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3. Stadi evolutivi della tutela dei terz

3.2. Nei Paesi di Common Law

Si è visto nel paragrafo precedente come, in ambito europeo, la prima vera forma di tutela procedimentale dei terzi sia avvenuta dapprima in Germania, attorno agli anni ’70, in cui iniziarono a essere emanate le prime leggi che ammettevano forme allargate di partecipazione da parte di tutti i soggetti interessati nel corso di un procedimento amministrativo; mentre l’Italia, seppure nel medesimo periodo siano state emanate alcune leggi speciali sulla partecipazione, dovrà attendere il 1990 (anno di emanazione della legge generale su procedimento amministrativo) per il riconoscimento a tutti i soggetti interessati (terzi compresi) della possibilità di prendere parte al procedimento e, quindi, di influire sul contenuto dispositivo del provvedimento finale.

Negli Stati Uniti, invece, tali forme di partecipazione iniziarono ad essere previste molto prima rispetto all’Europa. Tuttavia, agli inizi del diciannovesimo secolo il diritto amministrativo era ancora considerato un

illegitimate exotic quando iniziarono la loro attività i due padri fondatori del

diritto amministrativo americano, Frank J. Goodnow e Ernest Freund141.

Ambedue avevano studiato in Europa ed entrambi insegnarono alla Columbia Law School.

In quel contesto storico, si iniziò a esaminare la posizione dei privati nei confronti del potere amministrativo delle “Agenzie”, i limiti della regulation amministrativa, i rapporti tra giudici ed amministrazione, specialmente con riferimento ai nuovi controlli sulle ferrovie e sui servizi di pubblica utilità. Ma nel 1916 l’American Bar Association rilevava che il diritto amministrativo era ancora nella sua infanzia, perché rozzo e imperfetto; nel 1923 Freund osservava che i giuristi americani consideravano il diritto amministrativo ancora come something new nella scienza del diritto142.

Soltanto verso la metà del diciannovesimo secolo iniziarono ad essere

141 F. Frankfurter, The task of Administrative Law, 1927, 316 ss.

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riconosciuti, in capo ai soggetti privati, veri e propri poteri partecipativi nell’ambito di procedimenti amministrativi, dai quali gli stessi potevano essere, sia pure indirettamente, pregiudicati.

A livello legislativo, in particolare, veniva emanato nel 1946 l’APA (Administrative Procedure Act).

Più specificamente, secondo il suddetto atto normativo, che già rispecchiava i caratteri principali di quello che sarebbe stato l’interest

representation model formulato da Stewart, i soggetti interessati possono

esprimere la propria “voce” sia nell’ambito di procedimenti amministrativi particolari che sfociano in un provvedimento puntuale emanato nei confronti di un numero determinato di soggetti, sia nell’ambito di procedimenti amministrativi generali, chiamati rulemaking e finalizzati all’adozione di rules, di disposizioni dal contenuto generale e rivolte a insiemi indeterminati di destinatari (ad es. atti di pianificazione urbanistica, indirizzati indistintamente a tutti i cittadini e alle imprese che insistono sul territorio interessato)143.

In particolare, nei procedimenti formali di adjudication, volti all’emanazione di orders con destinatari individuali, e di rulemaking, volti all’adozione di regolamenti di carattere generale, l’APA garantisce ai privati di presentare memorie scritte e, addurre testimonianze e richiedere cross-

examinations.

Nelle ipotesi di procedure informali, invece, si distinguono le procedure di rulemaking da quelle di adjudication.

Nel primo caso, è la stessa legge generale sul procedimento a prevedere garanzie partecipative espressive della formula notice e comment attraverso l’obbligo di comunicazione in capo alle Agencies. In sostanza, queste ultime devono comunicare l’intenzione di adottare un determinato regolamento, quindi pubblicare un draft rule e infine invitare gli interessati a proporre, anche per iscritto o oralmente, osservazioni e proposte sul progetto.

143 S. Cassese, Richard B. Steward e la scienza americana del diritto amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2005, 610 ss.

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Nel secondo caso manca, invece, una previsione sullo svolgimento informale della procedura, per cui ciascuna Agency ne regola la procedura nel rispetto della regola generale della due process clause prevista nel quinto emendamento a livello di governo federale e nel quattordicesimo emendamento144 con riferimento agli Stati membri145.

