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Pio La Torre torna a fare il Segretario regionale del Partito

Sul ritorno di Pio La Torre in Sicilia nell'81 come segretario regionale, si sono dette tante cose e si sono sostenute diverse versioni dei fatti: c'è chi afferma che volle tornare lui stes-so, chi invece che fu voluto da una componente del partito siciliano, chi asserisce che fu “scaricato da Roma”. C'è infine chi assicura che fu mandato in Sicilia per un'operazione di “pulizia morale” all'interno del partito.

Tutte le testimonianze, però, sono d'accordo sul fatto che il partito in quel momento sto-rico, dopo due sconfitte elettorali, era in grave difficoltà. Occorreva quindi una guida autorevole per riportare entusiasmo e motivazione nel corpo vivo dei comunisti siciliani. Emanuele Macaluso, oltre a ricostruire i fatti, ricorda l'intenzione e la determinazione di Pio La Torre nel volere venire in Sicilia e riprendere la guida del partito:1

Non ricordo se c'erano state elezioni, ma fatto sta che ancora una volta c'era una dif-ficoltà nel partito. Ricordo che venne Giorgio Napolitano che era responsabile d'orga-nizzazione del partito a fare delle riunioni e delle consultazioni e credo che esista un documento, una relazione in cui lui disse che bisognava andare ad un ricambio nella direzione di Parisi. Quindi si apre la discussione.

Pio La Torre lavorava con Berlinguer nell'ufficio di segreteria dal congresso di Bologna del '69, quando Berlinguer diventa vicesegretario, La Torre non fa più parte della dire-zione del partito. Questo lo amareggiò molto. La Torre che era entrato quando era segretario regionale non fu confermato, e so per certo che per lui fu un dispiacere. Quindi lui cominciò a lavorare con Berlinguer nell'ufficio di segreteria.

Quando nell'81 si pose appunto la questione della Segreteria regionale siciliana La Torre voleva assolutamente tornare in Sicilia. Venne da Bufalini, venne da me, credo pure da Giorgio Napolitano, a chiedere che parlassimo noi con Berlinguer per torna-re in Sicilia. Penso che lui riteneva che fosse stato ingiusto averlo sostituito nel '67 e voleva tornare non per una rivincita sciocca ma per dimostrare che forse allora si era sbagliato, e anche perché dava un giudizio molto pesante sullo stato del partito in Sicilia. Cioè riteneva che in Sicilia ci fosse un po' di fiacchezza politica, come la chia-mava lui, e che bisognava ridare tono alla battaglia politica, e lui riteneva che la sua presenza, potesse ridare slancio. Sia io che Bufalini sostenemmo che questa era la soluzione più giusta sia per la Sicilia sia per La Torre. Enrico Berlinguer non era molto d'accordo, non perché non voleva che ritornasse in Sicilia; non era molto d'accordo

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perché gli piaceva il lavoro che faceva Pio con lui, lo stimava, dava un giudizio positi-vo della sua attività. Poi invece si persuase che bisognava andare a questa soluzione. Quindi da parte di La Torre ci fu una netta volontà di tornare in Sicilia, nella maniera più assoluta.

Gianni Parisi, che in quel periodo era Segretario regionale dimissionario, ricostruisce il clima politico interno ed esterno al partito per spiegare il perché del ritorno di La Torre in Sicilia:

Quando si decide il ritorno di La Torre io sono segretario regionale, e lo sono dall'ini-zio del '77. Quindi la formadall'ini-zione del governo Mattarella e del programma autonomi-stico della maggioranza l'ho gestito io e non più Occhetto che era a Roma, anche se Occhetto veniva sempre perché era deputato palermitano e seguiva, come seguiva La Torre, dall'esterno. Nell'81 si fanno le elezioni regionali e noi abbiamo un insuccesso elettorale, che era stato anticipato dall'insuccesso del '79 quando ci furono le elezio-ni politiche in cui ci fu un risultato non buono nazionalmente e particolarmente nel Sud e in Sicilia. Nell'81 perdemmo due o tre deputati regionali, non ricordo. Non fu una sconfitta enorme perché avevamo 19 deputati invece di 21 o 22, e tenendo conto che oggi ce ne sono 13, i 19 di allora sono tanti, però allora parve una grande scon-fitta e io decisi di dimettermi.

