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Le relazioni tra Federazione Russa e Unione Europea: tra competizione e collaborazione

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

Corso di laurea in Studi Internazionali

TESI DI LAUREA

Le relazioni tra Federazione Russa e Unione Europea:

tra competizione e collaborazione

Relatore

Prof. ssa Marinella Neri Gualdesi

Candidato

Debora Reali

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A mio nonno, a tutte le domande che avrei voluto fargli, alla sua passione e ai suoi ideali, che

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INDICE Introduzione Capitolo 1

L'URSS e l'Unione Europea: giganti distanti

1.1 Uno sguardo al passato 4

1.2 L'arrivo di Gorbacev e la Casa Comune Europea: le prime forme di collaborazione 8

1.3 La politica estera europea verso i Paesi ex URSS: verso gli Accordi Europei 12

1.4 Il Programma PHARE 18

1.5 La Russia di fronte al processo di ampliamento dell'Unione Europea 24

Capitolo 2 Uno sguardo verso EST: la politica estera europea negli anni '90 2.1 L' Accordo di Partenariato e Cooperazione (APC) del 1997 28

2.2 La politica europea di vicinato (PEV) 39

2.3 Il modus operandi della PEV e la struttura dei piani d'azione 46

2.4 Il Partenariato Orientale 60

2.5 La Russia di fronte al Partenariato Orientale 65

Capitolo 3 La crisi in Ucraina: un conflitto annunciato 3.1 Le radici delle proteste dell'Euromajdan 67

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3.3 Cronistoria della crisi in Crimea: tra passato e futuro 78

3.4 La crisi nell'Est Ucraina: la questione del Donbass 87

3.5 La risposta dell'Occidente e le sanzioni verso Mosca 94

Capitolo 4 Le relazioni economiche tra l'Unione Europea e la Federazione Russa 4.1 Le relazioni commerciali 102

4.2 Le relazioni energetiche e il crocevia del gas 110

4.3 La competizione nell'area post-sovietica 122

Conclusioni 129

Bibliografia 131

Sitografia 136 Ringraziamenti

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INTRODUZIONE

L'importanza che le relazioni tra l'Unione Europea e la Federazione Russa rivestono nel panorama geopolitico odierno è evidente. L'Europa, con i suoi 500 milioni di abitanti, è ad oggi un soggetto politico estremamente rilevante che, nonostante le divisioni interne, è destinato ad accrescere sempre di più la propria influenza sulla scena internazionale. L'Unione Sovietica, che inizialmente tentò di osteggiare la formazione dell'allora Comunità Europea, si trovò ben presto ad avviare con essa le prime forme di collaborazione economica, che man mano assunsero profili sempre più definiti. Con la fine dell'URSS e l'avvento della Federazione Russa, l'evoluzione dei rapporti non è stata lineare.

Nel 1997 l'Unione Europea e la Russia hanno stipulato un Accordo di Partenariato e Cooperazione, con il quale è stata conferita una solida base giuridica ai vari gradi di cooperazione raggiunti durante le trattative per la sottoscrizione. Le dinamiche non lineari dei rapporti tra i due soggetti sono risultate evidenti con la crisi in Georgia, nel 2008, e soprattutto con il conflitto in Ucraina, che ha portato l'Occidente ad infliggere sanzioni verso Mosca. La risposta europea all'uso della forza da parte di Mosca è stata decisa, anche se non del tutto uniforme, a causa degli stretti rapporti economici che rendono interdipendenti i due soggetti.

Le relazioni tra l'Unione Europea e la Federazione Russa assumono contorni non del tutto definiti, con alcuni settori nei quali la cooperazione non è in grado di raggiungere risultati concreti, principalmente per diversità di natura ideologica che caratterizzano i soggetti in questione. In questa sede saranno analizzate le varie fasi che hanno condotto al grado di cooperazione che caratterizza oggi le relazioni tra i due soggetti in questione, in modo da capirne lo sviluppo e ipotizzarne gli scenari in vista di un prossimo futuro. E' importante tenere in considerazione il contesto storico nel quale i rapporti euro russi si sono sviluppati, gli elementi di diversità che caratterizzano la storia politica russa e quella degli Stati membri dell'Unione e le ideologie politiche ed economiche che, nonostante tutto, non possono dirsi sovrapponibili.

Con l'aiuto di una sostanziosa letteratura in materia, il presente elaborato propone un'analisi di questi elementi e di ciò che sta alla radice dei rapporti tra Mosca e Bruxelles, che hanno acquisito progressivamente un'importanza primaria nella conduzione della politica estera di entrambi.

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Capitolo 1

L'URSS e la Comunità Europea: giganti distanti

1.1 Uno sguardo al passato

Alla fine del periodo del dopoguerra l'ordine internazionale si trovava coinvolto in un processo in cui l'antagonismo lasciava spazio alla cooperazione e all'interdipendenza1. Lo Stato sovrano sembrava incapace di affrontare le nuove sfide che il nuovo ordine mondiale proponeva e questa nuova condizione spingeva gli stessi Stati a unirsi e cooperare, nella convinzione che l'integrazione economica avrebbe allontanato l'idea di una nuova guerra. L'Europa, campo di battaglia delle guerre del secolo scorso, si è trovata ad essere il fulcro di questo cambiamento. Tale processo è nato anche dalla posizione geografica del continente europeo, costituendo esso il crocevia tra due superpotenze come gli Stati Uniti e l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) e dovendo in qualche modo inserirsi nelle complesse dinamiche della Guerra Fredda che la coinvolgeva da vicino, senza tuttavia poterne influenzare l'andamento.

