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Il contesto politico, economico e sociale1

Come abbiamo visto gli anni dell’immediato dopoguerra e il decennio che va dal 1950 al 1960 sono momenti di grande cambiamento e di grandi trasformazioni. In Sicilia, ma anche in Italia, cambiano l’economia, la politica e la società.

L’economia siciliana fino ad allora basata sul grande latifondo cerealicolo viene sconvolta dalle lotte contadine e dalle leggi di Riforma agraria. Ma forse l’elemento che sconquas-sò ancor di più la società isolana fu il grande esodo di massa che vide circa un milione e mezzo di siciliani, soprattutto braccianti agricoli e contadini poveri, abbandonare l’Isola per trasferirsi nel Nord dell’Italia o nell’Europa industriale.

D’altra parte, però, cresce sempre più la domanda d’industrializzazione dell’Isola. L’ingente massa di mezzi finanziari disponibili aiuta sia l’industria privata che quella pub-blica. Tra la fine della guerra e il 1955 il ritmo di crescita industriale siciliano è più alto di quello nazionale.2 Inoltre il 27 ottobre 1953 nella periferia di Ragusa sgorga il petrolio in un pozzo della Gulf Oil Company, grossa compagnia petrolifera privata internazionale. In Sicilia sale la febbre dell’oro nero e cresce la certezza di ricchezze che si pensa porterà con sé questa scoperta.

Si pone il problema: chi deve guidare questa grande industrializzazione? La piccola e media industria locale con l’aiuto pubblico o i grandi monopoli privati nazionali ed este-ri? Su questa fondamentale controversia economica si baserà l’evoluzione politica e socia-le della Sicilia degli anni cinquanta e sessanta.

Nel frattempo la Democrazia cristiana, grande ed indiscussa protagonista di quegli anni, cambia gestione. Sconfitto il centrismo di De Gasperi e la sua “Legge elettorale truffa”, viene fuori nel 1954 il partito cattolico nuovo, moderno ed integralista di Fanfani. Ma la sua voglia di potere assoluto all’interno del partito provoca una forte reazione. Qui in Sicilia sono simboli politici come don Sturzo e Scelba e dirigenti di partito come Alessi ed Aldisio che cercano di contrastare in tutti i modi lo strapotere di Fanfani.

Questi prestigiosi personaggi democristiani si servono di Silvio Milazzo, agrario democri-stiano di Caltagirone, per sconfiggere il fanfaniano governo regionale La Loggia. Milazzo, infatti, viene eletto capo del governo siciliano da uno schieramento politico eterogeneo 86

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1. Per una ricostruzione dei fatti di questo convulso periodo, mi sono rifatto ampiamente al libro di F. Renda, Storia

della Sicilia, cit. Inoltre ho utilizzato anche il libro di Andrea Spampinato, Operazione Milazzo. Cronaca della rivol-ta siciliana del 1958. Come nacque, a chi giovò, come finì, Flaccovio, Palermo, 1979. Un'analisi approfondirivol-ta ed

accurata di quegli avvenimenti è stata fatta vent'anni dopo il loro succedersi in un Convegno svoltosi a Messina nel marzo 1979. Gli atti del Convegno sono stati raccolti nel libro Il milazzismo. La Sicilia nella crisi del centrismo. Atti

del convegno organizzato dalla Sezione di Messina dell'Istituto Socialista di Studi Storici - Messina, marzo 1979, a

cura di Rosario Battaglia, Michela D'Angelo, Santi Fedele, Messina, Sezione dell'Istituto Socialista di Studi Storici, 1980. Nel libro, fra gli altri, vi sono interventi di Giuseppe Giarrizzo, Paolo Sylos Labini, Luciana Caminiti, Giuseppe La Loggia, Salvatore Lauricella ed Emanuele Tuccari.

che va dall’estrema sinistra all’estrema destra, passando per la dissidenza interna demo-cristiana. Per la prima volta la Democrazia cristiana è all’opposizione. Nasce la cosiddetta “Operazione Milazzo”.

Questi governi, che rimangono in carica dall’ottobre 1958 al febbraio 1960, creano scon-certo e perplessità non solo in Sicilia ma in tutto il Paese. Per l’Italia repubblicana, uscita dalla seconda guerra mondiale fermamente ancorata, secondo la logica di Yalta, al Patto Atlantico, si tratta di una vero e proprio terremoto politico.