Quindi ciò che alcuni raccontano che al festival dell'Unità di Catania vengo duramen-te ripreso da Berlinguer e in seguito ci sono le mie dimissioni non è vero, perché que-sto fatto non è nell'81, queque-sto è accaduto prima, nel '79 o nell'80.2 Berlinguer in un festival dell'Unità a Catania facendo una critica al nostro partito disse che in Sicilia il partito era molto bravo a presentare programmi, a presentare proposte, ma meno bravo nel costruire movimenti, nel restare a contatto con la gente. E poi lui anche a Palermo fece questa critica al partito che doveva essere più di massa, più legato alle lotte. Quando mi dimisi Berlinguer non voleva che io mi dimettessi. Quindi le dimis-sioni mie hanno un'altra ragione. Già dal '76 gestivo qui il partito e quindi c'era anche un fatto di stanchezza personale. E inoltre sentivo che c'era ormai anche nel partito un po' di sfiducia e la necessità di un ricambio. Quando ne parlai con Natta, lui a nome di Berlinguer mi chiese di rimanere almeno per un altro anno per poter far maturare la candidatura di Luigi Colajanni.

Io dissi di no perché personalmente avevo un problema per continuare; del resto ero stato eletto deputato regionale e volevo fare l'esperienza parlamentare. Quindi si pre-sentò questa situazione: noi pensavamo che fosse bene che venisse a Palermo un

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2. È il ricordo che invece hanno Giovanni Neglia (v. intervista nel capitolo “Gli anni settanta”, paragrafo “La tra-sformazione del partito”) e Simona Mafai (v. intervista in questo stesso capitolo e paragrafo).

gente esterno alla Sicilia, non si pensava in quel momento a La Torre, si pensava ad un dirigente di livello tipo Chiaromonte, Reichlin, per avere anche una sterzata dopo questo periodo così complesso. Però la proposta non venne accettata.

Si determinò questa situazione nel gruppo dirigente: una parte, quella che oggi chia-meremmo la “destra” del partito, cioè Michelangelo Russo e tanti altri, erano per il ritorno di La Torre, perché La Torre era stato segretario nel periodo '63-67 e fu caccia-to da Longo, allora anche lui per una sconfitta eletcaccia-torale regionale; l'altra parte, una parte anche un po' più giovane, più moderna, diremmo così più di sinistra, era per pas-sare a Luigi Colajanni. La sinistra interna allora era formata da Figurelli, da Adriana Laudani, da Angela Bottari, c'era qualcuno di Agrigento, c'erano i ragusani, Chessari ecc. Una parte veramente era anche per lasciare me, ma io ero contrario Questo lo dico perché dopo la morte di La Torre, l'assassinio di La Torre, alcune nostre compo-nenti interne ed anche certe compocompo-nenti esterne al nostro partito hanno detto che La Torre fu mandato in Sicilia per fare pulizia nel partito, per fare pulizia del consociativi-smo, della destra, dell'affarismo. Non è vero perché La Torre non fu mandato da nes-suno, anche perché sia Berlinguer che Natta erano contrari al ritorno di La Torre. Infatti pensavano che i ritorni sono sempre negativi, era negativo ripresentare di nuovo un dirigente di dieci anni prima, e probabilmente anche perché consideravano che La Torre era un dirigente con certe caratteristiche allora considerate di destra: La Torre era vicino a Bufalini, era un amendoliano. E probabilmente proprio Berlinguer, Natta avrebbero preferito Colajanni, anche se capivano che subito non si poteva fare e per questo chiedevano a me di rimanere. Ripeto, La Torre non fu mandato da nessuno, anzi Roma non lo voleva mandare, per Berlinguer e Natta La Torre non sarebbe venu-to in Sicilia. Perché non c'era da fare nessuna pulizia, perché non c'era nessun proble-ma di morale qui. Non c'era nessun probleproble-ma. C'era un probleproble-ma politico, di debolez-za politica, di crisi politica, di difficoltà politica, ma non di problemi morali.

