La tradizione indiana sull’esperienza estetica
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I termini chiave sui quali si impernia la “rivoluzione” di Bhat.t.a Nāyaka sono sostanzialmente esperienza e coscienza, dal momento che il suo intento è quello di indicare che il
rasa non può essere esaminato sullo stesso piano di una co- gnizione ottenuta secondo le modalità dell’esperienza quo- tidiana e in uno stato della coscienza ordinario. Per questo motivo, la sua interpretazione insiste sul negare il carattere di percezione, implicando che proprio la condizione di su- prema “gustazione” è incompatibile con un fenomeno che ha luogo nell’assenza di distinzioni tra soggetto e oggetto.
Abhinavagupta: la qualità della percezione
È da qui che Abhinava, in parte accogliendo la pars destruens del precedessore, prende l’avvio per esporre la propria te- oria, non senza aver eliminato ciò che considera erroneo nelle conclusioni. Due sono i punti qualificanti della sua critica: [1] eliminando il carattere di percezione, l’esperien- za “gustativa” non ha oggetto e, di conseguenza, si deve di- chiarare il rasa non-esistente, perché l’esperienza è sempre riferita a un oggetto; [2] escludendo la “manifestazione” e proponendo la “rivelazione” del rasa, Nāyaka introduce un’opposizione che in realtà non risulta ben definita, tanto che la tesi da confutare sembra riproporsi nella sostanza e, in ultima analisi, essere avvalorata.
La costruzione della teoria, invece, prende le mosse da una distinzione fondamentale, alla quale diviene possibile applicare gli elementi strutturali traendoli da ciò che ha superato la prova della discussione: ciò che appare nella rappresentazione è una percezione di qualità diversa dall’or- dinario, mediante la quale lo stato emozionale è còlto in sé, senza essere gravato di particolarità relative a spazio, tempo, specifiche individualità ecc.
La caratteristica peculiare di questa percezione è confe- rita dall’assenza di quegli ostacoli (vighna, omonimi degli spiriti disturbatori della prima rappresentazione) che non be experienced in the form of an “experience” utterly different from empiri- cal activity or memory or anything else; one marked instead by a melting, en- largement, and expansion that depend on the relative degree of volatility and stolidity in the viewer, and marked further by an absorption of the spectator’s consciousness consisting of a predominance of sensitivity, light, and bliss, which shares something of the character of savoring supreme being» (ivi, p. 151).
Esperienza e coscienza. Approcci alle arti performative Edoardo Giovanni Carlotti 36
permettono la “generalizzazione” dell’esperienza e impe- discono la condivisione dello stato emozionale rappresen- tato che, come si è visto, quando è percepito in condizioni “normali” come proprio di un individuo terzo (sia esso il personaggio o l’attore), provoca reazioni contrastanti (da un preciso sentimento alla totale indifferenza) e impedisce la via alla “gustazione” del rasa.
A monte di questa percezione, naturalmente, il criterio della “generalizzazione” deve essere rispettato da ogni com- ponente della rappresentazione, perché il complesso degli elementi estetici (vibhāva ecc.) deve essere adeguatamen- te “generalizzato”, cioè privato di ogni connotazione che induca a farlo riconoscere come proprio di uno specifico individuo.
La modalità stessa della percezione, che Abhinava defini- sce con un termine che implica uniformità o omogeneità,40
condivisa da tutti gli spettatori in virtù delle loro “predispo- sizioni” o “impressioni latenti”, conduce all’esperienza del rasa nello stato di camatkāra, ovvero nell’immersione totale in un’attività di assaporamento meraviglioso e meravigliato della coscienza della percezione stessa.
È necessario qui aprire una parentesi terminologica, dal momento che alcuni concetti introdotti obbligano a pre- cisarne il significato in relazione al loro uso nelle diverse tradizioni filosofiche indiane.
Impressioni latenti e assaporamento
Vāsanā, che è il termine tradotto con «predispositions» (Pol- lock) o «latent impressions» (Gnoli), utilizzato talvolta come sinonimo di sam.skāra (di cui si tornerà più avanti), è come esso un contenuto mentale inavvertito rimasto come traccia di esperienze passate, ma diverso da esso in quanto all’ori- gine, perché
sam.skāra in Hindu philosophy […] means the impressions (which exist sub-consciously in the mind) of the objects experienced. All our experiences whether cognitive, emotional or conative exist in sub-conscious states and may under suitable conditions be reproduced as memory
40. «The audience members all share a homogeneous comprehension» (ivi, p. 195); «the very uniformity of the spectator’s perception» (Raniero Gnoli, The Aesthetic Experience… cit., p. 58).
La tradizione indiana sull’esperienza estetica
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(smr.ti). The word vāsanā (Yoga sūtra, iv.24) seems to be a
later word. The earlier Upanis.ads do not mention it and as far as I know it is not mentioned in the Pāli pit.akas.
Abhidhānappadīpikā of Moggallāna mentions it, and it occurs in the Muktika Upanis.ad. It comes from the root “vas” to stay. It is often loosely used in the sense of sam.skāra, and in Vyāsa bhās.ya they are identified in iv. 9. But vāsanā gen-
erally refers to the tendencies of past lives most of which lie dormant in the mind. Only those appear which can find scope in this life. But sam.skāras are the sub-conscious states which are being constantly generated by experience. Vāsanās are innate sam.skāras not acquired in this life.41
Queste “predisposizioni” o “impressioni latenti” stanno alla base della “percezione omogenea” di ciò che nella rappre- sentazione appare come una generalizzazione degli stati emozionali, che è percepita sulla base di queste impronte subconsce, quindi a prescindere da un processo inferen- ziale. Inoltre, esse costituiscono un motivo di affinità tra tutte le forme di esistenza, che condividono l’esperienza degli stati emozionali, con il quale lo spettatore umano può comunque identificarsi, indipendentemente se sono stati espressi da una divinità, un dèmone o un animale.42
Camatkāra è, allo stesso modo, un termine di notevole interesse così come è utilizzato da Abhinava: lasciato immu- tato nella traduzione di Gnoli, ma reso con «aesthetic rap- ture» da Pollock, ha un’origine onomatopeica, alludendo allo schioccare delle labbra nell’assaporare un cibo, ma un uso rilevante in ambito mistico-filosofico śivaita, a indicare il «meravigliato assaporamento» del Sé che i sensi rivolti all’interno procurano allo yogin.43
41. Surendranath Dasgupta, A History of Indian Philosophy, Cambridge Universi-