1. La rilevanza istituzionale delle Corti del 1631-1632 nasce dal fatto che dopo mezzo secolo di lenta ma progressiva crescita i ceti privilegiati, allarmati dalla crisi economica e dall'inflazione strisciante, dal perdurare e dall'estendersi della guerra, si interrogano sulle potenzialità economiche dell'isola e sulla sua capacità di far fronte ad eventi di così ampia portata. La gravità della crisi sem-bra infatti minare anche il progetto di restauradón avviato dalla monarchia con il rafforzamento dei rapporti politici e militari fra i regni ispanici151.
Tra il 1625 e il 1630, a stimolare questa riflessione e ad offrire una nuova piattaforma politica di contrattazione è la ripresa della Guerra dei Trent'anni.
Fra le istituzioni del Regno il nuovo scenario economico e politico suscita forti preoccupazioni. Per far fronte ad esse gli Stamenti rivitalizzano il ruolo delle Cortes come strumento di difesa costituzionale e di affermazione di seco-lari diritti e le utilizzano per attivare con la Corona una complessa negoziazio-ne delle loro aspirazioni cetuali. In cambio del coinvolgimento negoziazio-nel progetto politico della Unión de Armas e del sostegno alla guerra in atto i ceti privile-giati cercano di ottenere la loro paritaria integrazione nel sistema amministra-tivo e di potere che la monarchia spagnola gestisce in Europa.
Al centro della trattativa viene posto il principio costituzionale dell'egua-glianza politica dei sardi con i sudditi degli altri regni iberici e l'estensione ad essi dei privilegi costituzionali e giuridici di cui godono i corpi rappresentativi del Principato di Catalogna e dei regni di Valenza e d'Aragonam. Il consenso
151 Sulle trasformazioni in atto nel mondo mediterraneo e sulla crisi dei dominii spagnoli cfr.
M. AYMARD, La fragilità di un'economia avanzata: l'Italia e le trasformazioni dell'economia euro-pea, in Storia dell'economia italiana, vol. II, L'Età Moderna: verso la crisi, a cura di S. Romano, Torino 1991, pp. 5-137; F. BRAUDEL, Civiltà materiale, economia e capitalismo (secoli XV-XVIII), Torino 1981-1982, 3 voli.; I. WALLERSTAIN, Il sistema mondiale dell'economia moderna, Bologna 1978-1982; G. PAGANO DE DIVITLIS, Mercanti inglesi nell'Italia del Seicento, Venezia 1990; P. MALANIMA, La fine del primato. Crisi e riconversione nell'Italia del Seicento, Milano 1998; R. VILLARI, La rivolta antispagnola a Napoli. Le origini 1585-1647, Roma-Bari 1967; G.
DE ROSA, Il Mezzogiorno spagnolo fra crescita e decadenza, Milano 1987. Per un bilancio com-plessivo e una revisione degli studi sul Mezzogiorno spagnolo si vedano le recenti annotazioni critiche formulate dal Musi, dal Benigno e dal Verga: cfr. A. Musi, Napoli e la Spagna tra XVI e XVII secolo. Studi e orientamenti storiografici recenti, in «Clio», a. X30(1, 1995, n. 3; ID., L'Italia dei Viceré. Integrazione e resistenza nel sistema imperiale spagnolo, Salerno 2000; E BENIGNO, Ripensare la crisi del Seicento, in «Storica», n. 5, 1996, pp. 7-52; M. VERGA, Il Seicento e i para-digmi della storia italiana, in «Storica», n. 11, 1998, pp. 7-42.
152 Sulle differenze costituzionali politiche ed economiche esistenti fra i tre regni aragonesi
alla politica del sovrano e della facción valida da parte di quei gruppi che la monarchia, per ampliare la sua base sociale, cerca di coinvolgere nella gestio-ne del potere centrale e periferico viegestio-ne insomma concesso da corpi e istitu-zioni formalmente uniti dalla condivisione del programma di Unión de Armas e dalla comune appartenenza sociale. Essi appaiono però divisi dall'adesione a consorterie familiari che rivaleggiano fra loro per ottenere premi, onori e con-cessioni153. L'azione del viceré è facilitata dal fatto che la Corona, preoccupata per l'andamento della guerra, appare più disponibile del precedente decennio a concessioni che vengano incontro alle effettive necessità del Regno e a tal fine non esita ad attivare inedite modalità di governo coinvolgendo nell'analisi dei problemi e nella individuazione delle soluzioni anche le istituzioni perife-riche'54.