Le reazioni di fronte ai cambiamenti che avrebbero portato alla formazione della Comunità Economica Europea furono molteplici e dettati da motivazioni differenti. Mentre gli Stati Uniti inizialmente incoraggiavano l'integrazione europea, spingendo tra l'altro la Gran Bretagna a inserirsi in tale processo, la reazione russa fu decisamente diversa. Stalin e successivamente chi assunse il ruolo di Presidente dell'URSS dopo la sua morte, guardava ai cambiamenti in atto in Europa con scetticismo e diffidenza, al punto che ogni iniziativa europea veniva addirittura interpretata come una minaccia alla sicurezza dell'Unione Sovietica, oltre che contribuire ad alimentare la convinzione che la dipendenza degli europei dagli Stati Uniti fosse sempre più palpabile. L'avversità russa nei confronti del Piano Schumann si tradusse nell'invio di una nota di protesta al governo francese.

La ragione principale verteva sostanzialmente sulla volontà americana di riarmare la Germania e il progetto Schumann apparve al Cremlino come l'intenzione di creare nel continente europeo, e dunque ai piedi della Russia, un'egemonia capeggiata da Gran Bretagna e Stati Uniti. Tutto questo, secondo Mosca, era in netto contrasto con le decisioni prese durante la Conferenza di Potsdam (17

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Luglio-2 Agosto 1945)2. Ancora più decise furono le critiche russe nei confronti del progetto della Comunità Europea di Difesa (CED) in quanto funzionale ai progetti americani di riarmo tedesco. Tuttavia né la CED né la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio creavano problemi dal punto di vista ideologico e l'atteggiamento russo nei confronti dell'integrazione europea mutò gradualmente nei decenni successivi.

Per quanto riguarda l'aspetto economico, l'Unione Sovietica non era particolarmente interessata alle riforme in atto in Europa poiché l'economia russa era estremamente chiusa, dirigista e caratterizzata da pianificazioni annuali, dunque le forme di apertura europee mal si conciliavano con le inclinazioni del Cremlino.3 Infine il progetto CED, che si risolse poi in un nulla di fatto, restava comunque ancorato alle radici dell'Alleanza Atlantica, mancando agli europei gli strumenti e le tecnologie militari per costruire un impianto credibile, e quindi esso non costituiva una minaccia particolare per l'Unione Sovietica.4 Sentimenti avversi da parte russa si ebbero anche alla firma dei Trattati di Roma (25 Marzo 1957) che sancirono l'istituzione della Comunità Economica Europea (CEE) e della Comunità Europea dell'Energia Atomica (EURATOM) ed è fondamentale ricordare a questo proposito "Le Diciassette Tesi sulla creazione del Mercato Comune e dell'Euratom", un saggio pubblicato nel 1957 dall'IMEMO5. Questo documento esplicitava le preoccupazioni dell'Unione Sovietica nei confronti della creazione del mercato comune attraverso la convinzione dell'idea anticomunista che suggellava il cardine dell'accordo. In particolare, la Comunità Economica Europea veniva percepita come una terza potenza mondiale legata a doppio filo con gli Stati Uniti. Gravi preoccupazioni erano rivolte altresì all'idea che la CEE potesse evolvere in senso militare e che fungesse da appendice americana in territorio europeo.

Entrando nel merito delle Tesi, si evince il timore dell'Unione Sovietica nei confronti della politica economica europea che avrebbe potuto evolvere verso trust bancari e monopoli industriali tenuti in piedi da potenti società statunitensi e la possibile formazione di diseguaglianze nei singoli Stati membri, oltre che una sempre maggiore dipendenza dagli Stati economicamente più forti ovvero Stati Uniti prima e Germania Federale in seguito. Non sono risparmiate aspre critiche agli aiuti

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E. Di Nolfo, Dagli imperi militari agli imperi tecnologici, Laterza, Bari, 2002, pp 187-188, 3 F. Benaroya, Economia della Russia, Il Mulino, 2007, p. 24.

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Negli anni successivi mutò la reazione della Russia nei confronti dell'Unione Europea Occidentale dato che essa non si mostrò contraria alla collaborazione militare poiché veniva interpretata come un segnale di allontanamento dal cappello americano. Il fine del Cremlino era quello di indebolire sempre più il rapporto euroatlantico. Si veda a questo proposito il commento di L. Ratti, La difesa europea e l'atteggiamento della Russia, 16 Ottobre 2016, in

www.ispionline.it

5 Institute of World Economic and International Relations. Per approfondire maggiormente tale tema si consiglia di consultare www.imemo.ru

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previsti a favore dei paesi del Terzo Mondo, etichettati dalle Tesi come nuova espressione del colonialismo e dunque dello sfruttamento economico.

L'atteggiamento russo era in realtà dettato per lo più da pregiudizi ideologici e negli anni successivi cambiò gradualmente, anche grazie ad una attenta osservazione dello sviluppo e della crescita del mercato comune, che non prevedeva nessuna forma di capitalismo forzato e di sfruttamento coloniale.6 La conferma della mutata posizione sovietica arrivò nel 1962 con un documento, redatto anch'esso in seno all'IMEMO, che prese il nome "Le Trentadue Tesi sul Mercato Comune" la cui novità è il riconoscimento da parte sovietica del mercato comune come vera e propria realtà politica ed economica.

