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Paola Flaborea

Il Mce continua, dopo oltre 50 anni, ad essere un’associazione capace di dialogare con le parti vitali della scuola e della società.

E ci riesce perché gli/le insegnanti del Mce lavorano a stretto con-tatto con bambine e bambini, ragazze e ragazzi. Stare in relazione educativa con questi soggetti è impegnativo e può facilmente lo-gorare anche le più alte motivazioni: è un lavoro che ha a che fare con la multiformità del reale, con l’episodicità della quotidianità, con il cambiamento e la trasformazione dei soggetti che sono, per l’appunto, in età evolutiva. Non si dispone di un ‘sapere’ precosti-tuito, pronto per l’uso, perché il cambiamento non si può dedurre, controllare, ma è un prodotto di interazioni non sempre prevedibili.

La situazione educativa è per definizione una situazione complessa ed incerta. Per questo chi opera nel campo educativo ha bisogno di scambio, di sostegno sia sul versante dei contenuti dell’apprendi-mento che su quello della relazione educativa.

Responsabilità nuove

Accanto a questi due versanti oggi il lavoro scolastico richiede agli/alle insegnanti l’assunzione di responsabilità nuove che li in-terrogano rispetto la loro identità personale, professionale e cultu-rale.

Già con il tempo pieno, la scuola materna e l’introduzione del team alle elementari, l’organizzazione dell’attività scolastica pre-vedeva la dimensione collegiale dell’intervento educativo; la più recente legge dell’autonomia sottolinea la natura sociale del lavoro scolastico e la necessità che ogni singolo istituto progetti e realizzi

“interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo svi-luppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla do-manda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerente-mente con le finalità e gli obiettivi del sistema di istruzione con l’e-sigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di

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apprendimento” (dall’articolo 1 del Regolamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche).

Questo forte cambiamento in atto chiede alla scuola la capacità di trasformarsi e pensarsi come ‘impresa collettiva’ in cui l’attività progettuale, gestionale, didattica sia sotto il segno della collegialità, in cui ci sia condivisione delle conoscenze, propensione alla ricerca e alla sperimentazione. Una scuola in cui i ruoli si integrano e co-struiscono un ambiente motivante e responsabile.

Prodotti invisibili

Ma la scuola, come le organizzazioni che producono servizi, è caratterizzata dal fatto che ciò che realizza è intangibile, non è im-mediatamente visibile; gli/le insegnanti faticano ad ottenere grati-ficazioni dal proprio lavoro; poco sostenuti dall’istituzione stessa, le loro competenze professionali non vengono riconosciute dall’e-sterno. È forte la percezione di non incidere con il proprio lavoro.

A questo aspetto si è aggiunto, ormai da tempo, la delegittimazione della scuola.

Anche questo stato di cose induce il singolo a rinchiudersi den-tro l’aula, a cercare il senso della sua azione nella pratica didatti-ca. È opinione diffusa fra le/gli insegnanti che tutto ciò che non è rapporto con i/le bambini/e è tempo perso; la frase ricorrente è “la fatica non è lavorare con i ragazzi e le ragazze, è tutto il resto.”

E con tutto il resto si intendono le riunioni a vari livelli con gli/le colleghi/e, gli incontri con le famiglie, i documenti da compilare…

D’altro canto le problematiche dell’odierna realtà sociale, e quin-di scolastica, che l’insegnante si trova ad affrontare quotiquin-dianamen- quotidianamen-te in aula mostrano l’inadeguaquotidianamen-tezza degli strumenti conosciuti per-ché sono di tale complessità che è velleitario pensare di farvi fron-te da soli sia sotto l’aspetto infron-terpretativo che operativo. Basti solo pensare come la presenza di alunne/i straniere/i abbia messo in di-scussione la pratica didattica e l’organizzazione scolastica.

