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Palermo nel dopoguerra: le fabbriche metalmeccaniche, il problema della casa, il sacco edilizio.

Pio La Torre esce dal carcere nell'agosto del '51 e trova dinanzi a sé una città che sta cam-biando vorticosamente. Il boom dell'edilizia, la crescita economica e soprattutto l'arrivo di migliaia di siciliani provenienti dalle varie province che vengono a stabilirsi nella capita-le dell'Isola come ceto medio impiegatizio nel settore dei servizi, fanno crescere smisura-tamente la città facendola diventare una metropoli. Contemporaneamente però, un sot-toproletariato cittadino che si dibatte fra povertà e condizioni precarie di sopravvivenza, l'abbandono del vecchio centro storico, i problemi per il possesso di una casa, rendono difficile e contraddittoria questa crescita.

Palermo nel primo dopoguerra vede rinnovarsi la composizione sociale della sua popola-zione. I vecchi mestieri artigianali vanno scomparendo e la classe operaia prende il suo posto. È soprattutto il settore metalmeccanico che offre lavoro ed occupazione a miglia-ia di lavoratori, non solo palermitani ma anche dei centri vicini. Il Cantiere Navale, l'Aeronautica Sicula e l'OMSA che lavorava nel settore ferroviario, sono infatti le tre più importanti fabbriche di Palermo negli anni cinquanta e sessanta.

Il Cantiere Navale è sicuramente la più grande delle tre aziende. Ascoltare il racconto di Giuseppe Miceli, operaio “storico” dei Cantieri, amico, compagno di partito di Pio La Torre, significa non soltanto seguire la storia di questo colosso industriale che determinò molte delle lotte politico-sindacali degli anni del boom economico ma contemporanea-mente immaginare la vita di centinaia di lavoratori palermitani:1

La guerra aveva creato un Cantiere che non funzionava più perché le bombe aveva-no distrutto tutto. Non appena gli americani consegnaroaveva-no il Cantiere nuovamente a Piaggio, che era il proprietario, si è ripreso a lavorare.

Il Cantiere Navale ha avuto una prima fase durissima. Quando cominciò a lavorare ai primi del 1946 aveva nel suo seno 1.500-1.600 operai. Poi c'è stata una fase di rista-gno e di crisi perché non c'erano più commesse. La battaglia cominciò da lì, cioè la battaglia dei 33 giorni di occupazione che poi portò all'assegnazione di sei navi da costruire. E poi anche alcune navi sono state riparate ed hanno preso il mare. Poi vi fu la cosiddetta rotta del petrolio. Cioè tutte le navi che trasportavano petrolio

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1. Giuseppe Miceli, dirigente sindacale della FIOM, il sindacato metalmeccanico della CGIL, è stato anche depu-tato regionale del PCI.

nel Mediterraneo venivano qui a essere riparate, e allora gli operai da 1.500 che erano, diventarono 6.000-6.500.2 E c'erano quelli in organico che lavoravano tutto l'anno ed un'altra parte che era più fluttuante. In un cantiere, cioè, che poteva abbracciare 2.500-2.800 operai, lavoravano 6.000. Dunque il rischio, i pericoli erano molto gravi in tutti in sensi, e dal punto di vista dello sfruttamento, dell'acceleramento, della sot-tomissione a lavorare, e sudare ecc., e anche per quello che riguardava il turno di lavo-ro. E c'erano quelli che scioperavano e quelli esterni che entravano. Perché quando c'era lo sciopero si vedevano 500 persone in più che entravano al Cantiere Navale e c'era la rottura dell'unità operaia. Perché a guidare tutta questa enorme parte di lavo-ratori avventizi, tumultuosa, erano le ditte.3E questo sistema consentiva alla Direzione di evadere la legge sul collocamento. Cioè per esempio: io sono operaio e penso di entrare al Cantiere e faccio la domandina: “Io aggiustatore, io tornitore, chiedo di esse-re sottoposto a prova per esseesse-re assunto nella qualità di ecc.”. Allora la Diesse-rezione li chiamava e dava un punteggio e si facevano gli elenchi con centinaia e poi migliaia di nominativi. Ma succedeva che era la Direzione a guidare 'sta cosa e passava questi elenchi alle ditte.3 Le ditte chiedevano il nullaosta del collocamento e questi lavorava-no ma poi in realtà lavorava-non venivalavorava-no collocati. Eralavorava-no disoccupati di fatto.4

Palermo negli anni '50 ha poi un problema che, anche se è presente nelle altre grandi città italiane, nella capitale dell'Isola assume connotazioni drammatiche e gigantesche: il problema della casa. Qui, infatti, oltre all'enorme massa di macerie provocata dai bom-bardamenti della guerra si deve fare fronte al degrado e all'abbandono in cui versa il vec-chio centro storico.

