Piemonte che ha attestato il ruolo del museo come «archivio sostitutivo del patrimonio comunitario», ma anche come «una memoria attiva, un percorso didattico indispensabile per la conoscenza e la formazione delle nuove generazioni, un bene culturale che diventa prezioso e indispensabile», che è importantissimo soprattutto in contesti dove le vecchie generazioni non hanno a chi tramandare i loro saperi (Grimaldi, Porporato, 2012, 10).

La ricerca sopracitata prese in considerazione 328 musei etnografici piemontesi incrociando il numero di musei con l'altitudine dei rispettivi comuni e ricavando conferma che il numero dei musei presenti sul territorio aumenti con l'altitudine e con la diminuzione del numero di abitanti del comune (Grimaldi, Porporato, 86

2012). Nel nostro caso studio abbiamo conosciuto quindici realtà museali, e benché il numero sia molto limitato possiamo riscontrare un trend che va nella stessa direzione. Dieci dei musei studiati infatti si trovano al disopra di 500 m di altitudine, cinque sono sotto tale altezza di cui tre sopra i 300.

Proviamo però a comparare questo dato anche con il numero di abitanti ed allargare la lente d'osservazione anche sugli altri musei non legati alla minoranza slovena nella provincia di Udine presenti negli stessi comuni.


Se nei paesi fino a 500 m s.l.m. il rapporto del numero di musei sul numero di comuni è pari

86

al 6,29, nei paesi situati oltre i 800 m s.l.m. troviamo un museo ogni 2,32 comuni. (Grimaldi, Porporato, 2012, p. 8)

Tab. 2.10

Comune comuneAbitanti Paese Altitudine Abitanti Museo

Comune di Resia 1000 Stolvizza 572 150 Museo delle Genti della Val di

Resia

Stolvizza 572 150 Museo dell'arrotino

Lischiazze 525 37 Collezione 1a Guerra Mondiale

Prato (San

Giorgio) 492 423 La vecchia latteria

Prato 492 423 Ecomuseo Comune di Lusevera 625 Lusevera 328 78 Museo etnografico centro di Ricerche Culturali Comune di Tipana 596 Prosenicco 552 35 Testimonianze della civiltà contadina

Tipana 478 238 Testimonianze della civiltà

contadina Comune di Drenchia 113 Trinco 738 9 Casa rurale- Museo del territorio di Drenchia Comune di

Stregna 341 Tribil Superiore 640 63 Museo storico Balus

Gnidovizza 582 33 Collezione di Elio Qualizza- Kalut Comune di

Savogna 235 Masseris 760 57 La bottega del fabbro

Masseris 760 57 Il museo del Matajur

Vartacia

(Tercimonte) 650 34 Collezione di Rastrelli

Comune di

Pulfero 184 Montefosca 725 52

Museo dei blumari e del paese

Biacis 179 86 Casa Raccaro

Comune di

Grimacco 334 Clodig 280 49 Museo Ruttar

Comune di San Pietro al Natisone 2134 San Pietro al Natisone 175 2171 Slovensko multimedialno okno

Su 19 musei 11 sono sorti in paesi sopra i 500 metri d'altitudine. Anche il numero degli abitanti dei paesi dove sorgono i musei non può lasciarci indifferenti: tranne i due musei di Stolvizza con 150 abitanti, tutti gli altri musei si trovano in paesi con meno di 70 abitanti. Di questi nove paesi quattro hanno tra i 50 – 65 abitanti, quattro tra i 30 – 40, mentre a Trinco sono registrati solo nove abitanti.