In questo contesto di reciproca debolezza politica, attraverso una serrata corrispondenza tra la Corona e i due viceré che celebrano le Corti del 1632, vengono tessute, con argomentazioni di straordinaria attualità, strategie clien-telari che consentiranno alla monarchia di ottenere il donativo concedendo al Regno alcuni privilegi sui quali da tempo si andava concentrando l'attenzione degli Stamenti.
Per conseguire tale obiettivo il Bayona e il Consiglio d'Aragona lavorano con grande impegno. Nel periodo che precede l'apertura del Parlamento e durante la sua celebrazione le fonti documentarie evidenziano un flusso conti-nuo di informazioni tra centro e periferia per conoscere anticipatamente le possibili richieste dei tre Bracci, i capitoli elaborati da ciascuno Stamento e
cfr. A. MATTONE, Centralismo monarchico e resistenze stamentari cit., pp. 123-186; E MANCONI, Le diseguaglianze di un rapporto economico e sociale. Catalogna e Sardegna nell'Età medioevale e moderna, in In., Il grano del re. Uomini e sussistenze nella Sardegna d'antico regime, Sassari 1992, pp. 49-78; B. ANATRA, Sardegna è Corona d'Aragona nell'Età moderna, in I Catalani in Sardegna, a cura di J. Carbonell e E Manconi, Cinisello Balsamo 1988, pp. 59 ss.; ID. Istituzioni e società nella Sardegna spagnola: Medioevo persistente o modernizzazione zoppa?, in Nel sistema imperiale: l'Italia spagnola, a cura di A. Musi cit., pp. 160 ss.
153 Per i rapporti con la Corona e i condizionamenti derivanti dai contrasti d'interesse esi-stenti all'interno degli Stamenti dei regni d'Aragona si vedano le stimolanti proposte metodolo-giche dell'Antón: cfr. L. GONZALEZ ANTON, La Corona de Aragón: régimen politico y cortes.
Entre el mito y la revisión historiografica, in «Anuario de Historia del Derecho Espatiol», LVI (1986), pp. 1017-1042; ID., Espana y las Espanas, Madrid 2002, pp. 253-339.
154 Anche nel Regno di Sardegna sembrano prevalere quelle logiche di governo clientelare che nella Spagna seicentesca caratterizzano i rapporti fra la Corte e le istituzioni periferiche.
Sulle dinamiche sociali fra centro e periferia nella penisola iberica cfr. P. FERNANDEZ ALBALADEJO, Fragmentos de Monarquía cit., pp. 241-283; J. L. PALos, Catalunya i l'imperi dels Austria. La pratica del govern (segles XVI i XVII), Lleida 1994; M. ARTOLA, La monarquía de Espaiia, Madrid 1999; Les élites locales et l'état dans l'Espagne moderne au XVI-XIX siècle, a cura di M. Lambert-Georges, Paris1993, pp. 178 ss.; M. A. FARGAS PENARROCHA, Familia i poder a Catalunya (1516-1626), Barcelona 1997; AAVv., Espacios de Poder. Cortes, ciudades y vil-las . (S. XVI-XVIII), vol. I, a cura di J. Bravo, Madrid 2002.
perfino le richieste espresse da singoli individui. Esse vengono valutate dalla segreteria viceregia tenendo conto della lealtà manifestata dai richiedenti nei confronti del sovrano e del servizio prestato gratuitamente a favore dell'ammi-nistrazione o volontariamente sui campi di battaglia. Dopo tale verifica, com-provata da riscontri oggettivi, il viceré invia la richiesta al Consiglio d'Aragona ed alla speciale giunta sulle Corti che 1'Olivares aveva istituito nel 1626155.