Ecco un brano di un documento del 1951 su come viveva gran parte del popolo palermi-tano negli anni '50:5

La stragrande maggioranza della popolazione di Palermo è ancora stretta entro l'an-tichissimo perimetro cittadino nei vicoli e nei cortili dei quattro tradizionali quartieri della città: Albergheria, Siralcadi (Monte di Pietà), Loggia (Castellammare) e Kalsa.

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2. Miceli descrive adesso il fenomeno degli “avventizi”. Questi lavoratori “temporanei” venivano chiamati quan-do c'era sovrabbondanza di lavoro. Il fenomeno degli avventizi è fondamentale, perchè questa massa di lavoratori che non era in organico al Cantiere, oltre ad essere dipendente da ditte controllate dalla mafia che avevano il subappalto di questa mano d'opera, creava anche un notevole conflitto tra lavoratori regolari e lavoratori saltuari. Infatti gli avventizi venivano chiamati anche quando gli operai del Cantiere scioperavano, facendo così nascere una guerra tra poveri. Tutto questo avveniva, come dice Miceli, con il consenso e la complicità della Direzione dei Cantieri Navali (cfr. in questo stesso capitolo nel paragrafo “Mafia, mondo del lavoro, sindacato e Pio La Torre” le testimonianze di Luigi Colombo e Giuseppe Miceli).

3. Le ditte mafiose del subappalto di mano d'opera avventizia.

4. Cioè questi “avventizi” lavoravano solo per determinati periodi di tempo, quindi c'erano momenti anche piut-tosto lunghi in cui rimanevano disoccupati. L'intervista è del 7.9.95.

5. Ho trovato questo documento dal titolo La lotta del popolo di Palermo per la casa e il lavoro, scritto alla fine del 1951, non firmato, tra i documenti di Pio La Torre custoditi all'Istituto Gramsci di Palermo.

Questi quartieri ospitavano la metà circa dell'intera popolazione. In quali case vivono questi 250.000 palermitani?

Risponde a questa domanda l'indagine sulle abitazioni ordinata dal Governo fascista del 1931.6 Quella indagine accertò nella nostra città una situazione spaventosa. 7.523 abitazioni nella capitale della regione erano costituite tutte da una sola stanza ed ospitavano 47.812 persone con una media cioè di 6,4 persone per vano. Il 13% della popolazione cioè viveva allora in condizioni veramente bestiali. Queste cifre si riferivano ad una parte ben determinata della città e precisamente al suo vecchio nucleo, ai quartieri che abbiamo più sopra citato. A questo spaventoso indice di sovraffollamento, non superato nemmeno da Napoli, corrispondeva un quadro igie-nico sanitario adeguato. Il 39% delle abitazioni erano sfornite di acqua potabile, il 27% di latrina (si badi di latrina e non di water closet), il 31% di cucina. Con le rovi-ne lasciate dall'ultima guerra la situaziorovi-ne si è aggravata ancora di più. I rioni del Capo, della Kalsa, di Danisinni, ecc., non hanno subito modificazioni da lungo tempo. In queste casette vive la maggioranza del popolo palermitano, vivono gli operai di Palermo.7

Condizioni abitative disastrose, bisogno di case e speculazione edilizia sono argomenti e situazioni che si legano indissolubilmente fra loro.8

La speculazione edilizia, meglio nota come “Il sacco di Palermo”, ha inizio nel 1947 con l'approvazione di un Piano particolareggiato che se da un lato era destinato in gran parte alla ricostruzione dell'antica città, dall'altro espandeva al massimo le cosiddette “Zone di Ampliamento”. Quest'ultimo fattore fece sì che invece di ricostruire nei vecchi manda-menti storici della città, e questo anche per la difficoltà da parte dei costruttori di accor-darsi con i tanti proprietari di un antico edificio, si preferì edificare nuovi quartieri e nuovi agglomerati di palazzi verso le zone a nord-ovest della città. Cioè sui terreni che, in quan-to lontani dal centro e a colture poco pregiate, avevano un più basso valore di mercaquan-to e quindi ottimizzavano al massimo la differenza fra l'acquisto dei terreni a poco costo e la successiva vendita a prezzi elevati degli appartamenti che vi si costruivano.

