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Il PCI nella clandestinità in Sicilia e l’inizio dell’attività politica di La Torre

Le condizioni familiari di Pio La Torre, comunque più vicine a quelle dei piccoli proprieta-ri piuttosto che a quelle contadine, sicuramente non fanno vivere un’infanzia serena e spensierata al futuro dirigente politico. La lotta con mille sacrifici per continuare a studia-re e le condizioni di miseria in cui vivono braccianti e contadini che sono in contatto ststudia-ret- stret-to con lui, segnano fortemente la sua crescita ed il suo carattere. Tutstret-to quesstret-to lo induce naturalmente a compenetrarsi nei problemi dei più deboli e degli sfruttati.

Il successivo crollo del fascismo e la ventata dei grandi ideali di libertà e di eguaglianza che investono le giovani generazioni del dopoguerra portano poi Pio La Torre verso quel naturale settore politico che più di ogni altro aspira a realizzare quei valori e quei proget-ti: la sinistra, ed in particolare la sinistra comunista.

Prima di vedere quali sono le ragioni che, come lo stesso La Torre ci dice, lo spinsero verso il Partito comunista, è opportuno delineare una piccola storia del movimento comunista siciliano dal momento in cui nasce fino al momento in cui cade il fascismo e si forma il nuovo Stato italiano. E questo anche per comprendere il clima nel quale si trovano a vive-re il giovane La Torvive-re e i suoi compagni di lotta.

Il Partito comunista in Sicilia nel periodo fascista e durante la seconda guerra mondiale

Il Partito comunista siciliano aveva già tenuto due congressi prima dell’inizio della secon-da guerra mondiale: il primo a Palermo l’11 e 12 settembre 1921, otto mesi dopo la scis-sione di Livorno; il secondo in forma clandestina nell’autunno del 1925 in due località diverse, Catania e Palermo, visto che la Federazione regionale si era divisa in due, quella orientale e quella occidentale, per difendersi meglio dalle indagini e dalla repressione fascista.1

Il Partito comunista siciliano, 776 iscritti nel 1921 e 530 nel 1926, era rimasto in gran parte legato alla linea bordighiana in quanto era lontano dalle idee innovatrici di Antonio Gramsci, e ciò anche perchè le leggi speciali fasciste avevano impedito una diffusione ampia del idee del pensatore sardo. Inoltre dal 1925 in poi molte tra le figure più presti-giose del partito come Francesco Lo Sardo e Umberto Fiore furono arrestate, processate, confinate ed intimidite in vario modo, per cui l’attività del partito fu notevolmente rallen-tata. Dalla seconda metà degli anni trenta alcune cellule comuniste clandestine erano state ricostruite in alcuni paesi dell’entroterra siciliano, in particolare nelle province di 34

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1. Nonostante queste precauzioni il Congresso della Federazione di Palermo non poté concludersi per l’irruzione della polizia. Su questi primi due congressi del PCI siciliano cfr. Giuseppe Miccichè, Il partito comunista in Sicilia. Le

origini (1919-1930), Milano, Teti, 1987, pp. 45-46 e Marcello Cimino, Storia dei comunisti siciliani. Chi sono, da dove vengono, dove vanno, seconda puntata, “Il giudice in camicia nera”, in L’Ora, Palermo 20 aprile 1971.

Enna, Caltanissetta ed Agrigento, ed alcuni studenti universitari avevano instaurato con-tatti con giovani di altri indirizzi ideologici. Ma di nuovo arresti e deportazioni, fra i quali quello di Franco Grasso e Salvatore Di Benedetto, fermarono sul nascere le attività di opposizione.

In tutti questi anni di clandestinità e di repressione feroce il partito comunista in Sicilia non segue una direzione ben precisa e non ha suoi connotati particolari, e questo perché è formato da diversi gruppi ognuno dei quali segue una sua linea di azione. E a dire il vero questo non avviene solo in Sicilia ma in tutto il meridione d’Italia dove dal 1926 i colle-gamenti con il centro interno clandestino comunista diventano difficili e addirittura a par-tire dal 1934-35 non esistono più. Questa situazione di difficoltà di comunicazioni fa sì che il dirigente, ma anche il semplice attivista del partito, non ha potuto seguire e non ha potuto conoscere la novità della formazione dei Fronti Popolari, con la conseguente per-dita di confronti e dibattiti che si sono avuti all’interno di essi. Quindi la crescita sponta-nea e priva di direzione politica che il partito ha al momento della liberazione in tutto il cosiddetto Regno del Sud, fa sì che nascano organi d’informazione politica e culturale, giornali, riviste, volantini, di ispirazione comunista, ma che fanno riferimento alle più diverse aree ideologiche: quella libertaria, quella staliniana, quella trotzkista.2

