CAPITOLO 2. L’INVENZIONE DELLA MUZICĂ POPULARĂ: IL CASO DI MARIA LĂTĂREȚU
2.6. Morte e miracol
3.2.1. Un cântec propriu zis
3.2.3.2. Aș ofta să-mi iăsă focu per orchestra (3129 II c) 1961 Vi sono tre versioni orchestrali di questo brano e datano
rispettivamente 1959 (le prime due) e 1961 (la terza). La versione in mio possesso proviene da un’edizione rimasterizzata e pubblicata da Electrecord nel 2002 in una raccolta dedicata alla cantante. Le uniche informazioni contenute nelle note al CD sono i direttori d’orchestra responsabili delle esecuzioni, senza però che a ciascun brano sia associato il relativo direttore. Sempre che si possano considerare attendibili tali indicazioni, per esclusione, la versione contenuta dovrebbe essere quella del 1961 diretta da Ionel Budișteanu ed eseguita dall’Orchestra populară a Institutului de folclor (Orchestra popolare dell’Istituto di folclore, futuro IEF).93
A distanza di oltre vent’anni dalla versione eseguita dal taraf di Tică, questo adattamento orchestrale sembra a prima vista davvero altra cosa, altra musica completamente. In realtà un esame più attento rivela tracce del vecchio modo di pensare musicale nascoste sotto la patina del nuovo rivestimento per orchestra.
La trascrizione di questo brano ha posto non pochi problemi, le scelte sono state più combattute che in altri, il carattere fluido e imprevedibile delle frasi ha reso non semplice anche solo l’individuazione di punti di orientamento nella melodia. Le scelte operate sono andte infine nella direzione di rimarcare la distanza con la versione “taraf”, piuttosto che in quella di assottigliarle. L’operazione avrebbe lo scopo di dar conto, già con uno sguardo superficiale, dell’impressione che ad un primo ascolto si riceve: quella che si tratti quasi di due brani diversi che hanno in comune il testo e poco più.
La tonalità è state abbassata di un tono e mezzo, a mi maggiore, all’incirca come era avvenuto per Trei în lume nu se poate (lì si
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Circa le difficoltà di reperimento delle informazioni relative alle registrazioni Electrecord recentemente ripubblicate v. paragrafo 3.2.2.2.
trattava di due toni). Le ragioni potrebbero essere le stesse che in quel caso: Maria non arrivava più comodamente nel registro più acuto come in gioventù, oppure il produttore desiderava dare un timbro diverso alla voce della cantante, più caldo, in linea con le coeve produzioni di musica leggera.
Il cambiamento forse più vistoso appare immediatamente: la vecchia introduzione del violino è stata sostituita da una melodia completamente diversa costruita su una frase del canto (quella che nella versione taraf avevo indicato con B). Ancora una volta si adotta una prassi caratteristica della musica leggera: si costruisce un refrain estraendolo dal canto e lo si usa come introduzione e comeinterludio fra le diverse parti cantate (esattamente come era avvenuto in Trei în lume nu se poate). Naturalemente la melodia in questione è regolarizzata, limata e standardizzata al fine di poter essere eseguita all’unisono da più violini. Il suo attacco deciso con quella terzina di crome ascendente e il successivo ribattuto su si (i primi due anche puntati) conferiscono alla melodia un carattere pseudo-sinfonico, altamente enfatico, evocativo di certe musica da varietà (il luogo per eccellenza dove melodie popolari conoscevano un riadattamento semi-colto, attraverso arrangiamenti per ensemble da camera) e di tanta musica leggera arrangiata per piccole orchestre. La chiusura sull’accordo di settima di dominante a battuta 7, secca, marcata, all’unisono ritmico, preceduta e seguita da una pausa, lancia la parte cantata come nella migliore tradizione di quesi generi musicali (ma anche di tanta musica sinfonica ottocentensca). Anche il modo di accompagnare, con il basso in battere che alterna tendenzialmente fondamentale e quinta della triade e accordo in levare a mo’ di risposta alle note del basso sembra mutuato dalla musica leggera della prima metà del Novecento (canzone, canzonetta, le forme semi-colte
della musica da rivista e da caffè-concerto)94. Il fenomeno era stato osservato pure per le versioni taraf di questa musica (v. Trei în lume
nu se poate, paragrafo 3.2.1.1), tuttavia in quel caso la mimesi era
stata molto lontana dal raggiungere un effetto di perfetta identità. In questa musica per orchestra invece il linguaggio della musica leggera è totalmente assorbito sino a divenire parte integrante della nuova costruzione.