Ma la speculazione vera e propria avvenne attraverso l'edilizia pubblica. L'Istituto Autonomo Case Popolari, allora presieduto da Cacopardo, iniziò a costruire case popola-72

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6. Se la data del 1931 può destare qualche perplessità sulla validità dei dati, tale dubbio deve essere subito fuga-to dal fatfuga-to che ho ritrovafuga-to, sempre tra le carte di Pio La Torre, un altro documenfuga-to del 16.1.1956 della CGIL pro-vinciale di Palermo intitolato Documento presentato alla Commissione Parlamentare d'inchiesta sulle condizioni dei

lavoratori palermitani, dove, alla pagina 29, si trovano gli stessi dati statistici dell'indagine del '31. Quindi per avere

un'idea della situazione abitativa a Palermo negli anni '50 si può fare senz'altro riferimento alla rilevazione fatta durante il periodo fascista.

7. Documento “La lotta del popolo di Palermo per la casa e il lavoro”, cit., pp. 2-3.

8. Per le notizie che seguono sulla speculazione edilizia ho utilizzato il libro di Orazio Cancila Palermo, in Storia delle città italiane, Bari, Laterza, 1988, cap. VIII, pp. 504-507 e 527-534.

ri lontane dal Centro Storico, in zone ancora agricole. Questi complessi di case popolari, visti dall'alto, tutt'insieme, formavano una specie di raggiera che si diramava dalla città verso la campagna palermitana.

Cosa successe allora? Che le opere di urbanizzazione (strade, luce, fogne, ecc.) necessa-rie a queste case popolari, facevano crescere di valore tutti i terreni intermedi situati fra il Centro e i complessi di edilizia pubblica. Terreni che erano quindi pronti per essere ven-duti. Se a questo si aggiunge che intervennero particolari convenzioni tra l'amministrazio-ne comunale ed i proprietari dei terreni che permettevano a questi ultimi di costruire in cambio della cessione gratuita di aree per uso pubblico, ma che in realtà o non furono cedute o dovettero essere espropriate e pagate, si capisce perché la speculazione edilizia viene chiamata “Il sacco di Palermo”. Cioè, immensi agrumeti lussureggianti che costitui-vano la Conca d'oro, furono distrutti per far posto a enormi palazzi costruiti a pochi metri uno dall'altro. Il tutto venne portato avanti con dati catastali alla mano e con l'accordo fra grossi proprietari terrieri e organi tecnici del Comune.

Inoltre nel 1956 venne approvato il Piano regolatore generale che fu redatto da urbanisti locali. Il piano presentava tre grossi limiti: consentiva una densità media di costruzione molto elevata, non teneva conto dello sviluppo urbanistico e non prevedeva lo sviluppo dell'istruzione superiore con la conseguente carenza di edifici scolastici. Nel 1959 questo stesso piano fu modificato in peggio dal Consiglio comunale: le superfici a verde pubbli-co furono ridotte e le superfici a verde agripubbli-colo vennero diminuite e trasformate in aree edificabili.

Perdipiù la città dal maggio 1958 al gennaio 1963 è in mano al sindaco Salvatore Lima, mentre assessore ai lavori pubblici dal settembre 1959 al giugno 1964 è Vito Ciancimino. Due uomini politici che saranno indicati come quelli che meglio hanno incarnato il para-digma del legame fra mafia, politica e affari.

L'on. Speciale, allora giovane militante e capo-cronista delle varie testate comuniste nel capoluogo siciliano, nel suo lungo intervento dipinge un quadro sconvolgente ma quan-to mai vero della città di quegli anni:9

La speculazione edilizia inizia subito dopo la guerra e il pilota è Cacopardo, presidente dell'Istituto Case Popolari. Se noi siamo sul Monte Pellegrino e vediamo sotto, dove sono collocati i nuclei dell'edilizia pubblica, cioè: a est, sotto le montagne, Borgo Ulivia, la Circonvallazione, Borgo Nuovo; poi qui, via Brigata Verona, via Empedocle Restivo, ecc.; tutta edilizia pubblica! Cioè venivano messi questi punti eccentrici, si occupava tutta la Conca d'oro, di modo che tutte le aree che poi restavano tra questa edilizia pubblica e i terreni dei privati andavano alle stelle. Venivano fatte le case, dopo di che

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9. L'on. Giuseppe Speciale, deputato nazionale del PCI, usa inquadrare ogni singolo episodio in un contesto ampio e completo, risultando così di grande aiuto per la comprensione del periodo storico trattato.