Lo sviluppo in positivo del mercato comune negli anni compresi tra il 1957 e il 1962, i numeri dell'aumento della produzione industriale e della sua esportazione suscitavano un insolito interesse nell'Unione Sovietica e sebbene rimanesse ovvia la sua ostilità di fronte a forme di integrazione politica, si mostrava invece interessata alla nuova entità economica che stava inaspettatamente acquisendo forza e potere.7

Quando risultò chiaro l'allontanamento tra i paesi membri e la Gran Bretagna e fu resa vana l'ipotesi di una iniziale unione politica si fece strada in Unione Sovietica l'idea di un possibile avvicinamento economico, che si concretizzò con vari accordi economici parziali, tra cui quello concluso dalla Comunità Economica Europea con la Polonia nel 1965. La diffidenza russa verso la Comunità Economica Europa tuttavia rimaneva ed era evidente nel netto rifiuto del Cremlino ad ammetterla , come osservatore, nell'ONU o in altre organizzazioni internazionali dove era presente l'Unione Sovietica. Questo non impediva le relazioni commerciali tra i paesi europei e quelli del blocco sovietico che anzi si infittivano sempre di più e sfociarono nella riforma degli statuti del COMECON nel 1974 in modo da permettere la stipulazione di accordi sia con singoli paesi, sia con organizzazioni internazionali che però, nonostante le modifiche, non ebbero luogo.

Tuttavia lo sviluppo dei rapporti tra Comunità Europea e Unione Sovietica non tardò ad arrivare, soprattutto quando quest'ultima iniziò ad avere un ruolo importante come paese esportatore di petrolio verso i paesi dell'Europa occidentale in cambio di knowhow e di aiuti in campo tecnologico, molto utili al gigante russo poiché ne risultava fortemente carente.

6G.Scidà, Le economie socialiste e l'Europa, Jakabook, Milano, Novembre 1978, pp. 120-123 7

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Al di là dunque di retoriche politiche e contrapposizioni ideologiche tra i due blocchi si andava formando una collaborazione sempre più stretta: le esportazioni europee nel territorio del COMECON raggiunsero i 34 miliardi di dollari nel 1974.

Uno dei principali problemi era l'economia pianificata, che mostrava in questi anni i suoi veri limiti se confrontata con l'economia a stampo capitalista europea.

Essa infatti privava la ricerca e l'innovazione dei fondi necessari a progredire e a rendersi maggiormente appetibile ai mercati esteri. Teoricamente la sua economia aveva tentato di aprirsi a livello globale conservando le sue rigide regole. Queste rendevano l'Unione Sovietica non in grado di affrontare l'innovazione in ambito industriale e tecnologico, che imperversava nelle maggiori democrazie occidentali. Le maggiori spese del Cremlino concernevano la difesa e l'assistenzialismo, adottato sulla base di sussidi e piani sociali in favore della popolazione e si stavano creando le basi del radicale cambiamento tentato da Gorbacev.

Gli anni successivi allo scandalo Watergate, che portò alla fine della presidenza Nixon, si caratterizzarono per un tentativo di riduzione della collaborazione con Mosca, a causa dell'invasione russa dell'Afghanistan, e furono messi in atto seri limiti commerciali.8 In Europa questa decisione fu accolta con un palpabile malcontento e sempre maggiore divenne il disaccordo europeo alle restrizioni imposte da Washington, dato che i rapporti economici tra la Comunità Europea e l'Unione Sovietica si facevano sempre più solidi e l'inasprimento della cortina di ferro avrebbe provocato ingenti danni nel tessuto commerciale europeo. Questa decisa presa di posizione europea rischiava di provocare gravi fratture nel rapporto euro atlantico, in particolare Reagan non tollerava che i governi europei difendessero i loro interessi economici anche a costo di eludere gli interessi politici americani.

Ciò che preoccupava maggiormente Reagan era il progetto di costruzione della "Siberian Natural Gas Pipe" avviato da Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Unione Sovietica che avrebbe collegato la Siberia Occidentale ai paesi europei sopracitati, attraversando il territorio della Cecoslovacchia, divenendo così la più lunga pipeline del mondo. La costruzione subì un ritardo di alcuni anni a causa dell'embargo americano sulle importazioni di gas e petrolio sovietico, messo in atto dopo l'approvazione della legge marziale in Polonia nel 1981, tuttavia venne portata a termine nel 1984.9

8 E. Dundovich, Cornovil, l'assenza, Passigli Editore, Firenze, 2013, pp. 27-39 9

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Reagan dovette rassegnarsi all'idea che gli europei non avrebbero appoggiato l'idea americana di dichiarare una nuova guerra economica all'Unione Sovietica ed ebbe così inizio la sua seconda presidenza, con intenti di politica estera ben diversi dalla prima.

1.2 L'arrivo di Gorbacev e la "Casa Comune Europea": le prime forme di collaborazione

Quando Gorbacev assunse il potere si trovò di fronte a numerose difficoltà quali la gravissima crisi economica che imperversava nel paese, le varie scintille di crisi nei paesi membri del Patto di Varsavia e infine i problemi derivanti dalla situazione internazionale. Le sue idee e la sua volontà di modernizzare l'Unione Sovietica sulla base di imponenti concezioni socialiste si scontrarono con una realtà estremamente arretrata e sofferente, portata allo stremo da decenni di rigide politiche economiche, pianificazioni e assenza di iniziativa privata. Egli era profondamente convinto della necessità di modificare dall'interno il sistema, che ormai era paralizzato, e il fulcro delle sue riforme portava due nomi: la "glasnost" e la "perestrojka".

Il termine "glasnost" significa trasparenza e Gorbaciov ne fece uso riferendosi alla necessità di rendere il Partito un luogo di comunione, di discussione, in modo da avvicinare i cittadini al reale funzionamento della vita dello Stato. Gorbacev considerava con attenzione anche il tema dei diritti umani, della proprietà in agricoltura, della riforma nella gestione delle industrie e delle difficili relazioni che intercorrevano tra le numerose repubbliche che costituivano l'Unione Sovietica. La sua intenzione, e forse anche il suo più grande errore, era quella di operare riforme senza intervenire sulle strutture che costituivano le fondamenta del potere. Dunque migliorare per conservare anziché per rinnovare.10

Nel termine "perestrojka" si inserisce il processo riformatore di cui Gorbacev si era fatto portatore agli inizi del suo mandato. Le riforme da lui pensate comprendevano un profondo ripensamento della distribuzione delle risorse affinché potessero essere messe in atto riforme atte a migliorare la vita dei cittadini. Mentre le riforme sopracitate non vennero attuate nella direzione auspicata, è impossibile non notare che l'impronta decisiva data da Gorbacev nella ridefinizione del sistema internazionale si tradusse nel cambio di rotta dei rapporti con gli Stati Uniti.

