Capitale sociale e culturale
2.1 Origini social
2.1.1 Origini delle famiglie
Le biografie analizzate in questa ricerca cominciano con il racconto, da parte degli intervistati, delle origini delle proprie famiglie che si ricollega al complesso periodo di transizione tra l’Impero Ottomano e la Repubblica turca. Tali testimonianze, che diversamente da quelle che seguiranno non sono il resoconto di esperienze vissute in prima persona, rappresentano piuttosto la ricostruzione di un immaginario che prende le mosse dalla formulazione delle proprie radici attraverso il racconto di terzi. I racconti delle origini si pongono infatti all’interno del più ampio quadro di ridefinizione identitaria promosso dall’ideologia nazionalista. Fin dalla fondazione della Repubblica nel 1923, il progetto di promozione di un’identità collettiva formulato sulla centralità dello stato-nazione ha rappresentato un processo lungo e violento di sistematica negazione degli eventi che ne compromettevano la pretesa di coerenza. Enunciata attraverso una forte retorica nazionalista la storia “ufficiale” turca ha impedito negli anni il processo di legittimazione di molte delle memorie individuali e comunitarie, con l’obiettivo di formulare un discorso unitario incentrato sui concetti di progresso e sviluppo elaborati nel modello di modernizzazione. Il progetto di occidentalizzazione che comprendeva la ridefinizione del sistema legislativo come quello linguistico, l’educazione come i rituali pubblici, i costumi come i modi di pensare e di essere, ha comportato di fatto una frattura tra il discorso pubblico e le esperienze personali della vita quotidiana (Neyzi 1999, 3). La costruzione dell’identità turca, formulata intorno a caratteristiche etnico-religiose specifiche, quelle dei turchi sunniti, era il risultato del tentativo di conciliare il modello occidentale con l’appartenenza culturale locale (Salomoni 2007, 131-2). In questo senso, una risposta alla questione identitaria alla base del nazionalismo repubblicano venne sviluppata a partire dai lavori di Ziya Gökalp, principale teorico del nazionalismo turco, il quale ha tentato di dare valenza “scientifica” al rapporto
paradossale con l’Occidente nel progetto di fondazione di un nuovo ideale nazionale. A questo proposito Meltem Ahıska (2010) spiega come nella sua teorizzazione, Gökalp, abbia preso in considerazione la triade concettuale di civiltà (medeniyet), cultura (hars), Islam. In una tale formulazione, il concetto di “civiltà” denotava l’insieme delle scienze e delle tecnologie occidentali, quello di “cultura” era da rintracciare in ciò che era considerato essere l’“essenza” del carattere turco, mentre l’Islam funzionava da substrato dell’animo nazionale (Ahıska 2010, 57). In tale sistema teorico la “cultura”, considerata da Gökalp come l’insieme della lingua, della politica, della morale e della legge del popolo turco, appariva come un’entità indipendente e andava a rappresentare l’elemento locale. D’altro canto la “civiltà”, in quanto insieme di scienze e tecniche importate per imitazione, era esternalizzata e strumentalizzata all’interno di un modello di governabilità basato sulla razionalizzazione degli strumenti politici. L’Islam invece era relegato all’ambito privato, a dimostrazione del ruolo svolto dal secolarismo nella costituzione della moderna nazione turca (2010, 57). L’omogeneità linguistica, religiosa e culturale della teorizzazione gökalpiana ammetteva un termine di assimilazione solamente nel rispetto del principio di condivisione dell’ideale turco (Türk Mefkûresi) e dell’impegno prodigo alla sua realizzazione (Saraçgil 2013).
