• Non ci sono risultati.

Nuove prospettive politiche: l’attivismo per i diritti uman

La riorganizzazione dell’attivismo politico

4.3 Nuove prospettive politiche: l’attivismo per i diritti uman

4.3.1 La fondazione di İnsan Hakları Derneği

Uno degli ambiti principali di ridefinizione dell’attivismo in seguito al colpo di stato del 12 settembre fu quello dei diritti umani. In una rilettura a posteriori della propria esperienza politica, Esra Koç, ex militante dell’organizzazione Kurtuluş, descrive così la sua adesione alle organizzazioni e alla lotta per i diritti dell’uomo in senso democratico:

Negli anni ’80 continuavano ad esistere anche le organizzazioni illegali, ma noi volevamo portare avanti la lotta per i diritti umani, la libertà d’espressione, di pensiero. Poi dopo venivano le lotte legate ai diritti economico-sociali. Nel momento in cui vengono violati i diritti di primo grado, questi non possono rimanere ad aspettare quelli di secondo e di terzo. Hanno priorità. In quel periodo le altre richieste politiche non erano così urgenti. Per esempio, in İHD c’erano anche piccoli sottogruppi per bambini, per l’educazione, per i diritti ambientali, ma prima di tutto lottavamo per il diritto alla vita e il diritto a un processo imparziale. Ci battevamo per il miglioramento delle condizioni carcerarie. C’erano scioperi della fame, non davano da mangiare ai detenuti, li opprimevano, ti torturavano. È successo ad alcune famiglie di venire a sapere che il proprio figlio era morto in carcere dopo mesi che non ottenevano una risposta. C’erano altri gruppi che lavoravano e si battevano per questioni più politiche in senso classico, da un punto di vista economico. No, per noi le priorità erano altre. Prima di tutto c’era il diritto alla vita (Esra Koç).

La scala delle priorità nell’agenda politica rispetto alle condizioni di sospensione del diritto sia durante la legge marziale che negli anni che seguirono il ritorno alle elezioni rappresenta nella quasi totalità delle analisi la ragione prima che indusse all’impegno nella causa per i diritti umani. In questo senso, l’attivismo volto alla denuncia del mancato rispetto dei diritti fondamentali viene interpretato come una necessità derivante dal carico di violenza prodotto dalla repressione. Sono in particolare le condizioni delle carceri, dove si moltiplicarono i casi di tortura, morte e sparizione in situazioni “sospette” a rappresentare la motivazione prima del ruolo centrale assunto dal dibattito e dall’attivismo per i diritti dell’uomo. A partire dal 1981 l’impossibilità di denunciare in altri modi da parte dei detenuti politici la disumanità delle condizioni detentive nelle carceri diede avvio alle azioni di sciopero della fame, che divennero una forma di protesta ampiamente utilizzata anche nei decenni a seguire e che

portò alla morte di numerosi prigionieri195. Le voci dal carcere si legarono allo stesso tempo

alle azioni di denuncia di coloro che erano rimasti fuori196, che vennero inizialmente

strutturate a partire dai circuiti direttamente legati alla prigionia politica – familiari, amicali, o collegati alla lotta rivoluzionaria – e dunque maggiormente coscienti dei trattamenti che subivano. Questo profilo dell’attivismo è chiaramente costatabile nei comitati di fondazione delle associazioni, che negli anni ’80 cominciarono a occuparsi dei diritti umani e della denuncia delle loro violazioni. Dai percorsi biografici l’impegno degli intellettuali che preso parte alla ridefinizione delle formule di attivismo per i diritti umani risulta, infatti, connessa ad alcuni fattori che ne condizionarono la partecipazione: la vicinanza con alcuni dei detenuti che militavano nelle fila delle stesse organizzazioni politiche negli anni precedenti; l’esperienza diretta della detenzione e della tortura vissuta in prima persona durante gli altri interventi militari; l’alto grado di politicizzazione della loro formazione; la possibilità attraverso contatti informali di conoscere e tracciare le condizioni dei soprusi che venivano negate dalle autorità. Questo tipo di esperienza biografica portò molti intellettuali a avvicinarsi alla questione dei diritti dell’uomo e a coordinarne il dibattito in azioni di protesta, comunicati e associazioni che si occupavano della denuncia delle violazioni.