La nuova opzione orientata al dialogo fu accolta positivamente dalla seconda presidenza Reagan e un primo incontro tra i due leader si ebbe già nel Novembre 1985 a Ginevra. Fu subito chiaro dunque che il nuovo leader era fermamente intenzionato a cambiare radicalmente l'impronta della

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politica estera russa e questo si tradusse anche nei cambiamenti al vertice del governo. Il Ministro degli Esteri Gromyko, che ricopriva la carica in questione dal 1957, venne sostituito da Eduard Sevardnadze nel Giugno 1985. Cambiamento, questo, che portò non pochi dissensi nel Partito, essendo il nuovo ministro poco esperto in tematiche di politica internazionale.

Poco dopo anche il Capo del Dipartimento Internazionale del Comitato Centrale, Boris Ponomarev, venne sostituito da Anatolij Dobrynin, che era stato per ben ventiquattro anni Ambasciatore negli Stati Uniti e dunque nutriva una solida conoscenza delle relazioni tra l'Unione Sovietica e Washington. Inoltre era animato da un minore fervore rivoluzionario rispetto al suo predecessore, troppo legato ai precetti del passato.

Vadim Medvedev venne chiamato a dirigere il Dipartimento dei Paesi Socialisti in sostituzione di Kostantin Rusakov mentre il principale consigliere di politica estera di Gorbacev fu Anatolij Cernjaev, che succedette allo storico Aleksej Aeksandrov Agentov.11 Il Presidente dell'Unione Sovietica era a conoscenza del fatto che il paese si trovava ad affrontare una complessa crisi economica interna, ma era convinto che tale crisi potesse essere superata con un sistema di riforme adeguato che ebbe inizio con la riduzione delle spese militari, dal momento che esse occupavano il 20% del prodotto nazionale lordo.

Questo si tradusse nella riduzione degli armamenti nucleari del 50%, negoziando con gli Stati Uniti per ottenere un loro arresto nella ricerca di strategie di difesa. Il primo incontro tra Gorbacev e Reagan si concluse con un nulla di fatto a Ginevra nel Novembre 1985 e questo risultato indusse il leader russo a prendere in considerazione l'opzione zero, di cui si era già discusso nel 1981. Un ulteriore incontro tra i due leader ebbe luogo in Islanda, a Reykjavik, nell'ottobre 1986. In tale sede Gorbacev chiese agli Stati Uniti di ridurre del 50% le armi strategiche e la distruzione dei cosiddetti "missili di teatro" in Europa ma anche questo incontro non diede i risultati sperati.12 Questi arrivarono nel periodo in cui il potere sovietico dava seri segni di cedimento, infatti, nel Dicembre 1989 il successore di Reagan, George Bush, e Gorbacev riuscirono a superare i punti critici del negoziato. Il leader sovietico era cosciente dell'impossibilità di mantenere a lungo in piedi il Patto di Varsavia ed era dunque intenzionato a raggiungere risultati notevoli almeno nel campo della politica estera, accrescendo così il suo prestigio.

Tuttavia fu necessario attendere il 31 Luglio 1991 per la firma del trattato Start I (Strategic Arms Reduction Treaty) che chiudeva il cerchio delle trattative avviate a Ginevra ben dieci anni prima,

11 E. Dundovich, Cornovil, l'assenza, Passagli Editore, Firenze, 2013, pp. 31-32 12

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mentre un ulteriore trattato aggiuntivo, Start II, venne portato a termine l'anno successivo, nel Dicembre 1992, dal successore di Gorbacev, Boris Eltsin.13

A livello interno l'era di Gorbacev fu caratterizzata anche da una riforma costituzionale, portata a termine nel 1988, che sanciva l'elezione del Presidente dell'Unione Sovietica da parte del Congresso dei deputati del popolo. Al Presidente spettavano ampi poteri ma il Congresso poteva deliberare in merito a tematiche concernenti ogni aspetto della vita politica. Il Congresso era composto da 1500 deputati eletti a suffragio universale e 750 scelti e nominati dal partito.

Un'importante novità riguardava l'elezione dei Presidenti delle Repubbliche facenti parte dell'Unione Sovietica e quella dei sindaci delle più significative città, che avveniva infatti a suffragio universale, confermando l'idea di Gorbacev che i cittadini avessero pieno diritto di partecipare alla vita politica del paese, soprattutto nelle scelte che li coinvolgevano direttamente. Venne ridimensionato il ruolo del Partito che dovette accettare un parlamento sempre più influente, capace di moderarne in qualche modo i poteri. Tuttavia ben presto fu chiaro che questa

scelta dette luogo a una crescente confusione e disorganizzazione, a partire dai vertici.14 Il processo di distensione e di dialogo che Gorbacev cercò di sviluppare non solo con gli Stati

Uniti ma anche con l'Europa prese forma in un progetto comunemente chiamato "Casa comune europea".15

Il Presidente sovietico nutriva grande ammirazione verso il processo che aveva portato alla Comunità Europea e considerava essa un modello nel processo di unificazione, al punto da concepire egli stesso un grande spazio che includesse gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Tale ambizioso e forse ingenuo progetto aveva come scopo il definitivo smantellamento della cortina di ferro, nonché il superamento della divisione tra Europa dell'Est ed Europa dell'Ovest. Tutto ciò avrebbe impedito il futuro ricorso a blocchi militari, arrivando così a collaudare un ordine internazionale del tutto nuovo basato, anziché sulla competizione, su di un ideale cooperativo delle relazioni internazionali.

