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Operatori chiusi e chiudibili

Nel documento METODI MATEMATICI PER LA FISICA I (pagine 91-101)

|f (x)| |e−itnx− e−itx|dx (3.5.78) l’integrando del secondo memebro tende puntalmente a 0 q.o. ed `e maggiorato da 2|f (x)|, quindi per il teorema della convergenza domiata si conclude.

Corollario 3.5.7. Se f ∈ L1 `e continua e ˆf ∈ L1 allora f = F−1f .ˆ

Dimostrazione. per il teorema precedente f e F−1f coincidono q.o. e poich`e sono entrambeˆ continue, per il lemma precedente, esse coincidono ovunque.

3.6 Operatori chiusi e chiudibili

Definizione 3.6.1. Un operatore lineare T : DT ⊂ H → H (non necessariamente limitato) si dice chiuso se per ogni successione {xn} di DT tale che esistono x, y ∈ H tali che xn → x e T xn → y si ha x ∈ DT e y = T x.

Nel seguito le coppie ordinate di elementi, usualmente indicate con (x, y), saranno indicate con

{x, y} per non creare confusione con il prodotto scalare.

Sia K = H × H = {{x, y}|x ∈ H, y ∈ H} il prodotto cartesiano di H con se stesso. Si pu`o dotare K della struttura di spazio vettoriale definendo {x, y} + {z, t} = {x + z, y + t} e α{x, y} =

{αx, αy}. Si pu`o inoltre definire in K il prodotto scalare (semplice verifica) ({x, y}, {a, b})K = (x, a)H+ (y, b)H, dove ( , )H indica il prodotto scalare in H; da questo prodotto deriva la norma

k{x, y}k2 = kxk2+ kyk2. Dalla definizione segue subito che data una successione {{xn, yn}}n in

K essa `e di Cauchy se e solo se le due successioni {xn}n, {yn}n sono di Cauchy in H. Vediamo ora che K costruito in questo modo `e uno spazio di Hilbert: sia {{xn, yn}}n una successione di Cauchy in K, allora {xn}n, {yn}n sono successioni di Cauchy in H, quindi esistono x, y ∈ H tali che xn→ x e yn→ y ma allora si ha

k{xn, yn} − {x, y}k2= k{xn− x, yn− y}k2= kxn− xk2+ kyn− yk2→ 0 (3.6.1) quindi {x, y} = limn→∞{xn, yn} in K, che `e quindi completo.

Definizione 3.6.2. Sia T : DT ⊂ H → H un operatore lineare. Si definisce grafico di T il sottoinsieme GT di K definito da

GT = {{x, T x}|x ∈ DT} (3.6.2)

Poich`e T `e lineare evidentemente GT `e un sottospazio vettoriale di K. Lemma 3.6.1. GT `e un sottospazio chiuso di H ⇔ T `e un operatore chiuso.

Dimostrazione. ⇐) Sia {{xn, yn}}n una successione di elementi di GT tale che {xn, yn} → {x, y};

ci`o equivale ad affermare che xn → x e yn → y, inoltre si ha yn = T xn, quindi si ha xn → x e T xn→ y. Poich`e T `e un operatore chiuso si ha x ∈ DT e y = T x, quindi {x, y} ∈ GT che `e quindi chiuso.

⇒) sia {xn}nuna successione di DT tale che xn→ x e T xn→ y, allora si ha {xn, T xn} → {x, y}

in K e poich`e GT `e chiuso si ha {x, y} ∈ GT, cio`e x ∈ DT e y = T x, quindi T `e un operatore chiuso.

Lemma 3.6.2. Sia T : H → H un operatore lineare, allora se T `e limitato T `e anche chiuso.

Dimostrazione. se xn → x e T xn → y, allora dalla continuit`a di T segue y = limn→∞T xn= T x, quindi T `e chiuso.

Vale anche l’inverso del teorema precedente anche se la dimostrazione richiede argomenti pi`u sottili (per la dimostrazione vedi l’appendice F).

Teorema 3.6.1 (Teorema del grafico chiuso (Banach)). Se T : H → H `e un operatore lineare

chiuso allora T `e limitato.

Definizione 3.6.3. Sia T : DT ⊂ H → H un operatore lineare (non necessariamente limitato) tale che DT = H (cio`e il dominio di T `e denso in H); se dato x ∈ H esiste x ∈ H tale che per ogni y ∈ DT si abbia (x, T y) = (x, y) allora si dice che x ∈ DT+ e si pone x= T+x.

