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Il paradigma dell’ Ecological Urbanism e la creazione di ecosistemi urban

E INNOVATIVI

La ricerca di configurazioni per la città maggiormente vivibili, aperte e ma- nipolabili dagli abitanti, e quindi maggiormente innovative, si ritrova anche all’interno dell’Ecological Urbanism (Mostafavi e Doherty, 2010), una cor- rente di pensiero sviluppata dalla Graduate School od Design dell’Harvard University19. I principi dell’Ecological Urbanism si riallacciano al Landscape

Urbanism20 i cui assunti teorici e le esperienze di progettazione che ad esso

si riferiscono sono orientate alla mitigazione delle problematiche della città contemporanea e ricercano un rinnovato rapporto tra le differenti componenti del paesaggio21.

I concetti teorici dell’Ecological Urbanism, in linea con le più recenti teorie sul paesaggio, promuovono un approccio alla progettazione della città com- prensivo di tutte le manifestazioni biologiche in essa presenti, sottolineando l’importanza dell’azione umana. Sono considerate quindi parte dell’ecosistema urbano e dell’insieme di relazioni che lo costituiscono sia gli elementi che formano l’ambiente naturale, sia quelli prodotti dalla diretta azione dell’uo- mo, comprendenti quindi tutti gli elementi e le infrastrutture tecnologiche di connessione e interscambio di risorse a cui il funzionamento delle città è legato in modo sempre più complesso. I principi dell’Ecological Urbanism si discostano dagli assunti teorici e dalle pratiche strettamente ecologiche, che in precedenza avevano prevalentemente orientato la progettazione del terri- 19 http://ecologicalurbanism.gsd.harvard.edu/index.php

20 Il movimento del Landscape Urbanism nasce per cercare nuove risposte alle problematiche della città contemporanea, sviluppando soluzioni capaci di stabilire ambienti urbani più vivibili e caratterizzati da una forte integrazione e sistematizzazione delle risorse. Contrariamente ad alcune esperienze di pianificazione e progettazione paesaggistica che sostengono una visione distorta del paesaggio, assimilandolo alla sola componente naturale, il Landscape Urbanism, avvicinandosi ad una visione più ampia del concetto di paesaggio comprendente elementi sia naturali che antropici, legge la città come un sistema complesso costituito da componenti fortemente in- terrelate. Il Landscape Urbanism affronta quindi i processi di deterritorializzazione che caratterizzano la città contemporanea, talvolta producenti la perdita di significato dei luoghi e generanti la diminuzione della vivibilità, attraverso un approccio olistico, ricercando soluzioni capaci di stabilire nuovi significati attraverso visioni interrelate e dinamiche dello spazio antropico e naturale. Per approfondire la conoscenza dei principi teorici e delle esperienze di progettazione del Landscape Urbanism si vedano Swaffiels (1984), Corner (1999) e Waldheim (2006).

21 In ambito europeo il paesaggio è definito dalla Convenzione europea del pae- saggio (Council of Europe, 2000) come una determinata parte di territorio, così come

è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni

torio intorno a soluzioni capaci di ristabilire un organico sistema di relazioni nell’ambiente naturale, mitigando i meccanismi di consumo delle risorse legati a pratiche e comportamenti energivori riconducibili all’azione dell’uomo. Nel paradigma ecologico la progettazione del paesaggio antropico era quindi spesso esclusa dagli interventi in favore della ricostituzione di porzioni di territorio, sottostimando la possibilità che interventi legati all’attività umana fossero capaci di incidere positivamente sull’ambiente naturale.

La ricerca di Bruno Latour (2000) è stata determinante nell’orientare la rin- novata concezione del paesaggio e dei sistemi ecologici. Egli ha evidenziato all’interno delle teorie ecologiste alcune contraddizioni, in particolare nelle proposizioni secondo cui l’azione dell’uomo è interpretata come un elemento artificiale ed esterno all’ambiente naturale. Tale contraddizione emerge dalla crescente difficoltà di classificare gli elementi del paesaggio all’interno delle categorie naturale e artificiale, proprio a causa della complessità delle relazioni che generano le trasformazioni del paesaggio. Il paesaggio, o l’ecosistema urbano, è quindi interpretato come il risultato di azioni interrelate tra cui è imprescindibilmente compresa quella dell’uomo.