è chiaro, cosa fai? Lasci queste case e non fai altre cose? Devi fare subito la strada, e così via per tutta la campagna e si prosegue. E comincia questa operazione, che in un primo tempo è un'operazione di vertice. Cioè è Cacopardo con i Terrasi, con altri grossi proprietari terrieri. E va avanti e non succede niente: non ci sono omicidi, non c'è niente. Quando questi “iardinara”,10 cioè la mafia delle borgate, si vede arriva-re questi enormi palazzi...: “E che succede qui?”. E s'infilano. E comincia la “scan-na”. Sparatorie, la strage di via Lazio, Cavataio, ecc.11Lima e Ciancimino sono il sim-bolo di questo fatto. E c'è un consenso perché la gente non vuole più abitare nel centro storico. Il centro storico viene abbandonato perché la gente lo rimuove, non può più stare in quei vicoli. Allora piccioli..., grosse speculazioni..., gente che cam-bia da così a così. “Iardinara”, cioè gente che “chiantava vroccoli e li portava 'u scaru”,12 diventa subito costruttore, diventano ricchi, macchine, “machinuni”, motoscafi... C'è un cambiamento. Negozi quindi. La trasformazione della città. In questo oceano di speculazione e di trasformazione cosa possono fare 400 operai del Cantiere Navale, cosa possono fare i ceti intellettuali? Eravamo in una città in cui c'era un sottoproletariato...! E tu cosa gli offrivi? Cosa gli offrivi? Cosa andavi ad offrire tu, al vicolo di S. Giuseppe d'Arimatea, al vicolo del Martello, al vicolo del Cannone dietro la Questura? Si parlava della casa ma... Quelli gliela davano la casa. Sì, ce la davano senza graduatoria, senza niente!13

L'on. Speciale ha un ricordo preciso della battaglia contro la speculazione edilizia por-tata avanti da Pio La Torre al Consiglio comunale di Palermo:14

La Torre è il primo che dice nomi e cognomi quando impera Ciancimino ed è anche assessore, e Gioia è il padrone di Palermo, e c'è Lima, e c'è un consenso attorno alla Democrazia Cristiana che sta facendo Palermo grande... la via Strasburgo, la via Leonardo Da Vinci... In quel momento lui in un intervento al Consiglio comunale di Palermo cita i nomi dei mafiosi che erano tutti impegnati nella distruzione della Conca d'oro d'accordo con il Municipio. E non è una cosa semplice. Fino ad allora nessuno l'aveva fatto. Lui, nome e cognome... i mafiosi di allora. Lui quando entra

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10. Letteralmente “giardinieri”. L'allusione è ai proprietari dei terreni attorno Palermo che venivano detti “giardinie-ri” in quanto questi terreni coltivati ad agrumi erano definiti “giardini”. Alcuni di questi possidenti erano mafiosi.

11. La strage di via Lazio avviene il 10 dicembre 1969. Muoiono cinque persone tra cui Michele Cavataio (Cfr. G. Chinnici - U. Santino, La violenza programmata, 2° ed., Milano, FrancoAngeli, 1991, pg. 274).

12. “Gente che piantava broccoli e li portava al mercato”. 13. Giuseppe Speciale, intervista del 20.9.95.

14. Pio La Torre è stato Consigliere comunale a Palermo dal 1952 al 1960. I suoi interventi al Consiglio comuna-le di quel periodo sono difficilissimi da rintracciare. Infatti non solo il verbacomuna-le delcomuna-le sedute non veniva redatto, ma il più delle volte gli atti dei consiglieri andavano perduti. Gli unici documenti rimasti si trovano attualmente all'Archivio storico comunale di Palermo. La moglie di Pio La Torre, Giuseppina Zacco, mi ha fatto avere alcuni degli interventi del marito, ma in verità sono soltanto dei piccoli brani di poche righe, tutti perlopiù riguardanti questio-ni ammiquestio-nistrative.

alla prima assemblea elettiva che era il Consiglio comunale si trova in contrasto con Ferretti.15 Ferretti era un gentiluomo, un ingegnere; lui aveva la sua attività che erano alcune imprese di costruzione, e lavorava bene. Quindi questa sua posizione professionale, sociale era un po' diversa da quella di La Torre che veniva da un altro ambiente, non aveva queste remore. E poi lui era convinto: o si faceva questo in una città come Palermo in un momento in cui la Democrazia cristiana, Lima, Ciancimino, stavano operando il sacco di Palermo. Certo questo ci guadagnava il consenso di certi strati ma ci impediva di penetrare negli strati che partecipavano a questa gran-de abbuffata.