L’ingresso della voce però rompe l’illusione di trovarsi di fronte a una canzonetta e ci riporta, almeno in parte, nell’alveo della musica tradizionale. Lo stile di canto è quello, inconfondibile di Maria Lătărețu. L’incipit sull’“of”, quel sospiro, è solo appena più levigato. Certo è scomparso quell’arco ardito (si – mi - si) legato dai glissandi che caratterizzava la prima versione, forse per precise scelte stilistiche, forse perchè la cantante non è più in grado di eseguire una simile acrobazia vocale. Tutto quanto sembra più contenuto, gli eccessi (se così si possono definire quelli che in realtà sono topoi stilistici) paiono limati, ma le caratteristiche stilistiche della vecchia versione non sono scomparse: il vibrato che nasce in ritardo rispetto all’attacco della nota e si fa man mano più intenso (battute 10 - 13), i glissandi che legano la maggior parte dei salti melodici (battute 14 - 15).
Dopo una pausa irregolare (6/4, entro una scansione sostanzialmente in 4/4) alle battute 16 e 17 inizia l’intonazione del primo verso. A è ancora perfettamente riconoscibile all’ascolto, anche se appare in una forma nuova, più scandito, più serrato, più ritmato verrebbe da dire. Sono scomparse le soste di minima su gradi discendenti (erano alle battute 31- 33 della versione taraf) e soprattuto non c’è più traccia dell’elemento “terzina larga” che caratterizzava la prima esecuzione. Al suo posto c’è una figurazione che alterna
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La scelta di trascrivere in 4/4 ha a che fare con questo, col tentantivo di rendere anche visivamente, a livello di micro-struttura questo tipo di accompagnamento.
semiminime e crome (generalmente con un incipit con sequenza semiminima, croma, croma, semiminima – battuta 18 e 28 – oppure, più spesso, semiminima, croma, semiminima – battute 31, 35, 41, 44, 47 e 50). L’effetto di negazione della pulsazione regolare è comunque garantito da questo tipo di figurazioni che sommano una gran quantità di sincopi in una singola frase (emblematico il caso della prima semifrase A, battute 18 -20), dove quasi nessuno dei beat è sottolineato da una nota del canto. L’effetto complessivo, dovuto anche alla scansione più serrata, è quasi quello di un sillabato ribattuto come nel caso delle doina, quasi un recitativo a metà tra parlato e canto. Anche la propensione a spostare in avanti rispetto al beat la caduta delle note (non solo di quelle di inzio frase) è stato conservato dalla vecchia versione: le sincopi delle battute 18 -19, 28 – 29, 32, 36 sono indicative in questo senso.
La distanza tra le frasi, che era spesso considerevole nella vecchia versione, si è qua notevolente ridotta, ma resiste l’asimmetria strutturale dovuta alle libere iniziative della cantante e che mandava in bestia i direttori d’orchestra, incapaci di imbrigliare entro forme simmetriche questi esecutori analfabeti. Così ad esempio la prima semifrase di A dura due misure e mezza (battute 17 – 19), la seconda quattro e ¾ (battute 22 - 27), la prima semifrase del secondo A due (28 - 29), la seconda tre misure e mezza (battute 31 -34), e così via. Le frequenti battute di 2/4 che inframmezzano il regolare flusso in 4/4 sono un altro segno di questa asimmetria.
B (battute 41 - 52) sembra complessivamente più regolare, si potrebbe ipotizzare per influenza di quel ritornello strumentale senz’altro ascoltato un’infinità di volte, cui anche il canto ha finito per adeguarsi (molto diverso era il profilo melodico di B nella versione
taraf).
