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Parametri di valutazione per i refrigeranti

4.1 Pompa di calore

4.4.2 Parametri di valutazione per i refrigeranti

I parametri di valutazione per i fluidi refrigeranti sono i seguenti:

• composizione molecolare: idrocarburi (HC), idrofluolocarburi (HFC), idroclorofluorocarburi (HCFC), clorofluorocarburi (CFC), …;

• complessità molecolare;

• proprietà fisiche e termodinamiche: calore specifico, densità, calore latente, conducibilità termica, viscosità, massa molecolare, punto di ebollizione, temperatura critica, pressione critica, punto di congelamento, stabilità al variare della temperatura, …;

• sicurezza: indice di infiammabilità, indice di tossicità, compatibilità con i materiali, Ozone Depletion Potential (ODP), Global Warming Potential (GWP), …;

• costo.

Si può fare riferimento alla normativa ASHRAE Standard 34 per le considerazioni in merito alla pericolosità dei fluidi refrigeranti. Ciascuno di essi viene classificato per pericolosità in base alla sua tossicità e infiammabilità (Figura 56). Nella tecnica vengono impiegati ugualmente anche sostanze ritenute pericolose, vale a dire tossiche,

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infiammabili o corrosive, a patto che l’utilizzo avvenga in determinate condizioni di sicurezza.

Figura 56. Classificazione della sicurezza dei refrigeranti nella Standard ASHRAE 34 [32].

Oltre alla sicurezza, la scelta del fluido refrigerante deve tener conto dell’impatto ambientale, soprattutto a seguito dei trattati internazionali, primo fra tutti il protocollo di Montreal del 1977. Nel corso degli anni, alcuni refrigeranti sono stati banditi, e si è passati all’utilizzo di quelli ritenuti meno inquinanti (Figura 57). I parametri fondamentali, dal punto di vista ambientale, sono:

• l’Ozone Depletion Potential, che quantifica la dannosità del composto per l’ozono. Preso come riferimento il triclorofluorometano (R-11), a cui viene assegnato il valore 1: i clorofluorocarburi hanno ODP circa 1, i bromofluorocarburi hanno ODP maggiore di 5, gli idroclorocarburi hanno ODP minore di 0,2 mentre gli idrofluorocarburi hanno ODP nullo, poiché non possiedono atomi di cloro e bromo. Ad oggi i composti che presentano ODP maggiore di 1 sono banditi nell’utilizzo come refrigerante o per altri usi industriali.

• il Global Warming Potential, che quantifica il contributo del composto all’effetto serra, preso come riferimento l’anidride carbonica (CO2) che ha GWP pari a 1. Esistono anche altri indici di impatto ambientale, come, ad esempio, il Total Equivalent

Warming Impact (TEWI), che oltre al GWP, che esprime il contributo diretto del fluido

al riscaldamento globale, tiene conto anche dei contributi indiretti, ovvero quelli dovuti ai processi di produzione e al funzionamento del fluido durante la sua vita utile.

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Figura 57. Varie generazioni di refrigeranti utilizzate nel tempo in base alle normative vigenti. [33]

Uno dei principali parametri da valutare nella scelta del fluido di lavoro è la temperatura critica.

Nel caso dell’ORC, essa non deve essere troppo inferiore rispetto a quella della sorgente termica, in modo da evitare le irreversibilità legate alla notevole distanza fra le curve di scambio nell’evaporatore, e da non limitare il rendimento del ciclo, mantenendo la temperatura di evaporazione ad un valore troppo basso rispetto a quello teoricamente raggiungibile con quella fonte. La pressione di evaporazione del ciclo non deve però avvicinarsi troppo a quella critica, in quanto in prossimità del punto critico a piccole variazioni di temperatura corrispondono grosse variazioni di pressione, rendendo difficile il controllo del ciclo, che è basato proprio sulle pressioni di esercizio. In caso di fluidi asciutti inoltre, operando a pressioni elevate, si raggiungono alte temperature di fine evaporazione, col rischio che, durante l’espansione, si entri nella regione bifase, come visibile in Figura 58.

Figura 58. Raggiungendo, all’interno di un ciclo ORC che impiega un dry fluid, temperature di evaporazione prossime a quella critica, si può verificare l’ingresso

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Operare nei pressi del punto critico può portare anche a fenomeni di instabilità all’interno del fluido stesso.

Per quanto riguarda, invece, la pompa di calore, l’effetto della temperatura critica sulle prestazioni è più diretto: fissate le temperature fra le quali opera il ciclo, maggiore è la temperatura critica del fluido operativo, migliori sono le prestazioni raggiunte.

Altre importanti proprietà da valutare nella scelta del fluido operativo sono il calore latente di evaporazione e il peso molecolare.

