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Durante i primi anni di lavoro della politica di vicinato, la Polonia propose un'iniziativa più mirata verso i vicini dell'Est, ma inizialmente non ricevette la dovuta considerazione in quanto l'Unione era impegnata ad adeguare le proprie istituzioni dopo il grande allargamento del 2004. Nel 2008 l'iniziativa venne appoggiata anche dalla Svezia e fu presentata come una risposta ad alcune lacune che mostrava la politica di vicinato. La principale critica era appunto il fatto che essa riunisse paesi molto differenti, sia geograficamente che a livello culturale ed economico.

Il progetto del Partenariato Orientale prese avvio durante il Vertice di Praga, il 7 Maggio 2009, alla presenza del Presidente della Commissione Barroso, del Presidente del Consiglio Topolanek e dell'Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza Javer Solana, oltre ai rappresentanti degli stati coinvolti nell'iniziativa.110 La politica di vicinato dunque prendeva due direzioni diverse, una verso Est ed una verso Sud, che prese il nome di Unione per il Mediterraneo, fortemente sostenuta dai paesi europei del Mediterraneo ovvero Spagna, Grecia e Italia. Tuttavia, i leader europei all'unisono precisarono che questa diramazione non sanciva una scissione della politica di vicinato, anche se è inevitabile notare la grande divergenza dei due gruppi, interessati a sviluppare con l'Unione cooperazioni diverse in differenti settori.

Il Partenariato Orientale includeva: Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina e questi paesi riponevano nel Vertice di Praga grandi aspettative. In realtà il summit mostrò sin da subito alcune debolezze, in quanto avrebbero dovuto presenziarlo ben 33 capi di Stato e di governo ma le presenze effettive furono solo 21. Tra i grandi assenti figuravano nominativi del calibro di Silvio Berlusconi, Nicolas Sarkozy, Luis Zapatero e Gordon Brown, che preferirono delegare la questione ai propri vice e questo conferì al summit una avvio piuttosto precario. La ragione di tali assenze potrebbe essere individuata nel fatto che il Partenariato Orientale fosse un'iniziativa polacco svedese e, vista la dimensione piuttosto mediterranea degli Stati sopracitati, questi abbiano ritenuto

110 Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo, Partenariato Orientale, COM(2008) 823, Bruxelles, 3 Dicembre 2008.

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la questione non di vitale importanza.111 Un altro fattore di debolezza fu la Presidenza ceca di Topolanek, il cui semestre sollevò il malcontento generale degli altri stati membri a causa della poco sviluppata capacità di mediazione del capo di Stato. Infatti la Repubblica Ceca assunse la Presidenza di turno senza aver ratificato il Trattato di Lisbona e due mesi prima del termine, Topolanek venne sfiduciato dal suo parlamento, passando il testimone ad un euroscettico Vaklav Klaus.

Ulteriori divergenze si registrarono tra i paesi membri dell'Unione in quanto una parte di essi, tra cui l'Italia, ritenevano corretto invitare alla cerimonia di apertura anche la Russia e la Bielorussia di Lukashenko, seppure quest'ultima fosse esclusa dalla politica di vicinato a causa delle conclamate violazioni dei diritti umani. Tuttavia, un invito al summit di Praga avrebbe potuto costituire una buona opportunità di discussione politica.

Il contesto nel quale ebbe luogo l'avvio del Partenariato Orientale non fu dunque privo di problematiche, ed entrando nel merito non si fatica a notare una sostanziale mancanza di ottimismo nell'ottemperare gli auspici dei paesi dell'Est Europa. Nonostante i lodevoli obiettivi del Partenariato comprendessero anche una semplificazione del regime dei visti, sino ad una futura eliminazione degli stessi, le conclusioni del Vertice di Praga non introducevano niente di nuovo in questo senso.

Esse si limitavano infatti a riproporre un regime di visti più elastico solo nei confronti di alcune categorie di cittadini, rimandando la totale liberalizzazione in un prossimo futuro. Su questo aspetto la Germania di Angela Merkel giocò un ruolo fondamentale, assieme all'Austria, in quanto non si dimostrarono disposte a concedere vantaggi sulla tematica in questione. Una peculiarità del Partenariato Orientale era costituita dalla pluralità di soggetti che avevano la possibilità di partecipare alle iniziative, tra cui erano inclusi ministeri, istituzioni finanziarie e governative, in aggiunta ai soggetti privati e alla società civile.112

Il Partenariato Orientale si proponeva di stipulare nuovi Accordi di Associazione che sostituissero gli Accordi di Partenariato e Cooperazione, che continuavano ad fornire la base giuridica della politica di vicinato. I negoziati si sarebbero sviluppati su basi bilaterali, tra l'Unione e i vari paesi dell'Est Europa.