In generale non `e detto che DT+ 6= {0}, in particolare non `e detto esista (T+)+; inoltre se un x, come nella definizione, esiste allora `e unico: se esistessero x

1, x

2tali che (x, T y) = (x

1, y) = (x

2, y)

per ogni y ∈ DT si avrebbe (x

1− x

2, y) = 0 per ogni y ∈ DT e poich`e DT = H si avrebbe anche, per la continuit`a del prodotto scalare, (x

1− x

2, y) = 0 per ogni y ∈ H e quindi x

1= x

2. Lemma 3.6.3. Sia T : DT → H con DT = H, allora T+: DT+ → H `e un operatore lineare. Dimostrazione. si deve mostrare che se x, z ∈ DT+ e α, β ∈ C allora si ha αx + βz ∈ DT+ e

T+(αx + βz) = αT+x + βT+z. Siano x, z ∈ DT+, allora esistono x, zcome nella definizione 3.6.3 e per ogni y ∈ DT si ha

(αx + βz, T y) = α(x, T y) + β(z, T y) = α(x, y) + β(z, y) = (αx+ βz, y) (3.6.3) quindi αx + βz ∈ DT+ e (αx + βz)= αx+ βz, cio`e T+(αx + βz) = αT+x + βT+z.

Definizione 3.6.4. Sia T : DT → H un operatore lineare tale che DT = H, allora l’operatore

lineare T+ : DT+ → H della definizione 3.6.3 e del lemma 3.6.3 si chiama operatore aggiunto di T .

Lemma 3.6.4. Sia T : DT → H un operatore lineare tale che DT = H, allora T+`e un operatore chiuso.

Dimostrazione. sia {xn}n una successione in DT+ tale che xn → x e T+xn → y, allora per ogni z ∈ DT si ha, per la continuit`a del prodotto scalare, (xn, T z) → (x, T z) e (T+xn, z) → (y, z),

quindi dall’identit`a (xn, T z) = (T+xn, z) (valida per ogni z ∈ DT) segue (x, T z) = (y, z) per ogni

z ∈ DT, quindi x ∈ DT+ e y = T+x, quindi T+`e chiuso.

Esempio 3.6.1. Esiste un operatore lineare T : DT → H tale che DT = H e DT+ 6= H, per il quale quindi non esiste (T+)+.

Dimostrazione. sia H uno spazio di Hilbert separabile di dimensione infinita, sia {en}n una base ortonormale numerabile e sia DT l’insieme delle combinazioni lineari finite di vettori di {en}n, di modo che DT = H. Fissato v 6= 0 definiamo per ogni n l’operatore T en = v e si prolunghi T per linearit`a su DT(ci`o `e possibile senza ulteriori ipotesi poich`e DT `e lo spazio delle combinazioni lineari

finite degli {en}n). Si vede subito che T cos`ı definito non `e limitato: si ha infatto kPnk=1ekk2= n e kT (Pnk=1ek)k2= knvk2= n2kvk2e quindi

kT (Pnk=1en)k

kPnk=1ekk =

nkvk → ∞ (3.6.4) Sia ora x ∈ DT+, allora esiste x tale che (x, T y) = (x, y) per ogni y ∈ DT, in particolare per

y =PNk=1akek si ha (x, N X k=1 akek) = (x, T ( N X k=1 akek)) = (x, v N X k=1 ak) = (x, v) N X k=1 ak (3.6.5)

Sia ora V lo spazio delle combinazioni lineari del tipoPNk=1akek conPNk=1ak = 0; mostriamo che V = H: sono contenuti in V i vettori

z1= e1− e2; z2= e1+ e2− 2e3; zn= e1+ · · · + en− nen+1 (3.6.6) sia u ∈ H tale che (u, zk) = 0 per ogni k, allora (u, z1) = 0, cio`e (u, e1) = (u, e2); (u, z2) = 0, cio`e (u, e1) + (u, e2) = 2(u, e3), quindi (u, e1) = (u, e2) = (u, e3) e per induzione `e sempice vedere che per ogni n si deve avere (u, en) = (u, e1); ma per la disuguaglianza di Bessel si deve avere P

k=1|(u, ek)|2< +∞, quindi si deve avere per ogni n che (u, en) = 0, ma {en} `e una base, quindi u = 0, quindi l’unico vettore ortogonale a V `e 0, quindi V = H.