La garanzia data alla “voce” degli amministrati prima che la decisione sia presa segna così un passo importante nella storia del diritto amministrativo americano. Manca, tuttavia, un altro aspetto importante e, cioè, la possibilità per gli amministrati di vedere e poter esaminare i documenti amministrativi rilevanti per la decisione; in altri termini, manca la garanzia della “visione”. Garanzia che, logicamente, dovrebbe venire prima di quella che riconosce agli amministrati la possibilità di far sentire la propria voce. Questi ultimi, infatti, potrebbero far valere al meglio le proprie ragioni, (la propria “voce”), se abbiano potuto “vedere” il fascicolo del procedimento146.

Tuttavia, storicamente, la garanzia della “visione” è venuta dopo. Nell’esperienza statunitense, infatti, la “visione” viene assicurata solo in seguito, tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, con il Freedom of

Information Act del 1966 e il Government in the Sunshine Act del 1976147.

In particolare, le esigenze di trasparenza e di informazione trovano

144 L’espressione giusto procedimento è traducibile come due process of law, principio contenuto nel V emendamento della Costituzione statunitense, secondo cui “nessuna persona può essere privata della vita, della libertà, o della proprietà senza debito procedimento legale”. Il riferimento è ad un procedimento basato sulla correttezza e regolarità delle procedure. Sul punto, cfr. G. Pizzanelli, La partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche: politiche ambientali e realizzazione delle grandi opere infrastrutturali, Milano, 2016, 200 ss.; V. altresì P. Duret, Partecipazione procedimentale e legittimazione processuale, Torino, 1996, 221 ss.; sulla due process law, J. Mashaw, Due process in the Administrive State, New Haven, 1985, 10 ss.

145 Sul punto, G.F. Ferrari, Il procedimento amministrativo nell’esperienza anglo-americana, in Dir. Proc. amm., 1993, 420 ss.; G.P. Manzella, Brevi cenni sulla regulatory negotiation, , in Riv. trim. dir. pubbl., 1994, 270.

146 S. Cassese, Richard B. Steward e la scienza americana del diritto amministrativo, op. cit., 620.

147 In Gran Bretagna, invece, il divario temporale è stato ancora più ampio, in quanto la “voce” era garantita già nel Seicento, mentre, per una disciplina organica della “visione” è stato necessario attendere fino agli esordi del XXI secolo (il Freedom of Information Act britannico del 2000).

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ulteriore specificazione e rafforzamento nel Freedom and Information Act del 1967, come modificato nel 1974, che prevede l’obbligo di informazione in capo alle Agenzie federali e riconosce il diritto di accesso alle informazioni scritte detenute dalle stesse; nel Government in the Sunhine Act del 1976, che apre al pubblico alcune sedute delle riunioni di determinate Agencies, e nell’E-government Act del 2002, che riconosce forme di cooperazione tra le varie agenzie al fine di costituire una rete informatica che consenta al pubblico l’accesso in via telematica con possibilità di proporre osservazioni e commenti ai progetti federali di regolamenti in corso di adozione148.

Tra gli anni Settanta e Ottanta, la storia del diritto amministrativo statunitense conosce ulteriori sviluppi grazie ai contributi di Stewart; infatti, in quegli anni, il diritto amministrativo americano inizia a prendere concretamente forma e a ruotare effettivamente attorno ai principi della partecipazione nel procedimento amministrativo.

Per comprendere il contributo di Stewart, si rammenta che negli Stati Uniti, dal 1960, sotto la pressione delle associazioni dei consumatori e degli ambientalisti, i legislatori e i giudici hanno iniziato a riconoscere a tutti gli interessati il diritto di essere consultati dalla pubblica amministrazione sulle decisioni collettive o generali, stabilendo, nello stesso tempo, un obbligo in capo all’amministrazione di rispondere adeguatamente alle osservazioni dei cittadini; hanno altresì iniziato via via ad ampliare la legittimazione a ricorrere davanti ai giudici contro le decisioni amministrative; ad introdurre, più tardi, il negotiated rule making, consentendo così ai privati di partecipare, negoziando, e non solo presentando osservazioni, al processo di decisione riguardante atti amministrativi generali149.

Stewart osserva che il modello tradizionale, prevalente nel periodo 1880 - 1960, presentava il diritto amministrativo come cinghia di trasmissione per l’applicazione di leggi a casi particolari, sotto il controllo dei giudici. La

148 S. Mirate, La democrazia partecipativa, in G. Falcon (a cura di), Il procedimento amministrativo nei diritti europei e nel diritto comunitario, op. cit., 31 ss.

149 M. Shapiro, Two Transformations in Administrative Law: American and European?, The Europeanisation of Administrative Law, a cura di K.H. Ladeur, Dartmouth, 2002, 10 ss.

