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Ospite e ospitante

L’altra dimensione speculare dell’appartenenza ad un gruppo è quella del confronto con altri gruppi e l’importanza di questo confronto nella costruzione dell’identità. In tema di immigrazione si assiste ad un progressivo allontanamento dal gruppo originario (la terra di origine) e all’acquisizione progressiva di elementi ed aspetti caratteristici della comunità ospitante che vengono “incorporati” dall’immigrato sia attraverso il contatto diretto sia con la mediazione della comunità di riferimento. Si assiste quindi ad una progressiva destrutturazione ma anche ristrutturazione della propria identità e in questo processo di nuova costruzione è di vitale importanza il riconoscimento da parte dell’altro di questa nuova acquisizione. L’essere presente in un nuovo territorio obbliga al confronto e richiede una interazione con questa nuova realtà, necessita una nuova acquisizione che viene definita anche come processo di acculturazione, che può essere stressante e, secondo alcuni autori viene affrontato attraverso la messa in atto di strategie che sono state divise in quattro principali categorie. La prima strategia è quella dell’assimilazione con la quale l’individuo decide, più o meno consapevolmente e sotto la pressione della tensione determinata dal confronto, di non mantenere o consolidare la sua identità culturale di appartenenza e ricorre quindi alla ricerca di contatti continui e quotidiani con membri della cultura del paese ospite la quale ha una posizione dominante. Con questa modalità l’individuo si allontana da quelli che sono i valori e le regole della cultura originaria e adotta quelli della nuova realtà in cui si trova. In questo processo vi è quindi l’emergere di una sola delle appartenenze, quella del paese ospite e la sua realizzazione è condizionata dall’accoglienza che l’individuo riceve in questa sua nuova veste. La seconda strategia descritta è quella della separazione altrimenti detta di conservazione, per cui l’individuo all’inverso della

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modalità precedente mantiene solidi e continui contatti con la comunità di origine mentre non ricerca attivamente e deliberatamente contatti con la comunità ospitante. Si creano quindi con quest’ultima interazioni “opportunistiche” determinate cioè dalle necessità contingenti e si preservano quindi le distanze; si assiste di fatto ad una separazione dell’immigrato dalla nuova comunità ospitante che rafforza il senso di estraneità ma complica anche le possibilità di nuove acquisizioni. La terza strategia è quella della marginalizzazione che rappresenta l’esito della doppia non appartenenza per cui l’individuo perde i contatti e le relazioni con la comunità di origine ma nello stesso momento non ne acquisisce con quella ospitante per cui egli risulta estraneo ad entrambe le comunità con tutte le conseguenze in termini di salute globale. Sotto questa categoria possono essere raccolte quelle situazioni relative al fallimento del progetto migratorio in quanto l’assenza di una progettualità di appartenenza (indipendentemente dalla sua direzione) è alla base del blocco e della paralisi con l’impossibilità di avere una prospettiva di ritorno e senza la possibilità di rimanere. La quarta strategia, che può essere ritenuta la più adeguata, in termini di corrispondenza alla realtà vissuta, è quella dell’integrazione che può essere definita come l’opportunità dell’individuo di trattenere delle interazioni e dei legami sia con la comunità di origine sia con la comunità ospitante e quindi l’opportunità di mettere insieme le due appartenenze anche se ciò lo espone a quella “polifonia” prima citata che richiede uno sforzo continuo di calibrazione per non risultare essa stessa fonte di disagio in quanto mal-integrata e quindi disarmonica. Il concetto di stereofonia è la metafora forse più adatta per descrivere il concetto di integrazione in quanto nonostante la separazione dei suoni in base alla loro frequenza d’onda la musica udita dal recipiente (ma anche dall’emittente) è armoniosa e gradevole all’udito. Per cui si potrebbe affermare che il processo di integrazione è la possibilità di produrre un’immagine armoniosa senza escludere o emarginare nessuna delle parti che hanno contribuito alla costruzione del quadro.

Nell’analisi di questa proposizione si sottolinea il rischio insito nel modello delle diverse strategie che gli individui adottano e che è stato prima descritto, in quanto può indurre a considerare il processo di acculturazione come universale e cioè come una scelta dell’individuo sottopesando quelli che sono i fattori che possono condizionare in maniera significativa la scelta. Tra questi Bhatia elenca il ruolo dell’appartenenza etnica, il genere, il livello culturale e la posizione su una scala di potere in generale per cui diventa importante l’aspetto asimmetrico del confronto culturale nella regolazione della dinamica del processo di acculturazione. A questo proposito viene sottolineata l’importanza di considerare il processo di acculturazione nel suo complesso come un processo dinamico caratterizzato da una continua negoziazione tra due componenti principali e cioè tra l’origine e l’ospite al fine di giungere alla costruzione di quello che chiama un “sé della diaspora” intendendo con ciò lo sviluppo di un sé che è l’espressione delle molteplici appartenenze dell’individuo e il risultato dello sforzo che egli ha affrontato sia per conservare i legami con le origini sia per costruire legami, altrettanto significativi con la nuova appartenenza. A questo proposito il concetto di un “sé della diaspora”, dialogico e polifonico viene descritto da parte di Bhatia attraverso l’uso di alcuni esempi tratti dal testo di Edward Said (sempre nel posto sbagliato) nel quale l’autore descrive la fatica del continuo movimento del suo sé tra le sue diverse appartenenze o posizioni culturali. Con questa descrizione e con la proposizione del concetto di “Sé Diasporico” si intende quindi sottolineare l’importanza della possibilità di muoversi tra le diverse componenti identitarie, culturalmente determinate del sé. In questa direzione va anche la descrizione del tema dell’identità che ne fa Maalouf nel suo testo, il quale sottolinea l’impossibilità e nello stesso momento la necessità di contenere dentro di sé le diverse identificazioni e quindi diverse espressioni dell’“IO”.

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