Dalla fomula 3.6.5 segue che x `e ortogonale a V , quindi x = 0 per ogni x ∈ DT+. Sia ora PNk=1akek un vettore tale che PNk=1ak 6= 0, allora da 3.6.5 e x = 0 segue x ⊥ v, quindi

DT+ ⊂ v. D’altro canto se x ⊥ v si ha (x, T ( N X k=1 akek)) = (x, v N X k=1 ak) = (x, v) N X k=1 ak = 0 = (x, N X k=1 akek) (3.6.7) quindi v⊂ DT+e quindi DT+= v, da cui segue che DT+non `e denso in H, infatti se fosse denso si dovrebbe avere, per la continuit`a del prodotto scalare, (DT+)= {0}, mentre si ha v ∈ (DT+) e v 6= 0.

Esempio 3.6.2. Sia H = L2(−π, π), DT = C([−π, π]) lo spazio delle funzioni continue su [−π, π]

e sia T : DT ⊂ H → H definito da T f = f (0), allora T non `e chiuso.

Dimostrazione. siano fn = e−n|x|, allora si vede subito che fn → 0 in L2(−π, π) e che per ogni n si ha (T fn)(x) = 1, ma 1 6= T (0), quindi T non `e chiuso.

Esempio 3.6.3. Sia H = L2(−∞, +∞), DQ = {f ∈ L2(−∞, +∞)|xf (x) ∈ L2(−∞, +∞)} e

definiamo Q : DQ⊂ H → H come (Qf )(x) = xf (x), allora Q non `e limitato ed `e chiuso. Dimostrazione. vediamo innanzitutto che Q non `e limitato: sia fn(x) = 1

xχ[1,n+1], allora si ha kQf k2= Z +∞ −∞ |xfn(x)|2dx = n; kfnk2= 1 − 1 n + 1 (3.6.8)

da cui segue che

kQk2 kQfnk2

kfnk2 = n 1 − 1

n+1

→ +∞ (3.6.9)

quindi Q non `e limitato. Vediamo ora che Q `e chiuso: sia {fn} una successione in DQ tale che

fn→ f e Qfn→ g, allora si deve vedere che f ∈ DQ e g = Qf . Notiamo innanzitutto che, fissata

a > 0, si ha Z a −a |xf (x) − xfn(x)|2dx ≤ a2 Z +a −a |f (x) − fn(x)|2dx ≤ a2kf − fnk2 (3.6.10) e quindi si ha (sempre per a fissato)

Z +a −a |xf (x) − g(x)|2= Z +a −a |xf (x) − xfn(x) + xfn(x) − g(x)|2dx ≤ (3.6.11) ≤ 2 Z +a −a |xf (x) − xfn(x)|2+ 2 Z +a −a |xfn(x) − g(x)|2 ≤ 2a2kf − fnk2+ 2kQfn− gk2→ 0

quindi xf (x) = g(x) per q.o. x ∈ [−a, a] e per la genericit`a di a si ottiene xf (x) = g(x) q.o.; inoltre per ipotesi si ha f, g ∈ L2(−∞, +∞) ma da xf (x) = g(x) q.o. segue allora che xf (x) ∈ L2(−∞, +∞) e quindi f ∈ DQ e xf (x) = g(x) q.o. implica xf (x) = g(x) in L2(−∞, +∞), quindi

Esempio 3.6.4. Sia H = L2(0, π), DT = {f ∈ H|f0(x) esiste per q.o. x e f0 ∈ H} e definiamo T : DT ⊂ H → H come T f = f0, allora T non `e chiuso.

Dimostrazione. le funzioni semplici (cio`e le funzioni ”a gradini”) sono evidentemente contenute in DT, inoltre f (x) = x pu`o essere approssimato uniformemente (e quindi in L2(0, π)) da funzioni semplici e sia {fn}n una successione di funzioni semplici tali che fn→ f in L2, allora si ha T fn= 0 per ogni n, quindi 0 = limn→∞T fn ma 0 6= T f = 1, quindi T non `e chiuso.

Teorema 3.6.2. Sia T : DT ⊂ H → H un operatore lineare tale che se {xn}n `e una successione in DT, xn→ 0 e T xn→ y allora si abbia y = 0. Allora si pu`o estendere T nel seguente modo: se {xn}n`e una successione di DT tale che xn → x e T xn → y, si definisce T x = y. Inoltre l’operatore cos`ı esteso `e chiuso.

Dimostrazione. affinch`e l’estensione dell’ipotesi abbia senso si deve verificare che se {xn}n, {ˆxn}n sono successioni di DT tali che xn→ x, ˆxn→ x e T xn→ y e T ˆxn → ˆy allora y = ˆy. Supponiamo

per assurdo y 6= ˆy e poniamo dn= xn− ˆxn, allora {dn}n`e una successione di DT tale che dn→ 0

e T dn → y − ˆy, quindi per ipotesi si deve avere y − ˆy = 0, assurdo.

