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L’opera di “traduzione” di Meneghello

“Era l’Italia dei primi anni Cinquanta” scrive così una giornalista de “La Repubblica” nel 1994 commentando la reazione che causano alcune foto di ebree allineate e denudate in attesa di essere fucilate comparse sulla rivista “Comunità” in quegli anni.117 Un lettore

giudica oltraggiosi gli scatti e accusa il direttore del periodico di “offesa al pudore”. Tutto ciò va inquadrato nei processi di rimozione cui abbiamo accennato precedentemente e che in quel determinato periodo quella “ferita mentale che ci è stata impressa sia immedicabile.”118 Questa vicenda rappresenta anche un indicatore importante per capire

la percezione e la consapevolezza dell‘Olocausto in Italia nei primi anni Cinquanta. Si tratta di dell’ “elemento perturbante“ che “crea scandalo“ e che dà voce a una figura che ”nessuno vuole ascoltare: il Deportato“.119 Quelle fotografie accompagnano la serie di

articoli, come abbiamo detto nell‘Introduzione, pubblicati in “Comunità“ tra il dicembre del 1953 e la primavera del 1954 da Luigi Meneghello sotto lo pseudonimo di Ugo Varnai. Questi scritti, riediti nel 1994 con il titolo Promemoria: lo sterminio degli ebrei d‘Europa 1939-45, sono molto importanti a mio avviso perché contribuiscono in maniera decisiva a rompere quel ”disgelo” editoriale di cui abbiamo parlato sin ora. Meneghello lavora a Reading, nel Regno Unito, sin dai tardi anni Quaranta. Il trasferimento oltremanica è una scelta inizialmente temporanea ma che poi si tramuta in un’esperienza di lungo corso:

“[…] con l’idea di starci dieci mesi: periodo smisuratamente lungo per me allora, un tratto di tempo confinante con l’eterno. Partivo col vago intento di imparare un po’ di civiltà moderna e poi tornare e farne parte ai miei amici e ad altri italiani. Ma invece ciò che avvenne fu un trapianto, e il progetto iniziale restò accantonato, anche perché mi accorsi che la civiltà che ero venuto a imparare non era poi quella che mi immaginavo io..”120

La pratica nel mondo inglese e anglosassone lo porta ad un’autoanalisi e ad aumentare il senso critico e di riflessione generale sulla cultura italiana. Il rapporto di continua

117 https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/09/16/meneghello-olocausto.html 118 ibid.

119 A. Cavaglion, Il mare richiuso, in M.Luppi, E. Ruffini (a cura di) , Immagini dal silenzio. La prima mostra

nazionale dei Lager nazisti attraverso l’Italia 1955-1960, Nuovagrafica, Modena, 2005, p.13

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interazione fra i due universi è testimoniato dalla ricerca delle proprie origini all’interno della nuova realtà:

“Italiani di passaggio, italiani stanziali, italiani in Italia, amici... Vederli qui, o da qui, li investiva di altra luce, illuminava loro e me. Ma allora, domanda Giacomo, è stato un dispatrio, o una specie di rimpatrio?”121

Il dipartimento di inglese a Reading negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta comprende grandi nomi del mondo accademico e intellettuale. Non è difficile realizzare quanto Meneghello si sia trovato immediatamente a suo agio nell’ ambiente universitario inglese, e quanto abbia potuto impegnarsi ad allargare il gruppo dei suoi colleghi secondo i criteri di originalità e di perfezionismo che pratica nella sua attività di scrittore:

“[…] era ascoltato dai suoi colleghi inglesi, ma proprio in virtù della sua diversità, della sua iniziale estraneità a quel mondo. I suoi modi sorprendevano, e questo lo rendeva interessante, e lui lo sapeva, eccome se lo sapeva... E il suo stile caratteristico era dovuto a questa propensione alla diversità cui lui, come tutti noi in quegli anni, eravamo predisposti, ma che la cultura inglese già vantava – e vanta tuttora – come suo marchio distintivo, come orgoglio gelosamente coltivato, nella vita privata come in quella pubblica, nel costume sociale come nell’esercizio letterario.”122

Vi è poi il rapporto con la rivista “Comunità”. Il primo numero esce nel marzo 1946, con la direzione di Adriano Olivetti. Già da tempo, comunque, Olivetti manifesta la volontà di intraprendere un percorso editoriale; si dedica al giornalismo sin dall’avvento del Fascismo con interventi a vari periodici di critica politica, e si dedica all’editoria d’indirizzo tecnico-scientifico legata alla fabbrica all’interno dell’industria paterna, interesse che sarebbe sfociato poi nella realizzazione delle Nuove Edizioni Ivrea. Meneghello condivide il taglio liberal-socialista e gli interessi culturali del periodico anche quando ad Olivetti subentra Zorzi. Per i tre articoli di nostro interesse attinge da un’opera fondamentale che esce in quegli anni: The Final Solution di Gerald Reitlinger. Possiamo quindi porci una domanda: dato che Meneghello deve approcciarsi ad un’altra opera, quella dello storico inglese, per la stesura dei suoi articoli, qual è il legame

