La libera res publica romana fa proprio il principio della sovranità popolare, già adombrato all’interno dell’ultima delle XII Tavole che abbiamo appena esaminato .58
Detto principio riconosceva esclusivamente al populus Romanus la summa
potestas, che si risolveva nel potere legislativo e nell’elettorato attivo:
diretto, come nel caso dei consoli, o indiretto, nell’elezione dei membri del senato tratti dal novero degli ex magistrati .
Tale potere era esercitato dai cives nell’ambito delle assemblee popolari istituzionali, vale a dire i comitia ed il concilium, equiparato ai primi in virtù della lex Hortensia del 286 a.C.
Che si trattasse di una consapevolezza piena emerge dall’orazione “De lege
agraria secunda” di Cicerone, dove egli contestò il disegno di legge agraria
del tribuno della plebe Servilio Rullo sulla base del fatto che restringeva l’elezione del collegio decemvirale che avrebbe dovuto applicare la legge
58 Cfr Tavola XII.5 nel paragrafo precedente.
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alla maggioranza calcolata solo su 17 delle 35 tribù, sminuendo la sovranità popolare attraverso una limitazione dell’elettorato attivo.
Dal testo ciceroniano si evince come59 tutte le forme di potere politico- amministrativo derivassero in ultima analisi dal popolo,che semplicemente delegava propri poteri-funzioni.
In relazione alle cariche magistratuali si usava, infatti, l’espressione mandare
magistratum per indicare nel popolo la base legittimante dell’esercizio del
potere; inoltre la partecipazione popolare alla scelta dei governanti coinvolgeva universus populus, purchè si fosse cittadini liberi, anche se, ad esempio, nei comizi centuriati, l’appartenenza ad una classe censitaria piuttosto che ad un’altra incideva sull’elezione, connotando i diversi voti di differenti pesi specifici. Questa legittimazione pro-tempore era atta a indurre i governanti a fare l’interesse del popolo, se avevano desiderio di mantenere la carica o di ricoprirne altre in futuro.
Se si pone mente al fatto che Cicerone pronuncia quest’orazione nel 63 a.C., quando ormai il regime repubblicano aveva quasi completato la sua parabola si comprende come il principio della sovranità popolare abbia permeato di sè l’intera vita della res publica romana, costituendone quasi un tratto genetico.
Sulla pregnanza dell’idea di ”popolo legislatore” insiste anche un giurista di epoca posteriore, Salvio Giuliano, un frammento del cui libro 84 Digestorum, è inserito nei Digesta giustinianei. (D 1,3,32,1).
“Inveterata consuetudo pro lege non immerito custoditur et hoc est ius quod dicitur moribus constitutum. Nam cum ipsae leges nulla alia ex causa nos teneant, quam quod iudicio populi receptae sunt, merito et ea, quae sine ullo scripto populus probavit, tenebunt omnes: nam quid interest suffragio populum voluntatem suam declaret an rebus ipsis et factis? Quare rectissime etiam illud receptum est, ut leges non solum suffragio legis latoris, sed etiam tacito consensu omnium per desuetudinem abrogentur ”
”La inveterata consuetudine è osservata, non senza ragione, come legge; e
questo è il diritto che si dice costituito dal costume. Infatti, dato che le leggi non obbligano per nessun’ altra ragione che per il fatto che sono state recepite per deliberazione popolare, a buon diritto tutto ciò che il popolo ha approvato senza delibrazione espressa obbligherà tutti: che cosa importa infatti se il popolo manifesta la sua volontà con il voto ovvero con il comportamento? Pertanto è stato fondatamente recepito il principio che le
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leggi possono essere abrogate non solo dalla volontà del legislatore, ma anche dal tacito consenso di tutti per desuetudine .”
Nel brano si stabilisce innanzitutto un’equiparazione gerarchica tra legge e consuetudine (Con buona pace della teoria costituzionale forte)60. Si tratta semplicemente di due diversi canali attraverso cui il popolo manifesta la propria sovranità, normativo il primo e fattuale il secondo, ma la provenienza della legittimazione è pur sempre unica.
Dal momento che il populus è matrice di entrambe queste fonti, allo stesso modo sarà anche dominus della loro abrogazione, quando la regola non sia più speculare rispetto alla volontà.
Questa apologia dell’origine dei poteri dal basso non ci deve peraltro far sopravvalutare il principio della sovranità popolare in epoca romana. Tra gli antichi anzi Polibio, come Cicerone61, esaltarono nella costituzione repubblicana una sintesi felice di tre principi, il monarchico nel potere dei magistrati, l’aristocratico in quello del senato, il democratico nei comizi e nelle assemblee popolari .62
In effetti la costituzione romana non era democratica nel senso moderno del termine. E’ vero che, in seguito alle leggi Licinie ed al successivo ingresso dei plebei nelle altre magistrature, non vi furono ostacoli di ordine giuridico alla partecipazione al governo di qualsiasi cittadino. In tal senso il governo cessò di essere” di casta” e divenne un governo aperto, cioè giuridicamente accessibile a tutti63. Ma, se questo era vero in teoria, non necessariamente lo era anche nella pratica.
Innanzitutto, se non esistevano privilegi di casta, esistevano privilegi economici giuridicamente rilevanti. Nei comizi centuriati, che eleggevano i maggiori magistrati, prevalevano i più abbienti, i quali disponevano delle 18 centurie di equites e delle 80 centurie della prima classe; in secondo luogo, il potere dei comizzi, tecnicamente indefinito, era in realtà molto ristretto. Nemmeno i comizi centuriati avevano potere di iniziativa; essi dipendevano sempre dalla proposta del magistrato e, d’altra parte, tutto un pesante apparato era pronto ad invalidare una decisione contraria all’interesse della classe dominante. Infine, se il Senato veniva composto dagli ex magistrati e
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Sull’alternativa tra costitituzionalismo forte o debole cfr. infra, cap III.
61 Pol. Historiae, VI, 5 e ss; Cic., de rep. I,29,45.
62 Questa tesi è ripresa anche da alcuni moderni come De Martino, Storia della
costituzione romana cit., vol 1, pag. 492 e Arangio Ruiz, Storia del diritto romano,
Napoli, 1957, pag. 83.
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quindi in un certo senso da coloro, cui era andato il favore popolare, esso era vitalizio ed interamente libero dal controllo popolare Così la direzione politica dello Stato ed il potere esecutivo spettava ad un gruppo ristretto, che non dipendeva dalla volontà popolare, se non in misura del tutto indiretta ed in ogni caso rispecchiando gli interessi dei maggiori proprietari.64