Il punto di partenza doveva essere il disarmo delle potenze coinvolte e tra esse avrebbero dovuto necessariamente essere presenti sia gli Stati Uniti che l'Unione Sovietica, essendo questi i due poli maggiormente militarizzati. La loro partecipazione era dunque la base essenziale su cui costruire le solide fondamenta della Casa comune europea, poiché la smilitarizzazione della cortina di ferro

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E. Di Nolfo, Dagli imperi militari agli imperi tecnologici, Laterza, Bari, 2002, p. 369 14 M. Ganino, Russia, Il Mulino, Bologna, 2010, p. 43-49

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dipendeva esclusivamente da esse. Seguendo il ragionamento messo in atto da Gorbacev si arriva facilmente all'analogia con la Comunità Europea: la messa in comune di interessi economici ha sancito la fine degli antagonismi degli stati europei e dunque la cooperazione economica sarà la chiave per impedire conflitti futuri.

Questo era l'obiettivo della Casa comune europea, ovvero diventare anche la Casa della sicurezza comune. Il modello della Comunità Europea ha fortemente attratto i paesi dell'Europa orientale, fungendo da punto di riferimento nelle loro burrascose transizioni economiche dal dirigismo al libero mercato. Negli scritti di Gorbacev sembra apparire la possibilità che la Comunità Europea diventi Federazione Europea e questo porterebbe ad un cambiamento negli equilibri tra Est e Ovest.

Che ruolo potrebbe avere la nuova Europa? L'ipotesi più plausibile sembrava essere quella di una Europa diversa, emancipata dall'influenza statunitense e capace di costituire un ponte tra Oriente e Occidente, come un tentativo di pacificare democrazia e socialismo e magari fungerà da esempio per una virata in senso federale dell'Unione Sovietica. Ad oggi è possibile dire con certezza che molte delle aspettative di Gorbacev sono andate svanite in una Europa troppo debole e troppo divisa al suo interno. Egli aveva un'idea di unificazione europea sviluppata in più insiemi e sottoinsiemi.

Nel primo insieme rientravano i dodici paesi della Comunità Europea, nel secondo i paesi dell'EFTA che si preparavano a negoziare accordi commerciali vantaggiosi con la CEE, il terzo insieme comprendeva i paesi aderenti al Consiglio D'Europa e infine il quarto e ultimo insieme vedeva protagonisti i paesi coinvolti nella Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (Conferenza di Helsinki, 1975), tra cui gli Stati Uniti, l'Unione Sovietica e il Canada, oltre a tutti gli Stati europei. Quest' ultimo insieme era la base su cui costruire un sistema internazione del tutto nuovo, incentrato sulla fiducia tra gli Stati e sulla cooperazione economica. In altre parole, i paesi partecipanti alla Conferenza di Helsinki erano quei paesi che Gorbacev avrebbe incluso nel suo progetto di Casa comune europea.

Nonostante le sue convinzioni in merito alla necessità di instaurare una solida cooperazione economica con l'Europa, egli era ben cosciente delle difficoltà che le economie dell'Est dovevano affrontare per integrarsi nei mercati occidentali e la sua perestrojka teneva conto anche di questo, ovvero della necessità di riformare l'economia permettendo i pagamenti su valute convertibili.16

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Questa inversione di rotta venne messa in atto nel 1991 ma purtroppo trovò un paese troppo debole per affrontare le conseguenze che tali riforme avrebbero richiesto. Quindi la perestrojka può oggi essere letta come un tentativo di introdurre nel sistema socialista nuovi elementi di stampo democratico e liberale e l'obiettivo della Casa comune europea ha giocato un ruolo rilevante nella definizione di essa.

E' giusto però sottolineare che la Casa comune europea altro non era che la proposta di una nuova prospettiva, la convinzione che una profonda distensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica avrebbe giovato non sono all'Europa ma anche ai paesi del Terzo Mondo, che non erano compresi in questo progetto. Essa non costituiva un progetto istituzionale ben delineato e dai contorni precisi ma era il raggruppamento delle idee di un Capo di Stato dalle larghe vedute, che aveva l'ambizione di ricucire la frattura tra paesi democratici con un'economia di mercato e paesi socialisti ad economia chiusa.

1.3 La politica estera europea verso i paesi ex sovietici: verso gli Accordi Europei

Con lo scioglimento dell’Unione Sovietica e la conseguente formazione delle repubbliche indipendenti dell’Europa orientale, la Comunità Europea dovette rivedere la propria strategia per fornire supporto ai cambiamenti politici, istituzionali ed economici in cui tali paesi erano coinvolti. Il regime di aiuti e finanziamenti adottato nei primi anni novanta dalla Comunità rifletteva l’impronta generale della politica estera europea. Successivamente esso ha poi lasciato spazio a una più precisa politica di cooperazione con gli stati dello spazio post sovietico.17

Questi venivano differenziati in due gruppi ovvero gli Stati appartenenti al blocco sovietico (vale a dire: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Lituania e Slovenia) e gli Stati che erano divenuti indipendenti a causa dello scioglimento dell’Unione Sovietica (Russia, Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Armenia ect..). Gli Stati inseriti nel primo gruppo erano accumunati dalla volontà di divenire membri dell’Unione Europea, avendo anche presentato domanda di adesione. Essi venivano sottoposti ad un’attenta analisi dei requisiti necessari per entrare a pieno regime nell'Unione, ovvero:

17

Nota informativa n. 36, Agenda 2000 e il processo di adesione all’Unione Europea, documento del gruppo di lavoro del Segretariato Generale task-force ampliamento, Lussemburgo, 16 Dicembre 1999, p. 21. Il documento integrale è reperibile al seguente indirizzo http://www.europarl.europa.eu/enlargement/briefings/pdf/36a1_it.pdf

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• buono sviluppo degli istituti democratici tale da assicurare un concreto rispetto della legge, un’attenzione particolare ai diritti umani e alla tutela delle minoranze;

• economia capace di operare autonomamente nel libero mercato senza interventi statali, restrizioni né freni all’iniziativa privata;18

• capacità di portare a termine i doveri che provengono dall’adesione anche in ambito monetario e finanziario.