195 Subito dopo il colpo di stato iniziarono nel carcere di Diyarbakır gli scioperi della fame e della sete volti

alla denuncia delle pratiche di tortura e della totale assenza dei diritti umani. La prima ondata di sciperi portò alla morte di cinque detenuti. Tra aprile 1981 e settembre 1982 morirono nella protesta Ali Erek (per nutrimento forzato), Kemal Pir, Hayri Durmuş, Akif Yılmaz e Ali Çiçek. Sempre nella stessa prigione nel 1984 persero la vita Orhan Keskin e Cemal Arat dopo cinquantaquattro giorni di sciopero. Durante lo stesso anno nella prigione di Sağmalcılar (Istanbul), iniziarono lo sciopero fino alla morte Abdullah Meral, Fatih Öktülmüş, Haydar Başbağ, Hasan Telci. Nel febbraio 1988, sempre nel carcere di Diyarbakır, perse la vita Mehmet Emin Yavuz. Nel 1989 con la stessa formula di protesta morirono Hüsnü Eroğlu e Mehmet Yalçınkaya, detenuti del carcere Eskişehir. Nel 1995 si unirono allo sciopero della fame più di cinquemila detenuti da più di venti carceri. In seguito a questa protesta morirono Fesih Beyazçiçek e Remzi Altun. L’anno successivo, in una delle più grandi proteste collettive prima degli anni 2000, persero la vita dodici persone Aygün Uğur (Ümraniye), Altan Berdan Kerimgiller (Bayrampaşa), İlginç Özkeskin (Sağmalcılar), Ali Ayata (Bursa), Müjdat Yanat (Aydın), Hüseyin Demircioğlu (Ankara), Tahsin Yılmaz (Sağmalcılar), Ayçe İdil Erkmen (Çanakkale), Yemliha Kaya (Bayrampaşa), Hicabi Küçük (Bursa), Osman Akgün (Ümraniye), Hayati Can (Bursa). Vedi il rapporto decennale sulla tortura di TİHV (12 settembre 1980 – 12 settembre 1995): İşkence Dosyası-Gözaltında ya da Cezaevlerinde Ölenler (Yayın No.5). Sullo stesso argomento vedi anche “Açlık grevleri/ölüm oruçları, TTB ve son tartışmalar” in Ata Soyer (2000) Türk Tabipleri Birliği Toplum ve Hekim Dergisi, 6. Per gli anni 2000 si faccia riferimento ai dossier annuali sullo stato dei diritti umani in Turchia (İnsan Hakları Raporları) redatti per anno da TİHV.

196 Tra queste lo sciopero della fame di quarantotto ore di cinque intellettuali: Mehmet Ali Aybar, Rasih Nuri

İleri, Aziz Nesin, Emil Galip Sandalcı, Mina Urgan, iniziato il 16 agosto 1989 davanti al Pera Palas, per dare visibilità agli scioperi che stavano avvenendo nelle carceri e richiedere riforme del sistema penitenziario. A questo proposito si faccia riferimento a “Cezaevleri için destek açlık grevi”. Cumhuriyet 16 agosto 1989. Inoltre è opportuno ricordare anche le proteste portate avanti dal movimento femminista e conosciute con il nome di “Siyahlı Protesto” (Proteste in Nero) (vedi nota 225).

