3 10 Dossier Collezione di Elio Qualizza
4. La popolazione come network museale
4.1. Perché parlare di rete?
Nella prima fase abbiamo studiato e approfondito ogni singola realtà museale per poter poi osservare la popolazione museale nel suo insieme, osservando il significato dei musei nei contesti in cui operano, definendone le caratteristiche tipologiche, operative e gestionali. Dall'osservazione risulta chiaro che le entità difficilmente potrebbero sopravvivere e svolgere la propria mission di valorizzazione e tutela del patrimonio culturale isolatamente, mantenendo una completa autonomia, tant'è che già negli anni passati hanno iniziato a collaborare in occasione di progetti europei e regionali. Dalle interviste svolte sul campo ai responsabili è trapelata la necessità e il desiderio di far rete. Hanno infatti percepito che collaborare per i piccoli musei si dimostra spesso fondamentale per poter assicurare l'apertura e il funzionamento del museo, per garantire in altre parole «il servizio pubblico (se di natura pubblica) o il servizio privato di utilità sociale (se di natura privata), tutelando e valorizzando i beni in esso contenuti» (Cataldo 2014, 44). Lavorare in rete permette infatti di condividere risorse umane, strumentali e finanziarie, permettendo così di migliorare la qualità, ampliare l'attività e la visione del proprio ruolo (Cataldo 2014). Possiamo dire dunque che i piccoli musei trovano in forme di cooperazione «una ragion d'essere più forte dalla semplice messa in atto di un'immagine coordinata» (Cataldo 2014, 12). Se consideriamo le evoluzioni museali degli ultimi decenni, si tratta di musei creati dal basso, musei che legano le comunità al loro passato, ma anche al proprio territorio, offrendo spunti per lo sviluppo economico, dobbiamo concludere che la rete o il sistema museale sono una «conseguenza necessaria di tali peculiarità» (Cataldo, 2014, 12).
Che il network sia diventato la forma organizzativa e gestionale più consone al museo post-moderno per raggiungere migliori risultati in termini di efficacia ed
efficienza, ma anche per risolvere altri problemi organizzativi e produttivi (Montella 2014, 634) è stato notato anche dagli addetti ai lavori, gli enti responsabili per il patrimonio culturale nella Regione FVG. La legge regionale
23/2015 dedicata ai Beni culturali, storici ed artistici prevede che per far parte
del Sistema museale regionali i musei privati «singolarmente o aggregati in reti» siano in possesso «degli standard minimi previsti dai livelli uniformi di qualità per musei, necessari per essere accreditati al Sistema museale» (Art. 5.2, l. r. 23/2015). Le reti che risultano essere in possesso «di una serie di requisiti individuati nell'ambito degli obiettivi di miglioramento previsti dai livelli uniformi di qualità per i musei » (Art. 8.1, l. r. 23/2015), spesso difficilmente 122
raggiungibili per le realtà del nostro caso studio, potranno essere riconosciute come Reti museali a rilevanza regionale. Tale riconoscimento sarà la «condizione essenziale ai fini dell'accesso ai finanziamenti previsti per il settore museale» (Art. 8.3, l.r. 23/2015). É chiaro che la Regione cerca di incentivare le collaborazioni reticolari tra i piccoli musei, purtroppo però la legge ad oggi non è stata ancora corredata dei decreti attuativi il che ostacola gli sviluppi in questo senso.
Oltre alle relazioni tra le diverse realtà museali, altrettanto importanti risultano essere le collaborazioni con altri fattori territoriali. Pur non concentrando la n o s t r a r i c e r c a s u q u e s t i a s p e t t i , a b b i a m o p a r l a t o d e i m u s e i demoetnoantropolgici per uno sviluppo locale nel primo capitolo. Ogni impresa, anche culturale infatti, vive immersa in un ambiente che non è solo fonte di minacce e opportunità, ma anche fonte di risorse, competenze e attori che «possono essere attivati per cercare di realizzare obiettivi strategici» tramite modalità collaborative di coproduzione (Tamma, 2017). Approfondiamo dunque ancora alcuni termini metodologici spesso incontrati nella letteratura sulle reti museali per i quali gli studiosi non sembrano aver ancora trovato accordo sulle differenze formali tra i diversi tipi di associazionismo museale che presenta caratteristiche così diverse.
Fin'ora abbiamo parlato di 'reti museali', un altro termine spesso incontrato è
“di ui all'allegato al decreto del Ministro dei beni culturali e delle attività culturali e del turismo
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'sistema museale'. In tal senso è però interessante accostare a questi due concetti il termine di 'distretto culturale evoluto'. Lucia Cataldo, parafrasando Salvi (2012) , definisce i distretti culturali come «metodo di lavoro comune fra 123
enti (…) che ha come prerogativa la contaminazione creativa delle industrie, il sostegno delle filiere, la qualità della vita e quella di attirare i finanziamenti europei» (2014, 13). Trattasi in questo caso di un sistema di collaborazioni museali con le altre realtà presenti sul territorio che a differenza delle reti non assicureranno al museo l'efficacia ed efficienza operativa ma potrebbero altresì influire sulla sostenibilità del museo.