Tenendo conto dei suddetti criteri un primo gruppo di paesi comprendente Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Estonia e Slovenia ha dato inizio alle trattative con l’obiettivo di adesione ad Aprile 1998, mentre per gli altri la prospettiva di adesione si considerava slittata a Febbraio 2000, per permettere loro di rendersi idonei ai criteri e colmare le lacune evidenziate.

Riguardo agli Stati formatisi dal processo di dissoluzione dell’Unione Sovietica, questi non avevano manifestato intenzione di far parte dell'Unione. Tuttavia la politica comunitaria si era mostrata particolarmente favorevole a devolvere aiuti in ambito politico, economico e finanziario con appositi strumenti di assistenza. La prima spinta decisiva fu data dal G7 al Vertice dell’Arche, nel Luglio 1989 a Parigi, in cui la Commissione ottenne pieni poteri in merito alla progettazione di un piano di assistenza economica i cui destinatari erano Polonia e Ungheria.

I lavori di tale Vertice19 furono occupati per lo più dal problema delle relazioni con l’Est Europa, poiché era necessario dare un’impronta decisiva e pragmatica anche in previsione di futuri accordi con altri paesi post sovietici. Gli Stati Uniti avanzarono per primi la proposta di affidare alla Commissione il compito di gestire l’entità di tali aiuti e questo atteggiamento è da ricondurre al timore che i governi dei paesi dell’est potessero cadere nuovamente nelle braccia del comunismo. La Commissione attuò un piano di aiuti economici finalizzati, dunque, a migliorare le condizioni di vita dello stato e dei cittadini per promuovere investimenti esteri, migliorare il settore dell’agricoltura e dell’industria senza trascurare l’aspetto della formazione e la tutela ambientale. Varie tipologie di interventi furono messe a punto per operare al meglio, coordinando gli sforzi, e in quest’ottica rientrano le cosiddette “azioni orizzontali” che comprendono anche il programma PHARE e gli investimenti mirati della Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo.

Le azioni orizzontali erano fondate sul principio di condizionalità che lega a doppio filo gli interventi comunitari a particolari obblighi in seno al paese ricevente, quali il rispetto dei diritti

18

Criteri di Copenaghen, 1993.

19 M. Conticelli, I vertici del G8: governi e amministrazioni nell’ordine globale, in “Saggi di diritto amministrativo” collana diretta da Sabino Cassese, Giuffrè Editore, Milano, 2006, pp. 54-56

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umani e delle minoranze, lo svolgimento di libere elezioni, la libertà di stampa e del ruolo del mass media, mentre i loro mercati dovevano essere riformati in maniera tale da adattarsi alle regole dell'Unione in ambito di concorrenza.20

In previsione di una futura adesione, essi dovevano inoltre accettare tassativamente le disposizioni dei trattati istitutivi e quello che viene comunemente denominato “acquis communautaire”. 21I paesi riceventi erano tenuti quindi a impegnarsi in favore di una svolta in senso democratico e liberale per non rendere vani i finanziamenti ricevuti. Gli interventi più significativi sono stati rivolti al settore della cooperazione industriale, scientifica e tecnologica oltre che in ambito di telecomunicazioni. Con il passare degli anni si rese necessario per i paesi dell’Europa orientale, (cosiddetti paesi PECO), anche un intervento nel settore politico al fine di unire al rinnovamento economico una profonda ristrutturazione giuridica, amministrativa e sociale che seguisse sempre più le orme dell’esempio occidentale.22 A tale scopo fu sviluppato un nuovo strumento noto come accordo europeo, ovvero una tipologia di accordo che univa alla collaborazione in campo economico un programma di incontri periodici tra i rappresentanti dei paesi PECO23 e i rappresentanti dell'Unione, al fine di creare un primo nucleo di cooperazione politica e di comune direzione della politica estera e di sicurezza.

Tutto ciò ovviamente senza tralasciare i temi presi in considerazione precedentemente, ovvero il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e dei passi fatti per permettere a queste giovani democrazie di progredire. Queste finalità vennero inserite nel preambolo di ciascun accordo.

Analizzando la tipologia degli accordi europei essi possono essere definiti misti, dato che contemplavano una ripartizione delle competenze sia a livello comunitario che a livello nazionale e perciò si rendeva necessaria la ratifica dei singoli parlamenti nazionali di ogni Stato firmatario, oltre che del Parlamento Europeo, affinché l’accordo potesse effettivamente entrare in vigore e produrre effetti diretti sul territorio.

Per garantire un soddisfacente controllo e un buon coordinamento degli effetti dell'accordo era prevista l'istituzione di un Consiglio di associazione e un Comitato di associazione. Questi organi

20 S. Giannini, Le Relazioni fra l’Unione Europea e i Paesi dell’Europa Centro-orientale: il programma PHARE, articolo inserito nella rivista “Diritto e diritti”, Maggio 2002, p 1-5

21

R. Sapio, Compendio di diritto dell’Unione Europea, Manni, 2001, p 118-122

22 S. Giannini, Le Relazioni fra l’Unione Europea e i Paesi dell’Europa Centro-orientale: il programma PHARE, articolo inserito nella rivista “Diritto e diritti”, Maggio 2002, p 1-5

23 E. Calandri, M.E Guasconi, R. Ranieri, Storia politica ed economica dell'integrazione europea dal 1945 ad oggi' Edises Editore, 2015, pp. 274-277.

