• Non ci sono risultati.

Osservazioni conclusive

In questo quadro, c’è il rischio che nel definire il ruolo dell’interprete in ambito sociale e del mediatore non si tenga adeguatamente conto del fondamentale e imprescindibile lavoro di assistenza linguistica, e si dia per scontato che i servizi di mediazione per loro natura includano la consulenza esplicativa su aspetti culturali, le indicazioni operative sui comportamenti, la funzione di sostegno e solidarietà, il supporto finalizzato alla correzione delle asimmetrie di conoscenze e di potere: esattamente tutti quegli elementi che vengono deplorati e stigmatizzati nei codici deontologici delle diverse associazioni di categoria, anche quelle specifiche degli interpreti di comunità.

Certo, come fa notare Mack (2005: 11), molte disposizioni di quei codici sono oggi poco realistiche e non tengono conto dell’effettivo ruolo che l’interprete di comunità si trova necessariamente a dover svolgere. Ma d’altro canto non è pensabile che l’erogazione di servizi linguistici non debba situarsi entro precisi limiti professionali, garantendo la correttezza e l’efficacia della comunicazione a prescindere dai valori e dai coinvolgimenti soggettivi e senza alcuno sconfinamento in ambiti al di fuori della competenza e delle conoscenze specifiche dell’interprete.

Al di là di queste considerazioni relative alla sostanza dei contenuti dei codici deontologici, dalla discussione emerge in modo prepotente l’urgente necessità di fare chiarezza sui profili delle figure professionali in questo settore, un compito non facile in un quadro in cui esiste – come si è dimostrato – un equivoco terminologico di fondo. Soprattutto, è indispensabile che la figura del mediatore professionalizzato sia distinta più chiaramente da quella del mediatore laureato, e che gli obiettivi specifici del loro intervento vengano resi espliciti.

Per le figure che si occupano di mediazione vera e propria, per le quali si profila un impegno di assistenza culturale, sociale ed eventualmente anche psicologica e personale piuttosto che meramente

linguistica, sarebbe necessario prevedere l’offerta di un’adeguata formazione specifica, che promuova la consapevolezza della reale natura dei rapporti tra il mediatore ed il fruitore dei servizi e che incentivi lo sviluppo di conoscenze specifiche relativamente agli ambiti di esercizio della professione in modo che il mediatore sia in grado di offrire consulenza davvero qualificata. Secondo alcuni (cfr. per esempio Niska 2002: 143-144), nella formazione del mediatore culturale sarebbe utile anche l’addestramento alla gestione dello stress emotivo, come avviene nel caso degli assistenti sociali.

In quanto al mediatore laureato, che più probabilmente è destinato ad operare come interprete di comunità o, se si vuole, come mediatore linguistico vero e proprio piuttosto che come mediatore culturale, è fortemente auspicabile un’adeguata familiarità con i codici deontologici che regolano la sua attività, che lo portino a maturare una piena consapevolezza delle specificità e dei limiti della propria figura professionale. Importante potrebbe anche essere impostare percorsi volti a fornire specializzazioni per quei profili per i quali è previsto un impiego in un ambito specifico, in particolare nel campo giudiziale e in quello medico-sanitario.

Peraltro, un chiarimento della diversità e della specificità dei rispettivi ruoli dell’interprete in ambito sociale e del mediatore interculturale, dando risalto alle peculiarità dei rispettivi profili, potrebbe anche contribuire a promuovere lo statuto di ciascuna delle due professioni, costituendo un passo avanti verso un loro riconoscimento da troppo tempo auspicato e tutt’ora ben lontano dal realizzarsi.

D. R. Miller e A. Pano 148

Bibliografia

Amato, A., Mead, P. (2002) “Interpreting in the 21st Century: What Lies Ahead. Summary of the Closing Panel Discussion”, in Garzone, G., Viezzi, M., Interpreting in the 21st Century. Challenges and Opportunities, Amsterdam - Philadelphia: John Benjamins, 295-301.

Angelelli, C. (2004) Medical Interpreting and Cross Cultural Communication, Cambridge: Cambridge University Press.

