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PA, pp 293-294 Corsivo nell’originale 42 Ivi, p 295.

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L’espressione della teoria in questi termini conduce di- rettamente a una verifica, che viene avviata nel capitolo successivo del volume, anche se con l’avvertenza che un lavoro specifico è necessario separatamente per ciascuna delle arti: quello che interessa, in tal sede, è esclusiva- mente un rapida rassegna delle procedure attraverso le quali la scarica dell’energia nervosa viene attivata. I diversi esempi che vengono presi in considerazione, sulla scorta di diversi contributi critici (da Belyj a Tynjanov, da Freud a Rosenkranz), sono affrontati in base a una concezione dell’opera d’arte come composizione per contrasti dinami- ci, che risultano invariabilmente immotivati se sottoposti a un’analisi impostata sulla ricerca delle coincidenze tra forma e contenuto, ma che – scendendo più a fondo – si rivelano appunto i motivi d’interesse reale e i catalizzatori della reazione estetica.

I paradossi delle emozioni

Dopo una rapida rassegna delle modalità espressive del contrasto dinamico in letteratura (il verso poetico in ge- nerale, l’Evgenij Onegin e i Racconti di Belkin di Puškin, i drammi shakespeariani, Le tre sorelle e Il giardino dei ciliegi di Čechov), il discorso si sposta sulle altre arti, per quanto – av- verte Vygotskij – in base a «esempi semicasuali»: per quanto concerne il teatro, «giacché soltanto per metà l’esame del dramma appartiene alla letteratura», è ancora il Paradoxe diderotiano a fornire il sostegno della teoria:

L’arte stessa dell’attore è da Diderot definita smorfia patetica, scimmiottatura di gran classe. E un’affermazione simile è paradossale soltanto sotto un aspetto; sarebbe giu- stissima se si dicesse che il grido di disperazione sulla scena include, in realtà, anche una disperazione autentica. Ma non sta in questo il trionfo dell’attore: il trionfo dell’attore sta piuttosto nella misura, nel ritmo che egli dà a quella disperazione. Non è davvero che si voglia, qui, ridurre il fine dell’atteggiamento estetico all’esigenza (come celiava Tolstoj) «che si descriva una esecuzione capitale e, intanto, sembri che si parli di graziosi fiorellini». No: un’esecuzione capitale resta anche sulla scena quella che è, ben altro che fiorellini; la disperazione resta disperazione: ma, attraverso l’azione artistica della forma, essa trova il suo scioglimento, e quindi può darsi benissimo che l’attore non sperimenti

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fino in fondo e con pienezza assoluta quei sentimenti, che vengono sperimentati dal personaggio ch’egli rappresenta.43

Il carattere di paradosso del dialogo diderotiano è tale per l’assenza di una indagine psicologica specifica sull’emozione attoriale, che sarebbe in grado di evidenziare proprio nella rappresentazione teatrale gli elementi più evidenti del mec- canismo che provoca la reazione estetica.

La particolare rilevanza che assume, in questo contesto, la rappresentazione scenica delle emozioni non costituisce un episodio isolato nel percorso di Vygotskij, il cui interesse per il teatro – testimoniato da una consistente attività come critico su vari giornali e riviste – è, in questi anni, studiato in relazione allo sviluppo del suo pensiero, come una sorta di propedeutica alla formulazione di alcuni concetti fonda- mentali della sua indagine psicologica.44

Successivamente, nell’incompiuto saggio sulle emozioni (Učenie ob emocijach), la cui redazione sarebbe iniziata nel 1931, lo psicologo avrebbe considerato il fenomeno della “riproduzione specifica delle emozioni” sulla scena una fon- te di obiezioni non irrilevanti alla teoria periferica elaborata parallelamente da William James e Carl Lange:

As is known, James himself tried to consider and refute two possible objections. The first consists of the fact that, «in the words of many actors, who splendidly reproduce, with their voices, facial mimicry, and body movements, external manifestations of emotion, they do not exactly experience any emotions. Other actors, according to the testimony of W. Archer, maintain that in cases where they were able to play a role very well, they experienced all the emotions of the role». Here James touches on a well-known problem with a long history, the problem of specific repro- duction of emotions to which we will return in the course of our study. In explaining James, we are now only interested in his admission that «in the expression of every emotion, internal organic excitation maybe completely suppressed in some persons as well as the emotion itself to a significant degree, while others do not have this ability». Thus, James

43. Ivi, p. 321.

44. Cfr. René van der Veer, Vygotsky, the theater critic, «History of the Human Sciences», 28, 2, 2015, pp. 103–110; V.S. Sobkin, L.S. Vygotsky and the Theater: Delineation of a Sociocultural Context, «Journal of Russian & East European Psy- chology», 53, 3, 2016, pp. 1–92.

