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Osservazioni conclusive sulla visione “personalistica” della concezione scheleriana della religione.

Gli interpreti del pensiero di Scheler hanno in generale prestato poca attenzione a questa fase della sua filosofia della religione, appena accennata in Formalismo e sviluppata soprattutto negli scritti postumi. In L’eterno nell’uomo il tema della re- ligione e rivelazione naturali è così centrale ed originale che ha polarizzato generalmente l’attenzione e la discussione dei critici, facendo dimenticare non solo la tesi della rivelazione tramite persone come unica fonte della religione, ma anche l’analisi fenomenologica sulla natura stessa di tale tipo di fondamento, e sulle sue condizioni metafisico-antropologiche di possibilità. La tesi sembra, a tutta prima, avvicinarsi alla tradizionale negazione protestante della possibilità per l’uomo di giungere con le sue forze ad una conoscenza di Dio religiosamente valida. Tesi sostenuta spesso, dai teologi e filosofi protestanti, anche richiamandosi alla critica kantiana delle prove dell’esistenza di Dio. Ma è facile rilevare come la motivazione scheleriana della tesi è di tutt'altra natura. Non si tratta di sfiducia nelle facoltà della ragione umana corrotta dal peccato o intrinsecamente limitata, bensì di una relazione essenziale scoperta nella natura stessa della realtà personale infinita di Dio, di per sé inconoscibile all’uomo, se non per sua spontanea iniziativa. Neppure si tratta di un inizio assoluto da parte di Dio, esigito dalla radicale differenza qualitativa fra l’uomo e Dio, bensì del gratuito completamento di una attesa già presente in un uomo costitutivamente teso verso l’assoluto. Forse, più opportunamente, si potrebbe ritrovare la fonte di ispirazione di questa tesi scheleriana nel pensiero del grande teologo cattolico della Scuola di Tubinga, J. A. Möhler, che nella prima fase del suo pensiero, di ispirazione romantico-tradizionalista, sosteneva che non vi è alcuna conoscenza di Dio senza una rivelazione particolare attraverso la parola di Dio essa stessa apparsa in persona; la ragione infatti, come capacità religiosa, è unicamente un organo passivo, di recezione, e, d'altra parte, una realtà personale, quale è Dio, può essere sperimentata solo se essa si auto-rivela. Certamente Scheler si colloca, con la sua tesi, sulla linea di una vigorosa reazione alla concezione illuministico-razionalista della religione naturale, come pure a tutta la corrente di pensiero, propria del cosiddetto protestantesimo liberale risalente a Schleiermacher, che riduce la rivelazione ad una semplice esperienza immanente al soggetto. Egli si trova quindi, almeno in parte, sulla linea tradizionalista del grande teologo di cui riprende e vivifica alcune tesi. L’impostazione scheleriana presenta però i caratteri di una visione originaria del problema, nonché di una fondazione filosofico-fenomenologica originaria della tesi sostenuta. Originaria è soprattutto

l’impostazione nettamente personalistica, dove l’analisi fenomenologica sulla comunicazione interpersonale sia del singolo che della comunità regge costantemente il discorso, sia per quanto riguarda la possibilità di un rapporto religioso con Dio, la cui iniziativa è assolutamente riservata alla persona trascendente, sia per quanto riguarda il modo di tale rapporto, tramite la persona del santo originario e la comunità di persone che è la chiesa. Tale sfondo personalistico regge a modo di “pre- comprensione” l’esperienza religiosa di fatto cui Scheler costantemente si riferisce per cogliervi, per intuizione eidetica, i fenomeni essenziali e le loro relazioni.

Alcune correlazioni essenziali sembrano avere per base tutta la esperienza religiosa dell’umanità, come la fondazione della religione per rivelazione, l’esperienza personale totalizzante della fede, la funzione degli uomini religiosi quale anima vivente della storia di una religione, l’aspetto comunitario della rivelazione e della fede. Altre correlazioni essenziali sembrano invece far riferimento ad esperienze religiose specifiche, come l’esperienza di Cristo, onde è tratto il concetto di “santo originario”, e quella della chiesa cattolica, onde è tratto il concetto di “chiesa infallibile”. Nella prefazione alla seconda edizione di L’eterno nell’uomo, Scheler si difenderà dall’accusa di aver voluto dimostrare filosoficamente che Cristo è il santo originario e che il Romano Pontefice è infallibile. Una visione essenziale non è infatti una fede positiva, e nulla impedisce che una visione essenziale possa essere colta in un caso unico anche puramente ipotetico. L’originalità della impostazione scheleriana è proprio quella di aver tentato di rilevare le correlazioni fra teismo e religione, non tanto deduttivamente, bensì come è possibile coglierle per intuizione eidetica sia nell’esperienza religiosa generale dell’umanità, sia nell’esperienza religiosa cristiana, anche solo considerata nei significati essenziali che presenta e senza direttamente impegnarsi nella realtà di fatto di tali significati.

Scheler ha certamente avuto il merito di mettere in luce alcune di tali correlazioni essenziali, collegandole con tutta una ricca fenomenologia riguardante l’uomo come persona, nella sua originaria apertura all’assoluto, nella sua impossibilità a insediarsi con le sue forze in un rapporto salvifico con esso, nella varietà dei suoi rapporti interpersonali e comunitari, ecc. La sua vuole quindi essere una vera fenomenologia filosofica, anche se parte spesso dall’esperienza cristiana concreta. D'altro lato, proprio come tale, essa vuole essere di stimolo anche alla riflessione teologica sul fatto cristiano, mettendo in luce il correlarsi dei dati fondamentali della fede con l’esperienza più vasta della realtà umana. Il risultato principale della impostazione personalistico-fenomenologica della ricerca scheleriana rimane però quello di aver delineato e difeso una fondazione autonoma della religione che sfuggisse alle riduzioni razionalistiche e soggettivistiche; riduzioni che di per sé snaturano il fenomeno religioso nella sua autenticità.

Nel seguire l’ulteriore sviluppo del pensiero del nostro autore, cercheremo di rilevare quanto questa sua prima concezione, rimanendo costantemente all’orizzonte del suo pensiero, lo abbia continuamente stimolato e fatto evolvere verso le cadenze finali di L’eterno nell’uomo. Essa si rivelerà quindi come uno dei motivi più profondi e fecondi della sua riflessione sul fenomeno religioso.