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L’ordinamento italiano, dopo aver riconosciuto l’aggancio del diritto alla privacy nell’art 2 della Costituzione, ha

COMPARATIVECOMPARATIVE COMPARATIVE

A) L’ordinamento italiano, dopo aver riconosciuto l’aggancio del diritto alla privacy nell’art 2 della Costituzione, ha

attribuito, specie tramite l’art. 1 del Codice della privacy del 2003, al diritto alla protezione dei dati personali la natura di diritto fondamentale. In breve, si è compiuto il passaggio dalla c.d. segretezza al controllo e si è elaborato un bene giuridico in termini più adeguati alla realtà attuale, passandosi da una visione statica e negativa della privacy, ad una dinamica ed attiva.

In questa prospettiva, inoltre, è interessante rilevare che il

201Cfr. DONINI M.,Teoria del reato. Una introduzione, Padova, 1996, 117. In materia di bene giuridico, la letteratura italiana appare amplissima. Nel suo ambito basti il rinvio a PALAZZOF.C.,Bene giuridico e tipi di sanzioni, in Ind. pen., 1992, 2, 214 ss.; ANGIONIF.,

Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, Milano, 1983, e la bibliografia ivi

legislatore italiano non ha esitato ad estendere la tutela al di là dei soggetti strettamente individuali. Certo, esso non è in alcun modo obbligato a limitare il suo intervento alle sole persone fisiche, dal momento che sia la Convenzione di Strasburgo che la Direttiva 95/46/CE lasciano la «facoltà agli stati firmatari e membri di provvedere diversamente»202. In un certo senso, come giustamente

osservato dalla dottrina più autorevole203, l’estensione della tutela

legale anche alle persone giuridiche non confligge in alcun modo «con le esigenze crescenti di trasparenza» del mercato.

Nell’ambito del diritto cinese, è orientamento unanime della dottrina (pur se con enorme ritardo) vedere la privacy come uno dei diritti della personalità ed appare pacifico inquadrare il suo rigido ancoraggio alla Costituzione cinese specie negli artt. 33, comma 3° e 38. Tuttavia, con riferimento al diritto positivo, come si è visto, l’elaborazione non è molto soddisfacente.

Così, dal punto di vista penalistico, il diritto alla privacy quale bene giuridico ha trovato la sua prima e finora unica conferma esplicita nell’art. 253-1 del Codice Penale (ex art. 7 della Novella

VII del 2009). Ma la fattispecie incriminatrice ivi costruita sanziona la violazione del divieto di rivelare le informazioni personali, sostanziandosi dunque alla stregua della tutela del segreto. Da qui la perplessità tuttora aperta sulla differenziazione tra segreto e riservatezza dei dati personali, ed in specie sulla vera autonomia di quest’ultima.

D’altro lato, far leva soltanto sugli aspetti negativi della privacy (cioè sull’impedire la conoscenza, da parte di estranei, delle informazioni personali) non sembra corrispondere all’approccio opportuno per affrontare la problematica della sua

202In questo senso,V. ORESTANOA.,La circolazione dei dati personali, in PARDOLESIR., a cura di, Diritto alla riservatezza e circolazione dei dati personali, Milano, 2003, 180;

nonché, FICIA.,La tutela dei dati degli enti collettivi: aspetti problematici, in PARDOLESI

R., a cura di,Diritto alla riservatezza, cit., 382.

203Cfr. RODOTÀS.,Conclusioni, in CUFFAROV.-RICCIUTOV.-ZENOZENCOVICHV., a cura di,Trattamento dei dati e tutela della persona, Milano, 1998, 292.

tutela penale nel nostro contesto attuale.

In questo senso, la futura Legge sulla Protezione delle Informazioni Personali sarà senz’altro d’avanguardia nel contesto sociale della Cina, potendo costituire una svolta storica per la tutela della privacy. La prossima entrata in vigore della medesima Legge segnala le trasformazioni intervenute nella concezione e nell’analisi di questo valore fondamentale, privilegiando una tutela di tipo procedimentale invece di quella tradizionale, di tipo proprietario. In altri termini, si tratta di disciplinare le inevitabili attività di raccolta e di uso delle informazioni sulla base di modalità, procedure, garanzie, controlli le quali offrano la ragionevole certezza che di queste informazioni non si faranno usi impropri.

Tuttavia, se è vero che il giudizio sull’ampiezza della sfera della riservatezza da proteggere non può essere rimesso alla diversa sensibilità dei soggetti, bensì si deve svolgere sulla base delle disposizioni di legge e del filtro obiettivo costituito dalle valutazioni consolidate dell’ambiente sociale, altrettanto vero è che le disposizioni di carattere generico, delle quali si avvale il legislatore cinese, non contribuiscono molto a ottenere una soluzione soddisfacente, quando addirittura non vi pongano ostacoli.