Verifichiamo ora che T `e chiuso: notiamo innanzitutto che DT `e il sottospazio di H costituito dagli x tali che esistano una successione {xn}n di DT e y ∈ H tali che xn→ x e T xn→ y. Sia ora {pn}n una successione di DT tale che pn→ p e T pn → q. Vediamo innanzitutto che p ∈ DT: per ogni pnesiste una successione {p(i)n }idi DT tale che p(i)n → pne T p(i)n → T pne non `e quindi difficile mostrare che {p(n)n }n `e una successione di elementi di DT tale che p(n)n → p e T p(n)n → q, quindi p ∈ DT. Inoltre per costruzione si ha T p = limn→∞T p(n)n = q, che mostra che T `e chiuso.

Corollario 3.6.1. Condizione necessaria e sufficiente affinch`e un operatore T : DT ⊂ H → H ammetta una estensione chiusa `e che per ogni successione {xn}ndi DT tale che xn→ 0 e T xn→ y si abbia y = 0.

Dimostrazione. il teorema precedente mostra che la condizione `e sufficiente; vediamo che `e anche

necessaria: sia T un operatore per cui esiste una successione {xn}n di DT tale che xn → 0 e T xn → y 6= 0 e supponiamo per assurdo che esista una estensione chiusa T : DT ⊂ H → H

dell’operatore T , allora per definizione di estensione si deve avere DT ⊂ DT e T |DT = T . Sia ora {xn}n la successione precedentemente citata, allora essa `e contenuta in DT e si ha xn → 0 e T xn= T xn→ y 6= 0, ma poich`e T `e chiuso per ipotesi si deve avere y = T 0 = 0, assurdo.

Definizione 3.6.5. Sia T : DT ⊂ H → H un operatore lineare; esso si dice chiudibile se ammette una estensione chiusa. Sia T una estensione chiusa di T , essa si chiama estensione minimale di T se soddisfa la relazione GT = GT, cio`e il grafico dell’estensione di T `e la chiusura del grafico di T .

Lemma 3.6.5. Sia T : DT ⊂ H → H un operatore chiudibile, allora esiste sempre una estensione minimale di T .

Dimostrazione. per provare il lemma baster`a mostrare che l’estensione definita nel teorema 3.6.2

`e l’estensione minimale di T . Sia {x, y} ∈ GT, allora per come `e stato costruito T deve esistere una successione {xn}n di DT tale che xn → x e T xn → y, cio`e {xn, T xn} → {x, y} in K,

inoltre {xn, T xn} ∈ GT e quindi GT ⊂ G(T ). Sia ora {x, y} ∈ GT, allora esiste una successione

{{xn, T xn}}ntale che {xn, T xn} → {x, y} in K, cio`e xn→ x e T xn → y, ma allora per definizione

si ha x ∈ DT e T x = y, quindi GT ⊂ GT.

Se T : DT ⊂ H → H non `e chiudibile la non esistenza di una estensione minimale `e dovuta

al fatto che GT non pu`o essere grafico di nessun operatore, poich`e contiene elementi della forma

{f, g1}, {f, g2}, dove g16= g2. Consideriamo ad esempio l’operatore dell’esempio 3.6.2; `e semplice vedere che l’operatore T ivi considerato non `e chiudibile usando direttamente la definizione ma qu`ı procederemo in altro modo: se T fosse chiudibile esisterebbe una sua estensione chiusa ˜T ed allora

Mostriamo ora che GT non pu`o essere contenuto nel grafico di nessun operatore (chiuso o no), il ch`e concluder`a: consideriamo le funzioni

fn=    0 su [−π, 0] nx su (0, 1/n] 1 su (1/n, 1) ˜ fn=    0 su [−π, −1/n) nx + 1 su (−1/n, 0) 1 su [0, π] f =  0 su [−π, 0] 1 su (0, π] (3.6.12) allora `e semplice vedere che fn→ f e ˜fn → f , T fn = 0 e T ˜fn= 1, quindi GT contiene sia {f, 0} che {f, 1} e quindi non pu`o essere contenuto nel grafico di nessun operatore.