La prima associazione per i diritti umani che vide nelle fila dei fondatori un numeroso gruppo di intellettuali fu İHD – İnsan Hakları Derneği (Associazione dei Diritti Umani). Questa associazione rappresentò uno degli esempi più indicativi delle nuove formule di impegno politico197. Fondata il 17 luglio 1986, İHD si costituì come un collettivo formato

da novantotto membri, tra cui parenti di detenuti politici, intellettuali, accademici, avvocati e giornalisti influenti nell’opinione pubblica sia in Turchia che a livello internazionale. Hüsnü Öndül, avvocato specialista nei processi politici dei rivoluzionari, fondatore di İHD e presidente generale dell’associazione dal 1999 al 2008, racconta in questo modo la fondazione del progetto:

Quello che durante gli anni ’70 avevo vissuto da studente, negli anni ’80 cominciai a viverlo da avvocato, durante gli anni della giunta militare. Pensavamo: “C’è la legge marziale. C’è stato il massacro di Kahramanmaraş198 e i rivoluzionari hanno bisogno di avvocati”. Nell’84

dopo la morte di uno scioperante a Diyarbakir, otto donne curde vennero a Ankara nel nostro ufficio. Solo una di loro parlava turco. Naturalmente durante questo periodo denunciavo le

197 La prima associazione dei diritti umani in Turchia venne fondata nel 1946, in risposta all’appello lanciato

dalla Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite di istituire, nei vari paesi, organizzazioni su questo tema. Tuttavia l’associazione venne bandita dopo pochi mesi con l’accusa di avere ‘tendenze di sinistra’ (Plageman 2000). Altro tentativo venne fatto nel 1962 per mano dell’allora presidente del TİP Mehmet Ali Aybar, ma anche in questo caso l’esperienza finì dopo pochissimo tempo. Per un approfondimento

sull’approccio teorico di Aybar sulla questione dei diritti umani, vedi Durmuş Hocaoğlu (1992) “Mehmet Ali Aybar İle Mülâkat: İnsan, İnsan Hakları ve Sosyalizm”. Yeni Toplum, 2, 44-53. Alla fine degli anni ’60 inoltre, Amnesty International cominciò una campagna contro gli abusi ai diritti umani in Turchia. Alla fine degli anni ’70, l’organizzazione riuscì a stabilire una succursale nel paese (Amnesty Turkey, in turco Uluslararası Af Örgütü), a cui parteciparono personalità conosciute nell’ambito della sinistra e della cultura, tra cui Ömer Madra, che ne divenne segretario generale. Di lì a poco, col colpo di stato del 1980,

l’associazione venne però bandita. Nel 1995 la branca di Amnesty International in Turchia venne riaperta. Tuttavia questa nuova esperienza non si poneva in linea di continuità con quella precedente ma ne rappresentò una nuova formula.

198 Tra il 19 e il 26 dicembre 1978 si consumò uno degli eventi più tragici della storia della Turchia: il

massacro di Kahramanmaraş (città al sud-est del paese). Gli eventi vennero innescati da un attacco

dinamitardo in un cinema frequentato principalmente da nazionalisti. Interpretato come un attacco alla destra, il giorno successivo scoppiò bomba in un caffè di un quartiere a larga maggioranza alevita le cui posizioni di sinistra erano note. A questi eventi seguì l’uccisione di due insegnanti e attacchi durante il loro funerale. Il 23 dello stesso mese gli eventi assunsero le dimensioni di un pogrom ai danni della popolazione alevita in cui secondo le stime ufficiali vennero uccisi 111 civili e furono centinaia i feriti. Vennero inoltre attaccati edifici dei quartieri aleviti e organizzazioni, associazioni e sedi dei partiti di sinistra per un totale di 210 case e 70 uffici. Vennero aperti processi per 804 persone, 29 furono le condanne a morte, 7 all’ergastolo e 321 persone vennero condannate al carcere da uno a ventiquattro anni. Tuttavia, in seguito agli emendamenti del 1991, gli imputati vennero rilasciati. La ricostruzione degli eventi, che secondo la popolazione alevita erano

riconducibili alle frange fasciste con la partecipazione dei servizi segreti e il tacito accordo dello Stato, ha subito un’operazione di oblio nella memoria nazionale. La grande maggioranza della popolazione di alevita lasciò la città dopo gli incidenti. Vedi “Maraş Katliamında Neler Olmuştu?”. Bianet URL

