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Origini della mitilicoltura in Veneto

L’evoluzione degli impianti fissi in Italia, si perde tra storia e leggenda.

I primi reperti paleontologici sono stati rinvenuti nelle cavità naturali del Carso Triestino e consentono di ipotizzare una cultura primitiva di allevamenti con pali fissi (attrezzi per usi diversi e raschiatoi, fatti con mitili raccolti nella Baia di Muggia nei pressi di Trieste). Altri reperti osservati nella piana di Zaule confermano tale ipotesi. Sulle foci dei torrenti e fiumi delle zone dell’Alto Adriatico arenavano rami e tronchi secchi trasportati dai corsi d’acqua verso il mare; su questi banchi venivano a formarsi grappoli di mitili che venivano raccolti in tutte le stagioni per essere consumati come alimento ma anche commercializzato. Nella storia sulla pesca e la maricoltura delle zone dell’Alto Adriatico troviamo infatti insediamenti di ostriche nelle Lagune di Grado e Marano, e quelli di mitili nella Valle di Zaule e nella Baia di Muggia.

Alla fine del 1800 un autore scrive quanto segue a descrizione dell’attività di mitilicoltura vicino a Trieste: “In Val di Muggia si piantano dei pali a qualche metro d’acqua di profondità, pali che vengono ritirati dopo tre anni”, poi ancora “attualmente a Zaule vi saranno circa 60 mila pali di rovere. Tre o quattrocento vengono cambiati ogni anno. Una trentina di famiglie di pescatori vivono di questa industria preadamitica”. In seguito nel testo l’autore riporta: “benché scarsi i mitili si trovano naturalmente in diversi punti del litorale veneto e in maggiore abbondanza vicino Trieste. Qui se ne fanno una cultura primitiva, come quella delle ostriche, piantando dei pali intorno ai quali si fissano le larve dei mitili; dopo un paio d’anni si staccano quelli che sono cresciuti abbastanza per essere messi in vendita” (Carazzi, 1893).

In Europa l’allevamento di mitili è la prima forma di molluschicoltura organizzata di cui si ha conoscenza, si hanno infatti notizie di una coltura su pali fissi di legno in Francia nel 1235. Qui la storia racconta di un naufrago irlandese che arenato sulle coste della Francia dopo lunghi mesi di insediamento notò che sui pioli posti per trattenere le reti utilizzate per catturare gli uccelli si formavano i mitili ed erano molto nutrienti per l’alimentazione. Da quel momento

l’uomo iniziò a studiare le maree e l’ambiente costiero e pian piano arrivò a costruire, con pali di legno conficcati nel fondo sabbioso, quello che sarebbe diventato il tradizionale impianto di mitilicoltura francese a bouchot (Bussani, 1983).

In seguito la mitilicoltura si è diffusa pian piano lungo tutto il litorale europeo: inizialmente sulle zone atlantiche con il Mytilus Edulis, e successivamente lungo le coste della penisola iberica e nel Mediterraneo con il Mytilus Galloprovincialis, per arrivare fino al Mar Nero.

Le varie tecniche di allevamento si sono perfezionate alla fine del 1800, periodo in cui inizia a svilupparsi e a diffondesi la mitilicoltura perché il prodotto finale è molto nutriente dal punto di vista proteico ma a basso costo. I sistemi attuali si discostano molto poco da quelli del passato, perché i principi alla base che regolano la produzione rimangono i medesimi: il naturale insediamento dei mitili nell’ambiente, i fondali di profondità variabile tra i 3 e i 15 metri, le zone di produzione protette da avversità marine, forza lavoro disponibile nei vivai.

Nel Veneto il comparto della mitilicoltura ha un elevato valore storico e culturale, infatti la raccolta e le pratiche di allevamento dei mitili, detti “peoci” nel dialetto veneto, hanno origini molto antiche anche nelle Lagune Venete. Grazie a documenti conservati nell’Archivio di Stato di Venezia, abbiamo testimonianze giunte già nel 1500 (disposizioni legislative risalenti all’epoca della Repubblica Serenissima).

Anche alcuni autori hanno riportato informazioni relative all’utilizzo di tecniche “moderne” di allevamento dei mitili in Laguna di Venezia verso la metà del 1800 che riguardavano la semina nelle valli, la coltura su pali si legno e di altre varietà di mitili che crescevano negli ambienti lagunari (Nardo, 1864). Poi ancora si hanno tracce di tecniche, sperimentazioni e coltivazioni su zattere e parchi attrezzati in varie aree della Laguna (Molin, 1863, D’Erco, 1864).

Il vero e proprio sviluppo della mitilicoltura nelle lagune venete si ha agli inizi del 1900, è da questo momento infatti che la sua importanza è andata crescendo nel tempo grazie all’aumentare della redditività del settore rispetto alla pesca e al crescere della domanda del prodotto nel mercato.

Tra il 1960 e il 1970 le superfici lagunari destinate alla mitilicoltura raggiungevano i 50 ettari (60% nel bacino di Chioggia e il 40% in quello di Pellestrina-Alberoni) (Scalfati, 1970). Alla fine degli anni ’70 l’autorità competente in materia di concessioni aveva deciso di bloccare

l’espansione degli impianti e delle nuove istanze, a causa delle conseguenze paesaggistiche e i risvolti idraulici (Zerbinato et al., 1978).

In quegli anni infatti le concessioni erano più di 100, con un’occupazione di più di 300 addetti a tempo pieno e molti altri a tempo parziale o stagionale, ed una produzione intorno ai 35000 t di mitili per una valore pari a circa 6 miliardi di vecchie lire (circa 3 milioni di euro attuali).

Fino agli anni ’80 la mitilicoltura lagunare ha costituito il principale polo produttivo dell’intera produzione italiana di mitili, con quasi il 60% .

In seguito si è registrata una flessione della produzione, con un calo costante fino ai giorni nostri, con produzioni annue di 21.000 tonnellate negli anni 80’, 9.000 tonnellate negli anni 90’, 4.000 tonnellate nel 2000, fino a scendere alle 2.500-1.500 tonnellate tra il 2005 e il 2007 su una superficie complessiva che si aggirava tra gli 1,5 e i 3 ettari (Pellizzato et al., 2002, Silvestri et al., 2005).

Le cause di tale riduzione sono legate a diversi fattori che hanno favorito lo sviluppo di impianti “off-shore” lungo tutto il litorale veneto, con disponibilità di grandi spazi, produzioni con più rapido accrescimento e qualità superiore.

I principali fattori del declino della mitilicoltura in ambiente lagunare a favore degli impianti off-shore si possono riassumere nei seguenti (Pellizzato et al., 2002):

• Cambiamento nelle condizioni delle acque a livello di nutrimento per l’accrescimento delle specie presenti nell’ecosistema lagunare (conseguente aumento della durata del ciclo produttivo in laguna rispetto agli impianti in mare)

• Riduzione della qualità delle acque lagunari (aumento dei rischi igienico-sanitari)

• Difficoltà di sviluppo delle innovazioni tecnologiche che consentano di ridurre i costi di produzione in laguna

• Innalzamento progressivo dei fondali degli allevamenti a causa dei residui di scarto prodotti dagli animali allevati (conseguente riduzione progressiva della lunghezza delle reste e quindi diminuzione della produzione per unità di superficie).

Tali fattori sommati ad altri quali l’aumento dei costi di produzione e di gestione dell’impianto e le maggiori opportunità di guadagno offerte dall’allevamento di altre specie come ad esempio le vongole, hanno reso oggi marginale se non totalmente assente la produzione di mitili in alcune delle lagune venete.