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Nel marzo del 2002, la MT Han Wei, nave cargo per il trasporto di carburanti, oli vegetali e gas naturale liquido, venne abbordata a circa un miglio di distanza dall’isola di Phuket, nel mare delle Andamane, da una banda di pirati armati di fucili automatici AK-47 mentre percorreva la rotta da Singapore verso il Myanmar. Per garantire una certa velocità d’azione e portare a buon esito l’attacco la sparuta gang di criminali, una dozzina in tutto, fece uso di due piccole imbarcazioni da pesca e di un gommone motorizzato: una volta a bordo, l’equipaggio della Han Wei fu costretto ad abbandonare la nave e tradotto su uno dei due pescherecci in attesa di giudizio mentre i saccheggiatori requisivano parte del carico fra cui circa sessanta litri di carburante, cibi a lunga conservazione e acqua potabile. Dopo aver sommariamente giustiziato la ciurma della nave cargo e averla gettata a mare gli assalitori ritinteggiarono parte della nave e cambiarono il nome in Phae Tan facendo poi rotta verso la provincia di Chonburi in Thailandia. Tuttavia, grazie ad un dispaccio dell’IMB alla marina militare Thailandese, le autorità riuscirono a rintracciare l’esatta posizione della Han Wei e ad abbordarla per riprenderne il controllo: nonostante la buona riuscita dell’operazione, sul natante non era stata riscontrata la presenza di alcuno dei pirati che, evidentemente, erano stati allertati dell’imminenza dell’attacco. Una settimana più tardi tre dei sospettati complici dell’episodio della Han Wei furono bloccati a Ranong, nel distretto thailandese di Mueang Ranong e, messi sotto torchio dalle forze dell’ordine locali, confessarono di aver preso parte alla vicenda e di aver lavorato in collaborazione con cinque persone provenienti dalla Birmania e altre sette di etnia Thai. Gli arrestati testimoniarono anche del fatto che l’eminenza grigia dietro l’attacco era un certo signor Ao, di cui nessuno, però, conosceva fisionomia o provenienza96. Da questo breve racconto di un abbordaggio andato a buon fine si evince la

complessità organizzativa che attacchi in mare del genere richiedono, sia in termini logistici e di abilità tecniche degli assalitori, sia sotto un profilo eminentemente finanziario: coloro che, come il signor Ao, commissionano un furto marittimo, sono individui che possiedono risorse economiche e gestionali tali da garantire una buona probabilità di successo all’operazione criminosa e che da quella stessa operazione ritengono di poter guadagnare un utile consistente da ridistribuire all’interno della fitta rete organizzativa di cui sono i capi o affiliati con un certo grado di potere.

96 M. Stehr, Modern Piracy: Growing Threat to Shipping, Counter Threat Technology and Tactics, «Naval Forces

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Il crimine organizzato o come viene definito in linguaggio anglo-sassone, il sindacato criminale, vanta una lunga storia di rapine, violenza e attività politica nel Sud-est asiatico; il Federal Bureau of Investigation statunitense dà una definizione di criminalità organizzata che ne sottolinea la natura associativa

«any group having some manner of formalized structure and whose primary objective is to obtain money through illegal activities. Such groups mantain their position through the use of violence or threats of violence, corrupt public officials, graft, or extortion, and generally have a significant impact on the people in their locales or region of the country»97.

Quantunque molte organizzazioni fondino la propria ricchezza e prosperità su un’unica attività profittevole (principalmente il commercio di stupefacenti), alcune fra le più potenti e antiche, si pensi alla Mafia siciliana, alle Triadi cinesi o alla Yakuza giapponese, hanno diversificato il campo d’azione e i propri investimenti nell’ambito della gestione della prostituzione e del lavoro minorile, nello smercio di armi e prodotti contraffatti, nel traffico di esseri umani e di organi per trapianti, fino ad arrivare ad influenzare in maniera attiva la politica regionale o statale. Ad oggi, in Asia, sono operanti numerosi gruppi criminali organizzati che sono riconducibili, con modalità e gradi differenti, ai due grandi cartelli della Yakuza e della Sanhehui. Essi, infatti, non solo costituiscono le più potenti organizzazioni all’interno dei rispettivi paesi d’origine, ma controllano una enorme fetta dell’economia sommersa e degli affari illeciti di gran parte delle nazioni dell’Asia. La Yakuza si compone di circa duemila clan denominati bōryokudan (gruppo violento), fra cui il più importante e numeroso è lo Yamaguchi-gumi che conta più di 25.000 affiliati degli oltre 80.000 aderenti complessivi98. Tali clan sono storicamente connotati in modo ultra-nazionalistico e gerarchico con una forte enfasi sulla disciplina e l’onore dei suoi componenti

