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Previsioni normative

Come si diceva innanzi, il mediatore culturale è una figura professionale ancora indefinita. La normativa nazionale ne ha riconosciuto l’esistenza e la funzione solo con la legge del 6 marzo 1998 n. 40: “Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, meglio conosciuta come legge Turco-Napolitano, recepita nel Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286: “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, in cui si fa riferimento al mediatore culturale, attribuendogli un ruolo attivo nell’integrazione sociale delle minoranze, senza, però, scendere ulteriormente nel dettaglio.

Successivamente, la legge n. 189 del 2000, meglio conosciuta come la legge Bossi-Fini, ha modificato la normativa sull’immigrazione, senza, però, citare la mediazione.

La legge 228 del 2003, infine, all’art. 13 prevede forme di assistenzialismo senza far riferimento a specifiche ipotesi di reato: i percorsi di tutela e assistenza, perciò, possono essere rivolti a vittime dei reati in materia di prostituzione, ma anche alle vittime di tutti i reati previsti dall’art. 380 del codice di procedura penale, ossia quelli di maggiore gravità per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza (riguardanti armi, droga, terrorismo, ecc.) ed alle vittime dei reati di riduzione in schiavitù e tratta di persone ai sensi degli articoli 600 e 601 del Codice penale.

Comunque, al di là delle previsioni normative, la mediazione culturale si è sviluppata in modo pressoché inevitabile nell’ambito degli Enti locali, spesso al di fuori di qualsiasi logica di programmazione di insieme a livello nazionale. Le Regioni, pertanto, si sono spesso attivate

non solo con iniziative specifiche nel settore, ma anche da un punto di vista normativo.

La Regione Emilia Romagna con Legge n. 5 del 24 marzo 2004, all’art. 17 comma e) ha previsto il consolidamento delle competenze del mediatore socio-culturale, cercando di valorizzarne la specifica professionalità. Sulla scia di tale norma, la Giunta Regionale Emilia Romagna, con delibera n. 1576 del 30 luglio 2004, ha emanato le prime disposizioni inerenti la figura professionale del “Mediatore Interculturale”. In detta delibera, quando si fa riferimento agli ambiti di operatività del mediatore culturale, si cita anche il settore giudiziario, accanto ai servizi sociali, scolastici e sanitari.

L’attenzione delle Regioni sulla figura del mediatore culturale va ad incidere in via diretta sul ruolo che detto operatore può ricoprire nel settore sicurezza; basti pensare al fatto che gli Uffici della Polizia di Stato, nei casi di cui ritengano utile l’intervento del mediatore culturale, spesso ricorrono proprio all’ausilio delle persone segnalate dall’Ente locale.

A Bologna, inoltre, la Polizia di Stato fa parte della rete locale composta da vari Uffici ed Associazioni, tra cui l’AUSL, che ha coinvolto tutti gli appartenenti a detta rete nel progetto europeo Daphne, avente l’obiettivo di sviluppare in modo coordinato strategie e metodi atti a contrastare la violenza domestica e la violenza sulle donne di strada.

La stessa locale Direzione Distrettuale Antimafia e le locali forze di polizia sono soggetti del progetto regionale “Oltre la Strada”, già innanzi citato. Detto Progetto si snoda su tre livelli: 1) Ente Promotore, che è la Regione Emilia Romagna; 2) Enti Attuatori che sono i 12 Comuni maggiormente rappresentativi; 3) Reti Locali formate dai cosiddetti enti gestori degli interventi, ciascuno per la parte di propria competenza (in tale contesto la sicurezza è gestita dai rappresentanti delle forze di Polizia, comprendenti anche i Corpi di Polizia Municipale, tutti coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia presso la Procura di Bologna).

D. R. Miller e A. Pano 164

Detto Progetto gestisce anche una delle postazioni locali del Numero Verde contro la tratta istituito a livello nazionale dal Dipartimento Diritti e Pari Opportunità. Questo servizio è collegato ad una casa di pronta accoglienza che interviene in situazioni di emergenza su richiesta delle Forze dell’Ordine e di altri Enti territoriali aderenti al Progetto.

Il lavoro in rete, attraverso l’opera dei mediatori culturali inseriti nelle Associazioni o Enti che fanno capo al Comune, consente un passaggio agevole dalla libera determinazione della vittima a collaborare con la giustizia alla fase di protezione e tutela dei suoi diritti anche nel momento processuale. La costituzione di tavoli di lavoro a livello locale ha permesso anche un agevole percorso inverso, ossia dalla collaborazione all’assistenzialismo, stante l’aumento del numero di invii ai Progetti Sociali da parte degli Uffici Operativi delle forze di polizia. In entrambi i casi, è prevista una fase di valutazione del racconto e della situazione personale della vittima che permetta una prima conoscenza del reale contesto criminale.

Resta fondamentale il contributo del mediatore culturale, sia nel caso in cui questi rivesta i panni di “primo interlocutore” della vittima, sia qualora lo stesso Ufficio di Polizia ne richieda la presenza nella fase di verbalizzazione delle dichiarazioni. Presenza che vale come “sostegno” per la persona che rende informazioni e “maggiore serenità” per gli operatori di Polizia. Presenza che non deve sostituirsi all’interprete, ma deve affiancarsi a questi, a meno che la stessa persona non riunisca in sé le due qualifiche, come, d’altronde, sarebbe auspicabile.

È ancora una volta evidente come il rapporto servizi sociali/

servizi deputati alla sicurezza trovi il suo nodo centrale nel mediatore culturale, che, però, come innanzi premesso, non è ancora presente all’interno degli Uffici della Polizia di Stato.

La costruzione di un rapporto di fiducia con la persona che denuncia i suoi sfruttatori, la capacità di ascolto e la conoscenza della sua provenienza culturale consentono di preparare adeguatamente il terreno per la fase successiva, durante la quale gli Uffici investigativi dovranno

verificare la congruenza delle informazioni raccolte, consentendo, infine, all’Autorità Giudiziaria di considerare la reale possibilità di avviare un procedimento penale.