La sostenibilità del lavoro educativo

Il primo scoglio che si incontra è proprio il prendere atto che ‘da soli non si può’, che la sostenibilità del lavoro educativo può essere promossa a partire dal riconoscimento dell’impossibilità di gestire individualmente i problemi complessi i cui ci si trova immersi, pro-blemi per cui non ci può essere una risposta univoca. E questo com-porta il lavorare con gli altri, richiede il confronto con diversi punti di vista, diversi interessi, diverse idee ed orientamenti.

L’insegnante ha bisogno di cambiare, di ripensarsi in maniera di-versa, deve poter rappresentare in modo differente, non cristallizza-to il proprio ruolo, i/le colleghi/e, il luogo di lavoro.

Per un’associazione educativa come il Mce diventa prioritario occuparsi di questi bisogni: rassicurare gli insegnanti circa la pro-pria capacità produttiva, la propro-pria generatività per elevare l’auto-stima e la fiducia nel proprio gruppo di lavoro. Deve essere data l’opportunità di sperimentare un’attività dentro a un gruppo che re-alizzi un oggetto specifico e limitato in cui si possa riconoscere. È bene fare esperienza di cosa significa progettare un intervento com-plesso e proiettato nel futuro. Questo ha a che fare sia con il rinvio della soddisfazione e della possibilità di avere un riscontro imme-diato, sia con la riflessione sul senso della professione educativa.

La Scuola Estiva

Molti/e insegnanti del Mce, al riguardo, hanno fatto esperienza di organizzazione e gestione di un progetto nella dimensione del-la collegialità. Dal 1993, con l’avvio deldel-la Scuodel-la Estiva il Mce ha dato vita ad una vera ‘impresa collettiva’ che si configura, accanto ad altri aspetti, come un ‘laboratorio’ di ricerca e di sperimentazio-ne sull’organizzaziosperimentazio-ne di una struttura formativa. Le parole che la definiscono: ‘Progetto Scuola Estiva’ già dicono della sua natura.

Il termine ‘scuola’ rimanda a qualcosa di definito, di delimitato, il

‘progetto’ prefigura invece delle ipotesi che dovranno trovare modi e strumenti per essere realizzate.

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Canevaro ci aiuta con il concetto di Pedagogia Istituzionale: “La parola istituzionale viene a volte percepita come burocrazia, che nessuno ama. Ma l’utilizzo è dovuto al fatto che contiene due de-rivati: l’Istituito e l’Istituente: Istituito, cioè ciò che ha già una sua strutturazione, e l’Istituente ciò che va progettato, costruito1

In questi anni credo che lo sforzo maggiore sia stato di cercare un equilibrio fra queste due forze: quella della stabilità, della sicu-rezza data da una struttura sufficientemente collaudata e sperimen-tata e quella dell’incertezza data dalla messa in discussione del già sperimentato e conosciuto e dalla ricerca di tematiche sempre più attente ai bisogni di chi educa.

L’organizzazione di un progetto di formazione

L’organizzazione di un progetto come quello della Scuola Esti-va è complessa. Nel corso degli anni il gruppo di lavoro ha preso consapevolezza delle diverse dimensioni che attraversano questo oggetto di lavoro e si sono chiarite via via le parti che si intreccia-no e concorrointreccia-no alla sua realizzazione. Non tutto ancora è visibile, esplicito e portato a coscienza. Ma oggi si possono vedere con mag-gior lucidità alcuni elementi specifici caratterizzanti questa espe-rienza:

- la costituzione di un gruppo di lavoro - l’équipe di progettazio-ne - attorno ad un oggetto concreto dato dalla settimana di forma-zione nella quale si prosegue la ricerca attorno ad una problematica ritenuta significativa per chi si occupa di educazione;