Il complesso rapporto tra umani e ambiente naturale è affrontato nel paradigma dell’Ecological Urbanism (Mostafavi e Doherty, 2010) facendo riferimento a Gregory Bateson (1972) e Felix Guattari (2000), il cui pensiero ha influenza- to l‘accettazione dell’azione dell’uomo tra le componenti che influiscono in modo determinante, positivamente e negativamente, sull’ecosistema urbano. Bateson ha sottolineato che l’ecologia urbana studia non tanto i sistemi di sussistenza delle molteplici specie, famiglie e organismi che compongono l’ambiente, ma si concentra sullo studio delle sopravvivenza delle idee e dei programmi, ricostituendo la continuità tra ambiente e azione dell’uomo all’interno di un complesso apparato di interrelazioni. Guattari introduce il concetto di ecosophy, che si sviluppa in tre registri ecologici: l’ambiente, le relazioni sociali e la soggettività umana. Egli sostiene che soltanto attraverso profondi cambiamenti politici, sociali e culturali si possano modificare i pro- cessi in atto, mutando gli assetti materiali e immateriali su cui sono fondati. In tal senso, egli propone il concetto dei territori dell’esistenza, arricchendo il dibattito con i temi della responsabilità individuale e dell’azione di gruppo, che diventano forme possibili attraverso cui l’intervento dell’uomo può riconfigu- rare il reale. L’approccio ecosofico di Guattari suggerisce come una rinnovata visione della realtà influisca non soltanto all’interno dei processi di creazione e modificazione e nell’interazione tra le diverse componenti dell’esistente, ma anche all’interno del pensiero stesso, che diventa capace di riconfigurarsi costantemente, sviluppando nuove sensibilità fondate sull’instabilità. Bruno Latour

Gregory Bateson

Secondo i principi dell’ Ecological Urbanism nel progetto della città diventa quindi essenziale riconoscere gli elementi che caratterizzano tale stato di precarietà, riconfigurandoli per mezzo di soluzioni multidisciplinari, colla- borative, ibride, che mettano a sistema le componenti mutevoli e instabili e attivino processi produttivi. I multiformi paesaggi esistenti sono quindi considerati in tutte le loro manifestazioni, compresi i punti di debolezza e le criticità: entrambi sono parte integrante dello stesso ecosistema e la loro modificazione si apre a processi creativi e innovati capaci di sviluppare nuove configurazioni territoriali e urbane.

Tra i progetti che, secondo la visione dell’Ecological Urbanism, hanno speri- mentato la produzione di spazi creativi e innovativi è presente Il progetto di OMA per il Parc de La Villette del 1982, non realizzato: esso è un esempio emblematico di come un progetto per la città possa essere capace di asse- condare l’instabilità e la necessità di ri-modulazione degli equilibri dell’eco- sistema urbano, facilitando l’integrazione di molteplici attività, anche quelle non prevedibili. Esso non propone una soluzione definita, ma un metodo per combinare l’indeterminatezza programmatica con la specificità architettonica, costruendo un progetto basato su condizioni possibili ma non pre-determinate e quindi aperte ad usi non immaginati in fase progettuale (Koolhas, 1995). Paola Viganò (2010) osserva che il bando per il concorso del Parc de La Villete, redatto dall’EPPV (Etablissement Public du Parc de La Villet) eviden- ziava già preliminarmente la necessità di nuove modalità di progettazione che fossero in linea con le nuove istanze della città contemporanea. Dal suo punto di vista non solo il progetto di OMA, ma anche la proposta progettuale di Cedric Price interpreta in modo innovativo i requisiti espressi dal bando. Riportando una frase tratta dalla relazione di progetto “A lung for the city� A

twenty-four hours workshop where all can extend their knowledge and delight in learning”, Viganò evidenzia come la proposta di Price sia orientata a far

emergere soluzioni non pianificate e disegni uno spazio che permetta alle persone di esprimere liberamente il loro desiderio di conoscenza, configurando in prima persona lo spazio affinché esso costituisca una rappresentazione attuale e collettiva delle persone che lo vivono.

