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L'obbligatorietà del donativo

1. Con la solenne cerimonia della difesa del dogma dell'Immacolata Concezione e con quella relativa all'ascesa al «soglio» del vescovo-presidente, uno dei più importanti parlamenti celebrati dalla monarchia ispanica in Sardegna si conclude in un clima di fraterna collaborazione fra tutte le rap-presentanze cetuali. I deputati, consci delle difficoltà finanziarie della Corona e degli interessi in gioco nella guerra in atto in Italia, nelle Fiandre e in Germania, offrono a Filippo IV il più consistente donativo pagato in tre secoli di dominazione spagnola (due milioni e trecentomila ducati) e il sovrano, riconoscente, non può negare ai "fedelissimi" sudditi sardi quei privilegi di Stamento che essi hanno invano richiesto nel cinquantennio precedente122.

Sulla base della documentazione ufficiale e della corrispondenza viceregia i meriti per la felice conclusione delle Corti sono da attribuire, in gran parte, all'abile azione svolta dal viceré Bayona. Il vescovo Prieto porta a termine i lavori senza difficoltà formalizzando giuridicamente accordi e condizioni che Gerolamo Pimentel aveva pattuito verbalmente con i tre Bracci. Distinguere l'opera svolta concretamente dai due viceré appare tuttavia difficile, perché quasi tutti i capitoli di Corte, concordati inizialmente col Bayona, vengono ripresentati al vescovo Prieto che provvede a decretarli. Le richieste del Regno vanno dunque esaminate nella loro totalità, tenendo soprattutto conto del fatto che il Pimentel-Benavente ha svolto un ruolo preminente mentre il presidente Prieto ha assolto una funzione essenzialmente notarile, di ratifica degli accordi pattuiti durante le Corti tenute l'anno precedente.

All'avvio delle discussioni e prima ancora della presentazione dei greuges i tre Stamenti, interrompendo una secolare tradizione dei regni d'Aragona,

122 Sul rapporto di fedeltà come vincolo politico diretto tra sudditi e sovrano, per l'origina-lità delle proposte metodologiche, si vedano A. ALVAREZ-OSSORIO ALVARIRO, EI arte de mediar en la corte: rey, nobleza y el código del honor, in J. HERNANDEZ FRANCO e E CHACÒN (a cura di), Familias, poderosos y oligarquías, Murcia 2000, pp. 61-82; A. CARRASCO MARTINEZ, Sangre, honor y privilegio: la nobleza espaliola bajo los Austrias cit. Relativamente all'Italia, sulla fedeltà come elemento fondamentale del rapporto tra Corona ispanica e nobiltà, oltre al contributo di A. SPAGNOLE'FII, (Principi italiani e Spagna nell'età barocca, Milano 1996), cfr. A. Musi, L'Italia dei viceré cit. pp. 144-150; G. SIGNOROTTO, A proposito della fedeltà di Milano alla Monarchia cattolica, in B. ANATRA, G. MuRGIA (a cura di), Sardegna, Spagna e Mediterraneo. Dai re cattoli-ci al Secolo d'Oro, Roma 2004, pp. 275-290; anche se più tardive, sulle interpretazioni teorizzate nell'ambito del Regno sardo cfr. G. PISU-B. TERLIZZO, Giovanni Battista Buragna: «Fineza» e

«Fidelidad», in La rivolta di Messina (1674-1678) e il mondo mediterraneo nella seconda metà del Seicento. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Cosenza 1979, pp. 181 ss.

comunicano al viceré Bayona l'avvenuta riconferma del donativo straordina-rio di 80 mila ducati annui concesso nel 1626 e la volontà di offrire, per un quindicennio, un donativo ordinario di 150 mila ducati.