111 M. Comelli, Partenariato Orientale: una falsa partenza?, articolo pubblicato sulla rivista Affari Internazionali, in data 11 Maggio 2009

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Osservatorio di Politica Internazionale, Il Partenariato Orientale dell'UE: tra potenzialità e debolezze, Approfondimento n. 05 del Dicembre 2009, p. 3, ISPI, Milano, reperibile al seguente indirizzo

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Maggiore importanza venne conferita alla politica energetica, inserendo negli Accordi di Associazione specifiche disposizioni in modo da incentivare l'integrazione dei mercati dell'energia delle sei Repubbliche dell'Est con i mercati europei. Per garantire ciò si rendeva necessario un costante controllo delle forniture di gas e delle infrastrutture adibite al passaggio e l'Unione di impegnava a fornire supporto finanziario e tecnico al fine di raggiungere risultati soddisfacenti in tale ambito.

Tuttavia, la strategia adottata nei confronti del Partenariato Orientale non comportava un impegno particolarmente faticoso per l'Unione e fu approvata senza difficoltà da tutti i paesi membri, anche se ciò significava deludere le aspettative di stati come l'Ucraina, che speravano in una cooperazione sempre più stretta in settori sempre più strategici.

Analizzando nello specifico le peculiarità degli attori statali coinvolti in tale processo si nota innanzitutto la loro profonda diversità sia in ambito geografico, in quanto tre di essi sono situati nell'Europa Orientale e tre nella regione caucasica, sia in ambito politico ed economico. Ciò che li accumuna è indubbiamente l'influenza russa, che in alcuni stati è più radicata e in altri più marginale. Dallo scioglimento dell'Unione Sovietica, ciascuno di essi fu coinvolto in un processo di ridefinizione dell'identità nazionale e negli anni in cui fu avviato il Partenariato Orientale era possibile individuare tre aree di crisi comuni:

• crisi dello stato: ovvero la debolezza delle istituzioni, che faticavano a contrastare il fenomeno della corruzione. Oltre a tale problematica, spesso emergevano con prepotenza le diversità tra le varie etnie presenti sui territori degli stati, sino a porre in discussione l'integrità statale. Le sei Repubbliche inoltre non erano caratterizzate da sistemi apertamente democratici, ma persisteva un certo grado di autoritarismo nel potere.

• crisi economica: minava seriamente la stabilità finanziaria e istituzionale dei paesi in questione, che erano caratterizzati da un sistema economico debole e da un PIL decisamente minore della media europea. Non va dimenticato che le economie dei suddetti stati erano ancora in fase di transizione da un sistema centralizzato, tipico sovietico, ad un sistema liberale, con conseguente aumento della disoccupazione e impoverimento dei cittadini.

• crisi nei rapporti con la Federazione Russa: l'influenza del gigante russo nei confronti degli stati ex sovietici continuava ad avere un certo peso poiché Mosca mirava a mantenere i propri interessi in una regione che considerava di vitale importanza. Eredità dell'Unione

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Sovietica era infatti l'imponente sistema di transito del gas, che rendeva le sei Repubbliche in gran parte dipendenti dal vicino russo.

Tuttavia, nel periodo trattato, i paesi dell'Europa Orientale si caratterizzavano per differenti approcci verso il soft power del Cremlino, la cui ingerenza non sempre veniva tollerata.113 L'Unione Europea non era in grado di rispondere in modo incisivo a tali problematiche a causa delle sue divisioni interne, che la rendevano incapace di sviluppare una solida posizione comune in politica estera. Tale attitudine traspariva in modo ancor più evidente quando erano in gioco interessi vitali come la governance della regione post sovietica.

In questa sede si ritiene opportuno analizzare nel dettaglio la posizione degli stati in questione nei confronti dell'Unione Europea e della vicina Russia. La Georgia e l'Ucraina si distinguevano per la spiccata volontà di prendere le distanze dalle ingerenze di Mosca e integrarsi nelle relazioni euro atlantiche, specialmente dopo lo scoppio delle Rivoluzioni colorate in entrambi i paesi. La loro caratteristica di essere geograficamente ben disposti per le rotte energetiche verso l'Europa, attirava l'interesse strategico sia russo che europeo. Entrambi erano membri del GUAM, organizzazione regionale, che comprendeva inoltre Moldavia e Azerbaijan, e si opponeva all'influenza russa della zona, creando terreno fertile per un progressivo avvicinamento all'Unione Europea.

Un discorso a parte merita l'Ucraina, che rappresentava un importante fattore identitario per la Russia, poiché furono proprio gli ucraini a fondare il Regno di Rus' nel IX secolo. Sia l'Ucraina che la Georgia erano candidate al Membership Action Plan della NATO, ma la loro candidatura si scontrava con il freno posto dai paesi europei maggiormente legati alla Russia114 da interessi economici. La Russia infatti riteneva l'adesione dei due stati dell'Europa Orientale alla NATO una chiara minaccia. Tuttavia l'impegno dell'Unione nei confronti dell'Ucraina e della Georgia contribuiva ad aumentare il distacco da Mosca, confermato inoltre dall'adesione di entrambi i paesi all'Organizzazione Mondiale del Commercio.