morti nelle carceri e per questo motivo avevo intessuto rapporti molto stretti con i parenti dei detenuti. Da qui veniamo poi all’associazione per i diritti umani. Il dibattito che si era aperto era intensissimo. L’incontro durante il quale è stato scelto il nome di İHD si svolse a Kızılay [Ankara] in una compagnia chiamata Ekin-BİLAR. Aziz Nesin era un intellettuale piuttosto influente in quel periodo. Ma che tipo di associazione avremmo dovuto fondare? Sarebbe dovuta essere un’associazione per i diritti dei detenuti o per la difesa e la salvaguardia dei diritti umani? Decidemmo per la seconda. La costituzione dell’associazione fu abbastanza lunga. In quel periodo, dal momento che l’associazionismo era vietato, era necessario fondare associazioni che rendessero servizio a uno scopo specifico199. Ma era lo Stato che interpretava

questo “rendere servizio a uno scopo specifico”. In ogni modo, accordandoci sulla regolamentazione, avevamo acquisito personalità giuridica e decidemmo il comitato di fondazione. Io anche ero tra queste persone e ci riunimmo per scrivere l’atto costitutivo, che poi rimase valido per i successivi trentun anni: “l’unico e specifico scopo dell’associazione (per strizzare un occhio allo Stato) è quello di perseguire studi e lavori riguardo la salvaguardia dei diritti e delle libertà umane”200. Però in generale non credo che i fondatori agissero

pensando solamente ai diritti umani (Hüsnü Öndül).

La testimonianza di Öndül muove, in linea con le dichiarazioni degli altri attivisti, dalla dichiarazione di una precedente sensibilità politica tale da rendere necessaria la scelta di utilizzare la propria professione a favore di coloro che in quel periodo erano sottoposti a estreme violazioni dei diritti. Nel racconto della fondazione di İHD, l’intervistato connette i contatti con le famiglie dei detenuti ai rapporti con le organizzazioni degli intellettuali (nominando Ekin-BİLAR, Öndül ritraccia infatti le linee di collaborazione tra i vari progetti chiare anche a partire dall’analisi delle liste dei membri dei vari comitati di fondazione). İHD, che aveva il quartier generale a Ankara e lavorava attraverso filiali che man mano vennero aperte in tutto il paese (nei primi anni della fondazione Emil Galip Sandalcı e Ragıp

199 Il ‘Dernek Kanonu’, nuovo codice sull’associazionismo promulgato dalla giunta militare, prevedeva una

richiesta preventiva di permesso per la fondazione di qualsiasi associazione (Articolo 11 della legge 2908, 6 ottobre 1893). La proposta di costituzione di İHD venne negata per due volte consecutive dal Ministero degli Interni, che giustificò la propria decisione con la seguente ragione «…Temel hak ve hürriyetlere bütün boyutlarıyla hayatiyet kazandırılması çok geniş ve kapsamlı, hatta devletin dahi faaliyet ve görev alanını taşan bir çalışma ve faaliyeti gerektirebileceği gibi, bu faaliyetler siyasi nitelik gösterebilir». [Essendo che, far acquisire vitalità in tutte le sue estensioni ai diritti e alle libertà fondamentali richiede un lavoro e

un’attività estesa e a tutto tondo, che addirittura sconfina persino nel campo di missione e azione del governo, queste attività possono mostrare un intento politico]. Helvacı (1996) 12 Eylül dönemi ve sonrası insan hakları sorunları, p. 729.