121 ivi, p. 93

122 F. Marenco, Quale ruolo ha Meneghello nella cultura italiana oggi? in F. Caputo (a cura di), Tra le

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dell’autore con la traduzione? Qual è, secondo il suo punto di vista, il metodo da seguire per ottenere delle traduzioni efficaci?

“Meneghello ha tradotto molto [...]. Tradurre è per lui anche un prezioso esercizio di scrittura. A contatto con la lingua inglese, ama ripetere con una punta di civetteria, [...]. L’idea più affascinante esposta da Meneghello è che ciascun testo abbia delle parti chiare e delle parti oscure […], e che il tradurre sia un’attività privilegiata..”123

Gli articolo di Meneghello/Varnai sono ”un inconsueto mix di recensione, riassunto, selezione, traduzione e riorganizzazione”124 a cui possiamo aggiungere l’innovazione

dell’affiancamento allo scritto delle impressionanti immagini che fanno correre il rischio alla rivista di essere citata a giudizio. Infatti:

“La trasmissione linguistica dall’inglese all’italiano […] è essa stessa un primo importante esempio di traduzione storiografica e di diffusione di consapevolezza dell’Olocausto, un caso di accessibilità transnazionale, frutto, come spesso è accaduto, di circostanze fortuite.”125

Oltre alla corposità degli scritti l’autore sceglie con cura le immagini in bianco e nero da affiancargli e questa è un’innovazione molto importante alla luce dello scalpore che destano quelle stesse icone:

“Meneghello li esaminava per filo e per segno con una grande capacità e con un’attenzione, che allora mi stupiva un po’, per la parte fotografica. Desiderava sempre che questi articoli fossero illustrati […]”126

Meneghello si fa quindi portatore di un concetto di traduzione che non è una trasposizione fedele di ogni singola parola, bensì la trasmissione dei medesimi significati attraverso un sistema linguistico differente. Insomma, la traduzione “è quasi un nuovo testo”. Alla base del lavoro di Meneghello, la traduzione va dunque ritenuta come un percorso che ha come obiettivo quello di scoprire il significato intrinseco del testo, scavarne insomma il suo interno sino ad elaborare un significato tutto proprio. Meneghello non è convinto, infatti, che la traduzione debba seguire fedelmente l'aspetto esteriore ma, al contrario, essa deve

123 P. De Marchi, Uno specchio di parole scritte, Franco Cesati Editore, Firenze, 2003, p. 219

124 R.S. Gordon, Scolpitelo nei cuori. L’Olocausto nella cultura italiana (1944-2010), Bollati Boringhieri,

Torino, 2013, p. 248

125 ivi, p. 249

126 R. Zorzi, Meneghello prima di Meneghello, in F. Caputo (a cura di), Tra le parole della ”virtù senza

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trasmettere quello che il testo vuole effettivamente comunicare. L’opera del traduttore non deve quindi limitarsi al semplice riportare parola per parola, se il testo è tradotto con ”la freschezza e il brio” necessari, una volta inteso e ragionato il contenuto, allora ”si fa sentire di più che cosa è il testo” e di conseguenza si può ”lasciar perdere la corrispondenza letterale”.127

Molto importante è il rapporto che l’autore ha con la storia. Tramite questo legame possiamo intendere come siano nati gli articoli sull’Olocausto e su quali basi culturali essi poggino nel rivolgersi a un determinato tipo di pubblico. Meneghello ha un rapporto profondo con la disciplina e le sue dinamiche come testimonia una studiosa:

“[…] è autore, per tappe successive […] di un unico romanzo, quello della sua vita, che si intreccia in modo significativo con quella sociale e nazionale del suo tempo, con modalità che vedono privilegiata ora la dimensione privata […], ora quella pubblica […], ora l'una e l'altra accomunate dalla ricerca della liberazione e dello sviluppo personale e nazionale.”128

A conferma di tale interesse Meneghello scrive, in un suo libro, le letture che lo hanno accompagnato una volta trasferitosi in Inghilterra:

“Uno dei libri più interessanti che ho incontrato nel primo anno in Inghilterra, nell’ambito delle mie letture sull’Ottocento fu Il Capitale di Marx, in traduzione inglese. [...] Negli anni successivi ho studiato poi con qualche puntiglio le cronache della rivoluzione bolscevica e dell’avvento del regime sovietico, mese per mese, giorno per giorno, nei libri di E. H. Carr: e in seguito (con le biografie di Stalin e di Trotzky) la storia agghiacciante delle purghe degli anni Trenta. E mentre stavo lassù si vedeva cosa c’era in Marx, e com’era andata in Unione Sovietica, loro, in Italia, disputavano di... Non posso indurmi a rievocarlo... Shame!”129

Nell'ambiente inglese, Meneghello ha infatti approfondito un considerevole interesse per la storiografia, leggendo e recensendo molti libri sulla storia del nazismo o traducendo, tra gli altri, il volume Trent'anni di storia europea di Henry Wickham Steed. E’ poi dall’inizio della collaborazione con la rivista “Comunità” e dall’elaborazione dell’idea che porta alla stesura degli articoli che possiamo capire il progetto dell’autore. Meneghello comincia la sua collaborazione con una serie di articoli su alcuni pensatori

127 L. Meneghello, La materia di Reading e altri reperti, Rizzoli, Milano, 2005, pp. 255-256 128 R. Turrini, Luigi Meneghello: dalla letteratura alla storia in Novecento. Rassegna di storia

contemporanea, 2, gennaio-giugno 2000, p. 142

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politici inglesi. Il suo impegno, fin da subito, è interpretato sotto una visione particolare. Egli vuole creare in Italia uno spazio per una “cultura media” storica, politica ed intellettuale. E’ così che propone a Zorzi, sin dal dicembre del 1952, un progetto di divulgazione storica che deve essere a metà tra il sapere prettamente scientifico ed accademico e il sensazionalismo che trapela sempre più prepotentemente nei mass media: “Perché non puntare sulla divulgazione storica? Storia […] scritta con scrupolo e chiarezza, senza pretese di contributi specializzati ma anche senza concessioni alle debolezze di una parte del pubblico […] Occorrerebbe rivolgersi alla persona di media cultura che sa poco di storia italiana e europea e d’altra parte si trova isolata fra le riviste specializzate e i periodici a sensazione.”130

E’ in questo contesto che Meneghello espone per la prima volta l’idea che porta alla stesura dei tre articoli sull’Olocausto. Il riferimento è una lettera che egli scrive, datata 27 maggio 1953, in corrispondenza al direttore Zorzi:

“[…] uno scritto documentato sui campi di annientamento tedeschi e sullo sterminio degli ebrei. Mi gioverò soprattutto di un esauriente volume appena uscito ( R. Reitlinger, The Final Solution; oltre 500 pagine di orrori espressi in cifre e documenti). Sarebbe importantissimo render noto al nostro pubblico queste cose, di cui i nazionalisti nostrani vanno dicendo che mancano le prove! […] Nella mia recente visita in Italia ho compiuto una piccola inchiesta in proposito tra amici e conoscenti (tipi del lettore medio) e mi sono reso conto che la conoscenza è poca e l’interesse estremamente vivo […]”131

Si gettano le basi dell’emergere di un tema così importante tant’è che Meneghello vorrebbe e propone di pubblicare tutti e tre gli articoli nel solito numero ma “separatamente” in modo che il lettore possa leggerli senza rimandarli ad “una bibliografia”. Meneghello ci tiene a preservare il carattere autonomo di ogni singolo articolo. E’ a partire da questa corrispondenza che l’attenzione in particolar modo si sposta “dai leader nazisti al sistema dei Lager” quasi a voler anticipare il trend storiografico che prende luogo a partire dagli anni Sessanta.132 Zorzi fiuta e incoraggia

130 R.S. Gordon, Scolpitelo nei cuori. L’Olocausto nella cultura italiana (1944-2010), Bollati Boringhieri,

Torino, 2013, p. 249

131 R. S. C. Gordon, Reti transnazionali nella ricezione della Shoah. Meneghello, Varnai, Reitlinger in M.

Baiardi, A. Cavaglion ( a cura di), Dopo i testimoni. Memorie, storiografie e narrazioni della deportazione

razziale, Viella, Roma, 2014, pp. 21- 22

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Meneghello a finire la stesura del primo articolo “data l’importanza dell’argomento”. Meneghello intende così lasciare “un segno nel contesto italiano” ed indagare un argomento che è ancora vagamente percepito in Italia sia nelle coscienze individuali sia nello stesso dibattito pubblico.133 Questi scambi preliminari fissano i termini per comprendere il rilievo emergente dell‘Olocausto all‘interno di una nicchia di intellettuali

come quelli di “Comunità“.

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