Da questi dati e dalle testimonianze raccolte sul campo possiamo dedurre che anche nel nostro caso studio, similmente al caso studiato in Piemonte, il fenomeno del collezionismo e della nascita dei musei sia legato allo svanire di una comunità, al fatto che la comunità percepisca la propria cultura in grave pericolo e decida di salvarla dall'oblio mettendola al sicuro in una collezione, in un museo. Avendo approfondito le storie di ciascuna realtà, possiamo dire che nascono tutte dal desiderio di individui o comunità locali di preservare il proprio patrimonio, di metterlo a sicuro. Sono poi le future evoluzioni - se sono passate in gestione a comuni oppure se le associazioni abbiano saputo creare posti di lavoro, a determinare gli altri ruoli che i musei svolgono oggi. Certo è che né il progetto Zborzbirk né Mi Smo Tu non portarono ai proprietari nessun profitto economico e parliamo di realtà no profit. Quasi sicuramente ciò non basterà a mantenere il contesto culturale e il patrimonio comunitario vivi, tranne se le associazioni non sapranno creare dal museo un luogo d'incontro e di riscoperta delle tradizioni, da cui trarre i saperi per reinventare il proprio essere comunità, ma anche dare un nuovo inizio all'economia locale. Si tratta però di meccanismi che non vengono da se, ma sono frutto di una pianificazione attenta, azioni mirate da parte dei gestori museali ma anche degli enti locali che li possono implementare.

Abbiamo inoltre menzionato il concetto di 'resistance identity' del sociologo catalano Manuel Castells (Giménez- Cassina, 2010, 28-29), che si sviluppa 87

nei gruppi che si percepiscono come stigmatizzati o in una posizione peggiore nella società. La studiosa Mojca Ravnik, che ha indagato sull'importanza della cultura tradizionale per l'autorealizzazione personale degli sloveni nella

Castells M., (1997),La Era de la Información vol.2 El Poder de la Identidad, Blackwell

87

provincia di Udine, inserì il collezionismo tra le attività che aiutano questi individui a realizzarsi attraverso linguaggi non scritti, affermando così la propria identità comunitaria non necessariamente però legandosi ad una identità nazionale . Secondo lei infatti gli oggetti aiutavano gli individui a definire la loro 88

appartenenza culturale evitando così di esprimerla a parole definendo la propria appartenenza nazionale. Se questo può essere vero per numerosi collezionisti e soprattutto appassionati della cultura tradizionale, gli individui che gestiscono le collezioni e i musei che abbiamo interpellato, hanno dichiarato una presa di posizione politica che non possiamo ignorare. Le testimonianze raccolte sul campo (vedi soprattutto le interviste a Ezio Qualizza, Luigia Negro, Mara Palletti, Signor Balus) affermano che gli operatori si definiscono parte della minoranza slovena, ma allo stesso tempo rivelano fino a che punto nei luoghi dove questi musei operano ci sia ancora una distinzione tra il “noi” e “loro”, tra chi si considera membro della minoranza slovena e viene perciò stigmatizzato e chi no. Ezio Qualizza ad esempio racconta che a Gnidovizza (Comune di Stregna) fanno «due falò- uno in sloveno uno in italiano», come pure in occasione del Burnjak, festa delle castagne, a Tarbij superiore si svolgono contemporaneamente due iniziative essendo «la Polisportiva pro, la Pro Loco del comune» invece «contro lo sloveno». Sintomatico è il caso di Resia dove i musei non sono visibili a livello comunale perché non allineati con la politica comunale. Possiamo dire che i musei rappresentino quasi delle roccaforti, delle “istituzioni” che svolgono un'opposizione attiva e rappresentino così il pensiero anche di altri cittadini resiani che riconoscono che il loro dialetto faccia parte dei dialetti della lingua slovena.

Se fino agli anni '90 questa resistenza era rivolta verso un identità che potremmo definire strettamente locale, dall'indipendenza della Slovenia nel 1991, poi la sua entrata in Unione Europea nel 2004 e in area Schengen nel 2007, come pure con la legge di tutela 38/2001 che ha definito ufficialmente le popolazioni autoctone della Provincia di Udine come membri della minoranza slovena in Italia, anche il modo di concepire la propria identità è cambiato.

