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origine antropica, in gran parte dovute all’uso di combustibili fossili

L’importante documento, il primo in questa ampiezza presentato in sede istituzionale, indica una serie di azioni da intraprendere per perseguire un modello energetico sostenibile:

• ridurre la povertà promuovendo l’accesso alla moderna energia nelle aree rurali e

periurbane;

• migliorare la salute e ridurre l’impatto ambientale prodotto dai combustibili usati nei

tradizionali apparecchi da cucina:

• sviluppare in tutti i settori l’efficienza nella produzione e nell’uso dell’energia con le

tecnologie e le pratiche già note e l’etichettatura energetica;

• aumentare progressivamente il contributo delle energie rinnovabili in tutti i paesi. In

particolare assicurare servizi di energia rinnovabile nelle scuole, nei centri di cura e nei

laboratori;

• usare le energie rinnovabili per consentire l’accesso all’acqua potabile;

• incrementare l’impiego di tecnologie avanzate per i combustibili fossili, in particolare

per il carbone nei paesi che ne fanno uso;

• ridurre l’inquinamento da emissioni in atmosfera, adottare nuove tecnologie nei

trasporti, in particolare nei grandi aggregati urbani.

La Conferenza di Rio è dunque il punto di partenza del negoziato internazionale multilaterale per i cambiamenti climatici, con una modalità di allargamento internazionale delle politiche ambientali già sperimentata con protocolli e intese denominati Mea (Multilateral Environmental Agreements), il più rilevante dei quali all’epoca era il protocollo di Montreal per la difesa della fascia dell’ozono.

La convenzione quadro sui cambiamenti climatici è stata firmata da 153 paesi (178 erano i paesi presenti a Rio de Janeiro) ed è entrata in vigore nel 1994. La Convenzione si è dotata di un proprio organo tecnico (Subsidiary Body for Scientific and Technological Advice, Sbsta) ma molti altri contributi tecnici le giungono da un gruppo indipendente di scienziati (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPPC) che pubblica periodicamente un rapporto di valutazione sullo stato del clima. La terza edizione di questo rapporto (il Tar) è ormai riconosciuta come il punto di riferimento scientifico per l’intera questione dei cambiamenti climatici.

Ogni anno la Convenzione si riunisce nella Cop, la conferenza delle Parti, che è la sede negoziale permanente della convenzione. Nella terza sessione (Cop3) è stato sottoscritto il Protocollo di Kyoto, attualmente lo strumento principale per raggiungere gli obiettivi della Convenzione, che, adottato nel dicembre 1997, è entrato formalmente in vigore il 16 febbraio 2005 a seguito della ratifica della Russia. L’obiettivo di base della Convenzione è “pervenire alla stabilizzazione della concentrazione in atmosfera dei gas ad effetto serra a un livello tale da prevenire pericolose interferenze con il sistema climatico. Questo livello dovrebbe essere raggiunto in un arco di tempo tale da permettere agli ecosistemi di adattarsi naturalmente al cambiamento climatico, per assicurare che non sia minacciata la produzione di cibo e per consentire che lo sviluppo economico proceda in modo sostenibile”. (UN FCC, 1992).

La Convenzione fa riferimento a due trai i più importanti principi di Rio: il principio della responsabilità comune ma differenziata (principio 7) – per il quale i paesi hanno comuni ma differenziate responsabilità a seconda delle condizioni di sviluppo, delle capacità di perturbare il clima e di intervento – e il principio di precauzione (principio 15) – ovvero, quando sono presenti rischi di un danno serio e irreversibile, l’incertezza delle conoscenze scientifiche non può essere usata come ragione per posticipare gli interventi. Questi principi, messi in discussione dalla delegazione statunitense, sono stati riaffermati al Summit Onu di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile.

La Convenzione ha stabilito che, in aggiunta ai fattori naturali di diversa origine che hanno determinato nel corso della storia gli attuali equilibri, il fattore di pressione determinante per i cambiamenti climatici è l’emissione antropogenica dei gas che hanno un potere schermante sulla radiazione terrestre (i gas serra) e che quindi per stabilizzare il clima è comunque necessario un accordo internazionale per il controllo delle emissioni.