Un elevato calore latente di evaporazione è generalmente preferibile poiché, a parità di portata massica, permette un maggiore assorbimento di calore nell’evaporatore. Per un ciclo ORC si dimostra che il calore latente di evaporazione influenza il lavoro specifico di espansione [35]. Infatti, partendo dall’equazione di Clausius-Clapeyron, che descrive la variazione della pressione in funzione della temperatura lungo la curva di equilibrio fra due fasi di una stessa sostanza, si ha:

𝑑𝑝 𝑑𝑇 =

𝜆𝑒𝑣𝑎𝑝 𝑇∆𝑣

dove ∆𝑣 indica la variazione di volume specifico durante il passaggio di fase, ma essendo il volume specifico della fase vapore molto maggiore della fase liquida, si può considerare:

∆𝑣 = 𝑣𝑣𝑎𝑝− 𝑣𝑙𝑖𝑞 ≅ 𝑣𝑣𝑎𝑝 Sfruttando l’approssimazione di gas perfetto:

𝑣𝑣𝑎𝑝 = 𝑅𝑇 𝑝 Dunque, si ottiene: ln (𝑝𝑐𝑜𝑛𝑑 𝑝𝑒𝑣𝑎 ) = 𝜆𝑒𝑣𝑎𝑝 𝑅 ( 1 𝑇𝑖𝑛,𝑒𝑠𝑝− 1 𝑇𝑜𝑢𝑡,𝑒𝑠𝑝 ) ma essendo il salto entalpico subito dal fluido in turbina pari a:

∆ℎ𝑒𝑠𝑝 = 𝑘 𝑘 − 1𝑅𝑇𝑖𝑛,𝑒𝑠𝑝[1 − ( 𝑝𝑐𝑜𝑛𝑑 𝑝𝑒𝑣𝑎 ) 𝑘−1 𝑘 ] si giunge a: ∆ℎ𝑒𝑠𝑝 = 𝑘 𝑘 − 1𝑅𝑇𝑖𝑛,𝑒𝑠𝑝[1 − 𝑒 𝜆𝑒𝑣𝑎𝑝 𝑐𝑝 ( 1 𝑇𝑖𝑛,𝑒𝑠𝑝− 1 𝑇𝑜𝑢𝑡,𝑒𝑠𝑝 )]

Un elevato calore latente di evaporazione comporta, quindi, un elevato salto entalpico da smaltire a cavallo dell’espansore. Un maggiore salto entalpico significa maggiore lavoro specifico, vale a dire minore portata di fluido elaborata che riduce il consumo

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richiesto dalla pompa. Al contempo, un elevato salto entalpico comporta alte velocità periferiche o più stadi di espansione, ovvero maggiori costi per l’espansore. D’altra parte, nel caso di ORC per recupero di cascami termici a bassa temperatura, è preferibile che il fluido abbia basso calore latente di evaporazione, affinché ci sia una maggiore congruenza fra i profili termici dovuta alla maggiore variabilità della temperatura durante lo scambio, come visibile in Figura 59 [36], riducendo le relative irreversibilità esterne.

Figura 59. Effetto di un diverso calore latente di vaporizzazione sulle irreversibilità durante lo scambio termico in un ciclo ORC.

Il peso molecolare influenza le dimensioni e l’efficienza dell’espansore dell’ORC: a parità di potenza prodotta, macchine funzionanti con fluidi ad elevato peso molecolare richiedono un minore numero di stadi, anche solo uno, e pale più alte, andando a ridurre il gioco fra cassa e girante e quindi le perdite per trafilamento. Essendo il salto entalpico pari a: ∆ℎ𝑒𝑠𝑝 = 𝑘 𝑘 − 1𝑅𝑇𝑖𝑛,𝑒𝑠𝑝[1 − ( 𝑝𝑐𝑜𝑛𝑑 𝑝𝑒𝑣𝑎) 𝑘−1 𝑘 ] ed essendo la costante dei gas specifica legata a quella universale:

𝑅 = 𝑅0 𝑀. 𝑊.

si arriva, nelle ipotesi di trasformazione isoentropica e gas perfetto, alla correlazione fra peso molecolare e salto entalpico elaborato dall’espansore:

∆ℎ𝑒𝑠𝑝 = 𝑘 𝑘 − 1 𝑅0 𝑀. 𝑊.𝑇𝑖𝑛,𝑒𝑠𝑝[1 − ( 𝑝𝑐𝑜𝑛𝑑 𝑝𝑒𝑣𝑎 ) 𝑘−1 𝑘 ]