Esempio 3.6.5. Sia H = L2(0, π), DT = C1([0, π]), cio`e lo spazio delle funzioni constinue su [0, π] e derivabili con derivata continua in (0, π) che ammette estensione continua a [0, π], e sia

T f = f0, allora T non `e chiuso ma `e chiudibile. Dimostrazione. vediamo che T non `e chiuso: definiamo

gn =    0 su [0, π/2] n(x −π 2) su (π/2, π/2 + 1/n) 1 su [π/2 + 1/n, π] g =  0 su [0, π/2] 1 su (π/2, π] (3.6.13)

definiamo ora fn(x) =R0xgn(t)dt e f (x) =R0xg(t)dt, allora si ha fn ∈ DT e f 6∈ DT. Mostriamo che fn→ f uniformemente (e quindi in L2(0, π)):

Z x 0 g(t)dt − Z x 0 gn(t)dt Z π/2+1/n π/2 |g(t) − gn(t)|dt ≤ 2/n (3.6.14) quindi si ha fn ∈ DT, fn→ f ∈ H, T fn= gn→ g ∈ H ma f 6∈ DT, quindi T non `e chiuso.

Verifichiamo che T `e chiudibile: sia {fn} una successione di DT tale che fn → 0 e f0 n → g;

mostriamo che g = 0. Sia φ ∈ C

c ([0, π]), allora si ha (g, φ) = (lim f0 n, φ) = lim(f0 n, φ) = lim Z π 0 f0 nφ = − lim Z π 0 fnφ0 = (3.6.15) = − lim(fn, φ0) = −(lim fn, φ0) = −(0, φ0) = 0 quindi g ⊥ C c ([0, π]) e quindi g = 0.

Teorema 3.6.3. Sia T : DT ⊂ H → H un operatore lineare, DT = H (quindi esiste T+) e DT+ = H (quindi esiste T++), allora T `e chiudibile e T++ `e una estensione (chiusa per il lemma 3.6.4) di T .

Dimostrazione. verifichiamo prima di tutto che T `e chiudibile: sia {xn}n una successione di DT tale che xn→ 0 e T xn→ y e sia z ∈ DT+, allora si ha

(y, z) = (lim T xn, z) = lim(T xn, z) = lim(xn, T+z) = (lim xn, T+z) = (0, T+z) = 0 (3.6.16) quindi y ⊥ DT+, ma si ha per ipotesi DT+ = H, quindi y ⊥ H e y = 0, quindi T `e chiudibile.

Verifichiamo ora che T++`e una estensione di T : se x ∈ DT+e y ∈ DT si ha (x, T y) = (T+x, y),

cio`e scrivendo T+ = A si ha (y, Ax) = (T y, x) cio`e y ∈ DA+ e A+y = T y, cio`e y ∈ DT++ e

T++y = T y, quindi DT ⊂ DT++ e T++|DT = T , quindi T++`e una estensione di T . Al teorema seguente premettiamo un semplice lemma:

Lemma 3.6.6. Sia V un sottospazio di H e U : H → H un operatore unitario, allora si ha

Dimostrazione. se x ∈ U V allora esiste una successione {vn}n in V tale che x = lim U vn; inoltre si ha kvn− vmk = kU vn− U vmk e poich`e la successione {U vn}n `e convergente (a x) `e convergente anche la successione {vn}n, sia vn → z, allora si ha z ∈ V e x = lim U vn= U lim vn= U z, quindi

x ∈ U V e quindi U V ⊂ U V .

Se invece x ∈ U V allora esiste z ∈ V tale che x = U z, inoltre esiste una successione {vn}ndi V tale che vn → z, quindi x = U lim vn = lim U vn; la successione {U vn}n `e una successione di U V , quindi x ∈ U V , quindi infine U V ⊂ U V .

Teorema 3.6.4. Sia T : DT ⊂ H → H un operatore lineare chiudibile tale che DT = H, allora si

ha anche DT+= H e T++= T (dove T indica l’estensione chiusa minimale di T ).

Dimostrazione. su K = H × H consideriamo l’operatore lineare U : K → K definito da U {x, y} = {y, −x}, allora si ha DU = ImU = K, inoltre si ha

kU {x, y}k2= k{y, −x}k2= kyk2+ kxk2= k{x, y}k2 (3.6.17) quindi U `e un operatore unitario (vedi lemma 3.4.3). Inoltre si ha U2{x, y} = U {y, −x} = {−x, −y}, quindi U2 = −I. Servir`a inoltre notare che se U : H → H `e un operatore unitario allora si ha U (A ⊕ B) = U A ⊕ U B (la verifica `e immediata).