Dopo quattro anni di mancanza di collegamenti tra la Sicilia e il Continente, arriva da Milano nella primavera del 1941 Salvatore Di Benedetto che porta le direttive del centro interno clandestino del PCI. Questa ripresa di contatti con il nord attivo e combattivo ha per risultato la costituzione a Palermo nel 1942 del Fronte Unico della Libertà al quale aderiscono la maggior parte delle forze antifasciste. Alla vigilia dello sbarco alleato in Sicilia, Elio Vittorini viene mandato nell’Isola con le ultime disposizioni. Vittorini va ad Agrigento, Caltanissetta, Palermo e Siracusa, ed è a Lentini nel maggio del ’43 che si tiene un convegno clandestino dei comunisti siciliani che ha come punti all’ordine del giorno l’unità delle forze antifasciste, la formazione di gruppi di resistenza e la collaborazione con le forze angloamericane.3

Ma lo sbarco alleato nella Sicilia meridionale, il 9 e 10 luglio 1943, getta di nuovo nel caos i collegamenti fra i vari gruppi comunisti isolani. Ciò nonostante i dirigenti locali, alcuni dei quali sono appena tornati dal carcere o dal confino, cercano di dare direttive e orga-nizzazione ai numerosi cittadini che di fronte all’emergenza bellica e allo sfascio dell’or-ganizzazione statale italiana si rivolgono a loro. Questi dirigenti del partito sono anziani, come Cesare Sessa, membro del primo comitato centrale del PCI nel 1921, Umberto Fiore, organizzatore del partito a Messina, Giuseppe Montalbano, esperto di diritto; ma anche giovani entusiasti, come Pancrazio De Pasquale, Franco Grasso, Emanuele

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2. Cfr. Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano. La resistenza. Togliatti e il partito nuovo, Torino, l’Unità-Einaudi, 1975, vol. 7 parte prima, pp. 145-146.

Macaluso, Mario Mineo e Nicola Cipolla.4

Da un lato quindi abbiamo l’immissione nel cuore del partito di forze giovani, fresche, entusiaste, che sognano un mondo nuovo attraverso la realizzazione del comunismo e che praticano il “messianismo politico” che li fa credere i naturali costituenti del partito: di contro, però, questi ragazzi non hanno avuto la dura esperienza del carcere, del con-fino, della clandestinità, della disciplina di partito, e non hanno conosciuto il nemico da combattere in guerra. Dall’altro lato ci sono invece: dei dirigenti anziani che vengono catapultati da lontano, che vengono mandati dalla Direzione nazionale, che non sono conosciuti nei loro paesi d’origine perché ormai assenti da tanto tempo, che sono diffi-denti e chiusi, che si sono formati alla scuola di un rigido centralismo, che istintivamente sono portati alla vigilanza ed alla circospezione. Questa suddivisione del partito in due gruppi distinti crea tensione e scontro.5

Le difficoltà di amalgama fra vecchi e nuovi quadri del partito, la mancanza di una dire-zione regionale unitaria, la carenza di contatti con gli organismi nazionali, l’assenza in Sicilia di uomini di partito di provata esperienza, sono tutti fatti che fanno sorgere con-trasti, polemiche e scontri sulle questioni di carattere teorico, politico ed organizzativo; ne consegue confusione, incertezza ed indecisione sulle linee politiche da seguire. Vi erano poi da parte di alcuni, resistenze e settarismi verso la nuova politica del partito, la cosid-detta linea di Unità Nazionale, che consisteva nell’apertura verso le altre forze antifasci-ste. Insomma coesistevano in Sicilia due comunismi: uno, riformista, aperto, pronto al dia-logo; l’altro, rivoluzionario, duro, arroccato nel vecchio ideologismo estremista.