Gli espedienti espressivi tipici dello stile vocale di Maria Lătărețu sono qui dispiegati in misura non inferiore a quanto era avvenuto
nella registrazione del ’37. Per quanto un poco “limati” sono ancora la cifra caratteristica del suo modo di cantare a distanza di vent’anni. Il vibrato di battuta 22, del tipo secco, ben delineato e serrato come un mordente è seguito a battuta 23 da uno di tipo opposto più morbido e lento nell’oscillazione delle due note (esattamente come era avvenuto nella versione taraf, v. sopra). Il gusto dei glissandi discendenti è rimasto intatto (battute 23, 24, 31), come pure la tendenza a prendere molte delle note con acciaccatura glissata. I vibrati sono ancora frequenti nelle note lunghe e sapientemente alternati all’effetto opposto, “fermo”. Una novità è rappresentata invece dai mordenti. Probabilemte a causa del clima più serrato della melodia, le note più brevi costringono Maria a ornamenti più “stretti”, quali appunto il mordente, presente qui in gra copia (battute 36, 37, 41, 44, 47, 50).
L’aspetto armonico invece, a differenza di quello melodico, è radicalmente cambiato rispetto alla versione del ’37. Fin da subito l’introduzione-refrain presenta le caratteristiche di brano tonale tipiche di questi arrangiamenti orchestrali. Sembra iniziare (di fatto inizia) su una dominante di mi maggiore (tonalità d’impianto), ma subito elude la cadenza attesa per farne un’altra alla parallela minore alle battute3 - 4 (do diesis minore). Il rapido passaggio da maggiore a minore (o viceversa), già osservato in Trei în lume nu se poate, è uno stereotipo di questi arrangiamenti, osservabile nella maggior parte di essi (v. par. 3.2.1.2). Il ritorno al maggiore è immediato: il si dominante di battuta 7 introduce il successivo mi che sostiene il vocalizzo delle misure successive. All’ingresso di A però torna l’accordo di dominante (battuta 18) seguito poi da quello di tonica (battuta 21), in analogia a quanto avveniva nella versione taraf (naturalmente è improprio parlare di dominante in quest’ultimo caso, sebbene forse non del tutto dal momento che quel tipo di armonizzazione è anche imitazione di stilemi tonali).
La seconda semi-frase di A (battute 22 - 27) chiude invece su do diesis minore, laddove nella vecchia versione avevamo un accordo maggiore. Le progressioni armoniche sembrano insomma desunte dalla versione taraf, soltanto “aggiustate” secondo regole tonali laddove necessario (il principio della relazione tra scala di riferimento e accordi è qui rispettato attraverso quel do diesis minore). Lo stesso tipo di trattamento subisce B, cui soltanto viene aggiunto un breve passaggio sull’accordo di settima di dominante (sol diesis settima), preceduto da un movimento del basso in stile tipicamente tonale (si maggiore con la al basso) che serve a legare i tre accordi in sequenza (battute 44 – 45 e 50 - 51). Questo arrangiamento, insieme all’aspetto metricamente più regolare di B, allontanano in modo ancor più vistoso questo segmento del brano dallo stile taraf. Viceversa l’asimmetria della prima parte (le tre A) è segno di una dipendenza dell’arrangiatore dalla melodia e dal trattamento armnico originari. Il mi iniziale, disteso su dieci misure, è decisamente poco tonale. L’alternanza di dominate e tonica che segue (battute 18 - 39), inframmezzata da due escursioni a do diesis minore è troppo irregolare nella distribuzione degli accordi in gioco per essere perfettamente assimilabile allo stile tonale (quanto meno non allo stile tonale semplice, da canzone o al massimo da aria di operetta che questi arrangiatori si proponevano di imitare): il primo si copre tre misure, il successivo mi quattro e mezza, il do diesis seguente due e mezza; e poi a seguire un si di due misure, un mi di sette misure e mezza (sic!), un sol diesis settima di due misure, un do diesis di una misura e mezza. Insomma un’architettura piuttosto complicata per trovare spazio in una forma canzone.
Sembra in fondo che la natura modale di questa musica (della melodia in prima istanza, ma anche del suo adattamento armonico degli anni Trenta) resista parzialmente nonostante tutto nelle mani dell’arrangiatore a dispetto degli sforzi di tonallizzarla, attraverso le
cadenze perfette, l’affermazione ripetuta della tonalità d’impianto e della relativa minore, i movimenti del regolari del basso sulle note della scala per legare i diversi accordi.