La Torre voleva tornare, sia perché nazionalmente sentiva di aver toccato il top, oltre non poteva andare, sia perché capiva quali erano le condizioni in Sicilia. Era eccitato dalla prospettiva di poter riprendere un'azione di massa, e anche per una sorta di rivin-cita su quella che lui aveva considerato un'ingiustizia, perché fu proprio brutalmente buttato fuori. La Torre, altro che uomo di destra era! In politica era di destra, ma era uomo di lotta invece, uomo di massa, uomo di combattimento, e aveva una percezio-ne, come l'avevamo tutti, ma lui più acuta di noi perché aveva una lunga esperienza, che in Sicilia la mafia stava riprendendo e ricostruendo tutto il suo potere dopo il perio-do in cui l'antimafia era andata avanti con la Commissione antimafia. Capiva che la Sicilia era diventata un punto importantissimo anche per l'installazione della base a Comiso, che era ritornata ad essere un punto nevralgico nazionale e perfino internazio-nale della ripresa del dominio mafioso.

Quindi lui spingeva per tornare, ma non per fare pulizia; anche perché lui era stato

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con noi in tutti quegli anni e non era stato contro quello che noi facevamo sul piano politico. Perché se si dice che fu mandato per fare pulizia s'intende che c'era un fatto morale prima ancora che politico, tant'è vero che poi si parlò di appalti, di pista inter-na. Questa è una cosa vergognosa! Si parlò dell'appalto della costa, della SAILEM ecc. Tutte fesserie, perché l'appalto della SAILEM fu contrastato al Consiglio comunale ancora prima che tornasse La Torre. Poi se ne riparlò perché la Sailem ritornò tante volte alla carica e probabilmente ci fu un ritorno della questione anche quando c'era La Torre, ma questa era faccenda di prima, dell'80, del '79, cui si opposero Simona Mafai e Agnilleri al Consiglio comunale.

E non è neanche vero quello che dice Michelangelo Russo e cioè che era già deciso che Colajanni facesse il segretario e Parisi il capogruppo all'Assemblea regionale e questa decisione la facemmo saltare.3 Questo non è vero perché, lo ripeto, noi abbia-mo chiesto che venisse un dirigente nazionale e chi dovesse fare il capogruppo all'ARS non ne parlavamo; si pensava che io potessi farlo come segretario regionale uscente, però ancora in quella fase eravamo più presi dalla questione della Segreteria. Insomma in quella situazione di stallo vengo interpellato io come segretario regiona-le uscente e dico a Napolitano, allora responsabiregiona-le dell'organizzazione, di scegliere La Torre. Io sono stato decisivo, cosa che Michelangelo Russo non vuole ammettere per-ché secondo lui l'ha fatto venire lui La Torre. Ora è vero che lui era per La Torre, lo dico, lo ammetto. Lui, assieme a Ino Vizzini, Mimì Bacchi, Lino Motta. Quindi non è che c'era questo accordo e loro l'hanno fatto saltare, perché se ci fosse stato questo accordo Colajanni-Parisi alla fine Roma l'avrebbe accettato, perché sia Berlinguer che Natta non erano molto convinti del ritorno di La Torre. La Torre non sarebbe venuto se io non avessi fatto traboccare il vaso in quel senso, e non per sentirmi importante ma perché la voce del segretario uscente è determinante.

E poi Colajanni viene chiamato da La Torre in Segreteria regionale come vice segreta-rio e collaborò con La Torre, anche se erano due caratteri completamente diversi. Cioè così sanguigno, così popolare, popolaresco per certi aspetti, La Torre; e così aristocra-tico, intellettuale, raffinato Colajanni. Quindi due caratteri profondamente diversi.4

Michelangelo Russo fa parte di quelli che rivendicano alla propria iniziativa e alla propria componente politica, la cosiddetta “destra” del partito, il ritorno di La Torre in Sicilia:

Se vogliamo vedere la collocazione del ritorno di Pio dobbiamo vederlo nei termini di un momento di difficoltà politica del PCI. Non c'era più il governo di Unità autonomi-stica ma il problema era come organizzare la risposta sul terreno politico della

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3. Cfr. l'intervista di Michelangelo Russo in questo stesso capitolo e paragrafo.