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erano chiamati a vigilare sulle questioni derivanti dall'attuazione degli accordi, si riunivano in alcuni incontri, secondo un calendario annuale, ed erano composti da ministri. I rappresentanti dei membri del Parlamento Europeo e dei vari parlamenti del Paesi firmatari si riunivano in un organo noto come Comitato Parlamentare Permanente di associazione.

Queste tre nuove istituzioni erano chiamate a gestire, coordinare e mettere in pratica quanto veniva sancito dagli Accordi Europei in modo da conferire loro una buona credibilità a livello internazionale e permettere un attento controllo affinché gli aiuti venissero effettivamente utilizzati nel modo più congruo.

Appare necessario analizzare in questa sede i principi che stavano alla base degli Accordi Europei24 con i paesi dell'Europa orientale, vale a dire:

• principio della condizionalità, ovvero la possibilità di revoca dei suddetti accordi qualora essi non venissero subordinati ad un progressivo miglioramento delle istituzioni politiche, economiche e finanziarie dei paesi che ne beneficiano. Gli organi di controllo sopra citati avevano pertanto l'onere di verificare che tale condizionalità non venisse meno e anzi progredisse sempre di più.

• principio dell'asimmetria, che concerne la possibilità di concedere tempistiche diverse ai vari paesi firmatari per l'abolizione dei limiti alla libera circolazione di beni e servizi, al fine di permettere alle istituzioni di tali paesi di adeguarsi alle nuove regole.25

• principio del ravvicinamento delle istituzioni, in modo da favorire l'eliminazione di quelle norme che creavano un ostacolo al godimento dei benefici economici derivanti dagli Accordi Europei, in particolare riguardo al regime della libera concorrenza.

Con gli Accordi Europei si veniva a creare una zona di libero scambio a livello di persone, beni e servizi tra l'Unione Europea e i paesi firmatari per una durata di dieci anni, volto anche a rendere più appetibili le condizioni dei lavoratori originari dei paesi firmatari ma residenti nell' Unione Europea. L’obiettivo finale permetteva dunque ai paesi PECO di rinnovare le loro economie e fare in modo che essere acquisissero competitività entro i dieci anni previsti dagli accordi.

24 E. Pfostl, L'Unione Europea: sicurezza, azione esterna e diplomazia, Istituto di studi politici "San Pio V", Roma, Apes Editore, 2013 pp. 88-90

25

Estratto delle conclusioni della presidenza: Consiglio Europeo di Copenaghen, 21-22 Giugno 1993, Relazioni con i

paesi dell'Europa centrale e orientale, l'intero testo è consultabile al seguente indirizzo:

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Il vero aspetto innovativo degli Accordi Europei consisteva nel già citato dialogo politico, che finalmente istituzionalizzava l’aspetto della cooperazione politica che spesso era caratterizzata da mancanza di convergenza nei settori di cruciale importanza, come la politica estera e la sicurezza internazionale. Con questo strumento gli Stati si proponevano di avviare confronti su problemi di interesse comune al fine di giungere a soluzioni condivise.

In aggiunta a questo scopo, gli Accordi contribuivano a creare una cornice adatta alla progressiva integrazione dei paesi firmatari nella Comunità anche se, inizialmente, essi non furono concepiti come uno strumento finalizzato all’adesione. Fu con il Consiglio Europeo di Copenaghen nel Giugno 1993 che questo prospetto si fece più chiaro e dunque gli Accordi Europei26 assunsero la funzione di fornire il quadro adatto per una futura prospettiva di adesione.

Naturalmente, l’adesione rimaneva subordinata al rispetto dei criteri economici e politici richiesti, noti come criteri di Copenaghen che comprendono: una situazione politica del paese candidato stabile, un alto grado di salvaguardia dei principi democratici, la garanzia delle disposizioni dello stato di diritto e la tutela delle minoranze, l’istituzione e il successivo potenziamento dell’economia libera di mercato capace di resistere al regime regolamentare della libera concorrenza e la condivisione e approvazione degli obiettivi in ambito politico, economico e monetario dell’Unione Europea.

Nel 1994 con il Consiglio Europeo di Essen e con i successivi Consigli europei si aggiunsero altri criteri per delineare un più chiara strategia di pre-adesione, che prevedeva una piena accettazione dell'acquis communautaire ovvero di tutti i Trattati, gli allegati, gli accordi internazionali e le sentenze della Corte di Giustizia che andavano a formare il diritto diretto e derivato dell'Unione Europea. Durante il Consiglio Europeo di Cannes, nel Giugno 1995, la Commissione presentò una relazione, che le era stata precedentemente richiesta al Consiglio Europeo di Essen (1994), che esplicitava un programma dettagliato per fare in modo che i paesi associati recepissero nei loro ordinamenti le norme comunitarie, al fine di rendere la legislazione dei suddetti paesi più compatibile con quella degli Stati membri dell'Unione Europea.27

Dall'analisi del Libro Bianco e dalla necessità di approfondire gli effetti dell'allargamento delle politiche comunitarie nacque Agenda 2000, che fu approvata dalla Commissione il 15 Luglio 1997. Questo importante documento delineava le prospettive future in tema di riforma e incremento delle

26

Press Release Database, European Commission, testo reperibile al seguente indirizzo http://europa.eu/rapid/press-release_DOC-93-3_it.htm

27 A. Morrone, Lineamenti di diritto dell'Unione Europea, Franco Angeli Editore, 2007, nella collana "Diritti e Società", pp. 64-66

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politiche agricole, risanamento economico e sociale delle regioni più svantaggiate e infine il rafforzamento della strategia di pre-adesione destinata ai paesi dell'Europa orientale.