Nelle lettere che spedisce al protonotario Villanueva e al Conte-Duca il Bayona delinea la piattaforma contrattuale che si va configurando e chiede istruzioni e preventive autorizzazioni alla decretazione dei capitoli che implichi-no la rinuncia della Corona ad eventuali diritti anche quando essi si configuraimplichi-no come spazi giurisdizionali ormai anacronistici. A Madrid le richieste provenienti dal Regno vengono filtrate dal Consejo de Aragón che comunica al viceré i sug-gerimenti più opportuni, indicando anche gli spazi di contrattazione a cui egli deve attenersi156. Talvolta, di fronte all'incertezza delle scelte, all'insufficienza delle informazioni o alla carente documentazione degli uffici madrileni, la Corona chiede anche il parere consultivo degli organi periferici coinvolgendoli nella discussione. Nelle Corti del 1631-1632 il ministro-favorito fa ricorso con una certa frequenza a questa prassi di governo, raramente utilizzata in prece-denza, dando luogo ad interessanti riflessioni sulle novità introdotte nei rappor-ti tra centro e periferia dai gruppi e dalle fazioni legate al parrappor-tito del valido"'
Per fornire al Consiglio d'Aragona e alla giunta sulle Corti un fondato parere giuridico su alcuni capitoli che il viceré Bayona appare disposto a con-cedere, la Reale Udienza invia, ad esempio, a Madrid una argomentata con-
155 Sulle modalità di lavoro delle giunte e dei consigli e, più in generale, sulla struttura amministrativa dello Stato spagnolo cfr. J. M. GARCfA MARfN, La burocracia castellana bajo los Austrias, Madrid 1986; D. M. SANCHEZ, El deber del Consejo en el Estado moderno. Las Juntas
«ad hoc» en Espazia (1471-1665), Madrid 1993; J. L. ARRIETA ALBERDI, El Consejo Supremo de la Corona de Aragón (1494-1707), Zaragoza 1994; J. E BALTAR RODRIGUEZ, Las juntas de Gobierno en la Monarquía Hispanica (siglos XVI-XVII), Madrid 1998.
156 Sulle singolari coincidenze fra la prassi amministrativa utilizzata in Sardegna dal marche-se di Bayona e quella in uso nel Regno di Valenza per far fronte alle tensioni sociali suscitate dalla politica di Unión de armar, oltre agli antesignani lavori di J. MATEU IBARS, Los virreyes de Valencia. Fuentes para su estudio, Valencia 1963 e ID., Los Virreyes de Cerdena. Fuentes para su estudio, Padova 1964), si veda quanto ha recentemente rilevato L. GUfA MARIN, Els virreis i la pratica del govern: serveis a la monarquía i orde públic a València i Sardenya a mitjans segle XVII, in «XIV Congresso di Storia della Corona d'Aragona», La Corona d'Aragona in Italia cit., vol.
IV, Comunicazioni cit., pp. 181-196 e, soprattutto, ID., El regne de València. Pràctica i estil parla-mentaris, in «Ius Fugit», nn. 10-11, anno 2001-2002, pp. 889-933, Institución "Fernando el Católico", Zaragoza 2003. Più in generale, sugli orientamenti politici e sulle procedure seguite cfr. E TomÀs Y VALIENTE, El gobierno de la Monarquía y la administración de los reinos en la Espafia del siglo XVII, in Historia de Esparia, Menendez Pidal, vol. XXV cit.
157 Sul sistema di potere che ruota attorno, alla figura del valido, oltre all'ormai classico lavoro di Tomàs y Valiente rimandiamo ancora una volta a: E BENIGNO, L'ombra del re. Ministri e lotta politica cit., pp. 40-120. Ulteriori riferimenti in P. MOLAS RIBALTA, La Monarquía espariola (siglos XVI-XVIII), Madrid 1990; J. ELLIOT e L. BROCKLISS (a cura di), El mundo de los validos cit.
sulta dalla quale traspaiono le convinzioni e gli orientamenti che i letrados avevano sui principali problemi del Regnol".