Il processo di modernizzazione della Turchia passò, nell’apparato concettuale dell’élite repubblicana, attraverso la negazione del passato ottomano, considerato il motivo del ritardo storico che la nazione aveva accumulato rispetto all’Occidente. La volontaria rimozione del passato imperiale attuata dal nazionalismo repubblicano ebbe come conseguenza quella di facilitare il processo di omogeneizzazione della società, a discapito delle differenze identitarie e individuali. Tuttavia questo fenomeno non era il prodotto di un processo di colonizzazione diretta, ma di un deliberato rigetto dell’eredità ottomana da parte delle élite modernizzatrici (Bozdoğan, Kasaba 1997) che, ponendo un forte accento sulla vulnerabilità della nuova comunità nazionale, ne resero necessaria una sempre maggiore protezione da parte dello Stato. Nella teorizzazione di Gökalp, la sintesi paradossale tra un universalismo cosmopolita legato alla tradizione francese e l’organicismo anti-occidentalista connesso al romanticismo tedesco appariva piuttosto come uno stratagemma che aveva lo scopo di risolvere le esitazioni tra i due mondi a confronto (Salomoni 2007, 132). Pertanto i valori presi come fondamento dell’intima essenza turca ed utilizzati come parametri di esclusione o inclusione all’interno della comunità locale erano il risultato di residui storici formulati attraverso varie negoziazioni con l’alterità. Tali sedimenti erano collegati alle memorie e ai
risentimenti sviluppati contro l’“altro” e allo stesso tempo contro la superiorità occidentale e il suo implicito colonialismo, in un’ambiguità che testimoniava allo stesso tempo attrazione e repulsione verso il modello europeo (Ahıska 2010, 192).
L’origine delle proprie famiglie e i ricordi dell’infanzia si iscrivono quindi in un complesso schema di ricostruzione identitaria, in cui le memorie personali contrastano con il più generale tentativo di uniformità imposto dalla storia nazionale. Tutt’altro che fedeli alla coerenza di una nazione omogenea e rinnovata dal suo vicinissimo passato, tali racconti ne restituiscono un’immagine multietnica e variegata in cui le linee di continuità con il periodo imperiale costituiscono sia una costante che un punto di forza. Da queste memorie emerge quindi la complessità degli eventi che portarono alla fondazione della nazione turca e la volontà di sottolinearne la pluralità identitaria come scelta politica di una totale presa di distanza dall’ideale di omogeneità nazionale. Nell’illustrare le proprie origini Ömer Madra, prominente intellettuale e attivista per i diritti umani e ambientali, dichiara:
Entrambi i miei genitori vengono da Mytilini, sull’isola di Lesbo. I miei nonni erano persone abbastanza influenti. Erano mübadiller33. Mia nonna paterna era la figlia del governatore
ottomano di Molivos. Era una famiglia importante. Durante la guerra di liberazione l’Unione Sovietica era interessata all’impresa di Mustafa Kemal [Atatürk] per una questione strategica. C’erano degli ufficiali russi dell’Internazionale che erano ospiti a casa nostra. La famiglia di mia madre era sempre di Lesbo e mio nonno è stato il ministro delle finanze sia di Atatürk sia di İsmet İnönü34. Vengo da due famiglie della borghesia finanziaria e burocratica. Mio nonno
fu anche invischiato nella vicenda del Varlık mentre era ministro delle finanze. L’unica consolazione che ho è che l’ordine era arrivato dall’alto e c’era poco che lui potesse fare. Vengo quindi da due famiglie molto vicine ad Atatürk, ma io non sono mai diventato un kemalista (Ömer Madra).
Questo estratto sintetizza alcune delle caratteristiche che verranno spesso incontrate nei racconti successivi, tra cui: la particolare provenienza da famiglie della borghesia ottomana
33 Lett. “scambiati”. Termine che si riferisce alle persone coinvolte nello scambio di popolazione (nüfus
mübadele) tra Grecia e Turchia avvenuto nel 1923. L’accordo venne stipulato col trattato di Losanna e coinvolse circa due milioni di persone. Nello scambio di popolazione, che assunse le caratteristiche di una deportazione di massa, furono coinvolti inoltre cittadini ortodossi parlanti turco e musulmani non parlanti turco ai quali per diritto avrebbero dovuto avere la garanzia della piena cittadinanza (Soner 2005).