Questa plateale accondiscendenza alle richieste della Corona non deve però indurci a ritenere che gli Stamenti sardi fossero privi di autonomia e che il Conte-Duca di Olivares fosse riuscito a controllare in qualche modo le Corti raggiungendo i propri obiettivi politici centralistici. Ad un esame più attento della documentazione l'atteggiamento dei tre Bracci appare frutto di una lucida strategia portata avanti dai ceti del Regno. Usciti malconci dal con-fronto con la Corona nel Parlamento del 1624, dopo un periodo di sbanda-mento, grazie all'abile azione di patronage condotta dal viceré Bayona, le cor-date clientelari che avevano sostenuto a fatto capo al duca di Lerma si rischie-rano a favore di una politica di leale collaborazione con la monarchia realiz-zando quella armonia di rapporti tra Corona e sudditi che costituisce il tratto dominante delle Corti sarde del 1631-1632.

Nell'attività amministrativa e nelle strategie che adotta per la felice riuscita delle Corti, il viceré adempie con scrupolo a quanto gli viene ordinato dal proto-notario Villanueva e dal Conte-Duca, ma sulla via da seguire per raggiungere tali obiettivi non accetta condizionamenti né dai reggenti d'Aragona né dai membri del Consiglio regio e del Real Patrimonio operanti nel Regno. Convinto difenso-re della grandeza ispanica, senza bisogno dí sollecitazioni del Consiglio d'Aragona, egli dedica tutto il suo tempo ad impedire che prevalga quella "ozio-sità" e rilassatezza dei costumi che Alfonso Pimentel, padre del marchese di Bayona, agli inizi degli anni Venti, in una memorabile riunione del Consiglio di Stato, aveva indicato tra le cause della declinaci6n della monarchia ispanicam.

Nel caso del viceré la condivisione del programma di restauración portato avanti dall'Olivares (ma elaborato negli ambienti del Consiglio di Stato da uomini come don Baldassarre Zuriiga ed il conte di Benavente) non richiedeva l'implicita accettazione di un potere assoluto o la forzosa unificazione dei regni d'Aragona a quelli di Castiglia. In linea con gli orientamenti dei più autorevoli rappresentanti della fazione olivaresiana l'azione di governo svolta dal Bayona

123 In una importante seduta del Consiglio di Stato promossa nel 1621 da don Balthasar Zuffiga per affrontare i problemi dell'impero, il conte di Benavente — padre del viceré Bayona — aveva sostenuto che se non ci fosse stata una guerra purificatrice, a causa della mollezza dei costumi, in Spagna «se ira perdiendo todo». Cfr. J. H. ELLIOTT, Introspección colectiva y decaden-cia en Espaiia a principios del siglo XVII, in Poder y sociedad en la Espaiia de los Austrias cit., p.

221; ID., La Spagna imperiale 1496-1716 cit.; La declinación de la monarquía hispanica en el siglo XVII. Actas de la VII Reunión cientifica de la Fundación Espahola de Historia Moderna (coord.

E J. Aranda Pérez), Cuenca 2004. Più in generale sui rapporti fra monarchia e ceti e sugli impe-dimenti costituzionali al potere monarchico esistente nei regni aragonesi cfr. P. FERNANDEZ ALBADALEJO, Fragmentos de Monarquía cit., e Monarquía, imperio y pueblos en la Esparía moder-na, (coordinador P. Fernndez Albadalejo), Alicante 1997; Poderes intermedios, poderes interpue-stos, sociedad y oligarquías en la Espaiia moderna, a cura di E J. Aranda Pérez, Cuenca 1999.

appare duttile e prudente, tesa a restaurare la «riputatione del principe» e l'au-torità regia per contrastare una situazione politica e militare in rapido declino.

Anche quando, per far fronte a necessità belliche e finanziarie o per ubbidire agli ordini del sovrano, è costretto a violare le leggi, egli sottolinea l'ecceziona-lità del caso e, fatto prevalere l'interesse regio al di sopra di tutto, è pronto a riconfermare la validità degli antichi privilegi di cui godono i sudditi sardi.