Il primo argomento preso in esame (perché la Corona subordina la conces-sione di questo privilegio all'assenso della suprema magistratura operante nell'i-sola) è l'obbligo imposto ai feudatari di mantenere a loro spese, a difesa del Regno, una compagnia di cavalleria leggera che si aggiungeva alle truppe mili-ziane mobilitabili in caso di invasione. Questo impegno, che si richiamava ad un'antica prassi vassallatica da cui la nobiltà si considerava esentata in base ad un privilegio concessole nelle Corti celebrate dal conte d'Elda (capp. 142 e 147), era stato reintrodotto dal viceré Vivas nell'ambito della strategia di cen-tralinazione e controllo nobiliare varata dall'Olivares, ma, rilevava il Dexart (difensore degli interessi del Braccio militare, nel Parlamento del 1624 ed esten-sore materiale del documento inviato a Corte nel 1631), lo squadrone di caval-leria si era rivelato poco utile sul piano militare e dannoso per la popolazione civile, che durante le esercitazioni condotte nelle campagne era costretta a sob-barcarsi le spese di acquartieramento. Il vincolo vassallatico — aggiungeva il giu-rista sardo — sarebbe ben presto diventato superfluo anche dal punto di vista politico e giurisdizionale perché, avendo Filippo IV invitato il viceré Bayona ad alienare ai feudatari i diritti allodiali (con l'acquisto dei quali avrebbero ottenu-to il dominio pieno e non condizionaottenu-to della giurisdizione sul feudo), essi sarebbero stati liberi da ogni obbligo e servizio nei confronti della Corona.
Ad attrarre l'attenzione della Reale Udienza sono soprattutto le questioni legate all'amministrazione della giustizia. A tal fine i magistrati del Regno affrontano subito i problemi connessi con la richiesta, fatta dai tre Bracci, di istituire una sala criminale. I ministri considerano questa concessione non solo utile ma necessaria e sottolineano il pesante carico di lavoro che ricade sui magistrati della sala civile che, oltre alle cause relative al proprio ambito giurisdizionale, devono esprimersi anche su quelle criminali e consigliare il viceré su diversi affari di governo. Nella relazione inviata a Madrid essi sotto-lineano il fatto che l'eccessiva lentezza dei processi penali avvantaggia i mal-fattori e lascia impuniti molti delitti. Solo l'istituzione di una nuova sala crimi-nale — a parere dei giudici — avrebbe potuto risolvere una situazione ormai compromessa. Un altro fattore che favoriva la criminalità era, secondo la Reale Udienza, la protezione offerta dagli ecclesiastici ai ladri e agli assassini che si rifugiavano nelle chiese e nei conventi invocando il diritto d'asilo. 11 fenomeno, affermavano i magistrati, era particolarmente diffuso nel Capo set-tentrionale e per limitarne le ripercussioni sull'ordine pubblico il sindaco della città di Sassari aveva supplicato più volte il sovrano di intervenire presso il pontefice per chiedere la sospensione di questo privilegio. L'immunità spin-
l" La Consulta, preparata dal Dexart, il 30 aprile 1632 venne firmata anche dal reggente Bemat e dai giudici Andrada, Corts e Rosso. Cfr. ACA, C.d.A., leg. 1161.
geva infatti i delinquenti, nelle ore notturne, ad effettuare intimidazioni o omicidi alimentando un clima di conflittualità tra fazioni, di paura e di sospet-to che faceva parte ormai delle consuetudini di vita della città turritanal". I magistrati invitavano pertanto il sovrano ad istituire senza ulteriori indugi la nuova sala per tutelare e difendere l'ordine pubblico, favorire la convivenza civile ed elevare il prestigio e la credibilità della monarchia.
Nell'ambito della riforma della giustizia si inserisce anche il sostegno che la suprema magistratura del Regno offre alla richiesta presentata dall'avvocato dello Stamento ecclesiastico di concedere alle città di Oristano, Bosa ed Iglesias il privilegio di affidare ad un letrado l'incarico di assessore del veghie-re alle cause civili e criminali. Tale ufficio, in base ad una secolaveghie-re tradizione, veniva infatti gestito da nobili o cittadini honrados con discutibili risultati.
Questi ultimi — rilevavano i magistrati —, essendo privi di nozioni giuridiche, nel pronunciare le sentenze si lasciavano condizionare da passioni partigiane suscitando una permanente conflittualità sociale che ricadeva sui tribunali regi. Le curie feudali e la Reale Udienza venivano infatti costantemente som-merse dai ricorsi inoltrati da singoli cittadini, gruppi o fazioni16°.