34 Secondo Presidente della Repubblica turca dopo la morte di Mustafa Kemal Atatürk nel 1938. İsmet İnönü
e primo repubblicana; l’ambiente politico della famiglia vicino all’ideologia kemalista; la profonda connessione con gli avvenimenti che portarono e seguirono la fondazione della nazione turca; le radici geografiche delle proprie famiglie d’origine nei vari territori dell’Impero Ottomano che non corrisponderanno ai confini nazionali della futura Turchia. Nonostante poche eccezioni, gli estratti relativi alle origini familiari degli intervistati testimoniano tendenzialmente una provenienza dai contesti dell’alta e della media borghesia, connessi nella maggior parte dei casi all’élite intellettuale primo repubblicana. In questo riferimento l’intervistato pone infatti l’accento sul capitale socio-politico detenuto dalla propria famiglia e sulle dirette implicazioni nel processo di costruzione della nazione. Entrambe le famiglie, paterna e materna, furono infatti coinvolte negli eventi conosciuti con il nome di nüfus mübadele, lo scambio di popolazione tra Grecia e Turchia avvenuto nel 1923, che ebbe un impatto considerevole nella ricostituzione demografica della nuova Repubblica. Ammettendo una netta presa di distanza personale dalle inclinazioni ideologiche del kemalismo, che verrà analizzata nelle pagine seguenti (vedi 2.1.3), l’intervistato sottolinea il contributo del nonno materno all’emanazione della legge dell’imposta di patrimonio (Varlık Vergisi Kanunu) promulgata nel 1942 a favore dell’omogeneizzazione nazionale. La legge stabiliva infatti una differenza di trattamento a seconda della specifica confessione religiosa e innescò un meccanismo di imposizione fiscale che andava a pesare prevalentemente sui cittadini non musulmani (vedi Bali, 2005). Promulgata ufficialmente con l’obiettivo di tassare coloro che si erano arricchiti con la seconda guerra mondiale e superare così la crisi economico-finanziaria del paese, l’imposta era pensata allo scopo di trasferire il capitale dalle comunità non musulmane di ebrei, greci ortodossi e armeni alla popolazione di origine musulmana (Akar 1999). Come afferma Ayhan Aktar (2000) il procedimento, interrotto nel 1944, tuttavia riuscì nell’intento di sostituire la borghesia non musulmana di Istanbul con una borghesia di origine musulmana. L’emanazione del Varlık Vergisi, che rappresentò un evento di profonda umiliazione e demoralizzazione della robusta classe media non musulmana (Saraçgil 2013), in questo brano testimonia un sentimento contrastante nei confronti della propria classe d’origine che, se da un lato ne dimostra una decisa denuncia rispetto alle scelte politiche, dall’altro tenta di comprenderne le motivazioni. Questo aspetto rappresenta una costante nei racconti in cui le famiglie degli intervistati presero parte al processo politico di costituzione nazionale che
verrà profondamente problematizzato e disapprovato nella teorizzazione critica degli anni successivi35, alla quale molti degli intellettuali intervistati presero parte.
