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Nell’ordinamento giuridico italiano la protezione dell’ambiente è imposta da numerosi precetti costituzionali e, in particolare, da quelli d

LE SINGOLE IPOTESI DI DANNO PUNITIVO NELL’ESPERIENZA GIURIDICA ITALIANA

6. Nell’ordinamento giuridico italiano la protezione dell’ambiente è imposta da numerosi precetti costituzionali e, in particolare, da quelli d

cui agli artt. 2, 3, 9, 32, 41 e 42355. In quanto bene giuridico di rango

costituzionale, esso è oggetto di protezione sul piano penale e su quello amministrativo, ma non si esclude anche la tutela civile, anzi, proprio la tutela civilistica negli ultimi decenni è stata interessata da una evoluzione costante.

In un primo momento si riteneva che l’ambiente andasse tutelato con i rimedi ordinari risarcitori previsti dal codice civile. Ciò consentiva a chiunque lamentasse danni alla integrità fisica o alla proprietà, quale conseguenza di un danno all’ambiente, di agire in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c.

Tale impostazione si rivelò presto inefficace, in quanto, in tema di danno all’ambiente, spesso non esiste una coincidenza tra costo sociale complessivo e singole voci di danno risarcibile, nel senso che queste ultime possono essere inferiori al primo. Di conseguenza, l’imposizione del solo obbligo di risarcire il danno, in concreto, non costituiva un fattore idoneo a svolgere un’efficace funzione deterrente per chi era intenzionato a inquinare l’ambiente; inoltre, per i singoli cittadini che agivano in giudizio, era di difficile dimostrazione la lesione di un proprio diritto (ad esempio il danno alla propria salute) quale conseguenza del danno ambientale; e, infine, i soggetti intenzionati a danneggiare l’ambiente per trarne vantaggio, ben potevano inglobare l’ammontare dei danni risarcitori – facilmente prevedibili ex ante – tra i costi della loro attività illecita e, quindi, decidere di aggredire l’ambiente qualora, in base ai calcoli, presumessero che i ricavi della loro attività illecita 355 Per l’affermazione secondo la quale l’ambiente costituisce un bene giuridico di rilievo

costituzionale: Corte Costituzionale, sentenza 30 dicembre 1987, n. 641, in Foro italiano, 1988, parte I, 649: Corte di Cassazione, S.U., 6 ottobre 1979, n. 5172, in Foro italiano, parte I, 2302; Cass. Civ., sez. III, 3 febbraio 1998, n. 1087, in Rivista giuridica dell’ambiente, 1988, 711; Corte dei Conti, sez. I, sentenza 15 maggio 1973, n. 39, in Foro amministrativo, 1973, I, 3, 247.

fossero maggiori dei costi, ovvero qualora sperassero di ricavare un profitto dalla loro attività, nonostante i danni da risarcire. È chiaro che, in casi del genere, il solo obbligo di risarcire i danni causati ai singoli danneggiati, non costituiva un deterrente idoneo a scoraggiare comportamenti illeciti che danneggiassero l’ambiente.

La situazione ha iniziato a risollevarsi allorquando la Corte di Cassazione ha configurato l’esistenza di un diritto soggettivo di ciascun cittadino all’ambiente salubre, diritto, quest’ultimo, ricavabile dagli artt. 2 e 32 della Costituzione, ed azionabile in giudizio ai sensi dell’art. 2043 c.c.356.

Tale soluzione è stata osteggiata dalla Corte dei Conti, la quale escludeva che i cittadini singolarmente, potessero agire in giudizio per far valere un diritto soggettivo all’ambiente salubre. Secondo la Corte dei Conti l’ambiente costituisce un bene pubblico, tale che solo allo Stato competerebbe la legittimazione ad agire in giudizio per il risarcimento357.

Il conflitto tra le due Corti in ordine alla legittimazione attiva è stato risolto dal legislatore con la legge 8 luglio 1986, n. 349.

Le problematiche relative al danno ambientale hanno trovato fondamento normativo nell’art. 18, comma 1, della menzionata legge, recante l’istituzione del Ministero dell’Ambiente e norme in materia di danno ambientale che recita: «qualunque fatto doloso o colposo, in violazione di disposizione di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l’autore del fatto al risarcimento del danno nei confronti dello Stato»358.

356Cass. S.U., 6 ottobre 1979, n. 5172. In dottrina cfr. MADDALENA, Il danno ambientale tra

giudice civile e giudice contabile, in Rivista critica del diritto privato, 1987, 445.

357Corte dei Conti, sentenza 868 del 1980, in Foro italaino, 1981, III, 167.

358La dottrina ha segnalato (PONZANELLI), Corte Costituzionale e responsabilità civile: rilievi di

Al terzo comma la norma specifica che «l’azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo».

Il sesto comma, infine, prevede che «il giudice, ove non sia possibile una precisa quantificazione del danno, ne determina l’ammontare in via equitativa, tenendo conto della gravità della colpa individuale, del costo necessario per il ripristino, e del profitto conseguito dal trasgressore».

Appare evidente che l’articolo 18 in commento costituisce un evidente rafforzamento della tutela civilistica ed un completamento dei rimedi giuridici di tutela ambientale. In primo luogo perché continua a garantire a chiunque di poter agire in giudizio qualora l’attore ponga a fondamento della domanda una lesione all’integrità fisica, alla salute, alla proprietà, come conseguenza del danno ambientale359. In secondo

luogo perché attribuisce solo allo Stato e a d altri enti pubblici territoriali interessati la legittimazione a promuovere azione di risarcimento per danno ambientale, prevedendo al tempo stesso la devoluzione delle relative somme in favore dello Stato, con ciò evitando la possibilità che la responsabilità civile assuma gli aspetti di una vera e propria ruota della fortuna, con esiti gratificanti per chi agisce in giudizio.