Dalle lettere che scrive e dalle decisioni che assume traspare una lucida flessibi-lità che nasce da una approfondita analisi della situazione e da una solida cultu-ra politica124. Il Pimentel, di fronte a sudditi incerti o restii, fa infatti propria quella massima tacitiana sulla dissimulazione che, per raggiungere quanto indi-cato dal principe, autorizza il suo ministro «a callar, no darse por entendido de las cosas y disimular con astucia lo que entendiere de ellas todo el tiempo que le pareciere necesario para la buena conclusión de lo que trataré»'25 , ma non dimen-tica neppure che i conflitti interni e le rivalità sono all'origine della caduta degli stati e per tale ragione condanna i contrasti nobiliari, evita di affidare incarichi di responsabilità a ministri e ufficiali che si sono politicamente esposti sulla questione del primato municipalistico tra Cagliari e Sassari o sulla separazione amministrativa tra il Nord e il Sud dell'isola e nel discorso inaugurale delle Corti invita i ceti a non farsi condizionare, nell'esame dei problemi del Regno, da «passiones y intentos particulares». La ragion di stato e l'interesse del princi-pe non gli imprinci-pediscono tuttavia di accettare e di fare propria la tradizione costi-tuzionale dei regni d'Aragona. Come erede di una delle famiglie catalane di più antico lignaggio (i Zutiiga Requesens e i de Luna), egli conosce infatti molto bene la tradizione costituzionale pattista del Principato catalano, ma non ne condivide quegli eccessi che hanno portato al fallimento delle tormentate Corti barcellonesi del 1625-1626 alle quali ha partecipato come nobile catalano e come comandante generale dell'esercito che partendo dal Principato avrebbe dovuto attraversare i Pirenei per invadere il territorio francese.

124 Queste qualità non erano sfuggite al Dexart che, a dieci anni dalla morte, mostrandosi ancora riconoscente per avere ottenuto dal Pimentel (gratuitamente) il titolo di nobiltà (richie-sto invano dal nonno Melchiorre al viceré Alvaro di Madrigal 1'11 marzo 1575), lo definisce

«vir degnissimus et prudentissimus», cfr. J. DEXART, Capziula sive Acta cit., torno I, lib. II, tit.

de militiis, fol. 352-397.

122 Cfr. J. MARQUEZ, El Gobernador cristiano deducilo de las vidas de Moísés y Josué, principes del pueblo de Dios, Salamanca 1612, p. 74. Più in generale sul tacitismo e sugli influssi esercitati dalla seconda scolastica salamantina sulla filosofia politica e sulla prassi amministrativa della Spagna del primo Seicento cfr. J. A. MARAVALL-D. J. M. DEL PERAL, Il pensiero politico spagnolo del Seicento, in L. FIRPO (a cura di), Storia delle idee politiche, economiche e sociali, Torino (V) t.

I, pp. 319-361. Sul rapporto fra il tacitismo e le teorie della dissimulazione politica vedi R.

VILLARI, Elogio della dissimulazione. La lotta politica nel Seicento, Roma-Bari 1987. Sulla pratica politica nella Spagna dell'Olivares si veda ora l'originale quadro tracciato dall'Àlvarez-Ossorio, cfr. ALVAREZ-OSSORIO ALVARNO, Proteo en Palalo. El arte de la disimulación y la simulación del curtesano in M. MoRAN e B. J. GARC1A (a cura dí), El Madrid de Vela'squez y Calderón. Villa y Corte en el siglo XVII. Estudios históricos, Madrid 2000, pp. 111-137.

Nel discorso che pronuncia all'inaugurazione delle Corti sarde del 1631 il marchese di Bayona appare insomma ben cosciente del fatto che in esse si rea-lizza un delicato equilibrio tra i poteri che reggono lo Stato e che la collabora-zione del Regno deve essere ottenuta contemperando la lealtà al sovrano con gli interessi materiali dei singoli sudditi e della collettività, le richieste finan-ziarie della Corona con l'amministrazione della giustizia. Egli sembra insom-ma condividere le idee teorizzate dal Saavedra Fajardo sulla monarchia uni-versale che «sin opresión de la suprema potestad, participa de la aristocracía y policía como en Espaha donde, en muchos casos, la resolución real pende de las cortes generals y estri reservada alguna libertad con la cual, corregido el poder absoluto, es meno peligrosa la autoridad y mas suave la obediencia»126.