È, inoltre, da evidenziare la portata ancora ridotta della nozione di privacy cui la Cina ha voluto conformarsi. Si pensi, oltre all’inclusione delle sole persone fisiche nella categoria degli interessati, all’esclusione dell’applicabilità della Legge sulla Protezione delle Informazioni Personali ai trattamenti da parte della Sicurezza dello Stato, ai fini della sicurezza dello Stato, e da parte dell’Autorità giudiziaria; nonché alle riduzioni vistose delle facoltà degli interessati: segnatamente, l’eliminazione, in linea di principio, del loro diritto di accesso nei confronti di particolari trattamenti degli organi del governo, ai sensi degli artt. 12, comma 2° e 19, comma 2°; la configurazione del consenso dell’interessato

come uno dei parametri alternativi di legittimità, per i trattamenti dei titolari non governativi del trattamento.

Si deve tener presente che in materia di privacy entrano in gioco anche altri beni-interessi di pari prestigio, quali la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà dell’iniziativa economica e sociale, la sicurezza dello Stato, l’ordine pubblico e così via. Tutti questi beni confluenti comportano che il legislatore, qualora si avvalga del diritto penale come strumento di garanzia rafforzata, non può che procedere ad un intervento il più ponderato e sottile possibile, che sia compatibile con la molteplicità di profili e interessi da proteggere, evitando una risposta rigidamente unitaria o monistica.

Dunque, sembra da sottolineare che la costruzione della tutela penale della privacy deve essere in sintonia con il duplice obiettivo di sottrarre all’esclusiva volontà del soggetto interessato l’attuazione e la protezione dei valori della propria persona, e di affidare invece a specifiche forme di bilanciamento degli interessi tra il singolo e la collettività – segnatamente: tra il divieto di diffondere dati personali e la libertà di informare previa loro acquisizione - una sorta di permanente equilibrio mobile, privilegiando quella tecnica che impone criteri comportamentali al titolare del trattamento, la cui inosservanza fa scattare i rimedi previsti a favore dell’interessato, anziché attribuire poteri assoluti al singolo in via preventiva.

Orbene, nel Codice italiano della privacy emerge che il legislatore sceglie di volta in volta a quale interesse dare prevalenza, utilizzando a tale fine proprio il meccanismo del bilanciamento, ossia ora negando ora apprestando all’interessato lo strumento dei rimedi previsti dalla legge. Ne sono dimostrazione evidente il delicato meccanismo del consenso informato e delle sue eccezioni, nonché la presenza di un organismo pubblico, quale il Garante per la protezione dei dati personali, che si aggiunge alle forme di tutela.

La Legge cinese sulla Protezione delle Informazioni personali, pur ponendo l’accento sul principio di bilanciamento degli interessi (art. 4) e cercando di realizzare meccanismi per la sua attuazione, impiega norme che hanno una connotazione (a nostro avviso) eccessivamente approssimativa e che purtroppo non riuscirebbero ad assolvere tale compito: anzi, a volte potrebbero disorientare le applicazioni pratiche.

Esemplificando, si pensi alle disposizioni di cui all’art. 49, comma 2°, numero 2 della Legge, a norma del quale il titolare del trattamento può rifiutare la domanda dell’interessato di accedere alle sue informazioni personali, qualora la loro conoscenza comporti la possibilità di ledere gli interessi leciti dei terzi. Certo, la prevalenza degli «interessi leciti» (concetto oltremodo vasto) della persona terza sulla privacy dell’interessato non sempre appare una soluzione ragionevole: basti pensare all’ipotesti in cui venga in conflitto la semplice esigenza altrui di profitto.

A tale proposito, l’orientamento del legislatore italiano sembra più appropriato, in ragione del suo tentativo di individuare criteri valutativi maggiormente specifici, al fine di adattarsi, quanto più possibile, alle situazioni da considerare di volta in volta.

Per esempio, sia consentito rinviare all’art. 26, comma 4°, lettera c) del Codice della privacy del 2003 che, parlando del trattamento dei dati sensibili (idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale) senza il consenso dell’interessato, in sede giudiziaria, per far valere un diritto, dispone che tale diritto «deve essere di rango pari a quello dell'interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile»: per cui è comprensibile la graduazione gerarchica dei valori oggetto del bilanciamento.

B) B)

B)B) In questo breve confronto delle impostazioni seguite