Con l’art. 18 in commento si esce dal settore del mero risarcimento del danno, per entrare a pieno regime in quello delle sanzioni afflittive con finalità disincentivanti360. In altre parole, le disposizioni in esame,

sembrano aver introdotto nel nostro ordinamento una vera e propria

pensiero profondamente distinti ed eterogenei tra loro: l’impostazione pubblicistica, da un lato, che configura il danno ambientale come un danno pubblico dello Stato, e l’impostazione privatistica, dall’altro, che tende a vedere i principi propri della dinamica dei rapporti interprivati.

359Cass. 23 ottobre 1989, in Giustizia penale, 1991, II, 275.

ipotesi di danno punitivo361, secondo alcuni Autori362, mentre secondo

altri «se da un lato il legislatore facendo riferimento alla gravità della colpa individuale ha accentuato il carattere sanzionatorio della nuova fattispecie di responsabilità, al fine di accrescere la sua funzione deterrente, d’altra parte non sembra avere introdotto un’ipotesi di pena privata o di danni punitivi poiché il parametro in esame costituisce soltanto uno dei parametri previsti per liquidare in via equitativa il danno, del quale non è possibile determinare l’esatto ammontare»363.

Il riferimento alla gravità della colpa sembra proprio denotare un taglio sanzionatorio, nonostante le opinioni dottrinarie contrastanti, insito nel giudizio di quantificazione del danno ambientale. Esso, infatti, richiama alla mente da un alto il giudizio sulla gravità della colpa di cui all’art. 133, co. 1, n.3), c.p. che il giudice penale è chiamato ad effettuare, unitamente ad altre valutazioni, onde graduare la sanzione applicabile al colpevole nell’ambito dei limiti edittali legalmente previsti; dall’altro lato, i concetti di malice e di gross negligence, coefficienti soggettivi che la giurisprudenza anglosassone prende in considerazione per stabilire l’an e il quantum dei danni punitivi364.

361CENDON_ZIVIZ, L’art. 18 della legge 349/86 nel sistema della responsabilità civile, in Rivista

critica del diritto privato, 1987, 545; BIGLIAZZIGERI, Quale futuro dell’art. 18 legge 8 luglio 1986, n.

349, ivi, 1987, 686; BUSNELLI, La parabola della responsabilità civile, ivi, 1988. 667.

362 Tale conclusione sembra confermata proprio dai criteri legalmente previsti per la

quantificazione del danno risarcibile e, in particolare, dal criterio della gravità della colpa individuale e da quello del profitto conseguito dal trasgressore. Tali criteri evidenzierebbero un chiaro intento sanzionatorio/disincentivante nei confronti di chi inquina. Sul punto cfr. DECUPIS, La riparazione del

danno all’ambiente: risarcimento o pena?, in Rivista di diritto civile, 1988, 401, ss. Più recente

SCHIESARO, Il risarcimento del danno ambientale ex art. 18 legge 349/1986: caratteri tipici, casistica

e risultati ottenuti, in Gazzetta Ambiente, 2004, 65 ss.

363Nel senso che il richiamo ai danni punitivi sia improprio nel caso in esame v. PATTI, voce Pena

Privata, in Digesto discipline privatistiche, Torino, 1995, 349 ss.

364Le disposizioni di cui all’art. 18 sono state portate all’attenzione della Corte Costituzionale che,

con la sentenza n. 641 del 1987, ha specificato che le principali caratteristiche di tale danno consistono nella sua riconducibilità all’art. 2043 c.c.; nella sua patrimonialità, nella sua funzione sanzionatoria, legata alla tipicità dell’interesse leso e al suo carattere eminentemente e dichiaratamente pubblico, anche in considerazione del fatto che i soli soggetti legittimati all’azione di risarcimento sono lo Stato e gli enti pubblici territoriali. Cfr. Corte Costituzionale, 30 dicembre 1987, n. 641, in

Foro italiano, 1988, I, 694, con nota di GIAMPIETRO, Il danno all’ambiente innanzi alla Corte

Altro parametro da considerare è il profitto conseguito dal trasgressore365. In una prospettiva comparata, anche il parametro in

esame richiama alla mente l’istituto anglosassone dei punitive damages. L’unica apparente differenza tra la disposizione in esame e i danni punitivi anglosassoni potrebbe rinvenirsi nel soggetto beneficiario delle somme concesse a titolo di sanzione. Nel caso dei punitive damages esse sarebbero devolute al privato che agisce in giudizio; nel caso di cui all’art. 18 in commento andrebbero allo Stato. Tuttavia, tale diversità è più che altro apparente. Innanzitutto perché le leggi di numerosi Stati nordamericani, ad esempio, prevedono che tali somme debbano essere devolute in tutto o in parte allo Stato od altri enti pubblici o a public funds. Ed, inoltre, nelle legislazioni di molti Stati anglosassoni in alcune ipotesi è lo Stato che può agire in giudizio e chiedere la condanna del convenuto al pagamento dei danni punitivi.

365In un’ottica di diritto interno, la valutazione del profitto conseguito dal trasgressore, richiama

una sanzione penalistica. Esso è riconducibile al tipo di valutazione da compiersi ai sensi dell’art. 240 c.p. in ordine all’applicazione della misura di sicurezza della confisca, misura in grado di colpire la cosa a condizione che la stessa no appartenga ad un soggetto diverso da colui che abbia commesso il reato ed esterno allo stesso crimine. Così SCHIESARO, Il risarcimento del danno ambientale ex art. 18

7. L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (l. n. 300/70) prevede che,

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