Per il contesto del nostro caso studio il senso d'appartenenza ad un'identità nazionale va

88

Potremmo dire che una presa di coscienza è potuta maturare in questi anni grazie al lento sgretolarsi di molti stereotipi, alla demilitarizzazione della zona, ma anche grazie ai benefici materiali della legge di tutela 38/2001 ed alcuni progetti interregionali europei. Ciononostante però capita anche di incontrare dei casi di chi ga fa buon gioco delle molteplicità identitarie e nazionali provocando delle reazioni risentite: perché «o se l'uno o sei l'altro», altrimenti sfrutti l'una o l'altra identità, «perché qua un giorno sono uno un giorno l'altro, come gli fa comodo«» . I musei del nostro caso studio vengono concepiti 89

generalmente come musei legati alla minoranza slovena anche perché hanno fatto e fanno ancora parte di progetti di cui capofila sono istituzioni slovene. Che il ruolo di questi musei sia anche resistenziale viene rafforzato dalle testimonianze sul campo che esprimono la necessità di creare una rete nell'ambito della minoranza, per «non dipendere da nessuno». Ciò appare più chiaro dopo aver approfondito le difficoltà con alcune giunte comunali. Interessante poi che gli stessi operatori abbiano cercato di trovare delle direttive che rispecchiassero la specifica dei musi minoritari. Infatti Luigia Negro (nell’intervista allegata al Dossier Museo delle Genti della Val Resia) racconta: «Noi siamo anche un museo che fa parte della minoranza slovena, alla riunione che abbiamo avuto io, Marina, Devan Jagodic con il presidente dell'ICOM Italia e mondiale e gli ho chiesto se nell'ambito delle loro attività ICOM ha dei piani per i musei che rispecchiano delle minoranze linguistiche. Ha detto di no, mi ha dato il biglietto da visita e ha detto - no, fai tu una proposta. Io non posso farlo, ho troppe cose di cui occuparmi: vedi, faccio tutto dalle pulizie alle riunioni con il presidente dell'ICOM, o altri impegni istituzionali. Qua siamo tuttologi».

In sintesi

Riassumendo i dati per il nostro caso studio due musei si trovano ad un'altitudine inferiore ai 300 m, tre realtà si trovano ad un altitudine tra i 300 e 500 m, mentre ben dieci realtà si trovano sopra i 500 m d’altitudine, tra queste

Testimonianza raccolta a Tribil Superiore, per approfondire vedi il dossier museale del

89

quattro sono sopra i 700 m d’altitudine. Se si incrociano questi dati con il numero di abitanti per i musei sopra i 500 m d’altitudine, solamente due musei operano in paesi con più di 100 abitanti (150 secondo i dati ISTAT, 100 secondo gli abitanti locali). In otto paesi dove operano i musei gli abitanti sono meno di 70; in tre casi i musei studiati operano in paesi con addirittura tra i 30 e i 40 abitanti; in un caso gli abitanti registrati dall’ISTAT sono 9, secondo gli abitanti locali vi vivono 3 persone.

Ecco che il fenomeno di collezionare e di creare dei “magazzini”, dei luoghi dove custodire il patrimonio culturale locale appare una strategia utile e comprensibile se si immagina il senso di dissoluzione che queste comunità stanno vivendo. Ben dieci realtà, cioè due terzi dei casi affrontati, operano sopra i 500 m d’altitudine. Quattro realtà, quasi un terzo, operano sopra i 700 m d’altitudine in paesi dai 9 ai 57 abitanti. Se poi si conoscono le problematiche legate alle definizioni di appartenenza culturale il termine “resistenza” acquisisce anche altre connotazioni. Una parte delle popolazioni locali infatti non riconosce la lingua locale come un dialetto della lingua slovena e nega dunque anche l’appartenenza alla minoranza slovena, miticizzando le proprie origini. Sono questi i risultati di traumi storici iniziati con l’annessione al Regno d’Italia nel 1866 durati fino la caduta della cortina di ferro.

La specificità legata al ruolo resistenziale dei musei in questo quadro storico, sociologico e d’identità culturale sarebbe sicuramente da approfondire. Per adesso possiamo dire che anche nella provincia di Udine il fenomeno della sparizione di una comunità, della lenta morte di un paese, può essere legata alla nascita di musei di interesse etnografico, che rimangono a testimoniare la vita che non c’è più.


3. I dossier dei musei demoetnoantropologici della