Archer, C.M. (1986) “Culture bump and beyond”, in Merril Valdes, J. (ed.) Culture Bound. Bridging the Cultural Gap in Language Teaching, Cambridge: Cambridge University Press, 170-178.

Barsky, R. (1996) “The Interpreters Intercultural Agent in Convention Refugee Hearings”, The Translator 2 (1), 45-63.

Barsky, R. (1994) Constructing a Productive Other, Amsterdam - Philadelphia: John Benjamins.

Bolden, G.B. (2000) ‘Toward Understanding Practices of Medical Interpreting: Interpreters’ Involvement in History Taking’, Discourse Studies, 2 (4), 387-419.

Bot, H. (2005) Dialogue Interpreting in Mental Health, Amsterdam-New York: Rodopi.

Bot, H. (2003) “Quality as an Interactive Concept: Interpreting in Psychotherapy”, in Collados Aís, A., Fernández Sánchez, M.M., Gile, D. (eds), La evaluación de la calidad en interpretación: Investigación, Granada: Comares, 33-45.

Ceccatelli Gurrieri, G. (2003) Mediare culture. Nuove professioni tra comunciazioe e intervento, Roma: Carocci.

Colin, J., Morris, R. (1996) Interpreters and the Legal Process, Winchester: Waterside Press.

Drennan, G., Swartz, L. (1999) ‘A concept overburdened. Institutional roles for psychiatric interpreters in post-apartheid South Africa’, Interpreting 4 (2), 169-198.

Dressler, W.U. (1994) “The Text Pragmatics of Participant Roles in Oral Interpretation and Written Translation”, in Lorgnet, M.A. (a cura di) Atti della Fiera Internazionale della Traduzione II, Bologna: CLUEB, 97- 110.

Garzone, G. (2004) “Osservazioni sul concetto di mediazione linguistica nella prospettiva della formazione universitaria”, in Kroker, P., Osimo, B. (a cura di) Tradurre non è interpretare, Firenze: Alinea, 94- 100.

Garzone, G. (2002) “Conflict in Linguistically Asymmetric Business Negotiations: the Case of Interpreter-Mediated Encounters”, in Gotti, M., Heller, D., Dossena, M. (eds.) Conflict and Negotiation in Specialized Texts, Bern: Peter Lang, 249-271.

Garzone, G., Viezzi, M. (2002) “Introduction”, in Garzone, G., Viezzi, M. (eds.) Interpreting in the 21st Century: Challenges and Opportunities, Amsterdam- Philadelphia: John Benjamins, 1-11.

Garzone, G., Viezzi, M. (eds.) (2002) Interpreting in the 21st Century: Challenges and Opportunities, Amsterdam-Philadelphia: John Benjamins.

Gentile, A., Ozolins, U., Vasilakakos, M. (1996) Liaison Interpreting: A Handbook, Melbourne: Melbourne University Press.

Goffman, E. (1981) “The Lecture”, in Forms of talk, Philadelphia: University of Pennsylvania, 162-195.

Gumperz, J.J., Levinson, S.C. (eds.) (1996) Rethinking linguistic relativity, Cambridge: Cambridge University Press.

Hale, S.B. (2007) Community Interpreting, Basingstoke and New York: Palgrave Macmillan.

Kaufert, J.M., Koolage, W.W. (1984) ‘Role conflict among ‘culture Brokers’: the experience of native Canadian medical interpreters’, Social Science and Medicine 18 (3), 283-286.

Kaufert, J.M., Lavallee, M., Koolage, W.W., O’Neill, J. (1996) ‘Culture and informed consent: The role of aboriginal interpreters in patient advocacy in urban centres’, Issues in the North, 1, 89-93.

Kaufert, J.M., Putsch, R.W. (1997) ‘Communication through interpreters in health care: ethical dilemmas arising from differences in class, culture, language and power’, The Journal of Clinical Ethics 8 (1), 71-87. Kondo, M., Tebble, H., Alexieva, B., Dam, H., Katan, D., (1997)

“Intercultural Communication, Negotiation, and Interpreting”, in Gambier, Y., Gile, D., Taylor, C. (eds.) Interpreting: Current Trends in Research, Amsterdam: John Benjamins, 149-166.