«the fictive kinship solidarity model actually comprises two subtypes: the oyabun-kobun (father and son) pattern, and the sworn siblings (brotherhood or sorority) model. The Yamaguchi Gumi adhers to the oyabun- kobun organising principle, which institutes its leaders as the godfather and adoptive uncles of ordinary members»99

tuttavia, a seguito della conclusione della guerra fredda la Yakuza si è vista costretta ad estendere il suo bacino di reclutamento anche ad altri stati asiatici, fra cui la Corea, in risposta alla dura campagna di repressione portata avanti dal governo di Tokyo. Le principali attività criminali di

97 J. McFarlane, Transnational Crime and Asia-Pacific Security in Sheldon W. Simon, The Many Faces of Asian Security,

Lanham: National Bureau of Asian Research, 2001, pag. 200.

98˂http://www.theguardian.com/world/2014/apr/02/japanese-mobsters-launch-website-yakuza e

http://rt.com/news/japan-yakuza-launch-website-953/˃.

99 M. Lau-Fong, The Triads and the Underworld: Solidarity and Change in Chinese Triads: Perspectives on Histories,

Identities, and Spheres of Impact, Singapore History Museum, 2002, pag. 36. Per un approfondimento sul tema confronta P.B.E. Hill, The Japanese Mafia: Yakuza, Law, and the State, OUP Oxford, 2006 e S. Fuller, Evolution and Adaptation of the Yakuza in Twentieth Century Japan: A Thesis in History, State University College, Buffalo, 2010.

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questo sindacato spaziano dal traffico di droga e armi ai racket della prostituzione e del gioco d’azzardo fino al riciclaggio di ingenti somme di denaro e capitali; inoltre, gran parte degli investimenti e delle operazioni illecite di tali gruppi si ramificano fino a raggiungere il Sud-est asiatico, la Russia e, in minima parte, persino gli Stati Uniti.

Analogo discorso si estende alla società triade di origine sinica che racchiude svariati gruppi in competizione fra loro per la leadership del cartello, fra cui i Sun Yee On ad Hong Kong, gli United Bamboo Gang a Taiwan e i Wo On Lok di Macao. Nonostante l’enorme mole di profitti derivanti dai tanti settori dell’economia sommersa in cui tale società è inserita, la presenza della Sanhehui in Cina rimane, ancora adesso, abbastanza limitata grazie essenzialmente alla sistematica opera di repressione delle istituzioni e dei simboli pre-rivoluzione culturale disposta da Mao Zedong a dagli alti quadri dirigenti del partito comunista cinese fra gli anni ’50, ’60 e primi ’70 del XX secolo100;

soltanto con il ritorno di Hong Kong e Macao alla RPC le triadi hanno avuto l’occasione di beneficiare dello sviluppo economico cinese e di reindirizzare capitali verso il proprio paese d’origine. In modo non difforme da quanto avvenuto per la Yakuza e altre organizzazioni criminali, l’intera struttura interna delle triadi è andata mutando negli ultimi vent’anni: alle lunghe cerimonie d’iniziazione che duravano quasi tre giorni e prevedevano prove quali bere il sangue dei propri confratelli da una coppa e decapitare volatili o altri animali, si sono sostituite semplici forme verbali con cui nominare i futuri adepti

«as the semplified initiation ceremony [is] widely practised, anyone who wishes to join a triad society can do so without undue difficulty. In addition, traditionally only triad officials had the right to recruit followers. Nowadays, this rule is not respected and any triad member can recruit additional members, as a result, triad membership is difficult to control and it is easy for non-triad subjects to claim to be triad members»101.