Anche il viceré è infatti convinto che nella Spagna degli Austrias l'esercizio e la conservazione del potere non devono nascere della "cieca ubbidienza"

ma da una organica e costante relazione tra governanti e governati. Per realiz-zare quest'ultima è necessario conservare e difendere «la paz y quietud del reyno y su custodia» e a tal fine preservare e mantenere quella gerarchia dei poteri e dei privilegi che sorreggeva da secoli la struttura economica e sociale dei regni iberici. Nei discorsi e negli atti egli esprime insomma la convinzione che l'appartenenza cetuale implichi anche l'assunzione di responsabilità nei confronti dell'intera società. Tenendo ben saldi questi principii e cercando di affermarli in ogni occasione egli riesce dunque a creare anche nell'isola, attor-no alla monarchia e alla politica del Conte-Duca, un crescente consenso. Il suo costante richiamo all'onore e alla lealtà verso il sovrano, alla virtù nobilia-re (intesa come obbligo di offrinobilia-re al nobilia-re i propri servigi senza aspettarsi grazie o benefici) e la contemporanea, generosa offerta di privilegi e concessioni da parte della Corona riescono dunque a fare breccia tra i ceti privilegiati dell'i-sola consentendo al marchese di Bayona di ottenere, nel Parlamento del 1626 e in quello del 1631, la delibera sulla concessione del donativo in soli 30 gior-ni e prima ancora dello svolgimento effettivo delle Corti.

A tal fine, già dalla fase iniziale della convocazione del Parlamento, il viceré può contare sia sulla leale collaborazione dei più autorevoli rappresentanti della nobiltà sassarese e di quella cagliaritana sia sul disinteressato aiuto del Prieto e dell'arcivescovo Machin (promosso, grazie ai buoni uffici del viceré, dalla mitra di Alghero a quella ben più prestigiosa e redditizia di Cagliari). I due prelati convincono i rappresentanti dello Stamento ecclesiastico ad

126 Cfr. P. SAAVEDRA FAJARDO, Introduciones a la politica y razón de Estado del Rey católko don Fernando (1631), Madrid 1946, BAE, vol. 25, lib. II, cap. III, pp. 1235-1236. Per un qua-dro generale sul pensiero politico di Saavedra Fajardo cfr. F. MURILLO FERROL, Saavedra Fajardo y la politica del Barroco, Madrid 1957; A. JOUCLA-RUAN, Le tacitisme de Saavedra Fajardo, Paris 1977; M. SEGURA ORTEGA, La filosofia giuridica y politica en las "Empresas" de Saavedra Fajardo, Murcia 1984; Espaiki y Europa en el siglo XVII. Correspondencia de Saavedra Fajardo (1631-1633), a cura di Q. Aldea Vaquero, Madrid 1986.

appoggiare la politica del Pimentel; il Machín docente di teologia in diversi collegi è un profondo conoscitore della cultura spagnola e dispone di infor-mazioni di prima mano sul dibattito filosofico e politico in atto nelle univer-sità ispaniche.

Anche Gaspare Prieto non è uno sprovveduto vescovo di provincia ma un personaggio di alto profilo politico che ha vissuto a lungo in Catalogna e in Aragona e ha visitato tutti i dominii spagnoli. Col Machín, di cui è amico fra-terno127, condivide la convinzione che il vescovo, come pastore di anime, debba contribuire ad armonizzare l'azione politica e la legge divina per realiz-zare quel modello cattolico di vita sociale che la dottrina controriformista àncora alla disciplina interiore e all'autorità del principe cristiano, e per far prevalere i loro convincimenti i due prelati partecipano alle Corti e si battono per la concessione del donativo alla Corona'28.

A tal fine essi incoraggiano il giurista Antonio Canales de Vega, professore di diritto nell'ateneo cagliaritano e avvocato dello Stamento ecclesiastico, a pubblicare quei Discursos con i quali l'alto clero del Regno di Sardegna cerca di «buscar rapnes» a favore di una collaborazione armonica tra la monarchia e il Regno'29.

2. Riprendendo le tematiche care al costituzionalismo catalano-aragonese"°, il

127 Gaspare Prieto, oltre che grande elettore del Machín a generale dell'Ordine mercedario delle provincie spagnole, gli fece per diversi anni da segretario. Quando il Machín rinuncerà al vescovado di Alghero per l'arcivescovado di Cagliari farà di tutto perché la mitra algherese venga assegnata all'amico Gaspare.