I governi Milazzo

Ma cos’è che determina questo sconvolgimento delle tradizionali alleanze politiche? Come mai rimarrà nella storia come momento politico ritenuto da alcuni confuso e tra-sformista e da altri considerato invece come delicatissimo passaggio da una vecchia fase di immobilità assoluta ad una di movimento convulso con aperture fino allora ritenute impossibili?

Una delle cause dell’esperienza Milazzo è già stata menzionata ed è lo scontro interno alla Democrazia cristiana. L’altra causa, non meno importante della prima, è la scompar-sa dalla vita politica isolana della destra latifondista che aveva fatto da supporto sociale a tutti i governi regionali di centro-destra succedutisi dal dopoguerra al 1955, anno della caduta del governo Restivo.

Vi è poi la diversa concezione dello sviluppo economico siciliano che determina le allean-ze nei due schieramenti in campo. Da un lato i potentati monopolistici privati, quali la Fiat, la Montecatini e la Gulf Oil Company, che vedono nella Confindustria dei Valletta, amministratore delegato della Fiat, e dei Moratti, industriale del petrolio, l’espressione della loro linea economica: favorire al massimo la grande impresa privata ed emarginare l’impresa pubblica e le piccole aziende locali.

Dall’altro lato si forma uno schieramento composito e variegato, l’alleanza milazzista, che va dalla Sicindustria di Mimì La Cavera e dall’ENI di Mattei alle forze agrarie siciliane che si riconoscono in Milazzo, dai comunisti e socialisti alla destra missina e al malcontento democristiano. Questo vasto fronte considera positivamente l’intervento pubblico nel-l’economia e le forme di aiuto finanziario alle piccole e medie aziende locali. Ed è in que-sta direzione infatti che si concepisce la nascita della SOFIS, la Società Finanziaria Siciliana, alla cui direzione si vorrebbe La Cavera.

Il primo governo Milazzo si forma alla fine di una serie di avvenimenti che vede proprio queste due fazioni in lotta fra loro. Questi eventi sono: il convegno del CEPES3nel 1955 all’Hotel Villa Igea di Palermo che vede schierata tutta la grande impresa privata italiana che rivendica il suo ruolo di pilota solitario dell’economia nazionale e che determina la caduta del governo Alessi alla Regione e la sua sostituzione con il fanfaniano governo La

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Loggia; la scoperta da parte dell’ENI di Mattei di un grandissimo giacimento di petrolio a Gela nel 1956; la mancata designazione di La Cavera alla direzione della SOFIS e la sua espulsione dalla Confindustria; la caduta del governo La Loggia e la formazione del primo governo Milazzo il 31 ottobre 1958.4

A questo punto i notabili democristiani, avendo ormai raggiunto l’obiettivo di sconfiggere Fanfani sia sul piano regionale sia in sede nazionale, ritengono chiusa l’“Operazione Milazzo” ed invitano quindi il deputato di Caltagirone a rientrare nei ranghi democristiani. Milazzo però si rifiuta e fonda un secondo partito cattolico, l’Unione cristiano sociale, che se da un lato ottiene ottimi risultati elettorali nelle elezioni regionali del giugno ‘59, dal-l’altro non raggiunge assieme agli altri alleati di governo la maggioranza numerica neces-saria per governare.

Lo schieramento milazzista si ostina, nonostante tutto, a voler continuare questa espe-rienza. Nascono così il secondo e il terzo governo Milazzo che si reggono sul 46° voto utile per ottenere la maggioranza all’Assemblea regionale.5 Ed è in questo modo che si arriva allo scandalo dell’Hotel delle Palme, registi il segretario regionale democristiano D’Angelo ed ambienti della questura palermitana. L’onorevole democristiano Santalco offre il proprio voto ai milazziani in cambio di un milione di lire; l’assessore cristiano-socia-le Ludovico Corrao e il deputato comunista Marraro accettano e firmano l’accordo su un foglio di carta di quaderno delle elementari. Scoppia lo scandalo e l’esperienza Milazzo diventa da quel momento sinonimo di alleanze confuse e contraddittorie, paradigma di malcostume politico.