In questa organizzazione politica un po’ caotica e confusa s’inserisce l’innovazione intro-dotta da Togliatti con la costituzione del “Partito nuovo”, cioè un partito nazionale italia-no, che abbandona l’opposizione chiusa e aprioristica per diventare invece un partito costruttivo e di governo, che riconosce gli altri partiti e le altre correnti di pensiero, che rispetta la libertà di religione, che riconosce la piccola e media proprietà. Un Partito nuovo cioè pronto ad aprire le porte a uomini e donne che hanno diversa formazione culturale. In sintesi, un nuovo, grande e moderno partito di massa.6

L’idea del Partito nuovo, se affascina giovani ed intellettuali, vede perplessi invece i mili-tanti che concepiscono il PCI come una forza diversa dalle altre e ideologizzata al massi-mo. Queste resistenze e dubbi permangono e si rilevano al I° congresso postbellico del partito siciliano che si tiene a Messina dal 15 al 17 aprile 1944.7E comunque questa nuova idea di partito fa crescere tumultuosamente anche in Sicilia gli iscritti che, se alla 36

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4. Ib., p. 149.

5. Ib., pp. 146-147, 151-155.

6. Ib., vol. 8, parte seconda, pp. 386-393, 415.

7. Messina, sede del congresso, è l’unica città della Sicilia dove si è costituita la Federazione del partito. La città già da molti anni è un centro attivo del movimento operaio meridionale ed ha avuto tra gli esponenti più impor-tanti del partito comunista uomini come Lo Sardo, Fiore, Pizzuto e Di Lena. In proposito cfr. I congressi regionali del

PCI in Sicilia, a cura e con introduzione di Maurizio Rizza, prefazione di Marcello Cimino, Istituto Gramsci Siciliano,

fine del 1944 sono 28.441 (3.080 a Palermo), passano a circa 80.000 l’anno successivo.8

Rimane però per il partito siciliano la difficoltà di seguire la linea nazionale e di collegarsi con le grandi linee di pensiero che attraversano in quel momento non solo l’Italia ma anche il resto d’Europa. Ed è per questo che Togliatti decide di mandare in Sicilia Girolamo Li Causi, figura storica del partito nell’Isola. Occorre quindi superare i contrasti e le diver-genze interne per fare un partito forte, unito e determinato che sotto la guida di Li Causi, ma anche attraverso figure importanti come D’Onofrio, Di Lena e Di Benedetto, cominci ad uscire dalle secche dei veti reciproci e delle continue incomprensioni, per avviarsi inve-ce spedito verso un’azione di lotta corale e decisa.

La Direzione nazionale del partito, inoltre, riconosce al partito siciliano una sua particola-re specificità dovuta in gran parte ai problemi posti dal separatismo e concede alla Federazione regionale, unico caso in Italia, di essere costituita dalle varie Federazioni pro-vinciali.9 Questa specificità siciliana ha però vita breve, dato che nel 1947 il partito si ristrutturò a livello nazionale in modo da prevedere i Comitati regionali e non più le Federazioni regionali.

È utile a questo punto ricordare che anche il partito comunista siciliano si attivò per la lotta clandestina, prese parte alla guerra di resistenza e subì la repressione fascista. Alcuni dei suoi più importanti esponenti furono incarcerati, confinati, perseguiti, tortu-rati e qualcuno morì. Volendone ricordare solo alcuni fra i molti che subirono questo tipo di persecuzioni, il primo posto spetta senz’altro a Francesco Lo Sardo, di Messina, morto in carcere nel maggio 1931. Seguono poi: Salvatore Di Benedetto, di Palermo, sfregiato in viso mentre difendeva dagli attacchi nazisti le centrali idroelettriche di Tivoli; Salvatore Vizzini, di Ragusa, per tre anni combattente della guerra civile spagnola e poi internato nel campo di concentramento di Vernet; lo stesso Girolamo Li Causi, anima-tore instancabile della lotta partigiana, condannato a 20 anni e nove mesi di reclusione; Umberto Fiore, di Messina, condannato a otto anni di carcere e deportato in campo di concentramento; Ignazio Di Lena, di Messina, arrestato per ben tre volte e confinato a Lipari; Pietro Pizzuto, di Messina, una vita di processi, di condanne, di carcere, viene confinato a Ustica e a Tremiti; Giorgio Cresi, di Agrigento, passa tutta la sua giovinez-za al confino di Lipari e Tremiti; Cesare Sessa, dirigente storico del partito in Sicilia, sor-vegliato speciale, perseguitato e impossibilitato a muoversi; Giuseppe Montalbano, di Agrigento, insigne giurista, condannato a tre anni di reclusione e all’esclusione dall’in-segnamento pubblico; Pompeo Colajanni, fondatore della Brigata partigiana Garibaldi