4. Quanto sopra affermato è stato confermato da Parisi anche nell'intervista di Giulio Ambrosetti sul quindicinale

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5. Questa versione dei fatti è stata riconfermata da Michelangelo Russo in un intervento su l'Unità del 14 giugno 1990.

glia parlamentare, del movimento di massa. E in questo momento lo chiamammo noi o volle tornare lui? La risposta è abbastanza chiara, anche se spesso su questo si dico-no delle inesattezze. La Torre da un canto era molto critico rispetto all'organizzazio-ne del partito, perché non c'era una partecipazioall'organizzazio-ne corale del partito alle battaglie, ma dall'altro aveva quasi, voglio dire, un fatto personale per il modo come era stato allontanato. Dobbiamo ricordarci che Pio è stato segretario regionale in un altro momento, in un altro periodo, e siccome si erano persi quattro voti, con una decisio-ne che io ritengo sbagliata perché fu frutto di una conceziodecisio-ne un po' vecchia manie-ra del Partito comunista, nel giro di 48 ore viene Longo, si fa una riunione del Comitato regionale e si sostituisce La Torre. Mi è sembrata un'ingiustizia enorme. Per lui questo è stato un torto, perché allora fu tolto dalla Direzione del partito, anche se poi ha assunto incarichi importanti a Roma, come responsabile del Mezzogiorno; incarico che ha svolto come sapeva fare lui, con grande passione e anche con gran-de intelligenza. Per cui questo ritorno in Sicilia l'ha vissuto come per lavare un torto che aveva ricevuto. La verità era che era già stato deciso, anche con l'accordo con il responsabile dell'organizzazione che allora era Napolitano, di fare Colajanni segreta-rio regionale e Parisi capogruppo all'Assemblea regionale. Queste erano già le deci-sioni quasi operanti. Invece questa insistenza nostra, parlo di me, parlo di Vizzini, parlo di Bacchi, parlo di Lino Motta, di un certo gruppo, e il non sufficiente apprez-zamento delle decisioni che si volevano prendere, portò il partito a capire che in quel momento c'era bisogno di qualcuno che desse una sterzata, che desse uno stimolo maggiore di quanto non lo potesse dare in quel momento Luigi Colajanni. Alla fine la Direzione del partito, di fronte alle insistenze, di fronte alle perplessità che c'erano in molti compagni e dirigenti, addivenne all'idea che Pio tornasse in Sicilia.

E io rivendico questa battaglia perché Pio La Torre tornasse in Sicilia. Certo che lo rivendico. Come no? Fummo in pochi a batterci e a vincere. Oltre la sua volontà di ritornare che era fuori discussione, Lui viene nominato segretario regionale, io fui nominato capogruppo all'Assemblea, Colajanni fu nominato vice segretario e Parisi vice presidente del gruppo parlamentare, e quindi tutto è stato capovolto. E mi ricor-do che uno di quelli che votò contro Pio La Torre, pur essenricor-do suo amico, fu Nicola Cipolla con la motivazione che Pio era uno molto vicino ad Amendola. In ogni caso quelli che allora ci battemmo perché lui ritornasse fummo questo gruppo, assieme a tanti altri naturalmente perché poi si ebbe la maggioranza. E come avveniva allora nel PCI c'erano discussioni, ecc., ma poi al momento del voto c'era sempre un voto pres-soché unanime, tranne qualcuno, ma erano solo voti di testimonianza, ma il proces-so della decisione avveniva prima attraverproces-so una consultazione che era profondamen-te democratica. La genprofondamen-te veniva sentita, ascoltata, ascoltata più di una volta.5

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6. Domenico (Mimì) Bacchi è stato dirigente del Partito comunista, consigliere provinciale e deputato nazionale. Ha sostituito infatti Pio La Torre alla Camera dopo il suo assassinio.