Anche la rete di relazioni che unisce la maggioranza dei gruppi appartenenti al cartello è diventata più fluida e ha perso, ammesso che sia mai realmente esistita (confronta nota n° 100), l’effettiva guida di un potere centrale

«Chinese Triads, are organized along the lines of a fictive brotherhood based on ritualised bonds of siblingship. The genesis of the brotherhood is derived from common geographical origins (birthplace or village), similar cultural background, and shared dialect, as well as ethnicity (racial minority). It is a tribal or subcultural network»102.

A dispetto della modernizzazione e della semplificazione burocratica di tale società segreta ancora oggi è presente e ben chiara (ai componenti) una rigida catena di comando che richiama

100 Per un’interessante esposizione sulla storia e sulla fenomenologia della società triade confronta B.J. Ter Haar,

Ritual and Mythology of the Chinese Triads: Creating an Identity, Koninklijke Brill, Leida, 1998.

101 C.Y. Kong, The Triads as Business, Routledge, Londra, 2000, pag. 35 in Carolin Liss, Oceans of Crime, Maritime Piracy

and Transnational Security in Southeast Asia and Bangladesh, Institute of Southeast Asian Studies, Singapore, 2011, pag. 179.

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un’altrettanto precisa divisione del lavoro: le triadi reclutano i propri seguaci fra i giovani malviventi di strada e li convincono o obbligano a prestare giuramento di fedeltà al gruppo che lega indissolubilmente l’individuo alla loggia d’appartenenza; gli iniziati, vera manovalanza impiegata attivamente nelle operazioni criminose, sono autorizzati ad agire solo ed esclusivamente su istruzione dei capisezione anziani che, a loro volta, non possono designare autonomamente i bersagli da colpire o gli affari da porre in essere ma danno esecuzione e sono responsabili degli ordini ricevuti da altri ufficiali di più alto grado all’interno di un meccanismo piramidale in cui il vertice è costituito dal o dai capi loggia, che, rappresentando la parte più informata, colta e ricca della triade, non sono mai direttamente coinvolti nelle azioni. Interessante è la ricostruzione

tratteggiata nel

volume di Bolton e Hutton del codice di condotta della loggia, che riporto di seguito:

Codice di condotta della Tiandihui (Sanhehui), in Kingsley Bolton, Christopher Hutton, Triad societies: Western Accounts of the History, Sociology and Linguistics of Chinese Secret Societies… cit, pagg. 121-122

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Da quanto descritto dai due autori103, si evince il carattere familistico e autoreferenziale della triade

in cui gerarchia, buona condotta dei membri e rispetto per i propri congiunti sono gli elementi predominanti. Le triadi annoverano fra le loro fila circa 170.000 aderenti sparsi per il mondo, inseriti in un ampio spettro di attività illecite fra cui il traffico di eroina negli Stati Uniti, Europa e Australia e la vendita di armi, la tratta di esseri umani (bambini in special modo) e la gestione della prostituzione nel Sud-est asiatico e Russia. Quantunque sia ragionevole pensare che esista una certa forma di coordinazione e controllo verticale interni alla Sanhehui, Bertil Lintner, giornalista, scrittore e studioso di strategia criminale, pone l’accento proprio sulla mancanza o quantomeno minima influenza di un potere centrale sostenendo che

«it would be incorrect to describe the Triads as Crime International Inc, indeed, even if triads of the same name exist in different places, this does not necessarily mean that they are part of a worlwide network»104.

Nello specifico del Sud-est asiatico, molti sono i gruppi criminali invischiati nei settori della prostituzione, del gioco d’azzardo e nel commercio illegale di beni e esseri umani verso l’Europa, gli Stati Uniti e l’Australia; anche il mercato della droga rappresenta una fetta importante dell’economia sommersa di tali organizzazioni e si svolge quasi interamente all’interno di quel cosiddetto triangolo d’oro ubicato fra il Myanmar, la Thailandia e la parte più a occidente del Laos. In Birmania, fino ai primi anni novanta sede del famigerato Khun Sa, leader del movimento separatista armato della regione di Shan e signore della droga

«a new generation of better connected and more influential drug traders has now emerged along the Chinese border in Myanmar. These new traders are also involved in the export of timber and gems, especially jade, to China, and smuggling of Chinese illegal immigrants. Additionally, criminal and minority groups in Myanmar exchange weapons for drugs with Thai organized criminal groups, with the weapons trafficking through Thailand increasing dramatically in the 1990s»105.