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8. Cfr. Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano. La resistenza, cit., vol. 8, pp. 414-415 e I congressi

regionali del PCI in Sicilia, cit., vol. I°, p. 71.

e conosciuto con il nome di capitano Barbato.10

Ecco come ricorda Nicola Cipolla il partito di quel periodo:11

Era un partito giovane. Li Causi, la cosa che fece quando è uscito il partito dalla clandesti-nità e c’erano vecchi compagni che avevano subito il confino, e culturalmente si erano bloccati ad un partito di Bordiga, il partito di tipo nuovo che voleva Togliatti qui Li Causi l’ha impostato prendendo tutta gente senza badare se veniva dal partito socialista. Ha preso tutta gente giovane. Io per esempio ho sostituito un vecchio compagno che aveva vent’anni più di me. Quindi eravamo tutti giovani. Li Causi stesso nominò De Pasquale per-ché il partito non c’era. Eravamo pochi, eravamo tutti giovani.12

La testimonianza più lunga ed articolata di Nando Russo, oltre a descrivere brevemente lo stato del partito comunista in Sicilia, mette in luce il contrasto fra vecchi e giovani, le diver-se concezioni del partito, la complessa personalità di Li Causi che nella direzione del partito siciliano veniva costantemente affiancato da qualche personalità di livello nazionale:13

Li Causi venne per rimettere ordine nel partito in Sicilia che era in preda a gruppi loca-li di formazione anarcoide. Erano stati, cioè, scollegati con il resto del partito a loca-livello nazionale durante il periodo della clandestinità. Figurarsi che fu mandato Vittorini, lo scrittore, a pigliare un contatto a Siracusa con vecchi dirigenti del partito nel ’43-44. A Messina c’era il senatore Fiore, a Caltanissetta c’era il gruppo di Macaluso sebbene giovanissimo. A Palermo il gruppo era quello di Franco Grasso. E poi c’erano gruppi locali. E c’erano contrasti. E Li Causi è l’uomo della Direzione nazionale. Ma già subi-to nasce il contrassubi-to fin dal ’46-47 tra Li Causi e il gruppo di giovani che era affluisubi-to nel partito e che appoggiava Li Causi nell’azione di messa ai margini dei gruppi

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10. Cfr. I Congressi regionali del PCI in Sicilia, cit., vol. I°, pp. 81, 239-256, 263.

11. Nicola Cipolla proviene dalle organizzazioni dei lavoratori della terra nelle quali ha ricoperto nel corso degli anni importanti incarichi. E’ stato senatore ed eurodeputato del PCI.

12. Con il senatore Nicola Cipolla ho avuto due incontri, uno il 29.6.95 e l’altro il 2.10.95.

13. Nando Russo è stato Segretario di Federazione del Partito comunista in diverse città della Sicilia oltre che a Palermo. È stato pure deputato regionale, ma nei primi anni sessanta si è ritirato dalla politica. Dapprima ho avuto qualche difficoltà a intervistarlo perché si è mostrato molto perplesso sia sul fatto che l’intervista venisse registrata sia sugli argomenti che sarebbero stati trattati nel corso della discussione, e cioè i suoi rapporti con La Torre e il par-tito comunista negli anni quaranta e cinquanta. Successivamente, però, si è mostrato più disponibile e la sua testi-monianza è risultata in definitiva tra le più importanti e significative di tutta la ricerca.

Nando Russo numerose volte si è trovato in contrasto con altri membri del partito, e non solo per le posizioni poli-tiche prese di volta in volta ma anche, e soprattutto secondo me, per la sua particolare personalità schiva, dubbio-sa, intellettualmente sempre critica (queste sue divergenze saranno più chiare ed esplicite nelle pagine successive dedicate al partito comunista in Sicilia alla fine degli anni ‘50).