Il primo accordo sottoscritto a Kyoto nel 1997 impegna il gruppo di paesi indicati nell’Annex I (i paesi industrializzati, i paesi dell’est europeo e la Russia), ma non i grandi paesi come Cina e India, a ridurre entro

32  il periodo 2008-20012 le loro emissioni di gas serra (anidride carbonica, metano, protossido d’azoto e tre gas cloro fluorurati) del 5,2% rispetto ai livelli del 1990. Lo stesso documento registra gli importi delle riduzioni concordati dai paesi sottoscrittori. Per entrare in vigore il protocollo di Kyoto doveva essere ratificato da almeno 55 paesi, che comprendessero un certo numero di paesi dell’Annex I che nel 1990 hanno emesso almeno il 55% della equivalente totale (in effetti, queste condizioni si sono poi verificate, con l’adesione della Russia, e quindi è entrato in vigore il Protocollo.

Il dibattito internazionale, tanto negli ambienti scientifici quanto in quelli diplomatici, riconosce con poche incertezze la gravità del problema del cambiamento climatico. A parere di molti il cambiamento è ormai in atto ed è provata l’interferenza delle attività umane con il clima. Si riducono sempre di più i margini di dubbio sulle cause che producono questo fenomeno. In termini sistemici il cambiamento climatico è annoverato tra i processi non lineari e irreversibili, ciò significa che potrebbe divergere e mutare fino a un punto di non ritorno rispetto all’attuale equilibrio delle condizioni climatiche terrestri. L’allontanamento dagli attuali equilibri può essere portatore di inattese transizioni verso regimi climatici non solo diversi, ma caratterizzati da variabilità crescente e quindi da una aumentata frequenza di fenomeni estremi. In questi anni si sono verificati importanti fenomeni compatibili con questo tipo nuovo di instabilità.

Il terzo rapporto dell’IPPC (Climate Change 2001) riporta che dall’era preindustriale il clima ha subito cambiamenti e che alcuni di questi cambiamenti possono essere attribuiti all’attività umana. In particolare:

• “il sistema climatico della terra presenta cambiamenti dimostrabili, sia su scala globale

che regionale, a partire dall’era preindustriale e alcuni di questi cambiamenti sono

attribuibili alle attività umane”;

• “le attività umane hanno aumentato dall’era preindustriale le concentrazioni di gas serra

in atmosfera”;

• ”gli anni 90 sono stati i più caldi e l’anno 1998 il più caldo dal 1860 ad oggi”;

• “ci sono nuove e più forti prove che il riscaldamento osservato negli ultimi 50 anni è

attribuibile alle attività umane”.

Esiste una correlazione ben visibile tra i valori dell’aumento di temperatura superficiale della terra osservati e quelli calcolati da un grano numero di diversi modelli matematici che valutano gli effetti combinati dalle cause naturali e dalle cause dovute all’attività umana. Gli scenari delle emissioni di gas serra per i prossimi 25, 50 e 100 anni analizzati dall’IPPC elaborano l’aumento delle concentrazioni di gas serra, dalla temperatura superficiale della terra e del livello del mare. In particolare:

• “tutti gli scenari indicano durante il 21° secolo un aumento della concentrazione di

in atmosfera, della temperatura superficiale della terra e del livello del mare”,

• “l’aumento della temperatura varia da 1,4°C a 5,8°C, con una velocità di riscaldamento

che è senza precedenti negli ultimi 10.000 anni”. Nessun modello include più lo zero,

cioè la stabilità termica del pianeta, all’interno dei limiti di variabilità della previsione.

• “gli scenari indicano un aumento della temperatura tra il 1990 e il 2025 valutato tra

0,4°C e 1,1°C”,

• “considerando tutti gli scenari per il periodo 1990 – 2100 si prevede un aumento del

livello del mare tra 0.09 e 0.88 m. per il periodo 10990 – 2015 l’aumento previsto è

compreso tra 0,03 m e 0,14 m”.

L’esame dei dati evidenzia una connessione complessa tra emissioni i concentrazioni atmosferiche dei gas serra. La catena emissioni → concentrazioni → clima evidenzia un’inerzia tale che gli effetti sull’aumento della temperatura e del livello del mare si possono prolungare per molto tempo. In particolare è accertato che:

• “la stabilizzazione delle emissioni di CO

2

ai livelli attuali è insufficiente a stabilizzare le

concentrazioni di CO

2

in atmosfera”

• “anche nel caso di una riduzione delle emissioni sufficiente a stabilizzare la concentrazione

di CO

2

, la temperatura superficiale della terra e il livello del mare continueranno ad