Da un lato, infatti, i detrattori di quest’esperienza politica dicono che si sono formate alle-anze ibride, che il governo Milazzo è stato una manifestazione di trasformismo politico, che la rivendicazione di un’Autonomia siciliana più forte e significativa è sfociata nel peg-giore sicilianismo isolazionista, che la mafia è stata la regista dell’intera operazione, che la corruzione ha costituito il principale collante di quelle eterogenee forze politiche.6

Dall’altro lato, da chi ha sostenuto e ha difeso i governi Milazzo, si sottolinea che fra le cause della sconfitta ci sono: l’isolamento dal resto della Nazione, la mafia, l’intervento dei servizi segreti, un non sufficiente retroterra economico sviluppato, l’impreparazione della sinistra ad essere forza di governo, l’inadeguatezza degli uomini politici di allora a condurre in porto un’operazione politica tanto originale e delicata.7

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4. Molti inoltre mettono tra le cause della nascita di quest'anomala alleanza, il basso prezzo del grano, la difesa del grano duro siciliano, la voglia di riscatto verso la politica romana.

5. I due schieramenti contrapposti, infatti, contavano 45 deputati ciascuno.

6. Per alcune valutazioni critiche e giudizi parzialmente negativi cfr. Umberto Santino, Storia del movimento

anti-mafia, cit. pp. 196-197, e Claudio Riolo, L'identità debole. Il PCI in Sicilia tra gli anni ‘70 e ‘80, Palermo, La Zisa,

1989, pp. 103-110, 149-156. Inoltre sottolinea il ruolo della mafia M. Mineo in Scritti sulla Sicilia, Palermo, Flaccovio, 1995, p. 210.

7. Tra chi ha apprezzato e ha dato opinioni positive dei governi Milazzo cfr. in particolare Emanuele Macaluso, I

comunisti e la Sicilia, Roma, Editori Riuniti, 1970, pp. 102-124, e D. Grammatico, La rivolta siciliana del 1958. Il primo governo Milazzo, Palermo, Sellerio, 1996, p. 51.

In realtà, come confermano le testimonianze raccolte fra i protagonisti dell’epoca, la cosiddetta “Operazione Milazzo” segnò importanti cambiamenti positivi nella vita politi-ca non solo siciliana ma anche nazionale.8

Il risultato senza dubbio più importante fu l’acquisizione definitiva nell’area di governo delle forze della sinistra fino ad allora largamente discriminate. Infatti il governo Milazzo apre la strada al primo governo di centro-sinistra siciliano che a sua volta anticipa il primo centro-sinistra nazionale voluto dall’on. Aldo Moro.

Il secondo risultato fu la rottura definitiva dell’egemonia politica democristiana sui gover-ni che si erano succeduti per un decengover-nio sin dalla fine della guerra. Inoltre vi fu, sempre per quello che riguarda la Democrazia cristiana, la sconfitta del tentativo di Fanfani di fare un partito cattolico integralista a sua immagine e somiglianza.

Il terzo risultato fu l’aver smosso con grande irruenza le ristagnanti acque della politica siciliana che a loro volta erano già state agitate dai forti cambiamenti economici e socia-li di quegsocia-li anni.

La spaccatura nella Democrazia cristiana

Come si è detto una delle cause dell’Operazione Milazzo fu la lotta intestina alla Democrazia cristiana. Fanfani, diventato il padre-padrone del partito, ebbe come nemici in Sicilia Sturzo e Alessi. Ecco come ricostruisce Nicola Cipolla la battaglia politica e la tat-tica di don Sturzo per contrastare Fanfani:

Un aspetto che non bisogna dimenticare nell’Operazione Milazzo è l’aspetto squisita-mente politico. Nella Democrazia cristiana succede che è sconfitto il blocco De Gasperi che voleva la cosiddetta legge truffa. È sconfitto in Sicilia Restivo perchè costretto a fare la Riforma agraria. Allora spunta Fanfani, cioè l’integralismo. E comin-cia un’operazione di assorbimento da parte della Democrazia cristiana di monarchici, di liberali e della mafia. Questo fatto crea una frattura dentro la Democrazia cristiana a livello nazionale e in Sicilia. E c’è Sturzo che è contro Fanfani. Allora Sturzo spinge avanti Milazzo verso questa frattura, fino a che si arriva nazionalmente alla sconfes-sione di Fanfani.9 A quel punto Sturzo dice: “Bè, abbiamo ottenuto il risultato. Ora basta questa alleanza con i comunisti”. Milazzo dice: “Come? Io sto cominciando ora e tu mi vuoi fare lasciare? No, io mantengo la posizione”. E c’è la rottura. Si arriva all’uscita e alla scissione.10 Quindi ci sono elementi sociali ed elementi politici, e

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8. Ho dovuto riportare nei successivi paragrafi solo alcune parti delle testimonianze raccolte. Infatti tutti i testimo-ni di allora quando si è parlato dell'Operazione Milazzo si sono dilungati ampiamente e meticolosamente su quel-l'avvenimento così importante per la storia siciliana recente.