In tal senso appare significativa anche la legge regionale 10/2006 Istituzione
degli Ecomusei del Friuli Venezia Giulia che definisce 'ecomuseo' «forma
museale mirante a conservare, comunicare e rinnovare i caratteri di una comunità» precisando che «consiste in un progetto integrato di tutela e valorizzazione di un territorio geograficamente, socialmente ed economicamente omogeneo che produce e contiene paesaggi, risorse naturali ed elementi patrimoniali, materiali e immateriali» (Art. 1.2, 10/2006). Tra le finalità, al primo posto troviamo «rafforzare il senso di appartenenza e delle identità locali attraverso il recupero e la riproposizione in chiave dinamico- evolutiva delle radici storiche e culturali delle comunità». Possiamo notare che la definizione dell'ecomuseo in questo caso si avvicina molto a quella di distretto culturale evoluto, distanziandosi dall'idea originale di Georges Henri Rivière e Hugues de Varine, per i quali il museo con l'aggiunta del prefisso 'eco-' stava ad indicare una realtà che valorizza e tutela l'interezza del patrimonio materiale e immateriale presente nell'ambiente in cui il museo è inserito, una realtà gestita dalla comunità locale attraverso meccanismi democratici per promuovere il suo sviluppo, rimanendo così reattiva ai cambiamenti del proprio contesto. Possiamo dire che benché alcune delle realtà museali da noi studiate si operino in tal senso, la legislazione attuale non prevede incentivazioni per chi non è inserito in una realtà ecomuseale. La nostra rete non può considerarsi appartenente ad «un territorio
D. Salvi, Il distretto culturale evoluto delle Marche, in Prisma. Economia, Società, Lavoro –
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geograficamente, socialmente ed economicamente omogeneo». L'elemento che li lega è l'appartenenza etnica e linguistica ad una stessa minoranza che è spesso discriminata dalla politica sociale. L'esempio più eclatante è l'Ecomuseo Val Resia che benché operi sullo stesso territorio di due delle realtà museali studiate, non include tali realtà tra le proprie attività e neanche offre loro visibilità. Tale discriminazione è la conseguenza delle polemiche anti-slovene nate nel 2003 e che hanno coinvolto anche gli operatori museali locali. Anche l'attività del Istituto per la cultura slovena è indirizzata verso un attività ecomuseale, impegnandosi per uno sviluppo e una promozione congiunta del territorio, non limitandosi prettamente all'attività di tutela e valorizzazione. Se consideriamo la legislazione regionale riguardante gli ecomusei per adesso, anche diventando rete gestionale le realtà del nostro caso studio non potranno svilupparsi in termini ecomuseali.
L'importanza del patrimonio culturale come promotore per lo sviluppo locale è cosa ben nota. Il patrimonio culturale può infatti essere un'importante fonte per la creazione di un nuovo valore, di nuovi prodotti culturali e non puramente culturali. Il patrimonio culturale è e sarà sempre più considerato una fonte importante nell'epoca in cui 'l'economia della conoscenza' sta acquisendo un significato via via maggiore. Creare un'economia a partire dai contenuti culturali non significa però incentivare e sviluppare solo turismo, ma trattasi di uno sviluppo economico generale, che assicuri alle piccole realtà montane, che hanno subito gravi cali demografici, un futuro sostenibile. Non possiamo infatti parlare di sostenibilità di un museo demoetnoantropoligico e di vera tutela dei beni che questo custodisce, se non pensiamo al sostentamento della comunità che il museo rappresenta. Altresì dobbiamo ricordarci che ciò che è l'economia locale di oggi, rappresenterà il patrimonio culturale del museo di domani (Cataldo 2014). La cultura se vuole essere viva e feconda dev'essere riprodotta. Perché ciò accada il presupposto è che vi sia una comunità che in questi oggetti e significati si ritrova. O che almeno produca gli oggetti che formeranno il museo di domani.
La sostenibilità può certo significare un equilibrio economico finanziario basato sui parametri di efficacia ed efficienza, ma possiamo parlare di salvaguardia e
valorizzazione del patrimonio culturale solo quando abbiamo garantito le condizioni perché questo possa alimentarsi nel tempo, svilupparsi avendo a disposizione le risorse necessarie (Tamma 2015). Ecco dunque che la sostenibilità va intesa anche come «qualità di uno sviluppo che garantisce sotto l'aspetto economico, sociale, ambientale, i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri almeno nella stessa misura» (Tamma 2015).
La prima frase del primo articolo della legge regionale 23/2015 detta che «la Regione, al fine di preservare la memoria collettiva delle proprie singole comunità territoriali, riconosce la valorizzazione della cultura quale obbiettivo fondamentale della propria azione di governo e fattore strategico dello sviluppo della comunità». Ecco dunque che la parola 'valorizzazione' acquisisce realmente la connotazione di mettere a valore, creare valore, che ben sappiamo essere la fonte di ogni prodotto competitivo.
Potremmo dire che essere un museo demoetnoantropologico non è mai stato più difficile e promettente. Tantissime sono infatti le opportunità e le possibilità, come ha detto qualche operatore museale, fin troppe. Il problema sta nel realizzarle, trovare risorse finanziarie ma anche umane, che permettano la realizzazione di piani strategici duraturi e integrati. Ecco dunque che fare rete diventa non solo a causa della legislazione regionale una necessità percepita dalle persone che operano e vivono le realtà museali, che vogliono battersi per un loro sviluppo e per lo sviluppo della loro comunità.
Nel seguente capitolo verificheremo dunque il livello di integrazione tra le realtà museali legate alla minoranza slovena nella provincia di Udine. Per fare ciò proponiamo dapprima un frame metodologico che abbiamo costruito pensando al racconto del nostro caso museale.