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Altra caratteristica fondamentale da tener presente nel selezionare il fluido evolvente, riguarda la pendenza della curva limite superiore, in quanto da essa dipendono l’efficienza del ciclo e la potenza netta estratta, oltre che l’assetto e la componentistica dell’impianto. Utilizzando un diagramma T-s, un fluido è detto secco, umido o isoentropico se la curva limite superiore ha pendenza 𝑑𝑇/𝑑𝑠 rispettivamente positiva, negativa o tendente ad infinito (Figura 60). Sono secchi Benzene, Toluene, Isobutano, R245fa, R123; fra gli umidi si ricorda l’ammoniaca, oltre ovviamente all’acqua, mentre fra gli isoentropici l’R134a. La differenza fondamentale fra essi riguarda il titolo raggiunto a fine espansione. Una espressione per valutare la pendenza della curva di saturazione del vapore [37], per un dato fluido, è data dal calcolo del suo inverso 𝜉 =𝑑𝑠

𝑑𝑇: 𝜉 = 𝑐𝑝 𝑇𝐻− (1 − 𝑇𝑛 ∙ 𝑇𝑟𝐻 𝑟𝐻) + 1 𝑇𝐻2 ∆𝐻𝐻 dove:

• 𝑛 indica un fattore il cui valore è pari a 0,375 o 0,38; • 𝑇𝑟𝐻 indica il rapporto fra le temperature 𝑇𝐻 e 𝑇𝐶; • ∆𝐻𝐻 indica l’entalpia di evaporazione.

Figura 60. Rappresentazione sul diagramma T-s della curva limite per le diverse tipologie di fluido.

La pendenza della curva limite superiore incide molto nella scelta del fluido operativo da impiegare in un impianto ORC. Nel caso di fluidi umidi, aventi una campana simile a quella dell’acqua, è necessario il surriscaldamento alla fine dell’evaporazione, per evitare di terminare l’espansione con un titolo troppo basso, con presenza di gocce di liquido che corrodono la palettatura della turbina. Al contrario, impiegando fluidi secchi e isoentropici, il surriscaldamento non è necessario, ma può anzi diventare controproducente. In Figura 61 è mostrato come, all’aumentare del surriscaldamento,

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ovvero della temperatura di ingresso in turbina, impiegando un fluido secco come l’R113, si ha un calo del rendimento del sistema.

Figura 61. Rendimento di un sistema ORC al variare della temperatura di ingresso in turbina per il fluido secco R113 considerando la temperatura di ingresso nell’evaporatore pari a 293K. Ciascuna curva corrisponde ad un diverso valore della

pressione di ingresso in turbina. [38]

Addirittura, in caso di fluido molto secco, si ottiene un vapore fortemente surriscaldato a fine espansione. Tale situazione comporta uno svantaggio sia a livello termodinamico, per il potenziale quantitativo di energia non sfruttato, sia a livello tecnico, in quanto, per il desurriscaldamento, è necessario un condensatore con elevata area di scambio a causa della bassa conducibilità termica del fluido in fase vapore; in questo caso, complicando l’impianto e aumentando i costi d’installazione, si può optare per l’adozione di uno scambiatore rigenerativo (Figura 62).

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In questo modo, si recupera parte del calore sensibile contenuto nel vapore, in modo da desurriscaldare impiegando il calore sottratto per il preriscaldare il liquido in ingresso all’evaporatore. Non risulta possibile recuperare interamente il calore fino a completo desurriscaldamento poiché bisogna tenere conto del riscaldamento del fluido che avviene nella pompa e delle dimensioni delle superfici di scambio. La rigenerazione non viene comunque impiegata in impianti piccoli, per i quali si privilegiano la semplicità e il basso costo.

Un caso particolare, ma molto significativo, è quello che vede l’ORC impiegato per il recupero di calore di scarto. In questo caso, l’impiego della rigenerazione può addirittura peggiorare le prestazioni globali dell’impianto, in quanto preriscaldare il fluido operativo in ingresso all’evaporatore significa richiedere meno calore alla sorgente termica durante l’evaporazione. Il vettore termico da cui si recupera calore lascia, quindi, l’evaporatore, con una temperatura maggiore di quella che si avrebbe in assenza di rigenerazione; a questa condizione si associa un maggiore quantitativo di energia disperso nell’ambiente e non recuperato.

Il surriscaldamento alla fine dell’evaporazione per i fluidi umidi, oltre ad evitare le suddette problematiche tecniche, permette di aumentare il rendimento del ciclo, al contrario di quanto accade nei fluidi secchi. Questo fenomeno è legato al fatto che, aumentando il grado di surriscaldamento nell’evaporazione ovvero spostandosi verso destra nel diagramma T-s, nel caso di fluido umido si ha un progressivo allontanamento delle isobare, mentre nel caso di fluido secco si ha un avvicinamento: ciò si traduce rispettivamente in una maggiore e minore quantità di lavoro estratto, e quindi maggiore e minore efficienza.

Anche per la pompa di calore è importante la pendenza della curva di saturazione. Al contrario degli ORC, è necessario prestare attenzione all’utilizzo di fluidi con curva di saturazione retrograda, poiché sussiste l’eventualità per cui, durante la compressione, si intersechi la curva del vapore, entrando all’interno della campana e rischiando così il danneggiamento, o la rottura, del compressore stesso.

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