Altra questione riscontrata in molti dei frammenti di intervista proposti riguardo le genealogie parentali è la provenienza di entrambe le famiglie dalla stessa area geografia e/o dallo stesso bacino socio-politico. Se l’omogeneità della classe sociale delle famiglie paterne e materne è una caratteristica piuttosto tipica dei periodi storici e dei contesti altamente differenziati a livello sociale, dove d’altra parte è molto più rara una commistione tra status diversi nelle unioni matrimoniali, più peculiare è invece l’esistenza di forti vincoli comunitari mantenuti tra i vari gruppi presenti nell’Impero in termini etnici, religiosi o geografici. Dai racconti emerge come questi profondi vincoli comunitari delle élite ottomane perdurarono anche nel periodo primo repubblicano e andarono a costituire una delle caratteristiche più significative del tessuto sociale nella nuova Turchia. Tali testimonianze restituiscono dunque una narrazione polifonica della transizione delle élite dal periodo imperiale a quello repubblicano sviluppata a partire dalle varie comunità di appartenenza. Defne Sandalcı ricostruisce in questo modo il quadro genealogico della propria famiglia:
Le mie origini risalgono agli ebrei di Barcellona che poi si convertirono. Era una comunità che in Turchia era abbastanza emarginata in quanto né turca né musulmana. Quando gli ebrei furono cacciati dalla Spagna seguirono una sorta di rotta dall’Egitto poi a Firenze per circa settant’anni. Poi a Salonicco e infine Istanbul…erano dönme. Sono la terza generazione della mia famiglia nata a qui. La mia adolescenza ebbe un’impronta assolutamente secolare in quanto non c’era religione nella mia famiglia. Mia madre non lavorava e divorziò da mio padre quando avevo sette anni. Crebbi con mia nonna. Mio padre era un noto giornalista, Emil Galip Sandalcı (Defne Sandalcı).
35 Se fino agli anni ’70 l’ideale di sviluppo nazionale formulato sulla centralità dello Stato come agente di
modernizzazione aveva mantenuto un certo grado di continuità, è dagli anni ’80 in poi che questo modello comincia a dimostrare i primi forti segni di cedimento. Furono questi gli anni in cui cambiò il paradigma economico che, da allora in avanti, cominciò a essere improntato sui principi del libero mercato e sulla riduzione della presenza dello Stato nell’economia. A partire dagli anni ’80 la nuova ondata di riflessioni in ambito sociale, culturale e letterario a cui gli intellettuali considerati in questa ricerca diedero un contributo fondamentale, iniziò a smantellare la visione monolitica della società imposta dal modello stato-centrico. L’interesse per le politiche identitarie e la crescente proliferazione delle teorie incentrate sulla narrazione e sulla memoria aprirono infatti la strada a una crescente messa in discussione del processo di costruzione simbolica dell’unità nazionale. Come mette in luce Nurdan Gürbilek (1992), dopo il colpo di stato del 12 settembre 1980 si assistette infatti all’emergere di due fenomeni paralleli strettamente legati tra loro riguardo la manifestazione dell’espressività a livello sociale: l’uno connesso alla forte censura della libertà
In questo estratto la provenienza di entrambi i genitori è legata alla comunità dei dönme36
(convertiti, lett. ‘girati’), termine utilizzato per definire un gruppo di cripto-ebrei seguaci di Sabetay Sevi (1626-1676) formalmente convertiti all’islam durante l’Impero Ottomano. Tale movimento messianico ispirato al misticismo cabalista attrasse a sé un grande numero di seguaci anche all’interno delle élite, dando inizio a una corrente apostata e settaria che raggiunse nel tempo una notevole influenza soprattutto nell’ambito commerciale. Quando nel XVIII secolo l’illuminismo europeo cominciò ad influenzare le élite della società ottomana i seguaci di Sabetay Sevi, conosciuti anche con il termine Sabetaycı (Sabbatiani), giocarono un ruolo fondamentale nel processo di diffusione delle nuove idee provenienti dall’Europa, fungendo da promotori di un nuovo modello di educazione secolare formulato sulla falsariga delle scuole occidentali37 (Neyzi 2002, 144). Durante lo scambio di
popolazione tra Grecia e Turchia (vedi nota 33), una grossa parte della comunità dönme che contava all’epoca tra i dieci e i quindicimila aderenti (Scholem 1971) e che era stanziata principalmente nella città di Salonicco, si spostò soprattutto nei quartieri benestanti e cosmopoliti di Istanbul, prendendo attivamente parte al progetto di modernizzazione nazionale promosso da Mustafa Kemal Atatürk (proveniente anch’esso da Salonicco).