In Thailandia, fiorente è il commercio illegale del petrolio che proviene in parte dagli attacchi alle grandi navi VLCC in parte dalla complicità dei trasportatori che condividono con i sindacati criminali una parte dei proventi della vendita; i cosiddetti jao phor, i signori locali del mercato nero, intessono una rete di relazioni con politici, ufficiali di polizia e membri dell’esercito regolare tale da garantire loro una sorta di impunità per le attività illecite poste in essere (in cambio di una quota dei profitti). I gruppi attivi in Malesia si inseriscono principalmente nei settori della produzione e

103 K. Bolton, C. Hutton, Triad societies: Western Accounts of the History, Sociology and Linguistics of Chinese Secret

Societies, Routledge, Londra, 2000, Pp. 121-122. N.B. Per ragioni di spazio sul foglio elettronico, ho dovuto riportare questa fonte, relativa al codice di condotta, una pagina oltre rispetto al documento.

104 B. Lintner, Chinese Organised Crime, «Global Crime» (Routledge), Vol. 6 n° 1, febbraio 2004, pagg. 84-96, in part.

pag. 90.

105 C. Liss, Oceans of Crime, Maritime Piracy and Transnational Security in Southeast Asia and Bangladesh, Institute of

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vendita di prodotti contraffatti come DVD, capi d’abbigliamento con marchio registrato e perfino medicinali di utilizzo comune; fiorente è anche il commercio di specie protette dalla Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione (CITES) fra cui l’orango del Borneo (Pongo Pygmaeus), la volpe volante malese (Pteropus Vampyrus) e il ben noto varano (Varanus). In Indonesia, a seguito della caduta del regime di Soeharto, la criminalità organizzata è andata accostandosi e fondersi con gruppi fondamentalisti islamici (presenti ad esempio nel nord di Sumatra) e cellule terroristiche variamente legate ad Al-Qāʿida: i preman, termine generico che designa tutti i malviventi di una certa cosca, sono ad oggi attivi nel racket dell’estorsione e nel traffico di armi e di esseri umani da vendere come schiavi o (se convertiti all’Islam) come combattenti e mano d’opera per il terrorismo internazionale. A completare il panorama delle organizzazioni criminali operanti nel Sud-est asiatico si aggiungono alcuni gruppi con una forte connotazione etnico - culturale di origine cinese quali i Chiu Chow in Birmania e Thailandia, i Wan kee in Malesia e la Società della tigre e il dragone a Singapore

«in summary, organized crime syndicates are at present operating from and in countries around the world, including Asian nations. While many criminal operations are conducted on land, some illegal activities such as smuggling, also, either in part, or entirely, take place at sea. An example of such activities are shipjackings conducted by organized pirate gangs»106.

Il crimine organizzato è coinvolto negli attacchi pirata a navi cargo, petroliere e natanti che trasportano beni e materie prime. Come evidenziato nell’esempio all’inizio del paragrafo, le navi catturate vengono spogliate del loro carico, ritinteggiate, registrate sotto un altro nome e l’equipaggio buttato a mare o preso in ostaggio in cambio di un riscatto. La natura stessa di azioni lunghe e complicate di questo tipo necessità di un alto grado di pianificazione in termini di costi e benefici e di risorse economiche per assicurare un buon grado di efficienza di tutti quegli strumenti (armi, imbarcazioni, dispositivi di comunicazione) idonei al buon esito della missione; per tali ragioni, risulta chiaro che condurre un assalto in mare così organizzato richieda un alto livello di

intelligence che solo società segrete e sindacati criminali riescono garantire. Paradigmatico è il caso

della MT Selayang una grande nave cargo abbordata e catturata mentre trasportava circa 3.500 tonnellate di gasolio seguendo la rotta Port Dickson (Malesia) – Labuan (Borneo)107.

106 Ivi, pag. 182.

107Confronta Reme Ahmad, Two ships seized in Indonesian waters Hijackings underscore the problem of piracy as

maritime experts gathered in KL warn that coast guards are no match for well-equipped pirates, The Straits Times Interactive, 27 giugno 2001.