200 Lett. «İnsan hak ve özgürlükleri konusunda çalışmalar yapmaktır». Vedi presentazione nel sito

Zarakolu201 divennero rispettivamente presidente e vicepresidente della sede di Istanbul),

venne infatti fondata a partire dalla volontà di unire la battaglia portata avanti delle famiglie dei detenuti politici al nuovo attivismo di una parte della sinistra. Già affermati sia all’interno dell’accademia, nella politica e nella produzione culturale, gli intellettuali che presero parte al dibattito sui diritti umani in questo periodo contribuirono a definirne gli intenti a partire dal loro campo di professionalizzazione. Il profilo di parte dei fondatori portò, infatti, l’associazione ad avere un grande risonanza sia in Turchia che all’estero (nonostante fosse proibito stipulare relazioni ufficiali con le organizzazioni interazionali) giocando un ruolo fondamentale nella diffusione, all’interno del dibattito pubblico, delle tematiche inerenti ai diritti umani202. Se gli avvocati e i medici si impegnarono soprattutto nella difesa nei processi

e nella riabilitazione dai traumi post-tortura, furono il giornalismo203, l’editoria, la

produzione teorica a fornire la basi per la crescita di una discussione critica.

Tuttavia, come trapela dalla parte finale del brano, nonostante İHD fosse stata fondata come un’associazione apolitica il cui unico scopo era quello della difesa dei diritti umani in Turchia, la pesante eredità degli anni precedenti e il dilagante clima di repressione sociale contribuirono alla nascita di un acceso dibattito interno. Lontana dall’essere neutrale come negli intenti teorici, la discussione che venne in essere fin dai primi anni di fondazione

201 Figlio del governatore distrettuale di Büyükada, Ragıp Zarakolu nacque nel 1948. Durante la fine degli

anni ’60 cominciò a scrivere per riviste quali Ant e Yeni Ufuklar. Nel 1972, per un articolo pubblicato su Ant, venne condannato a cinque anni di prigione per poi essere rilasciato con l’amnistia del 1974. Nel 1977 insieme alla moglie, Ayşe Nur Zarakolu (1946-2002), fondò la casa editrice Belge, che subì negli anni una forte censura provocando l’arresto di entrambi i fondatori e la confisca e distruzione di numerosi volumi dichiarati vietati. Nel 1982 Zarakolu fu nuovamente condannato per le sue posizioni politiche, da lui

dichiarate su Demokrat, giornale che contribuì a fondare. Tra i membri di İHD Zarakolu continuò per tutta la sua carriera a occuparsi delle violazioni dei diritti umani e democratici. Mentre era nuovamente in carcere, accusato di coinvolgimento nel processo giudiziario dell’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK), ricevette la candidatura al premio Nobel per la pace. Rifugiato in Svezia a tutt’oggi pende su di lui un mandato d’arresto internazionale.

202 Durante gli anni successivi alla fondazione, İHD si occupò inoltre della pubblicazione di dossier e

dell’organizzare eventi, proteste, manifestazioni e conferenze sui diritti umani ai quali parteciparono migliaia di persone. Per una trattazione più specifica delle attività organizzate dall’associazione, si rimanda al sito ufficiale di İHD, URL http://www.ihd.org.tr (8/2018). Vedi anche il report di Helsinki Watch Committee: Lois Whitman (1989) Paying the Price: Freedom of Expression in Turkey.

203 In un brano tratto dall’intervista con Murat Çelikkan, l’intervistato ricostruisce così la linea tra il suo

percorso professionale e l’attivismo in ambito sociale: «Dopo il colpo di stato entravano nelle case e arrivarono anche nella mia, così mi trasferii a Istanbul. Arrestarono mio padre perché non trovarono me, ma lui era una persona relativamente nota, quindi lo rilasciarono subito. A Istanbul cominciai a lavorare e nel 1983 diventai giornalista. Nel 1984 cominciai anche ad essere impegnato con il movimento dei diritti umani. Uno stretto amico di famiglia e un uomo molto vicino a me, Emil Galip Sandalcı, mi spinse in questa attività ma non potei essere uno dei fondatori di İnsan Hakları Derneği, perché ero sotto processo. In quel periodo c’erano casi di omicidi, sparizioni e dal momento che loro erano dentro e io ero fuori, mi sentii in dovere di lavorare nel campo dei diritti umani. Era semplicemente la sola cosa che poteva essere fatta e pensavo che l’altra cosa fosse il giornalismo. Cominciai così ad essere coinvolto in entrambi» (Murat Çelikkan).