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realtà però era diversa, spiega Stewart, in quanto la legge era impotente a limitare la discrezionalità amministrativa. I giudici non riuscivano a tenere le amministrazioni sotto controllo. Le autorità erano prigioniere dei maggiori interessi che ruotavano attorno alle più grandi organizzazioni. Questa situazione poneva il problema della democrazia nell’amministrazione. Per uscire da questa situazione, nota Stewart, dovrebbe essere ulteriormente esteso il diritto di partecipare nel corso del procedimento, nonché riconosciuti come azionabili nuovi interessi. Inoltre, i giudici dovevano iniziare a scegliere hard look standards nel riesaminare le decisioni amministrative, e a riconoscere initiation rights diretti a rimediare all’inazione dell’amministrazione150.

Così, i conflitti dinanzi all’amministrazione e le controversie giudiziarie divengono multipolari, perché vi è incluso un più ampio universo di interessi, in modo da raggiungere un equo contemperamento tra di loro.

Questo modello di partecipazione politica viene definito da Stewart

interest representation model151.

La formula statunitense dell’interest representation model152 già

riconosciuta dall’Administrative Procedure Act del 1946 nell’ottica dell’implementazione di una good governance, impone un modello di regolazione fondato sulla partecipazione degli interessi “in modo da assicurare decisioni fondate sulla conoscenza dei fatti e su un ragionevole e motivato equilibrio degli interessi”153 e garantisce la partecipazione ai

processi decisionali di carattere amministrativo di gruppi portatori di interessi non organizzati, offrendo un contributo collaborativo alle scelte operate dalle Agencies nei vari procedimenti amministrativi sia di rule

150 R.B. Stewart, The reformation of American Administrative Law, in Harv., Law Rev., vol. 88, 1975, 1657 ss.

151 L’espressione era stata adoperata già nel 1928 da Ernest Freud, nel volume sugli

Administrative Powers over Persons and property; cfr. sul punto W. C. Chase, The American Law school and the Rise of Administrative Government (Medison, University of Wisconsin Press, 1982); cfr. anche J. L. Mashaw, “Administration and Bureaucracy: Administrative Law from Jackson to Lincoln”, Yale Law Journal117 (2008): 1568.

152 R.B. Stewart, The reformation of American Administrative Law, op. cit., 1668 ss.

153 S. Cassese, Il diritto amministrativo europeo presenta caratteri originali? In Riv. trim. dir. pubbl., 2003, 45 ss.

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making che di adjudication154.

L’interest representation model deve la sua definizione al leading case “Overton Park” del 1971, in cui la Corte Suprema ha sostenuto l’illegittimità del provvedimento amministrativo recante la decisione di finanziare la realizzazione di un’autostrada per l’attraversamento di un city park, laddove l’amministrazione non aveva consentito la partecipazione alle parti interessate155.

154 Sulla fase istruttoria del procedimento amministrativo statunitense cfr. R. Perez, L’istruzione nel procedimento amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1966, 623 ss.

155 Citizens to Preserve Overton Park v. Volpe, 401 U.S. 402 (1971). Sul caso, cfr. anche S. Cassese, Il procedimento amministrativo tra modello partecipativo e modello neoclassico, in L. Torchia (a cura di), Il procedimento amministrativo: profili comparati, Atti del Convegno di Roma, 21 aprile 1993, Padova 1993.

In particolare, nella fattispecie in esame erano in gioco ingenti fondi pubblici per poter finanziare la costruzione di una autostrada ad alta velocità a sei corsie che attraversava un grandissimo parco pubblico vicino la città di Memphis. La difesa sosteneva, in base alle norme vigenti, che tale progetto poteva non essere autorizzato dall’autorità competente in presenza di una valida alternativa al progetto che cagionasse meno danni ai numerosi interessi coinvolti. La maggiore preoccupazione da parte del pubblico riguardava il fatto che dalla costruzione di siffatta opera sarebbe scaturito un deterioramento della qualità della vita all’interno del parco. Parco che conteneva al suo interno zoo, campi da golf, teatri all’aperto, percorsi naturali per fare trekking, un’accademia d’arte, numerose aree dedicate ai picnic, nonché più di 170 acri di foresta. Si discuteva sul fatto che la possibile alternativa poteva consistere nel costruire sì l’autostrada, ma prevedendo che la stessa, nella parte in cui attraversava il parco, passasse nel sottosuolo attraverso un vero e proprio tunnel, ciò al fine di salvaguardare il parco e tutta l’armonia e la bellezza naturale che ruotavano attorno allo stesso.