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admits in his own words «that some persons can completely dissociate emotions from their expression».45

La creazione artistica dell’attore in termini psicologici

Tuttavia, il promesso ritorno sull’argomento non ha occa- sione di realizzarsi, così che è possibile soltanto registrare l’affermazione; d’altra parte, esiste un altro scritto, redatto nel 1932 e pubblicato postumo nel 1936, che ci permet- te di approfondire la relazione che sussiste tra esperienza estetica ed emozione nel caso specifico dell’attore. Con esso abbandoniamo temporaneamente la Psicologia dell’arte, per riesaminarla successivamente alla luce di questo breve ma denso saggio.

K voprosu o psichologii tvorčestva aktëra (Sulla questione della

psicologia della creazione artistica dell’attore) costituisce l’epilo- go al volume a cura di P. M. Jakobson Psichologija sceničeskich

čuvstv aktëra (“psicologia del sentimento scenico dell’atto- re”) potrebbe costituire un intervento programmatico, che accoglie le più recenti tendenze d’indagine basate su un approccio storico e non meramente empirico alla psicolo- gia dell’attore, come era invece era uso sia nell’ambito di sistemi di pedagogia teatrale, sia negli studi psicotecnici che esaminavano, in epoca sovietica, le attitudini individuali alle professioni.

Il Paradoxe diderotiano è il punto di partenza da cui svi- luppare i principii di un approccio psicologico basato su fatti concreti, dai quali soltanto si può procedere per una «futura teoria della creazione artistica attoriale», ma anche altri fatti possono essere verificati, i quali indirizzano verso conclusioni diverse da quelle tratte dal philosophe, senza per questo confutarle.

L’esempio che viene fornito è quello, interno alla stessa cultura teatrale russo-sovietica, di Stanislavskij e di chi ha 45. Lev S. Vygotskij, The Teaching About Emotions, in The Collected Works of L. S.

Vygotsky, vol. vi, Plenum, New York 1999, p. 117. Le citazioni interne provengo-

no da una traduzione russa (1902) dei Principles of Psychology di William James, dove lo psicologo statunitense affrontava alcune obiezioni alla propria teoria sulla scorta dei materiali che William Archer aveva radunato in Masks or Faces? A Study in the Psychology of Acting (Longman’s, Green & Co., London 1888). A questo proposito, cfr. Edoardo Giovanni Carlotti, Teorie e visioni dell’esperienza “te- atrale”. L’arte performativa tra natura e culture, Accademia University Press, Torino 2014, pp. 238-248.

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seguito la sua impostazione, dalla cui pratica emerge che l’e- mozione dell’attore sulla scena può avere una natura diffe- rente dall’artificiale idealizzazione costruita esclusivamente tramite l’osservazione, la tecnica e l’esercizio.

Questa contraddizione – continua Vygotskij – può es- sere affrontata costruttivamente solo da un punto di vista dialettico e non metafisico, prendendo come guida l’evo- luzione storica delle forme teatrali e, all’interno di essa, le differenze relative alla psicologia dell’attore nelle diverse condizioni storico sociali: «La psicologia dell’attore non è una categoria biologica, ma storica e di classe»,46 che deve

fondarsi sulla ricognizione dei caratteri specifici dell’epoca in cui si manifesta, perché l’emozione, così come è espressa e trasmessa, non può prescindere dal contesto generale a cui appartiene.

Le emozioni vissute dall’attore, secondo una felice lo- cuzione tedesca, non sono tanto un sentimento dell’«io», quanto un sentimento del «noi». L’attore costruisce sulla scena sensazioni, sentimenti o emozioni (emocija) che di- ventano emozioni (emocija) di tutta la sala teatrale. Prima di essere divenute oggetto d’incarnazione (voploščenie) at- toriale, esse hanno ricevuto una forma letteraria, si sono librate nell’aria, nella coscienza sociale.47

All’emozione vissuta (pereživanie) sulla scena dall’attore sot- tostanno quindi processi di trasmissione diffusi nel milieu socio-culturale che esprime una data forma d’espressione, ed è quindi inappropriato affrontare la questione esclusi- vamente da un punto di vista biologico, oppure – da un’al- tra ottica – privilegiando l’indagine fenomenologica basata sull’autocoscienza dell’attore:

Dobbiamo comprendere la psicologia di questo o quell’attore in tutto il suo complesso di condizionamenti concreti, storici e sociali: allora ci si farà chiaro e compren- sibile il nesso normativo tra una data forma dell’emozione vissuta in scena e il contenuto sociale che, tramite quell’e- mozione vissuta dall’attore, viene trasmessa agli spettatori in sala.48

46. Lev S. Vygotskij, Sulla questione della psicologia della creazione artistica dell’attore, trad. it. di Massimo Lenzi, «Mimesis Journal», 4, 1, 2015, p. 73.

47. Ibidem.

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