9. Fanfani fu deposto nell'inverno del 1958.

10. Cioè l'uscita di Milazzo dalla Democrazia cristiana e la nascita del secondo partito cattolico, l'Unione Cristiano Sociale.

ralmente c’è la capacità di Macaluso nella direzione del partito comunista siciliano, appoggiato da Togliatti ed anche sostenuto da Ingrao, che dice: “Noi dobbiamo cogliere questo elemento di rottura”.

La battaglia dentro la Democrazia cristiana era quindi molto violenta. Il PCI siciliano se ne accorge e ne approfitta elaborando linee strategiche di rottura.

Ricorda Giuseppe Speciale:

Questa svolta politica viene operata da Bufalini. Bufalini è una mente politica molto sottile. In quel momento l’esperienza aveva l’obiettivo che era un obiettivo primario, cioè spezzare il monopolio di Fanfani che si era impadronito della Democrazia cristia-na e ne stava facendo uno strumento di un regime autoritario. Non dimentichiamo queste cose. E Milazzo è una creatura di don Sturzo. Don Sturzo in quel momento è come il Padre Eterno. Per un cattolico militante come Milazzo uscire dalla Democrazia cristiana significava indebolire la Democrazia cristiana a vantaggio dei comunisti. E la battaglia è contro Giuseppe La Loggia che è capo del governo. E quando l’Operazione Milazzo avviene, tu hai cacciato la Democrazia cristiana all’opposizione e hai costrui-to un fronte che se fosse andacostrui-to avanti, se si fosse sviluppacostrui-to, avrebbe cambiacostrui-to le sorti non solo della Sicilia ma anche dell’Italia.

E sempre sulla Democrazia cristiana di allora e delle sue contraddizioni interne racconta Luigi Colombo:

La spaccatura della DC è la linea politica da sempre auspicata dal partito comunista che sosteneva che si sarebbero potute cambiare le cose solo se le contraddizioni all’in-terno della Democrazia cristiana fossero esplose. Se cioè veniva fuori l’interclassismo della DC che teneva insieme i senzatetto e gli imprenditori, il carabiniere e il mafioso. La spaccatura della Democrazia cristiana partì a mio avviso dalle posizioni di Milazzo che fondamentalmente era un agrario, e quindi non partì dal punto di vista di La Cavera, cioè dell’imprenditoria nuova, di quello che poteva essere il futuro della Sicilia. Era molto strumentalizzato, molto utilizzato, da parte nostra il significato nazionale che poteva avere questa operazione. Ed era strumentale a Milazzo nel senso che la rottura venne allora sui patti agrari, perchè nazionalmente si discuteva sulla revisione dei patti agrari, cosa che lo riguardava moltissimo essendo un agrario.

La posizione del PCI

L’on. Macaluso, a quei tempi deputato regionale, è da sempre considerato come uno dei principali ideatori di questa formula politica. E, allora come oggi, strenuo sostenitore e difensore di quell’esperienza politica, ne sottolinea la “inevitabilità”.

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Egli ritiene infatti che la Sicilia, una volta uscita dalla secolare feudalità agraria, doveva darsi una nuova classe dirigente borghese. E per fare questo occorreva un processo d’in-dustrializzazione radicale che coinvolgesse in primo luogo il ruolo della Regione siciliana e soprattutto i suoi ampi poteri attribuitigli dal sistema dell’Autonomia. Ciononostante Macaluso riconosce che allora la sfida alle forze che si opponevano a quest’esperimento forse fu eccessiva e non sufficientemente valutata. L’esperienza Milazzo infatti, egli dice, rimase schiacciata dalle potenti reazioni locali e nazionali:11

Io penso che la vicenda dell’Operazione Milazzo nelle condizioni in cui si pose era ine-vitabile. Qualunque sia poi il giudizio e l’esito, per cui ci sono delle luci e delle ombre. Era inevitabile. Inevitabile nel senso che una concatenazione di fatti, di avvenimenti, di situazioni, di contraddizioni, si sono accumulate in un certo momento e bisognava dare delle risposte. E nella vita politica, e non solo nella vita politica, ci sono momen-ti in cui quelle risposte sono inevitabili.