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«The attacks underlined the grim message brought by maritime experts meeting here. They said cash-rich pirates and international syndicates are making it increasingly difficult for the authorities to fight the scourge»108.

Essendo a conoscenza del fatto che la rotta da percorrere fosse a rischio pirateria, i quattordici membri dell’equipaggio erano stati allertati su quali misure di sicurezza adottare per tutta la durata della navigazione: le porte delle cabine dovevano sempre essere chiuse dall’interno, la luce di poppa tenuta sempre accesa insieme ad una serie di “punti luce” attivati a intervalli regolari, il personale di bordo aveva altresì il compito di pattugliare periodicamente il ponte principale e un sistema di radar monitorava le immediate vicinanze della nave. Nonostante tali accorgimenti preventivi, alle prime ore dell’alba del 20 giugno del 2001 un nutrito gruppo di diciannove pirati riusciva a salire sulla Selayang e a prendere possesso del ponte di dritta dopo aver messo fuori gioco il marinaio di vedetta

«the pirates approached him from behind, held a knife against his back, and tied up his hands. He was then escorted to the wheelhouse where the assailants overpowered the greaser and the second officer who was on duty on the bridge»109.

In pochi minuti l’intera ciurma era stata fatta prigioniera e rinchiusa in due cabine separate con mani e piedi legati: nel corso della successiva settimana l’equipaggio catturato era tenuto sotto stretta sorveglianza e i suoi componenti, a turno, obbligati a cucinare per gli assalitori e costretti ad assistere i pirati nelle manovre di pilotaggio del natante.

«[…] crew members were forced to show the attackers how to transfer fuel oil from double bottom storage tanks to settling and service tanks, how to reset the alarm… how to change the steering to manual mode. […] the crew were asked to demonstrate how to put the engine on dead slow ahead and how to operate oil pumps»110

il 26 di giugno, durante il sesto giorno di navigazione, la nave veniva fermata in un punto imprecisato degli stretti111 in modo tale da cambiarne i connotati: nome (da Selayang a San Ho), porto di immatricolazione (da Port Dickson a Kelung città portuale di Taiwan) e colorazione. Nel frattempo, l’IMB di concerto con le autorità portuali di Singapore, Malesia e Indonesia già dal 21 giugno avevano notato il silenzio radio della nave e tracciato la rotta grazie allo Shiploc, un meccanismo di GPS in grado di fornire informazioni su rotta, posizione e velocità di un’imbarcazione, “real time, full global coverage iridium satellite airtime for transmission of ship

108 Ivi.

109 C. Liss, Oceans of Crime, Maritime Piracy and Transnational Security in Southeast Asia and Bangladesh, op. cit. pag.

183.

110 Ivi, pag. 184.

111 Dalle testimonianze del personale di bordo non è stato possibile risalire all’esatta posizione della nave in quanto,

per tutta la durata del percorso, i finestrini delle cabine in cui i marinai si trovavano prigionieri erano stati oscurati e, nei pochi momenti in cui venivano portati sul ponte a prendere aria, avevano gli occhi bendati.

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position, speed and heading”112; il 27 dello stesso mese la marina indonesiana, grazie alle

informazioni raccolte, riusciva ad arrestare il gruppo di malviventi nei pressi di Samarinda, città sulla costa est del Borneo.

Dagli interrogatori emerse che i diciannove pirati erano stati assoldati da un armatore cinese di nome Ching il 18 giugno nell’isola di Batam e che ad ognuno dei componenti fosse stato promesso un compenso di mille dollari per condurre la Selayang dalle isole Karimun fino al Mar cinese meridionale. Dei diciannove individui, tuttavia, dieci non erano a conoscenza delle intenzioni del signor Ching mentre gli altri nove (che avevano abbandonato la nave all’altezza dello stretto di Durian) con tutta probabilità erano uomini di fiducia di quest’ultimo e, grazie al telefono satellitare di cui disponevano, avevano ricevuto istruzioni di darsi alla fuga. I pirati rimasti a bordo, sempre secondo il racconto dei dieci imputati in sede di inchiesta, avevano tentato più volte di mettersi in contatto con l’armatore cinese senza però ottenere risposta alcuna; senza ricevere nuove istruzioni circa la destinazione del natante decisero di fare rotta verso Balikpapan passando per lo stretto di