Siano x ∈ DT+ e y ∈ DT, allora si ha (x, T y) − (T+x, y) = 0, cio`e ({x, T+x}, {T y, −y}) = 0

quindi ({x, T+x}, U {y, T y}) = 0; inoltre {x, T+x} `e un generico elemento di GT+ mentre {y, T y} `e un generico elemento di GT, quindi si ottiene GT+ ⊥ U GT. Per la continuit`a del prodotto scalare si ha allora anche GT+ ⊥ U GT e per il lemma precedente GT+ ⊥ U GT e per la definizione di estensione chiusa minimale si ha GT+ ⊥ U GT; inoltre sia GT+ che U GT sono chiusi. Sia ora

{a, b} ∈ K tale che {a, b} ⊥ U GT, allora per ogni y ∈ DT si ha

0 = ({a, b}, U {y, T y}) = ({a, b}, {T y, −y}) = (a, T y) − (b, y) (3.6.18) in particolare l’equazione precedente vale per ogni y ∈ DT (poich`e DT ⊂ DT) quindi a ∈ DT+ e

b = T+a, quindi {a, b} ∈ GT+, quindi (U GT) ⊂ GT+; inoltre si `e visto che GT+ ⊥ U GT, cio`e

GT+⊂ (U GT), quindi si ottiene

K = GT+⊕ U GT (3.6.19) Applicando U alla precedente uguaglianza e ricordando che U2= −I, U K = K e che −GT = GT si ottiene

K = U GT+⊕ GT (3.6.20) Quindi, riassumendo, se T `e un operatore lineare tale che DT = H allora GT+ `e il complemento ortogonale di U GT (vedi equazione 3.6.19). Se si suppone che sia anche DT+ = H si ottiene allora che GT++ `e il complemento ortogonale di U GT+, ma poich`e T+ `e chiuso si ha T+ = T+ e quindi GT++ = (U GT+), ma per l’equazione 3.6.20 si ha (U GT+) = GT e quindi si conclude che GT++ = GT e quindi infine T++= T .

Resta quindi solo da dimostrare che DT+ = H: sia x ⊥ DT+, allora per ogni z ∈ DT+ si ha 0 = (x, z) = (x, z) − (0, T+z) = (0, T+z) − (x, z) = (3.6.21)

= ({0, x}, {T+z, −z}) = ({0, x}, U {z, T+z})

quindi {0, x} ∈ (U GT+) e quindi per 3.6.20 {0, x} ∈ GT, quindi x = T 0 = 0, quindi l’unico vettore ortogonale a DT+`e 0, quindi H = DT+.

Riportiamo ora alcuni fatti non elementari circa la relazione tra derivazione ed integrazione secondo Lebesgue per le cui dimostrazioni si rimanda all’appendice G.

Teorema 3.6.5 (Teorema Fondamentale del Calcolo, Lebesgue). Sia f ∈ L1(a, b) e

Definizione 3.6.6. Sia J ⊂ R un intervallo. Una funzione f : J → C `e detta assolutamente

continua se per ogni  > 0 esiste un δ > 0 tale che per ogni famiglia finita {(ai, bi)}i di intervalli disgiunti contenuti in J tale che

n X i=1 |bi− ai| < δ (3.6.22) si abbia n X i=1 |f (bi) − f (ai)| <  (3.6.23) Dalla definizione segue immediatamente che ogni funzione assolutamente continua `e anche uniformemente continua (basta prendere un intervallo solo) ma non `e vero il viceversa (come si vedr`a tra poco).

Lemma 3.6.7. sia f ∈ L1(a, b) e sia F (x) =Raxf (t)dt, allora F `e assolutamente continua.

Teorema 3.6.6 (Teorema Fondamentale del Calcolo). Sia f : [a, b] → C una funzione

assolutamente continua, allora f `e derivabile q.o., f0 ∈ L1(a, b) e si ha per ogni a ≤ x ≤ b la

relazione

f (x) − f (a) =

Z x a

f0(t)dt (3.6.24)

Corollario 3.6.2. Una funzione f : [a, b] → C pu`o essere scritta nella forma

f (x) = f (a) +

Z x a

φ(t)dt (3.6.25)

per qualche φ ∈ L1(a, b) se e solo se f `e assolutamente continua ed in questo caso si ha φ(t) = f0(t)

per q.o. t ∈ (a, b).

Teorema 3.6.7 (Formula d’integrazione per parti). Se f, g : [a, b] → C sono funzioni

assolutamente continue e x, y ∈ [a, b] allora si ha

Z y x f0(t)g(t)dt = f (y)g(y) − f (x)g(x) − Z y x f (t)g0(t)dt (3.6.26) Vediamo ora usando il teorema 3.6.6 come non tutte le funzioni uniformemente continue siano assolutamente continue costruendo la funzione di Cantor-Vitali (esempio tratto dal testo [4] della bibliografia). Definiamo induttivamente una successione di funzioni definite su [0, 1]:

V0(x) = x; Vk+1(x) =      1 2Vk(3x) x ∈ [0, 1/3] 1 2 x ∈ (1/3, 2/3) 1 2+1 2Vk[3(x − 2/3)] x ∈ [2/3, 1] (3.6.27) `

E immediato verificare per induzione la seguente affermazione: ogni Vk `e continua e Vk(0) = 0,

Vk(1) = 1.