D. R. Miller e A. Pano 150

Kurz, I., Bowen, M. (eds.) (1999) “Interpreting”. Special Issue: The History of Interpreting in the 20th Century, 4 (1).

Laster, K., Taylor, V. (1994) Interpreters and the Legal System, Sydney: The Federation Press.

Mack, G. (2005) “Interpretazione e mediazione: alcune osservazioni terminologiche”, in Russo, C., Mack, G. (a cura di) Interpretazione di trattativa. La mediazione linguistico-culturale nel contesto formativo e professionale, Milano: Hoepli, 3-17.

Mason, I. (1999) “Introduction”, The Translator. Special Issue: Dialogue Interpreting, ed. by I. Mason, 5 (2), 147-160.

Mason, I. (2000) Triadic Exchanges, Manchester: St. Jerome.

Merlini, R. (2007) “L’interpretazione in ambito medico. Specialità di lessico o di ruolo?” in Poli, D. (a cura di) Lessicologia e metalinguaggio, Roma: Il Calamo, 433-452.

Meyer, B., Apfelbaum, B., Pöchhacker, F., Bischoff, A. (2003) “Analysing Interpreted Doctor-Patient Communication from the Perspectives of Linguistics, Interpreting Studies and Health Sciences”, in Brunette, L. et al. (eds.) The Critical Link 3. Interpreters in the Community, Amsterdam-Philadelphia: John Benjamins, 67-79.

Mikkelson, H. (2000) Introduction to Court Interpreting, Manchester: St. Jerome.

Niska, H. (2002) “Community Interpreter Training: Past, Present, Future,” in Garzone, G., Viezzi, M. (eds.) Interpreting in the 21st Century: Challenges and Opportunities, Amsterdam Philadelphia: John Benjamins, 133-144.

Pöchhacker, F. (1994) “Simultaneous Interpretation: ‘Cultural Transfer’ or ‘voice-overtext’?” in Snell Hornby, M., Pöchhacker., F., Kaindl, K. (eds.) Translation Studies. An Interdiscipline, Amsterdam-Philadelphia: John Benjamins, 169-178.

Pöchhacker, F. (2002), “Researching Interpreting Quality: Models and Methods”, in Garzone, G., Viezzi, M. (eds.) Interpreting in the 21st Century: Challenges and Opportunities, Amsterdam-Philadelphia: John Benjamins, 95-106.

Pöchhacker, F. (2004) Introducing Interpreting Studies, London-New York: Routledge.

Reddy, M.J. (1979) “The Conduit Metaphor – A Case of Frame Conflict in Our Language about Language,” in Ortony, A. (ed.) Metaphor and Thought, London: Cambridge University Press, 284-324.

Roberts, R.P. (1995) “Community Interpreting Today and Tomorrow”, in Roberts, R.P., Carr, S.E., Dufour, A., Steyn, D. (eds.) The Critical Link. Interpreters in the Community, Amsterdam-Philadelphia: John Benjamins, 7-26.

Roy, C. (1990), “Interpreters, their Role and Metaphorical Language Use”, in Wilson, A.L. (ed.) Looking Ahead: Proceedings of the 31st Annual Conference of the American Translators Association, Medford, NJ: Learned Information, 77-86.

Roy, C. (2000) Interpreting as a Discourse Process, Oxford: Oxford University Press.

Rudvin, M. (2002) “How Neutral Is Neutral? Issues in Interaction and Participation in Community Interpreting”, in Garzone, G., Mead, P., Viezzi, M. (eds.) Perspectives on Interpreting, Bologna: CLUEB, 217-233. Wadensjö, C. (1998) Interpreting as Interaction, London & New York:

Fiorenza Maffei

Vice Questore aggiunto della Polizia di Stato, Bologna

Presentazione

La figura professionale del mediatore linguistico-culturale in ambito giudiziario, e più generalmente in relazione con il tema della sicurezza, presenta aspetti ancora molto discussi, legati, in primo luogo, alla sua definizione giuridica e, in secondo luogo, alla delimitazione delle sue funzioni nei contesti (attività di polizia, servizi di immigrazione, investigazione giudiziaria, ecc.) in cui oggi appare necessario ricorrere alla mediazione. Proprio per la complessità degli ambiti legati alla sicurezza in cui l’operato di tale figura risulta di primaria importanza, Fiorenza Maffei si concentra qui sull’attività di polizia giudiziaria nella fase delle indagini preliminari.