La Torre Segretario della Camera del lavoro di Palermo e Segretario regionale della CGIL Il Partito comunista in questo momento di grande trasformazione economica e sociale subisce l'iniziativa delle classi governanti. Queste infatti, avendo in mano le leve del pote-re, orientano verso le loro direttrici ideologiche l'espansione e lo sviluppo. Pio La Torpote-re, particolarmente attento all'organizzazione ed alla crescita del suo partito, sente queste difficoltà e mette a disposizione la sua grande voglia di costruire un organismo più strut-turato e più forte:16

All'uscita dal carcere mi sentivo politicamente più forte e mi posi l'obiettivo di dare un importante contributo alla costituzione del partito a Palermo. In provincia di Palermo il partito conta ancora oggi 12.000 iscritti mentre ne abbiamo 42.000 alla Camera del lavoro e abbiamo 81.000 voti comunisti e 35.000 socialisti. Il partito ha un'influenza enorme sulle masse ma la sua organizzazione è debolissima ed è enormemente ina-deguato soprattutto in città (4.000 iscritti su 500.000 abitanti).

Assumevo quindi la responsabilità del lavoro di massa nella segreteria della Federazione di Palermo e davo un certo impulso all'azione nei quartieri popolari per il risanamento di Palermo nell'inverno 1951-52.

La morte del segretario della Camera del lavoro di Palermo poneva l'esigenza dell'in-vio di un quadro di partito alla Camera del lavoro. Dal marzo del '52 ho iniziato il lavo-ro alla Camera del lavolavo-ro.17

Pio La Torre quindi, appena uscito dal carcere, assume la responsabilità del lavoro di massa nella segreteria della Federazione del Partito comunista di Palermo. Dopo appena un anno però, nel marzo del '52, diventa segretario della Camera del lavoro di Palermo. Pio La Torre subentra ad Emanuele Macaluso che per un breve periodo aveva preso il posto

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15. L'ing. Alessandro Ferretti era il capogruppo del Partito comunista al Consiglio comunale di Palermo. 16. Oltre alla parte qui riportata, anche il resto dello Scritto autobiografico del La Torre esprime la sua preoccu-pazione per la scarsa organizzazione del Partito comunista a Palermo.

di Franco Fasone morto di un cancro al polmone.

Il cambio di direzione e di gestione della Camera del lavoro è descritto dall'on. Speciale:

La Torre alla Camera del lavoro succede ad una direzione che, diciamo così, veniva con-siderata arretrata. Non Fasone che durò poco tempo, ma mi riferisco a un vecchio com-pagno di origine napoletana, Roberti. La Torre arriva in un momento in cui si chiede alle organizzazioni sindacali un impegno che è diverso. Perché la Camera del lavoro di Palermo per molti anni era stata diretta da Giulio Roberti e poi da vecchi antifascisti del sindacato dei ferrovieri che erano stati licenziati, per esempio Sanso un socialista, e poi anche dai sindacalisti dell'arte bianca, cioè di quelli che erano nei mulini, nei pastifici, nei panifici ecc. Erano vecchi, provenienti per lo più dall'antifascismo e quindi anche dal punto di vista anagrafico era un'organizzazione piuttosto superata, sorpassata. E quin-di si chiede un rinnovamento. Questo era cominciato con Fasone che era stato promos-so da Bufalini. Ma l'esperienza di Fapromos-sone dura poco, muore infatti di cancro. E allora viene alla ribalta Pio, per il quale Bufalini aveva molta considerazione e lo voleva nel lavoro di costruzione o del partito o del sindacato, perché non è che allora ci fosse molta distinzione.

Pio La Torre rimarrà segretario della Camera del lavoro ininterrottamente dal 1952 al 1958. Poi continuerà l'esperienza sindacale ricoprendo la carica di segretario regionale della CGIL dal 1959 al 1962. Nello stesso periodo, e cioè dal '52 al '60, oltre che a Palermo è anche consigliere comunale del PCI a Monreale.

Condizioni di lavoro e problemi sindacali

Gli anni cinquanta e sessanta sono il periodo del cosiddetto “boom economico”, anni cioè in cui la vertiginosa crescita dell'industria e dell'edilizia offre in tutt'Italia centinaia di