Tenendo conto della situazione i magistrati del supremo tribunale del Regno caldeggiavano dunque l'affidamento di questo delicato incarico ad un dottore in diritto. Quest'ultimo, utilizzando imparzialmente le leggi, avrebbe potuto evitare l'insorgere di odi, dissidi e vendette fra individui, famiglie, con-sorterie.
Se la Reale Udienza si limita ad esprimere il proprio parere su alcuni dei capitoli presentati classificandoli in base a una scala di priorità funzionale alle proprie finalità istituzionali, i corpi rappresentativi del Regno pongono al primo posto dei loro desiderata la fine del monopolio sulle esportazioni cerea-licole.
2. Nella serrata trattativa che precede la convocazione delle Corti, l'unico vero scontro tra la Corona e i ceti si verifica infatti sul problema degli asientos161. Ministri, giudici, nobili e prelati, tramite il viceré, chiedono inutil-
1" Cfr. ACA, C.d.A., leg. 1161, Consulta della Reale Udienza del 30 aprile 1632 cit.
160 Sulle giunte di probi viri e sul loro ruolo nella amministrazione della giustizia cfr. R. Di Tucci, L'organismo giudiziario sardo: la Corona, ín «Archivio Storico Sardo», a. XII, 1916-1917;
A. ERA, Il «juhi de prohomens» in Sardegna, in «Rivista di Storia del Diritto Italiano», a. II, 1929, n. 3.
161 L'asiento era un contratto di prestito sottoscritto dalla monarchia con uno o più commer-cianti detti asentistas. Essi si impegnavano a fornire alla Corona una determinata quantità di denaro, in genere molto elevata, in una piazza finanziaria prestabilita. La garanzia era costituita da rendite dello Stato che i creditori gestivano fino alla restituzione del prestito. Il rimborso avveniva in monete diverse da quelle in cui era stato erogato il credito e pertanto il contratto implicava anche il ricorso al sistema dei cambi internazionali.
mente al sovrano di rinunciare a tale tipo di contratto che sta impoverendo il Regno162. Filippo IV, pressato dalle necessità di guerra, deve continuare a sot-toscrivere tali impegni finanziari perché non ha alternative.
Il primo asiento, di durata triennale, dell'importo di 100 mila ducati, era stato firmato nel 1629 per far fronte alle urgentissime necessità finanziarie e militari determinate dalla calata dell'esercito francese in Italia. Come si è già rilevato, fra l'élite del Regno esso non suscita particolari reazioni perché il viceré Bayona ha l'accortezza di coinvolgere nell'affare nobili ed ecclesiastici interessati ad esportare i frutti delle loro rendite. I problemi emergono di colpo l'anno successivo, quando gli appaltatori dei diritti sulle esportazioni, estendendo il loro ferreo monopolio su tutto il commercio del settore in qua-lità di unici acquirenti, impongono prezzi d'acquisto bassissimi non solo ai contadini ma anche ai baroni e agli alti prelati. Mentre le rendite feudali e quelle decimali, a causa del calo dei prezzi dei cereali, si riducono del 20-30%, le merci provenienti dall'estero rincarano vistosamente per í rischi di guerra, creando una stagnazione produttiva che si accompagna ad una rile-vante inflazione. A causa del monopolio commerciale introdotto nel Regno e del drenaggio fiscale in atto con i donativi la moneta d'argento diventa infatti sempre più rara e quella di rame, fortemente svalutata, non consente di effet-tuare acquisti di manufatti provenienti dall'estero poiché i commercianti impongono rapporti di scambio troppo sfavorevoli. Inflazione, stagnazione e pressione fiscale creano un crescente malcontento in tutti gli strati sociali, che accusano i monopolisti di arricchirsi alle spalle della popolazione. Il basso prezzo dei cereali, non consentendo agli agricoltori di coprire le spese di colti-vazione e di pagare gli interessi sui prestiti usurai che essi hanno sottoscritto, accresce il numero dei sequestri per debito inducendo molti piccoli produtto-ri — come sottolinea Antonio Canales de Vega nei suoi Discursos — ad abban-donare la terra e a darsi al banditismo e al vagabondaggio. La contrazione delle coltivazioni, determinata dal monopolio sui prezzi e sulle esportazioni, riduce non solo le entrate delle casate feudali e del ceto ecclesiastico e le riser-ve annonarie esistenti nei villaggi e nelle città ma anche il surplus cerealicolo destinato all'esportazione163.