Le condizioni della inevitabilità sono innanzitutto che si era conclusa la fase delle grandi lotte agrarie. Non perché fosse esaurita la questione agraria che è rimasta sem-pre fondamentale per la Sicilia, ma la grande lotta per la Riforma agraria, per la terra, per la trasformazione dell’agricoltura, era stata al centro e aveva dato un colpo alla vecchia classe dirigente baronale, sia con la Riforma agraria sia anche con le leggi che poi tentavano di eludere, di aggirare la Riforma agraria, come le leggi per la forma-zione della piccola proprietà contadina che comunque rompevano quel sistema. A quel punto la Sicilia se voleva innescare un processo di modernizzazione suggerito dal colpo dato alla feudalità doveva sviluppare un processo industriale senza il quale era impossibile fare crescere da un lato una borghesia industriale autonoma in Sicilia, e quindi una nuova classe dirigente borghese, non più aristocratico feudale, e dall’altro una classe operaia. Quindi un processo di modernizzazione, tenendo conto anche che siamo in una fase, siamo alla fine degli anni cinquanta, in cui in Italia è già all’ordine del giorno un rilancio del capitalismo e uno sviluppo, quello che poi fu chiamato “il miracolo economico”. E quindi si trattava di sapere se la Sicilia doveva essere emargi-nata, ulteriormente emargiemargi-nata, o poteva concorrere a determinare questo processo ed esserne parte soprattutto. Quindi la questione si pone come problema dell’Autonomia; la Regione è in grado o no di aiutare questo sviluppo? Perché l’Autonomia a questo doveva servire!

Nel ’55 quando si chiude la fase del centro-destra dei governi Restivo fu eletto presi-dente della Regione Giuseppe Alessi per la seconda volta, perché era stato il primo presidente della Regione. Alessi fa un governo monocolore ma con un Partito

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11. Non ho voluto tagliare e accorciare la testimonianza dell'on. Macaluso perché senza dubbio costituisce una delle principali “fonti autentiche e originali” che si possono avere su questa particolare forma di governo.

lista che gli concede dei voti, un’astensione. Il Partito comunista gli vota contro ma con un voto che in definitiva è un voto di attenzione come si usa dire in termini poli-tici. E Alessi è l’uomo che si pone il problema dello sviluppo industriale. Teniamo conto che anche nazionalmente comincia a mutare la fase. C’è l’elezione di Gronchi; Gronchi fa un messaggio agli italiani che è una rottura rispetto al passato, viene in Sicilia invitato da Alessi a fare una grande assemblea di industriali e lavoratori al Teatro Massimo in cui viene posto questo problema. Si crea un clima nuovo: c’era un’asso-ciazione di industriali, la Sicindustria guidata dall’ingegnere Domenico La Cavera, che aveva posto con forza questo problema anche in polemica con la Confindustria; c’era un’attenzione dell’industria pubblica, soprattutto dell’ENI, verso la Sicilia che aveva risorse che sembravano più imponenti di quelle che fossero, sia petrolifere che di gas. Il monopolio era in mano agli americani, alla Gulf Oil, e il centro-destra aveva preclu-so l’ingrespreclu-so dell’ENI in Sicilia. Quindi si pose il problema di rompere il monopolio della Gulf Oil e il problema di un rapporto con l’ENI per stimolare anche questa grande azienda nazionale a contrattare con la Sicilia un rapporto che fosse non solo di pre-lievo del gas o del petrolio ma che fosse di sviluppo industriale. Si posero una serie di problemi che furono in parte affrontati con la legge per l’industrializzazione della Sicilia, e in parte invece sul campo della battaglia politico culturale. Teniamo conto che c’era già stata una presenza della grande industria del Nord in Sicilia che era venuta, e continuerà a venire, con delle sue succursali, soprattutto nel campo della raffinazio-ne del petrolio:in tutta la zona di Siracusa, che ha determinato anche inquinamenti, nella zona di Milazzo. Poi c’era la Montecatini che faceva dei concimi, c’era Pesenti che aveva dei cementifici anche in provincia di Palermo, c’era la presenza di questi gruppi che tendevano a decupletare anche i benefici regionali per controllare lo svi-luppo secondo i loro interessi. A questa linea si opponeva la Sicindustria di La Cavera la quale riteneva che l’Autonomia, le leggi siciliane dovevano servire a fare crescere