128 il viceré, nel proporre il Machín all'attenzione del sovrano per la concessione di ulteriori grazie, lo informa che l'arcivescovo di Cagliari, in qualità di prima voce dell'Ecclesiastico, ha operato abilmente affinché non solo i sindaci dei Capitoli diocesani di Cagliari ed Iglesias (Giovanni Cau e Antonio Scarchoni) ma l'intero Stamento esprimessero voto favorevole alle richieste del viceré. Cfr. ACA, C.d.A., leg. 1360 e 1358. Il legame fra l'alto clero e la Corona era strettissimo. Per antico privilegio pontificio il re d'Aragona poteva proporre le candidature vescovili senza che la cancelleria apostolica potesse intervenire in merito. Su tale antico diritto cfr. R. TURTAS, Note sui rapporti fra i vescovi di Alghero e il Patronato regio, in Alghero, la Catalogna e il Mediterraneo cit., pp. 399-408. Più in generale, per alcune riflessioni critiche sul ruolo svolto dal dero nella Spagna barocca cfr. E J. ARANDA PEREZ, Socieclad y élites eclesidsti-cas en la Esparia moderna, Cuenca 2000.

129 Per una edizione critica del testo e una approfondita analisi del ruolo svolto dai due prelati nella elaborazione delle tesi esposte nei Discursos cfr. A. CANALES DE VEGA, Discursos y apunta-mientos sobre la proposición hecha en nombre de su Magestat a los tres Bracos Ecclesidstico, Militar y Real (a cura di A. Murtas e G. Tore), Cagliari 2007, Introduzione, pp. 11 ssgg.

130 Sui privilegi costituzionali concessi ai sudditi dalla Corona d'Aragona e sul loro utilizzo politico cfr. L. GONZALEZ ANTÒN, Las cortes en la Esparia del Antiguo Régimen, Madrid 1989;

J. H. ELLIOTT, La rebelión de los Catalanes. Un estudio sobre la decadencia de Espatia (1598-1640), Madrid 1989; D. LARIO RAMIREZ, El Comte-Duc d'Olivares i el regne de Valencia, Valencia 1986; E. SOLANO CAIVION, Poder mondrquico y Estado pactista. 1626-1652. Los arago-neses ante la Unión de armas, Zaragoza 1987; L. GulA MARIN, Cortes del reinado de Felipe IV Cortes Valencianas de 1645, Valencia 1984.

Canales de Vegam, nel primo dei suoi Discursos y Apuntamientos, che dedica idealmente agli Stamenti, sostiene l'utilità delle Corti come strumento di gover-no e di rappresentanza degli interessi del Reggover-no davanti al sovragover-no. La parteci-pazione ad esse non deve essere motivata dal desiderio di acquisire ricchezze ed onori ma dalla ricerca di pace e giustizia, valori indispensabili alla conviven-za civile e condizioni necessarie alla "conservazione" dello Stato. Il sovrano ha convocato infatti le Corti per chiedere a tutti i sudditi il loro contributo alla difesa dei dominii della Corona minacciati da diversi e agguerriti nemici.

Nel secondo discorso, dopo aver esposto le tesi di diversi autori, favorevoli alla potestà assoluta del principe e al diritto che egli ha di imporre tributi132,