Il tutto originava da due leggi promulgate dal Congresso al fine di arginare la distruzione delle risorse naturali del Paese, che vietavano al Segretario dei Trasporti di autorizzare l’uso di fondi federali per finanziare la costruzione di autostrade nei parchi pubblici, laddove sussistesse la possibilità di alternative “feasible and prudent”. I ricorrenti contestavano l’invalidità della determinazione del Segretario, in quanto non aveva indicato nella motivazione perché riteneva tali alternativa insussistenti. La Corte Suprema stabilisce che è compito dei giudici effettuare una substantial inquiry, al fine di determinare se il Segretario ha agito nella sfera della sua autorità, se la decisione rientra nello scettro delle scelte disponibili e se esso ha ragionevolmente potuto ritenere che non sussistessero altre alternative che potessero cagionare meno danni.

Il sindacato sulla proporzionalità delle misure generali ha investito, infatti, fin dagli anni Settanta del Novecento, non solo alcuni Stati dell’Europa Occidentale, ma anche gli Stati Uniti, laddove veniva posto in primo piano l’equilibrio della decisione amministrativa e il sacrificio non sproporzionato dei diritti e degli interessi degli amministrati. Tale controllo ha riguardato, specialmente, le misure generali di gestione del territorio , ma potrebbe costituire senza dubbio un paradigma applicabile anche ai procedimenti regolatori generali, che comportano, anch’essi, un’elevata discrezionalità e una ponderazione comparativa di scelte regolatorie e dei molteplici interessi da queste coinvolti.

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L’interest representation model, spiega Stewart, attribuisce a tutti i gruppi interessati il diritto di partecipare alle procedure di decisione degli uffici pubblici che li riguardano e dispongono i rimedi giurisdizionali per assicurarsi che gli uffici abbiano considerato adeguatamente i loro interessi. Questo modello risponde alla preoccupazione di Medison secondo cui l’interesse generale, in una realtà dominata da fazioni irresponsabili e frammentarie rischia di soccombere, vittima degli interessi particolari di queste ultime. Proprio per cercare di risolvere tale dilemma, si è cercato di dare a tutti gli interessi, inclusi quelli dei gruppi di public interest, la possibilità di partecipare la procedimento amministrativo, sotto il controllo del giudice156.

Tale modello, che pare introdurre la democrazia nell’amministrazione, presenta, secondo Stewart, numerosi inconvenienti: le risorse non sono distribuite in modo eguale tra i gruppi che partecipano al procedimento, per cui gli interessi non organizzati risultano svantaggiati; i gruppi non rispondono sempre del proprio operato nei confronti di coloro che dovrebbero rappresentare; conflitto e negoziazione producono compromessi, non la cura dell’interesse generale; la partecipazione richiede tempo e risorse, e ritarda le procedure (l’approvazione delle decisioni più importanti richiede almeno 5 anni)157.

Per risolvere il potenziale deficit democratico prodotto dall’ampia attribuzione di poteri normativi alla burocrazia è stato richiesto a quest’ultima di tener conto di tutti gli interessi coinvolti dalle sue decisioni e di motivare queste ultime. Ma questo modello procedurale presenta costi molto più alti. Per cui o si ricorre alla deregulation o si richiede al legislatore di assumere maggiori responsabilità, o si introducono più forti controlli giudiziari158.

Ciò detto, sia pure in termini molto generali sul pensiero di Stewart

156 R.B. Stewart, The reformation of American Administrative Law, op. cit., 1675 ss.

157 G. F. Ferrari, il procedimento amministrativo nell’esperienza anglo-americana, op. cit., 432 ss.

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relativo all’interest representation model, occorre da ultimo chiarire, considerato che nelle pagine precedenti si è spesso fatto riferimento alla due

process clause, cosa sia e da quando sia possibile affermare l’esistenza

nell’ordinamento americano del c.d. “due process”159.

Il giusto processo, o giusto procedimento, è garantito dalla Costituzione americana per ogni tipo di funzione, giurisdizionale o amministrativa che sia, quando vi sia lesione ad alcuno dei diritti fondamentali di una costituzione di stampo liberale160.

In particolare, quella del due process è una garanzia negativa, che trova esplicazione quando il potere pubblico, con un provvedimento concreto, apporti limitazioni ai diritti in questione. Inizialmente, perciò, la giurisprudenza della Corte Suprema ha escluso l’applicazione della garanzia ai c.d. diritti di seconda generazione, con particolare alle prestazioni del welfare state161.

Successivamente, a partire da gli anni Settanta, anche l’area dei diritti sociali è stata compresa nel due process, attraverso un’interpretazione evolutiva della nozione costituzionale di proprietà, la c.d. new property162.

