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Una nuova luce sul corpo vivente

Capitolo II Il modello ecologico

1. Una nuova luce sul corpo vivente

Nel “lessico della ripetizione” abbiamo approfondito alcune delle principali declinazioni del concetto di coazione a ripetere riconducendone le varie manifestazioni ad un irrigidimento organico, un’autopoiesi limitante che impone una resistenza biologica all’innovazione esistenziale. Abbiamo evidenziato il carattere in-formativo di alcuni tra i più significativi vissuti relazionali in ambito familiare, nonché del proprio contesto di appartenenza; gli effetti restrittivi sull’autorganizzazione e la capacità di movimento del corpo umano che l’incontro con talune esperienze destabilizzanti può causare. L’assunto dal quale prendiamo le mosse è l’esistenza di un istinto difensivo che, per gestire il caos energetico scatenato da un impatto traumatico, oppure dall’incontro con il ripetersi di esperienze spiacevoli caratterizzate da un analogo marchio relazionale, ciberneticamente inibisce l’innata vitalità corporea, ingabbiandola all’interno di schemi biomeccanici scarsamente flessibili e autoconservativi alla base della ritualità patologica.

237 Shusterman R., Estetica pragmatista, Aesthetica Edizioni, Palermo, 2010, p.234.

I processi innescati da questo impulso reattivo possono essere paragonati a una sorta di oblio

attivo, di rimozione operante, una riorganizzazione sistemica autolimitante finalizzata al costante

adombramento percettivo delle intime ripercussioni di significative esperienze scuotenti: una strategia organica di adattamento che se da un lato mantiene fuori dal campo di coscienza i contenuti empirici spiacevoli, dall’altro forma la spinta corporea di riattivazione inconsapevole dei vissuti formativi originari. Una plasmazione riprogrammante che incastra il dispositivo somatico indirizzandolo verso la continua riattivazione dei segni operativi lasciati dal contatto con determinati significanti. Una sorta di rimozione proiettiva, un kierkegaardiano ricordare in avanti inconsapevole e somaticamente obbligato le impressioni del proprio passato relazionale, rilegati a una specie di sortilegio esistenziale paragonabile a uno stato di incantamento239 in cui siamo

ripetutamente attratti da un predeterminato campo seduttivo, ma non abbiamo coscienza delle forze ammaliatrici in atto, rimanendo invischiati nel moto ondoso di uno stato inerziale.

La questione della dimenticanza corporea, considerata in diverse accezioni, è uno tra i nuclei concettuali fondativi della Somaestetica di R. Shusterman. Tale recente proposta disciplinare, infatti, intende intervenire su almeno due forme di “oblio”: sul piano concettuale, la lunga rimozione della concretezza materica del corpo vivente dall’indagine umanistica; sul piano concreto dell’esistenza individuale, l’inconsapevolezza dell’origine sistemico-organica delle nostre più intime motivazioni esistenziali.

In merito alla prima forma di dimenticanza somatica Shusterman sottolinea come per lungo tempo ampi settori delle humanities abbiano ignorato il corpo in carne ed ossa, l’effettività somatica, in favore di un’indagine incentrata prevalentemente sull’analisi delle attività astrattamente mentali, delle più importanti e specifiche facoltà umane considerate indipendentemente dalle condizioni biologiche del loro funzionamento. Esempi paradigmatici di tale approccio epistemologico sono la riflessione sulla dimensione soggettiva della psiche e della coscienza, uno tra i principali filoni teorici della filosofia moderna, e in tempi più recenti la cosiddetta “svolta linguistica” cui abbiamo fatto riferimento nelle pagine precedenti. «Oggi», afferma il filosofo americano, «quando la filosofia si è ridotta da globale arte di vivere a ristretto campo di discorso accademico, il corpo continua ad avere una forte presenza come astrazione teoretica»240. Shusterman evidenzia, inoltre, il fatto che le humanities abbiano spesso trattato il

239 Cfr. Vizzardelli S., op. cit., p.79.

fisico con un approccio strumentalistico, nei termini di un mezzo destinato ad obbedire alle funzioni superiori dell’anima, ai comandi imposti dall’alto, caratterizzandolo tendenzialmente a partire da una connotazione di inferiorità, di subordinazione ad attività ritenute più nobili ed elevate. Il filosofo americano rintraccia tale considerazione in diversi autori, come per esempio Rousseau, e la fa risalire alla filosofia greca antica, in cui trova fondamento una linea di pensiero che attraversa la tradizione cristiana e continua nella modernità241. Egli ritiene che la riflessione umanistica abbia

dato spesso per scontato il corpo, non ne abbia approfondito l’essenziale ruolo per il complesso delle attività antropiche, e reputa opportuno suggerire un nuovo indirizzo a tale atteggiamento speculativo. Considerato, infatti, che le humanities si occupano della condizione umana e del suo perfezionamento, e che il corpo è il dispositivo biologico essenziale, la condizione sostanziale e universale dell’umanità, risulta evidente la necessità di una rinnovata ricerca sulla dimensione somatica. In tal senso l’obbiettivo primario della recente proposta disciplinare di Shusterman è proprio quello di rispondere a tale urgenza, fornendo un originale quadro filosofico in grado di dare rinnovata dignità teorico-pratica all’organismo a partire dal presupposto che «la connessione corpo- mente è così pervasivamente intima che pare ingannevole parlare di corpo e mente come due entità differenti, indipendenti»242.