Vediamo ora per induzione che |Vk(x) − Vk−1(x)| ≤ 22−k. Per k = 1 questa affermazione si vede banalmente essere vera. Supponiamo ora sia vera per k = n e vediamo che `e vera anche per

k = n + 1: sia ad esempio x ∈ [0, 1/3], allora si ha |Vn+1(x) − Vn(x)| = |1 2Vn(3x) − Vn(x)| = | 1 2Vn(y) − Vn(y/3)| = (3.6.28) = |1 2Vn(y) − 1 2Vn−1(y)| = 1 2|Vn(y) − Vn−1(y)| ≤ 1 22 2−n= 22−(n+1)

nei casi x ∈ (1/3, 2/3) e x ∈ [2/3, 1] la tesi si dimostra con lo stesso trucco e quindi la tesi `e mostrata. Da ci`o segue che la successione di funzioni {Vk}kconverge uniformemente ad una funzione continua,

V che essendo continua su un compatto `e anche uniformemente continua. Questa `e la funzione di

Cantor-Vitali.

Sia ora C l’insieme di Cantor (che `e un insieme chiuso) e sia x ∈ Cc, allora dalla definizione 3.6.27 `e semplice dedurre l’esistenza di due numeri vx, Nxtali he se k > Nxallora si ha Vk(x) = vx in un intorno di x, quindi in particolare V (x) = vx in un intorno di x, quindi per ogni x ∈ Cc la funzione di Cantor-Vitali `e derivabile con derivata nulla e poich`e C `e un insieme trascurabile si ha quindi V0(x) = 0 per q.o. x ∈ (0, 1). Inoltre dal fatto che per ogni k si ha Vk(0) = 0 e Vk(1) = 1 segue che V (0) = 0 e V (1) = 1. Supponiamo quindi per assurdo che V sia assolutamente continua, allora si avrebbe

V (1) − V (0) =

Z 1

0

V0(t)dt = 0 (3.6.29)

quindi 1 = V (1) = V (0) = 0, assurdo, quindi V non pu`o essere assolutamente continua.

Si `e visto nell’esempio 3.6.5 che se H = L2(0, π), DT = C1([0, π]) e T f = f0, allora T non `e chiu-so ma `e chiudibile. Utilizzando il teorema 3.6.4 ed i teoremi enunciati sulle funzioni aschiu-solutamente continue si pu`o determinare l’estensione chiusa minimale di T .

Esempio 3.6.6. Siano H = L2(0, π), DT = C1([0, π]) e T f = f0, allora l’estensione chiusa minimale T `e T : DT ⊂ H → H, dove DT = {f : [0, π] → C|f assolutamente continua } e

T f = f0.

Dimostrazione. cerchiamo di determinare T+: se h ∈ DT esiste h∈ H tale che (h, T f ) = (h, f )

per ogni f ∈ C1([0, π]), cio`e

(h, f0) = Z π

0

h(x)f (x)dx (3.6.30)

sia ora H(x) =R0xh(t)dt, allora (vedi lemma 3.6.7) H`e assolutamente continua, quindi (teorema 3.6.7) si pu`o integrare per parti e per il teorema 3.6.5 si ottiene

(H, f0) = Z π 0 H(x)f0(x)dx = H(π)f (π) − Z π 0 h(x)f (x)dx = f (π)(h, 1) − (h, f ) (3.6.31) quindi (H+ h, f0) = f (π)(h, 1) (3.6.32) Se si considera ora f (x) = sin nx, quindi f (π) = 0, f0(x) = n cos nx, si ottiene che (h+H, cos nx) =

0 per ogni n > 0 quindi, poich`e {cos nx}n∈N `e una base ortogonale di L2(0, π), si ottiene h(x) +

H(x) = cost. La costante pu`o essere determinata ponendo x = 0, ottenendo quindi

h(x) − h(0) =

Z x

0

(−h(t))t (3.6.33)

quindi per il corollario 3.6.2 si ha h0(x) = −h(x) per q.o. x ∈ (0, π), quindi l’equazione (h, f0) = (h, f ) diventa (h, f0) + (h0, f ) = 0 cio`eR0π(h(x)f (x))0dx = 0 e quindi h(π)f (π) − h(0)f (0) = 0; a questo punto scegliendo ad esempio f (x) = x e f (x) = x − π si ottiene h(π) = h(0) = 0. quindi si ottiene