Il Presidente georgiano Saakashvili definì il Partenariato Orientale come l'opportunità per il proprio paese di acquisire legittimità in politica estera e di rispondere allo scontento dei cittadini dopo la perdita delle due regioni separatiste dell'Ossezia e dell'Abkhazia. Medvedev propose nel 2008

113 Osservatorio di Politica Internazionale, Il Partenariato Orientale dell'UE: tra potenzialità e debolezze, Approfondimento n. 05 del Dicembre 2009, p. 5, ISPI, Milano, reperibile al seguente indirizzo

http://www.ispionline.it/it/documents/Approfondimento_%20Partenariato%20Orientale.pdf 114

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l'avvio di una discussione in merito ad uno spazio di sicurezza da Vancouver a Vladivostock, in modo da garantire l'unitarietà della sicurezza euro atlantica ed evitare divisioni istituzionali. Questo progetto rimase puramente astratto e non venne mai avviato un negoziato in merito, anche se era testimonianza della volontà di Mosca di superare i blocchi lasciati dalla Guerra Fredda. L'Armenia e l'Azerbaijan, due Repubbliche del Caucaso, affrontavano un conflitto interno concernente la regione separatista del Nagorno Karabakh e si trovavano coinvolti in un processo che richiedeva un bilanciamento dei rapporti sia con la Russia che con l'Unione Europea.

Proprio la ricerca di questo equilibrio in politica estera comportava la loro partecipazione alle esercitazioni della NATO, ma anche alle varie organizzazioni regionali dell'area ex URSS, capeggiate appunto dalla Russia. Dunque il Partenariato Orientale si prospettava come una via intermedia tra il potenziamento delle relazioni con l'Unione e lo storico legame con Mosca.

L'Azerbaijan adottò una politica estera che si sviluppava su vari livelli, poiché la ricchezza energetica del paese permetteva una multilateralità che si svolgeva su più piani. Dopo una iniziale cooperazione con l'Unione Europea, le entrate derivanti dalla vendita del gas non erano più sufficienti ad arginare la crisi e l'Azerbaijan si trovò costretto a ricorrere agli aiuti propugnati da Mosca. La Moldavia e la Bielorussia rivisitarono la loro posizione verso la Russia dopo la crisi in Georgia del 2008. Le elezioni del 2009 in Moldavia videro la sconfitta del partito comunista e ciò sembra confermare il cambiamento di rotta verso l'occidente, anche se permangono circa 1300 soldati russi al confine con la Transnistria, regione separatista moldava.

La reazione al Partenariato Orientale fu piuttosto critica poiché l'auspicio era quello di una maggiore integrazione a livello bilaterale anziché regionale, che distoglieva l'attenzione da una possibile futura adesione effettiva. La Bielorussia registrava un cambiamento nella propria politica interna attraverso l'avvio di un programma di liberalizzazione economica, sintomo di un iniziale allontanamento da Mosca. In politica estera Lukashenko si mostrò reticente a riconoscere l'indipendenza delle due regioni georgiane dell'Ossezia del Sud e dell'Abkhazia, e questo confermava l'incertezza delle relazioni tra i due alleati storici.

Dunque, dall'analisi di cui si sopra, si evince che l'adesione al Partenariato Orientale non significava, per i paesi coinvolti, una svolta in senso europeista, poiché ognuno di essi continuava ad avere relazioni più o meno intense con la Russia. Non va dimenticato, a questo proposito, che gli Stati di cui sopra condividono con Mosca molti più aspetti culturali, storici e ideologici rispetto

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all'Europa, considerando che minoranze russe sono presenti sia in Ucraina (in Crimea addirittura viene raggiunto il picco il 58% di russi sul totale della popolazione) sia negli altri paesi del Partenariato Orientale.115 Inoltre era rilevante anche il numero di cittadini immigrati in Russia in cerca di lavoro, si contavano infatti poco meno di due milioni di Ucraini e di Azeri, oltre a un milione di georgiani. Numeri, questi, che rendevano quasi inevitabile una qualche forma di cooperazione tra gli stati ex URSS e Mosca.

L'influenza russa si fece sentire proprio negli anni in cui venne varata l'iniziativa. Infatti, a causa della crisi economica, molti investimenti del Cremlino si indirizzarono nei settori delle infrastrutture e dell'energia dei paesi ex sovietici, oltre che fornire prestiti in liquidità per far fronte ai debiti pubblici.

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