Come precisa l’autrice, in Italia la figura del mediatore culturale non è prevista istituzionalmente né all’interno degli Uffici investigativi né all’interno degli Uffici Immigrazione delle Questure, dove sono presenti invece gli interpreti, figura parallela a quella del mediatore e rispetto alla quale è difficile stabilire confini precisi. Come ricorda Maffei, l’operato dell’interprete-mediatore rimane ancora ristretto alla traduzione, anche se è attento al contesto culturale di riferimento, in questi casi, degli indagati. Ma, dalla descrizione dettagliata che ne fa Maffei, i compiti del mediatore in questo contesto vanno al di là del trasferimento linguistico poiché l’attività di mediazione richiede un’importante capacità comunicativa di costruzione di relazioni, che, sul piano della sicurezza, si traduce nel costruttivo rapporto di fiducia con le vittime del reato, con eventuali testimoni ed anche con lo stesso indagato. D’altro lato, appare fondamentale, secondo quanto illustra l’autrice, che il mediatore culturale possa fornire alle vittime il supporto più adeguato affinché le stesse prendano coscienza del proprio stato e comprendano che nessuna condizione personale, familiare, o culturale dell’indagato può giustificare il commettere reati ai loro danni. In questo senso, l’ausilio del mediatore

D. R. Miller e A. Pano 154

culturale può risultare determinante in diversi casi di reato, come lo sfruttamento lavorativo, la costrizione al matrimonio, la violazione degli obblighi scolastici, ecc.

L’importanza evidente e il ruolo fondamentale di questa figura in rapporto con la prevenzione e la repressione di reati contrasta con l’assenza di una formalizzazione normativa della figura a livello nazionale. Come sottolinea Maffei, e segnala anche Garzone nelle pagine precedenti, il mediatore culturale è una figura professionale ancora indefinita, e se la legge Turco-Napolitano (1998) affronta (in termini poco precisi) la mediazione nell’ambito dell’integrazione sociale delle minoranze, la legge Bossi-Fini (2008) che modifica l’anteriore, non ne fa riferimento.

È a livello regionale e locale invece che la mediazione culturale si è sviluppata e si possono trovare alcuni tentativi di regolamentazione. Qui appare fondamentale il lavoro in rete, ovvero la collaborazione tra le istituzioni locali e le associazioni ed altri enti locali, dove sono inseriti i mediatori che lavorano con la giustizia nella fase di protezione e di tutela dei diritti delle vittime.

Il mediatore è visto in questo contesto come elemento di “sostegno” per la vittima di reato o per la persona che rende informazioni, e come fattore di “maggiore serenità” per gli operatori di Polizia. Si tratta però di una figura, insiste l’autrice, che non deve sostituirsi all’interprete, ma che deve affiancarsi a questo.

Quando si parla di sicurezza, ci si può riferire a due situazioni diverse: prevenzione dei reati e repressione dei reati. Si tratta di due piani strettamente collegati: la prevenzione serve ad evitare la fase successiva, oppure ad evitare che in futuro il reato possa essere nuovamente commesso, mentre la repressione riguarda la lotta di contrasto al crimine e l’interruzione del reato.

Nella tematica che tratteremo, è bene tenere presente questa premessa, che si riallaccia al duplice ruolo che il mediatore culturale può rivestire nell’ambito della sicurezza, soprattutto all’interno degli uffici di Polizia, sia di stampo amministrativo quali gli Uffici Immigrazione sia di stampo investigativo, quali le Squadre Mobili, ma anche negli Uffici che si occupano di entrambi i settori, come gli Uffici di Polizia di Frontiera.