DT+⊂ {h : [0, π] → C|h assolutamente continua e h(0) = h(π) = 0} (3.6.34) e T+h = −h0. D’altro canto se h `e nell’insieme a destra di 3.6.34 allora si ha, per il teorema 3.6.7,

(h, T f ) = Z π 0 h(x)f0(x)dx = − Z π 0 h0(x)f (x)dx = (−h0, f ) (3.6.35) e quindi h ∈ DT+, quindi si ottiene

e T+h = −h0. Determiniamo ora T++: se p ∈ DT++ allora esiste p tale che per ogni h ∈ DT+ si abbia (p, T+h) = (p, h), quindi, definendo P(x) =R0xp(t)dt, si ottiene, analogamente a 3.6.31,

(P, h0) = Z π 0 P(x)h0(x)dx = − Z π 0 p(x)h(x)dx = −(p, h) (3.6.37) quindi (p, T+h) = −(p, h0) = (p, h) = −(P, h0), quindi (p − P, h0) = 0. Scegliendo h(x) = sin nx si ottiene (p − P, cos nx) = 0 per ogni n > 0 e quindi p(x) − P(x) = cost, da cui p(x) − p(0) = Rx

0 p(t)dt, quindi p `e assolutamente continua e p= p0, quindi si ha

DT++ ⊂ {p : [0, π] → C|p assolutamente continua } (3.6.38) e T++p = p0. D’altro canto se p `e assolutamente continua e h ∈ DT+ si ha

(p, h) − (p, T+h) = (p, h) + (p, h0) = (p0, h) + (p, h0) = Z π 0 d dt(ph)dt = [p(x)h(x)] π 0 = 0 (3.6.39) quindi si ottiene infine

DT++ = {p : [0, π] → C|p assolutamente continua } (3.6.40) e T p = T++p = p0.

Appendice A

Spazi L

p

In questa appendice ci si limiter`a a trattare spazi Lp sul campo reale in quanto la maggior parte dei risultati ottenuti si pu`o dimostrare immediatamente anche per il campo complesso separando parte reale e immaginaria.

A.1 Definizioni

Definizione A.1.1. Sia M ⊂ Rn un insieme misurabile e sia f : M → R una funzione reale; si dice che f appartiene all’insieme Lp(M ) se fp `e integrabile su M , 1 ≤ p < ∞; si dice che f ∈ L(M ) se esiste C > 0 tale che |f (x)| ≤ C per q.o. x ∈ M e f `e misurabile.

Definizione A.1.2. Siano f, g ∈ Lp(M ); si scriver`a f ∼ g (f `e equivalente a g) se f = g quasi

ovunque in M .

`

E immediato verificare il seguente lemma:

Lemma A.1.1. La relazione ∼ introdotta nella definizione precedente `e una relazione di

equiva-lenza in Lp(M ).

Definizione A.1.3. Si indica con Lp(M ) lo spazio quoziente Lp(M )/ ∼. Se a, b ∈ Lp(M ), siano

f, g ∈ Lp(M ) tali che a = [f ] e b = [g], definiamo allora

a + b = [f + g] λa = [λf ]

Si vede semplicemente che le definizioni precedenti sono non ambigue, cio`e non dipendono dai particolari rappresentanti f, g delle classi a, b. Dotato di queste operazioni l’insieme Lp diviene uno spazio vettoriale (si dovrebbe vedere che a + b ∈ Lp(M ), vedi la dimostrazione in A.2.2). Definizione A.1.4. Sia a ∈ Lp(M ) e sia f tale che a = [f ], allora si definisce norma di a il

valore kakp= Z M |f (x)|pdx 1/p se 1 ≤ p < ∞. Se p = ∞ si definisce kak= inf C∈R{C| |f (x)| ≤ C per q.o. x ∈ M }

la norma di a `e ben definita, cio`e non dipende dal particolare rappresentante di a scelto.

Nella prossima sezione si mostrer`a come k kLp sia effettivamente una norma su Lp.

Nonostante gli spazi Lp siano spazi di classi di equivalenza, `e uso comune indicare gli elementi di Lp come fossero funzioni, assumendo implicitamente di identificare funzioni uguali q.o.

Nel documento METODI MATEMATICI PER LA FISICA I (pagine 91-101)

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