- la costruzione di ‘alleanze temporanee di lavoro’: il progetto è costruito insieme a persone che a vario titolo si occupano di educa-zione: insegnanti dei vari ordini di scuola, educatori/trici, dirigen-ti scolasdirigen-tici, psicologi. La temadirigen-tica e il disposidirigen-tivo formadirigen-tivo con-seguente si costruiscono sul campo, con questi soggetti che hanno competenze e collocazioni diverse in grado di fare connessioni in una realtà complessa e frammentata. L’obiettivo è fare un

percor-so di lettura della situazione attuale al fine di far emergere la pro-blematica educativa che porterà a definire le ipotesi di azione per la settimana formativa;

- in una prima fase c’è lo sforzo di riconoscimento e di esplici-tazione dei presupposti, dei pregiudizi, delle idee di cui ciascuna persona è portatrice. Con la messa in campo delle ipotesi sottese alle proprie idee, con la possibilità di scambio su come viene visto, vissuto e considerato un problema, risulta possibile individuarne gli elementi sporgenti e connettere tra loro i diversi punti di vista esposti. La presenza di persone provenienti da ambiti diversi offre la possibilità di creare punti di vista inediti che fanno crescere sia le conoscenze attorno al problema che le competenze di ciascuna/o.

Viene sviluppata così una padronanza dei contenuti del problema che aiuta l’impostazione del progetto nelle sue diverse articolazioni attorno a degli elementi che tutti possono riconoscere come validi e di confrontarsi successivamente con i/le partecipanti alla settima-na formativa;

- all’interno dell’équipe ogni persona cura e realizza una o più parti del progetto con la possibilità di rivestire ruoli diversi con dif-ferenti gradi di responsabilità;

- il progetto alterna e intreccia pensiero, azione e verifica. L’équi-pe che realizza la settimana formativa trova nella settimana stessa lo strumento per pensare e quindi per proseguire il progetto. È la ricerca-azione, è la prassi del Mce basata sulla connessione fra pen-siero ed azione, dove è l’azione stessa che consente di conosce-re (vedi il tatonnement e le tecniche di Fconosce-reinet, come strumenti e modalità operative concrete che vanno ogni volta contestualizzate in modo critico e creativo in rapporto alla situazione). Il percorso non è lineare, ha un andamento circolare: si ritorna sull’accaduto e, soprattutto, sulle azioni che non hanno avuto gli esiti desiderati.

Nell’incontro di valutazione si tiene conto sia di quanto acquisito che dei punti critici: si individuano gli elementi di incongruenza e

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gli inciampi per farne oggetto di riflessione per la ri-progettazione;

- la progettazione richiede, oltre allo slancio iniziale, cura, inve-stimento, ripensamento, pazienza ed anche fermezza. In altre paro-le, il gruppo ha progressivamente attivato una funzione ‘genitoria-le’ che si è esplicata, oltre che nella cura per il mantenimento del progetto, anche nel formare, nell’insegnare ad altre persone le mo-dalità operative per intervenire in modo autonomo nell’interpreta-zione del progetto.

Crediamo che l’elemento caratterizzante di questa organizzazio-ne sia la flessibilità intesa come capacità di ascolto delle posizioni, delle attese, degli orientamenti rispetto al progetto di ciascuna per-sona; come capacità di costruire le condizioni affinché le diversità possano coesistere al fine di ri-progettare e continuare ‘l’impresa’;

in altre parole, come capacità di ritornare continuamente sulla mes-sa a punto delle condizioni organizzative che facilitino la co-co-struzione del progetto. Crediamo anche, nel contempo, che questo sia un percorso continuo e non scontato, soprattutto per una asso-ciazione come il Mce, che aderisce a forti ideali e a questi ideali ha sempre cercato di dare corpo attraverso una prassi continuamente rivista.

Infine pensiamo che chi ha partecipato al progetto nelle sue di-verse fasi e nei suoi diversi momenti abbia avuto la possibilità di trovare in esso uno stimolo per vedere con occhi nuovi la professio-ne educativa e di dotarsi di strumenti di lavoro per diventare sog-getto attivo nel lavoro quotidiano a scuola.

a

ppunti sull

osservazione