Nonostante nelle interviste non venga dichiarato apertamente, sono diverse le personalità considerate nel campione le cui origini sono legate alla comunità dei dönme38. Del resto i
Sabetaycı, in seguito alla conversione all’islam e quindi all’impossibilità di praticare nella
vita pubblica i propri rituali comunitari e, inoltre, in quanto promotori di un tipo di educazione laica di stampo occidentale, persero gradualmente le connessioni con l’identità sabbatiana. D’altronde l’assimilazione della comunità nel periodo primo repubblicano e la
36 I dönme, conosciuti anche come Sabetaycı (Sabbatiani) e Selanikli (di Salonicco), sono i seguaci di
Sabetay Sevi, rabbino ebreo di Izmir (Smirne) che, auto-dichiaratosi messia, si convertì all’islam nel 1666, dando inizio a un movimento messianico che divise dall’interno la comunità ebraica. La dottrina di Sabetay Sevi, che prendeva ispirazione dal misticismo ebraico e dal cabalismo, divenne nel tempo molto influente. In seguito all’apostasia di Sevi il movimento messianico divenne settario e assunse per l’ebraismo i caratteri di una teologia eretica. Nonostante i dönme seguissero esteriormente i precetti musulmani, nella vita privata continuavano a seguire nella vita privata i rituali comunitari. Per approfondimenti vedi Marc David Baer (2009) The Dönme; Leyla Neyzi (2002) Remembering to Forget.
37 Le nuove idee ispirate all’illuminismo europeo furono diffuse in particolare tramite l’educazione. In questo
ambito la comunità dei Sabetaycı si distinse nella fondazione di scuole che offrivano un’educazione di stampo occidentale (vedi 2.2.1).
38 Le origini nella comunità dönme di molti degli intellettuali, che poi divennero personaggi conosciuti sia nel
dibattito culturale che politico diedero adito a teorie di complottismo antisemita, diffuse non solo nelle frange ultranazionaliste, che dimostrano a livello contemporaneo sia un rapporto ancora irrisolto con la storia nazionale sia una generale tendenza nello screditare gli intellettuali a livello sociale.
piena partecipazione al processo di costruzione della nazione turca tuttavia non esentò i
dönme dalle politiche discriminatorie della legge sul patrimonio (Varlık Vergisi). Le
esperienze di discriminazione che secondo l’interpretazione di Neyzi riflettono la natura selettiva dell’identità nazionale in Turchia, dapprima conciliante poi fortemente oppositiva, portò a rinforzare nella maggior parte delle famiglie dönme le pratiche di dissimulazione culturale fino alla negazione della propria identità e all’incoraggiamento di matrimoni misti, provocando negli anni un quasi totale allontanamento dai sui vincoli comunitari (2002, 146).
Lo spiccato accento dei racconti delle proprie origini a partire dal passato ottomano si colloca tuttavia all’interno di una più ampia crescita d’interesse e attenzione, attraverso diverse prospettive, al “pluralismo” dell’Impero39 che, a partire dagli anni ’90, coinvolse
anche il dibattito politico. Più in generale difatti, il revival del passato ottomano si andò a articolare negli ultimi anni in un approccio definito “neo-ottomanista”, che di fatto tentava di trovare una riformulazione tra il sistema di gestione delle diverse identità che convivevano nell’Impero con il moderno multiculturalismo di stampo liberale40 (Çolak 2006). Il recupero
del passato ottomano è stato tuttavia interpretato in maniera concorrenziale dalle diverse fazioni politiche. Se le élite kemaliste lo consideravano una minaccia dei principi repubblicani, per i partiti di ispirazione islamica rappresentava invece una possibilità di contestazione della storia kemalista e di conseguenza del modello di laicità promosso dalla Repubblica (Çolak 2006). Nel processo di ricollocamento dei propri ideali nel passato
39 L’amministrazione dell’Impero Ottomano si basava sul sistema della millet che garantiva alle comunità
non musulmane (cristiane e ebree, al loro interno riccamente diversificate) libertà di culto e ampie autonomie linguistiche, culturali e giuridiche. La struttura multiconfessionale della millet non era organizzata tuttavia secondo i concetti di uguaglianza. I non musulmani non potevano infatti essere chiamati alle armi e su di loro gravava una tassazione maggiore rispetto agli altri cittadini musulmani. A queste comunità era piuttosto riservato lo status di “protetti” la cui condizione di inferiorità era definita e applicata in termini formali (Saraçgil 2013, 189-190).