131 Antonio Canales de Vega nasce in una agiata famiglia di origine cagliaritana. Rimasto orfa-no in giovane età, per mantenersi agli studi può contare, unitamente alla madre ed ai fratelli, su un discreto capitale lasciato dal padre (2500 ducati) che esercitava la mercatura. Egli frequenta a Cagliari le scuole di grammatica e si iscrive all'università di Pisa dove studia per un biennio (1619-1621). Si trasferisce quindi nella penisola iberica e nel 1621 si immatricola all'università di Salamanca e vi completa gli studi graduandosi in utroque iure i122 aprile 1624. Dopo una breve esperienza di insegnamento nelle università spagnole rientra nella città d'origine dove esercita l'avvocatura. Successivamente gli viene affidato l'insegnamento di vísperas de leyes nell'università cagliaritana appena costituita (1626) e diventa uno dei più accreditati giuristi sardi. Per l'abilità dimostrata nell'esercizio della professione, su indicazione dell'avvocato Giovanni Camier e del giudice Dexart l'arcivescovo Machín lo nomina avvocato dello Stamento ecclesiastico. Al fine di stimolare il dibattito politico sui problemi economici, politici e sociali che la guerra sta facendo emergere egli pubblica i Discursos y Apuntamientos che vengono apprezzati dalle autorità e dai ceti privilegiati del Regno. In questo periodo sposa Elisabetta Garau de Phia che gli porta in dote 100 mila ducati. Deceduta quest'ultima si risposa con la nipote del giurista Giovanni Dexart. Il secondo matrimonio gli consente di accelerare ulteriormente l'ascesa economica e sociale. Per i meriti acquisiti durante le Corti viene proposto e nominato dal presidente Prieto assessore alla Procurazione reale (18 giugno 1632). Nel quinquennio successivo, alle responsabi-lità proprie del letrado accompagna una intensa attività forense della quale restano numerose allegazioni a stampa. Dopo il reimbarco del corpo di spedizione francese, che aveva occupato la città di Oristano (1637), pubblica una prolissa e ridondante relazione nella quale esalta nomina-tivamente il valore dei nobili sardi e l'operato del viceré. La pubblicazione, che verrà inviata a Filippo IV, apre al Canales la carriera della magistratura nella Reale Udienza di Cagliari (4 set-tembre 1637). H favore vicereale gli consente infatti di prevalere su alcuni concorrenti più titola-ti. La considerazione e il prestigio di cui gode gli attireranno forti invidie tanto da costringerlo a difendersi da diverse accuse. Muore a Cagliari nel 1659. Cfr. ACA, Càmara de Aragón, Reg. 316, fol. XXXIII; P. TOLA, Dizionario degli uomini illustri cit., vol. I, pp. 161-162; G. Pisy, Dizionario biografico degli Italiani cit., vol. XVII, ad vocem, pp. 701-702; A. RUNDINE, Gli studenti sardi all'Università di Salamanca (1580-1690), in R. TURTAS, A. RUNDINE, E. ToGNarn, Università, studenti, maestri. Contributo alla storia della cultura in Sardegna, Sassari 1990, p. 82. Sulla Relación scritta dopo la conquista di Oristano e sui vantaggi che egli ne trae cfr. E MANCONI, L'invasione di Oristano nel 1637: un'occasione di patronazco real nel quadro della guerra ispano-francese, in «Società e Storia», a. XXII, n. 84, 1999, pp. 253-279. Ulteriori riferimenti alla sua attività politico culturale ín E ELMS DE TEJADA, Cerdeiia hispanica, Sevilla 1960, pp. 107 ss.

132 A. CANALES DE VEGA, Discursos y Apuntamientos sobre la proposición becha en nombre de su Magestad à los tres Braps Ecclesiastico, Militar y Real, Caller 1631. Le citazioni che seguono fanno riferimento all'edizione originale conservata nella Biblioteca Universitaria di Cagliari (Sala Piccola). In particolare sulla politica fiscale vedi le pp. 12-13-

per riaffermare gli antichi privilegi parlamentari dei corpi rappresentativi ricor-da che la piena sovranità del principe, in Sardegna e negli altri territori della Corona d'Aragona, è sottoposta da tempo immemorabile ad un regime costitu-zionale di tipo contrattualistico133. I capitoli stipulati in vim contractus diventa-no irrevocabili per le due parti e devodiventa-no essere rispettati. Tradizionalmente,

per riaffermare gli antichi privilegi parlamentari dei corpi rappresentativi ricor-da che la piena sovranità del principe, in Sardegna e negli altri territori della Corona d'Aragona, è sottoposta da tempo immemorabile ad un regime costitu-zionale di tipo contrattualistico133. I capitoli stipulati in vim contractus diventa-no irrevocabili per le due parti e devodiventa-no essere rispettati. Tradizionalmente,