7. Mimì Bacchi, intervista del 6.11.97.

Mimì Bacchi è sostanzialmente d'accordo con questa descrizione dei fatti di Michelangelo Russo, ma in più mette in rilievo la volontà di Pio La Torre di tornare in Sicilia. Egli, infat-ti, se da un lato voleva rifarsi della “defenestrazione” del '68, dall'altro aspirava a rinvi-gorire la forza politica e morale del partito comunista siciliano:6

Pretese di fare il segretario regionale. Lui in Sicilia non era accettato dal Comitato regionale del PCI. Il Comitato regionale del PCI era orientato per Colajanni, non vole-va La Torre.

La Torre aveva due motivi per tornare in Sicilia: non lo convincevano le cose che acca-devano in Sicilia e voleva prendersi la rivincita. Perché La Torre fu sostituito con una telefonata fatta da Roma perché in Sicilia avevamo perso 15.000 voti, questo nel '68 quando era segretario regionale. Quindi fece la guerra, come la faceva lui. Quando dico guerra dico che afferrava Bufalini e lo torturava! Inoltre il partito non gli piaceva per la rilassatezza che c'era. Nella sua impostazione non era più la stessa cosa del tempo delle lotte contadine. Lui aveva il cruccio dell'organizzazione e dell'attivismo. Voleva, non dico cambiare rotta ma ripristinare, aggiornandolo, il vecchio rigore poli-tico e morale del partito di allora, degli anni delle occupazioni delle terre, della lotta frontale insomma. Perché invece in quel momento la tensione all'interno del partito era più attenuata. Dall'isolamento politico si passò ad avere un rapporto con il pote-re che per chi non è ferrato significa diminuipote-re il suo potepote-re morale e politico. Questo è il fatto. L'errore del governo Milazzo non fu l'avere fatto l'esperienza, ma non ren-dersi conto che quando si va a fare l'amministratore di una banca o l'assessore il primo obiettivo che ha l'alta burocrazia è quello di coinvolgerti. Cioè il Partito comu-nista non era adeguato per la sua cultura, per la sua formazione ad essere classe di governo. E poi La Torre aveva un sistema di lotta politica diverso. Il classico rompisca-tole, in senso positivo s'intende, era Pio La Torre, mentre il partito in quegli anni era ammosciato. Gli altri facevano una politica di vertice: si sedevano a tavolino, discute-vano e decidediscute-vano. Erano due concezioni e due modi diversi. Pio La Torre partiva dalla sezione. Con Pio La Torre qui la sera non si stava fermi. C'era ogni sera un'assemblea nelle sezioni. Con Colajanni non era così. Con Parisi un po' meno, però era sempre una cosa un po' schematica, ideologica, tipo sovietica.7

E su un La Torre che divide, ma che recupera il rapporto fra le diverse generazioni presen-ti nel parpresen-tito, pone l'accento Franco Padrut:

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trato, né gente molto entusiasta del suo ritorno. Poi sono diventati tutti amici di La Torre, ma non è vero. La Torre suscitò in alcuni risentimenti perché ad alcuni sembrò l'interruzione di un processo di rinnovamento del partito e quindi di ritorno al vecchio; per altri, e cioè per coloro che si erano allontanati, era un modo per riprendere la loro presenza nella vita politica. Pio anche da vivo non è che era stato un uomo che abbia unito sempre, era uno che divideva. Però da tutti gli si riconosceva che a Roma aveva fatto un'esperienza diversa, aveva dietro le spalle questa grande attività che aveva svol-to a Roma, aveva la fiducia di Berlinguer. Poi sul campo lui si riguadagnò la fiducia, sul campo della grande attività di iniziativa politica che partiva dalla battaglia per la pace e andava alla lotta contro la mafia e contro la base missilistica di Comiso e ridiede anche