Uno degli aspetti a nostro avviso più interessanti della Somaestetica consiste nel rintracciare le effettive ricadute nella quotidianità tangibile del paradigma umanistico criticato, ritrovandolo diffusamente all’opera nell’immediatezza pratica degli uomini contemporanei. La società in cui viviamo, infatti, è caratterizzata da un’attenzione spasmodica all’esteriorità dei corpi, intesa sia in riferimento all’idolatria della dimensione rappresentazionale dell’apparire, dell’aspetto esterno, sia in riferimento al culto della loro capacità produttiva, della performance, della fitness. La nostra cultura è tutt’ora ampiamente segnata dalla secolare scissione mente-corpo e conduce ad assumere un atteggiamento meccanicistico rispetto al soma, spinge a considerare il fisico alla stregua di un semplice strumento di cui servirsi per i propri fini, razionalmente governabile. Mantiene vivo l’interesse sulla dimensione dell’avere un corpo, piuttosto che su quella dell’essere il proprio corpo, del possedere una macchina somatica, piuttosto che dell’esistere come organismo umano. Le persone normalmente conservano un rapporto di immediatezza utilitaristica con il loro organismo, tralasciandone la cura costante, l’esplorazione attenta, ignorandone così l’importanza fondamentale

241 Cfr. Shusterman R., Thinking through the body, op. cit., Cap.1. 242 Ivi., p.27 (traduzione di Francesco Bari).

per la loro individualità e la propria condotta. La scarsa o pressoché totale mancanza di consapevolezza somaestetica, allora, può rendere gli uomini complici inesperti di scelte e pratiche di cui non sono pienamente padroni, dimentichi dell’origine organica delle loro più profonde motivazioni vitali. Rifacendosi a R. W. Emerson e H. D. Thoreau, Shusterman paragona questa condizione comune ad uno stato di sonnolenza, alla situazione in cui vivono i dormienti, coloro i quali ristagnano in una dimensione di perenne anestesia, ignorano se stessi, non hanno cognizione di ciò che sono, del corpo che sono e di tutti i segni operativi eteroindotti che vi sono stati impressi, il complesso delle abitudini somatiche che di fatto regolano le loro esistenze, introiettate dall’ambito sociale di riferimento e sviluppate nel corso delle dinamiche relazionali della storia personale. La sonnolenza, quindi, come metafora della vita inesplorata, non esaminata, immagine onirica di un’esistenza intorpidita di cui non si è mai interamente autori autentici. La confusione

delle matrici organiche significanti che impronta la biografia delle persone comuni, di coloro i

quali, come li intende Emerson, se dovessero improvvisamente svegliarsi lungo il loro procedere ad occhi socchiusi si ritroverebbero spaesati, sperduti, a interrogarsi su chi siano veramente e su come abbiano fatto ad arrivare fin lì.

Secondo Shusterman il risveglio personale da tale assopimento esistenziale non può che scaturire da un processo attivo di esplorazione ed evoluzione costante della propria condizione fisica: «se aspiriamo a migliorare le nostre vite […] un’importante strada da seguire dovrebbe essere quella di sviluppare la comprensione e la padronanza dei nostri corpi»243. A tal proposito, il contributo più originale del filosofo americano all’estetica è la promozione di una serie di concrete discipline di evoluzione somatica capaci di stimolare la propriocezione individuale e disinnescare quanto più possibile le varie condotte esistenziali inautentiche, così come le abitudini disfunzionali all’origine di possibili sofferenze e limitazioni della libertà personale, le dinamiche sistemiche di reiterazione patologica.

Uno degli obiettivi primari della Somaestetica è arricchire la ricerca filosofica proponendo un articolato risveglio del corpo vivente, rischiarando con una nuova luce l’organismo umano pulsante sia sul piano della riflessione umanistica che su quello della concreta evoluzione personale, in un produttivo cortocircuito pragmatico tra teoria e prassi.

243 Ivi, p.X (traduzione Francesco Bari)

Imprimere una svolta somatica alla ricerca umanistica contemporanea, a partire dall’idea di

filosofia come arte corporea di vivere.