162 Cfr. Parlamento, doc. n. 635, c. 925.
163 Il contratto di asiento sembra determinare anche nel Regno di Sardegna gli inconvenienti finanziari segnalati dai letrados e dagli arbitrasti dei regni di Napoli, di Sicilia e di Valenza. Al riguardo si vedano le lettere spedite dal viceré al Consiglio d'Aragona e le consulte dí questo importante organo amministrativo. Cfr. ACA, C.d.A., leg. 1181, 1169, lettera del viceré Bayona, in data 14 novembre 1629; consulte del C.d.A. del 1 febbraio 1630 e del 13 aprile 1631. Per un quadro generale sulle conseguenze del monopolio cerealicolo cfr. B. ANATRA, Aspetti della con-giuntura seicentesca cit., pp. 1-41: ID., L'annona in Sardegna cit., pp. 95. Il monopolio cerealico-lo accelera quei fenomeni di contrazione delle terre coltivate che è stato rilevato in altri territori italiani governati dalla monarchia ispanica. Per un confronto cfr. O. CANC1LA, Impresa, reddito,
Allo scadere del triennio, mentre la Corona esercita pressioni sul viceré1"
perché faccia approvare il secondo asiento, Agostino Bonfant, segretario del Reale Patrimonio, su richiesta del Consiglio regio, informa Filippo IV che per completare il primo contratto, che prevedeva l'esportazione di 192.000 quin-tali di grano, è necessario rilasciare autorizzazioni all'imbarco per altri 60 mila quintali. Nel maggio e nel giugno del 1631, mesi di congiuntura tra il vecchio e íl nuovo raccolto, il timore che i commercianti genovesi controllino per altri tre anni l'esportazione del Regno, creando ulteriori squilibri produt-tivi e artificiali carestie, si diffonde in tutti i ceti sociali facendo emergere altre vivaci proteste. Scomparso il viceré Bayona, che con lusinghe e promesse di grazia era riuscito a sopire ogni dissenso, al nuovo presidente del Parlamento giungono non solo suppliche ma anche perentorie richieste nelle quali i tre Bracci e il Consiglio civico della capitale, per porre fine a questo contratto iugulatorio, si offrono di pagare (dilazionata in un triennio) la somma offerta al Tesoro regio dagli appaltatori dei diritti sulle esportazioni cerealicole.
L'ordine tassativo del sovrano di firmare il contratto del secondo asiento a qualsiasi condizione per poter saldare con esso una parte degli 850 mila ducati che Giulio Cesare Escaguola, rappresentante del ramo portoghese dei Fiigger, gli ha prestato nel 1629, non lascia però alcuno spazio di manovra né al presidente Prieto né al Consiglio del Reale Patrimonio, né alla stessa monarchia'65. Mentre l'Olivares ed i suoi consiglieri ridefiniscono i progetti di guerra contro la Francia, sul piano fiscale, l'abolizione della tassa castiglia-na dei millones, il fallimento di quella gravante sul sale e il castiglia-naufragio della flotta atlantica che trasportava 2 milioni di ducati rendono assolutamente
L'ordine tassativo del sovrano di firmare il contratto del secondo asiento a qualsiasi condizione per poter saldare con esso una parte degli 850 mila ducati che Giulio Cesare Escaguola, rappresentante del ramo portoghese dei Fiigger, gli ha prestato nel 1629, non lascia però alcuno spazio di manovra né al presidente Prieto né al Consiglio del Reale Patrimonio, né alla stessa monarchia'65. Mentre l'Olivares ed i suoi consiglieri ridefiniscono i progetti di guerra contro la Francia, sul piano fiscale, l'abolizione della tassa castiglia-na dei millones, il fallimento di quella gravante sul sale e il castiglia-naufragio della flotta atlantica che trasportava 2 milioni di ducati rendono assolutamente