A tal fine, il diritto di proprietà viene esteso fino a farvi rientrare anche i diritti sociali di cui il soggetto privato goda concretamente – stabilità del posto di lavoro nel pubblico impiego, sussidi di disoccupazione o di invalidità, etc.- e che pertanto possono già essere annoverati nel patrimonio giuridico del soggetto163.

Il giusto procedimento è dunque sempre previsto per la revoca di questi benefici, ma non per la loro iniziale acquisizione. Quindi, pur nel

159 Abbiamo accennato in precedenza al fatto che tale espressione è traducibile come “giusto processo” o “giusto procedimento”.

160 P. Mezzanotte, Il tortuoso percorso del giusto procedimento come garanzia costituzionale dei diritti, in Percorsi costituzionali, n. 1/2010.

161 Ad es., con riferimento al settore del pubblico impiego e dei licenziamenti disciplinari, cfr. Barley v. Richardsom, 182 F, 2nd [D.C. Circ. 1950].

162 Il famoso saggio di R.B. Reich, The New Property, in Yale Law Journal, 1964, 201 ss. 163 Il leading case della giurisprudenza in questione è il celebre Goldberg v. Kelly, 397 US 254 (1970).

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mutamento della forma di stato dovuta all’espansione del welfare a partire dal New Deal, le vicende giurisprudenziali della “due process clause” continuano a denotare la originaria ispirazione liberale, nel momento in cui il cittadino è garantito contro il potere pubblico con il giusto procedimento solo quando venga privato di un diritto di cui già dispone164.

Quanto al tipo e alle intensità delle garanzie procedurali che la giurisprudenza richiede, sempre a partire dagli anni Settanta la Corte Suprema afferma che il procedimento, specie nel diritto amministrativo, può essere più o meno aggravato – ad es. prevedendo un’audizione orale o un contraddittorio cartaceo, contemplando o meno il diritto alla prova, richiedendo una motivazione completa o succinta, ecc. – a seconda del diritto che viene in considerazione e, insieme, delle esigenze di celerità ed efficienza amministrativa, che invece richiederebbero, il più delle volte, economia di forme e procedure165. Il primo elemento, cioè la necessità

specifica che la posizione giuridica sostanziale goda di adeguate garanzie di procedimento, viene bilanciato con il secondo, ossia il principio di efficienza ed efficacia dell’amministrazione. Tale bilanciamento è condotto caso per caso e ciò rende la regola del due process ancora più flessibile e sfumata, e molto ampia, invece, la discrezionalità di apprezzamento del giudice, il quale di fatto ha il potere di imporre una propria politica del giusto procedimento, che prevale anche su quella del legislatore166.

Nel diritto statunitense, quindi, la questione del giusto procedimento è strettamente ancorata alla natura e al tipo di diritto sostanziale che è alla base di esso e, all’evidenza, l’estensione del principio costituzionale non copre tutta la sfera dell’azione amministrativa, né, quando il principio stesso viene in rilievo, deve essere applicato con eguale intensità in ogni situazione167.

164 Cfr. Board of Regent v. Roth, 408 US 564 (1972). 165 Cfr. Methews v. Eldrige, 424 US, 319 (1976).

166 R. Nania, L’evoluzione costituzionale delle libertà e dei diritti fondamentali, Saggi e casi di studio, Torino, 2010, 112 ss.

167 Con riguardo alla dottrina, si vedano anche F.H.Esterbrook, Subtance and Due process, in Supreme Cort Law Review, 1982, 95 ss.; R.B. Stewart, The Reformation of American Administrative Law, op. cit., 1669 ss.

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Con riferimento, invece, alla giurisprudenza costituzionale italiana, è possibile intravedere della analogie con le vicende del due process americano. Anche la Corte italiana, infatti, si rivela tanto più sensibile alle garanzie del giusto procedimento quanto più il valore in gioco è vicino alla sfera dei principi supremi o dei diritti fondamentali168.

Così, la giurisprudenza sulla necessità del procedimento disciplinare per le sanzioni nel pubblico impiego non appare più come un eccezione alla regola, ma come la conseguenza della posizione fondamentale del lavoro nella Costituzione, sia come principio, sia come diritto del singolo. Il bene della vita, che talvolta resta sullo sfondo (anche se il Giudice delle Leggi tiene sempre presente) è infatti proprio il lavoro, unito talvolta la profilo funzionale dell’interesse pubblico al buon andamento dell’amministrazione, che impedirebbe licenziamenti sommari o arbitrari, cioè condotti senza un’adeguata istruttoria169.