In realtà Nando Russo, uomo di cultura, si trovò catapultato nella vita politica attiva non condividendone la rigida vita di organizzazione. Dai colloqui avuti con lui mi è sembrato cioè più indipendente che dissidente, più spirito libe-ro e talvolta anche rassegnato più che lontano dalle ideologie di sinistra (abbandonerà, infatti, il partito comuni-sta). E in questo senso credo che abbia dato un giudizio sul La Torre fra i più centrati e più pertinenti di quelli rac-colti (v. l’intervista di Nando Russo nel capitolo “L’Operazione Milazzo”, paragrafo “La reazione di Pio La Torre: ovvero la fedeltà al Partito, ma anche insofferenza, irrequietezza e schiettezza”).

li assolutamente anarcoidi, mentre tutti noi che eravamo entrati, tutti questi giovani eravamo togliattiani, eravamo con la nuova linea del partito. Li Causi venne come inviato di Togliatti, del Partito nuovo.

Però mi pare che anche Li Causi sostenesse che non si dovesse perdere il collegamen-to coi vecchi. Allora c’era l’espressione “Le vecchie croste”; non si potevano staccare per fare venire fuori il tessuto giovane. Una delle vecchie croste era Montalbano che era presidente del gruppo parlamentare all’Assemblea siciliana. Montalbano, anche se era culturalmente più avanzato degli altri, era uno degli agrigentini più limitati dal punto di vista dell’esperienza di partito.

Il contrasto avviene insomma su diversi piani. Intanto la stessa concezione del partito. Un partito non di gruppetti, antidemocratico nella sostanza. Mentre l’idea di Li Causi era che non si potesse mandare tutti a casa, tutti i vecchi. Un partito si decide invece nei Comitati federali, nelle assemblee, questo è quello che sostenevano i giovani, non nelle conventicole, nelle riunioni Li Causi-Montalbano-Ausiello, che allora era indipen-dente di sinistra. A Palermo c’era un tale Di Gesù che era un tipo settario, era consi-gliere comunale già con gli americani, un artigiano, una persona tortuosa, un perso-naggio di Sciascia sembrava questo Di Gesù e aveva accesso diretto. C’era una riunio-ne, e lui andava a trovare Li Causi, andava a sfogarsi con Li Causi e non era neanche membro del Comitato federale e della Segreteria. I giovani si sentivano scavalcati. Quindi una concezione del partito di gruppetti chiusi, vecchia, antica, antidemocrati-ca. Quindi il primo contrasto era sulla concezione del partito. Noi eravamo con Togliatti, con il partito nuovo, con la democrazia, con i risultati delle cose che si fanno, che si dicono, con il rispetto della volontà dell’assemblea. Questo era un primo con-trasto. C’era anche il contrasto fra una concezione del partito come organizzazione di massa e quindi attiva, nei sindacati, nelle lotte dei contadini, nelle lotte agrarie... Molti di questi vecchi non avevano nessuna sensibilità per queste cose.

Questa direzione di Li Causi era entrata in crisi. Tutti avvertivano questi limiti di Li Causi; era stato al confino ma prima era stato socialista rivoluzionario. Era del grup-po dei socialisti rivoluzionari e la sua esperienza era stata nel Veneto, non era stata in Sicilia. Li Causi avrebbe dovuto interpretare la linea di Togliatti; ma lui non l’aveva per niente chiara la linea di Togliatti e noi giovani avvertimmo immediatamente questo, anche se era uno dei migliori tra i vecchi. La tendenza al compromesso, a conservare i posti a Montalbano o agli altri vecchi del partito: al senatore Fiore per esempio. E quindi la vita democratica era assolutamente limitata.

Questo contrasto ad un certo momento esplose. Anche nazionalmente fu avvertito. Fu mandato un tale Robotti che rimase più di un anno; prima ancora c’era stato un tale Mazzetti, un bolognese, perché ci si rendeva conto dei limiti di Li Causi dal punto di vista della vita organizzativa di partito, della concezione del partito. Poi fu manda-to un tale Fedeli che fece molmanda-to danno. E poi fu trovata la soluzione di Bufalini, ma

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qui non si tratta di mesi. Nel ’50 è venuto Bufalini e rimase per un decennio quasi, come vice di Li Causi. Lui era riconosciuto. Bufalini era... un cardinale romano. Li Causi sta a disagio con Bufalini: è un Segretario dimezzato. Non contava niente, era