I progetti che si sono accostati ai concetti teorici dell’’Ecological Urbanism cercano di rappresentare le modalità attraverso cui configurare lo spazio della città in forme più aperte ai processi emergenti, all’azione diretta dei cittadini, inquadrandola in un più ampio processo di trasformazione collettiva. Tra questi è compreso il già citato progetto sulla Micromobilità (Mitchell, 2010); inoltre sono particolarmente esplicativi della visione orientata all’apertura e all’innovazione gli interventi di User-Generated Urbanismdi Rebar (2010) com-

prendenti una serie di progetti, pratiche e azioni che inventano usi temporanei che si innestano negli interstizi dello spazio urbano, promuovendo modalità d’uso dello spazio più dinamiche e maggiormente aperte all’espressione delle tendenze creative e artistiche: Park(ing) trasforma gli stalli ai lati della strada in parchi temporanei e Commonspace esplora i confini tra proprietà pubblica e privata mappando i POPOS (privately owned public open space) e propone nuove pratiche che ne ottimizzino l’utilizzo; il progetto intitolato CitySense, sviluppato dalla Scuola di Ingegneria e Scienze Applicate di Harvard insie- me a BBN Tecnologie (Murty et al, 2007; Welsh, Bers, 2010) realizza una infrastruttura aperta e collaborativa per la lettura della città, consistente in una rete di sensori i cui dati sono accessibili via web e aperti all’utilizzo da parte degli utenti finali; le Self-engineering ecologies(Outram et al., 2010), ovvero delle infrastrutture co-gestite, permettono di monitorare in tempo reale i flussi della città e di renderli accessibili e utilizzabili dagli utenti finali. Le Self-engineering ecologies sono alla base di numerosi progetti sviluppati dal MIT SENSEable City Laboratory, diretto da Carlo Ratti, che mettono in evidenza le possibilità offerte dalle tecnologie di informazione e comunica- zione pervasive in contesti urbani consolidati. In tali progetti (si citano ad esempio Trash|Track22 e Copencycle23) i flussi e gli eventi della città sono

mappati in tempo reale, facilitando l’interpretazione dei processi urbani e l’azione cosciente da parte dei cittadini e ottimizzando l’utilizzo delle risorse. Nel paradigma dell’Ecological Urbanism si ritrovano diversi punti di contatto con il quadro teorico e le esperienze della Smart City e da esso possono trarsi spunti che ampliano la riflessione sulle modalità attraverso cui svilup- pare contesti urbani aperti, innovativi e capaci di stabilire processi inclusivi e azioni collettive.

22 Trash|Track monitora gli spostamenti dei rifiuti urbani e permette di osservare con maggiore dettaglio e di rappresentare in modo più completo il loro processo di smaltimento, costituendo uno strumento per il miglioramento della sua gestione, http://senseable.mit.edu/trashtrack/

23 Copencycle, sviluppato in collaborazione con la Municipalità di Copenhagen, utilizza sensori per monitorare l’utilizzo della bicicletta tra i cittadini di Copenhagen e crea una rappresentazione visuale di tali flussi; inoltre i sensori hanno la funzione di facilitare la creazione di una rete sociale tra i ciclisti, sostenendo forme di orga- nizzazione emergenti, http://senseable.mit.edu/copencycle/projects.html

Figura 11

il progetto Trash | Track, MIT Senseable city lab, 2009. Mappa delle tracce registrate attraverso le tags applicate ai rifiuti.

Figura 12

Il progetto Trash | Track, MIT Senseable city lab, 2009.

in alto

Mappa delle tracce di un contenitore in plastica gettato tra i rifiuti a New York.

in basso

La tag applicata ai rifiuti

con cui è stato effettuato il tracciamento dei loro spostamenti.