40 Yılmaz Çolak (2006) analizza come nel pensiero di Turgut Özal (primo ministro dal 1983 al 1989 e
presidente della Repubblica dal 1989 al 1983) tra i primi a portare questo dibattito all’ordine del giorno, l’eredità ottomana venne utilizzata nel tentativo di risolvere da un lato le tensioni interne alla Turchia, connesse in particolare all’emergere del separatismo curdo, dall’altra per definire questioni di politica estera soprattutto nei Balcani. Tuttavia il modello di Özal, ricostruendo selettivamente l’ottomanismo come un’identità in termini etnico-religiosi (turco-musulmani), si risolse in una visione ancora più esclusiva rispetto a quella imperiale e dunque inadeguata a fornire un modello multiculturale che potesse rispondere alle necessità del contemporaneo, che d’altra parte non garantiva nemmeno le condizioni democratiche affinché questo modello potesse essere applicato. Nell’analisi di Çolak ulteriore fallimento di applicazione del neo-ottomanismo come risposta alle sfide della Turchia contemporanea fu quello portato avanti dagli intellettuali e dai partiti islamici che si impegnarono a proporre un modello alternativo di cittadinanza formulato sulle basi del sistema della millet. Anche in questo caso però piuttosto che proporre un modello maggiormente inclusivo di convivenza la nuova teorizzazione si formulò sulla centralità dell’Islam e sulla marcata separazione tra gruppi e comunità religiose.
storico l’ascesa dei partiti islamici portò avanti, infatti, la riscoperta del passato imperiale – quando l’islam era considerato religione ufficiale –, mentre i kemalisti continuavano a collocare le proprie radici ideologiche nella fondazione della Repubblica (Özyürek 2007, 135). All’interno di questo dibattito l’enfasi delle testimonianze sulle caratteristiche multiconfessionali e multiculturali del periodo ottomano risulta essere piuttosto una presa di distanza da entrambi i ripensamenti precedenti, in un tentativo di soggettivizzare una posizione maggiormente cosmopolita. Nell’estratto successivo, facendo riferimento alla comunità immigrata in Turchia dai paesi balcanici a causa delle guerre di costituzione nazionale che seguirono alla dissoluzione dell’Impero Ottomano, Asaf Savaş Akat descrive le proprie origini e il contesto di crescita facendo riferimento agli argomenti trattati finora (nonché l’esperienza migratoria delle proprie famiglie, quella religiosa di tendenza multiconfessionale e il mantenimento dei vincoli comunitari):
Entrambe le famiglie dei miei genitori provenivano dalla Rumelia41. Mio padre nacque in
Macedonia, a Koçana, mia madre a Manastır dove c’era la famosa scuola militare frequentata da Atatürk. Lì hanno studiato anche mio zio e mio nonno. Dalla parte di mio padre sono insegnanti, alcuni esnaf [artigiani]. Queste origini mi hanno dato una particolare prospettiva della vita perché entrambi e miei genitori erano muhacir42, immigrati dalla Macedonia, quindi
sono cresciuto in un ambiente cosmopolita. Questa non era la loro terra natia, mia nonna considerava la sua terra d’origine la Macedonia. Sono stati costretti a venire qui nel 1913.