Quest'ultimo obiettivo costituiva un impegno importante dell'Unione poiché essa prevedeva un concreto appoggio alle riforme che i paesi candidati dovevano mettere in atto attraverso provvedimenti indirizzati a specifici settori.

Durante il Consiglio Europeo di Lussemburgo nel Dicembre 1997, è stato deciso di definire un piano di pre adesione e di dare la priorità ad un gruppo di Stati, detto 5+1, che comprendeva: Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Estonia e Cipro. Questo gruppo di Stati avrebbe beneficiato di una serie di negoziazioni bilaterali tra la Commissione e i singoli governi, in modo da individuare i settori da riformare e rispondere in maniera precisa ed efficiente ad ogni singola problematica.

Tali negoziazioni sono state avviate il 31 Marzo 1998, mentre per i paesi del secondo gruppo, vale a dire Romania, Slovacchia, Lettonia, Bulgaria e Malta è stato necessario attendere il 15 Febbraio 2000 per l' apertura dei negoziati finalizzati all'adesione, come stabilito dal Consiglio Europeo di Helsinki del Dicembre 1999. Il potenziamento della strategia di pre-adesione è costituito, oltre che dagli Accordi Europei, dal Libro bianco e dal programma PHARE28, da nuovi strumenti che staranno alla base delle nuove strategie di pre-adesione, vale a dire i partenariati per l'adesione e i Programmi nazionali per l'acquisizione delle direttive comunitarie.

Il primo strumento consisteva in una stesura precisa e dettagliata dei settori in cui lo stato candidato doveva operare per far sì che il diritto comunitario fosse recepito al meglio, mentre il secondo strumento era una sorta di risposta dello Stato candidato alle osservazioni messe in luce dalla Commissione. Gli Stati sono infatti chiamati a riferire all'Unione come intendono procedere e in quali tempi per portare a termine le riforme necessarie attraverso gli aiuti finanziari che la Commissione mette a disposizione e che essi devono gestire e coordinare al meglio.

Tali strumenti finanziari hanno visto la luce con la riforma del 1999 e consistono in tre programmi: il programma PHARE29, che si propone di conferire nuova linfa alle istituzioni e di assistere il paese candidato negli investimenti necessari; il programma ISPA, che riguarda aspetti di politica economica e sociale, ambientale e infrastrutturale e infine il programma SAPARD, che si concentra

28 E. Calandri, M. E. Guasconi, R. Ranieri, Storia politica ed economica dell'integrazione europea dal 1945 ad oggi' Edises Editore, 2015, pp. 274-277.

29 S. Giannini, Le Relazioni fra l’Unione Europea e i Paesi dell’Europa Centro-orientale: il programma PHARE, articolo inserito nella rivista “Diritto e diritti”, Maggio 2002, p. 7

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invece sullo sviluppo dell'agricoltura e delle zone rurali. Sostanzialmente il Partenariato per l'adesione costituisce uno strumento giuridico fondamentale per racchiudere in un quadro unitario il percorso che lo Stato membro è tenuto a seguire per raggiungere gli standard necessari per l'adesione.

Riassumendone le finalità esso opera nel seguente modo:

• analizzando il caso specifico del singolo stato, stabilisce le azioni prioritarie da portare a termine in vista dell'adesione;

• coordinando le risorse finanziarie messe a disposizione per permettere allo stato di raggiungere gli obiettivi auspicati

• vigilando sugli impegni assunti dallo stato candidato riguardo al miglioramento dello sviluppo democratico, al miglioramento della stabilità economica e al recepimento del diritto comunitario in tutte le sue sfumature.

1.4 Il programma PHARE

Il programma PHARE è stabilito dal regolamento (CE) n. 3906/89 del Consiglio ed il suo regolamento è stato successivamente riformato nel 200030. Il suo fine si traduce nel trasferimento di assistenza e supporto a livello tecnico, economico e infrastrutturale verso i paesi beneficiari. Originariamente, e come il nome stesso suggerisce, tale programma indicava l'impegno dell'Unione Europea a devolvere sostegno economico a Polonia e Ungheria, all'epoca democrazie giovani che si trovavano impreparate alle sfide del mondo contemporaneo dopo lo sfaldamento dell'Unione Sovietica.

Tecnicamente il nome indica "Poland and Hungary Assistance for Restructuring of the Economy" anche se, come già accennato, attualmente il programma PHARE si configura come il più importante strumento finanziario di cui si serve l'Unione per assistere concretamente i paesi dello spazio post sovietico nel percorso di adesione e non solo. Esso infatti mostrava una duplice finalità a seconda che lo Stato in questione fosse interessato ad una prospettiva di adesione all'Unione o meno. Quando il programma venne ideato erano dieci i paesi interessati ad unirsi all'Unione ovvero: Ungheria, Polonia, Romania, Slovacchia, Lettonia, Estonia, Lituania, Bulgaria, Repubblica Ceca e

30

Per approfondire nel dettaglio le modifiche apportate al Programma PHARE si consiglia di consultare la Nota tematica n. 33, Il programma PHARE e l'ampliamento dell'Unione Europea, disponibile al seguente indirizzo http://www.europarl.europa.eu/enlargement/briefings/33a1_it.htm

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Slovenia, e la finalità di PHARE31 nei confronti di questi paesi era sostanzialmente quella di fornire loro aiuti finanziari in modo da rendere le loro economie e le loro istituzioni adatte all'inserimento nell'Unione.

Mentre nel caso dei paesi non interessati (Albania, Bosnia Erzegovina e Macedonia)32 il programma mirava a fare in modo che la transizione verso la democrazia e l'apertura dell'economia si svolgesse nel modo più consono e meno aggressivo, nella tutela dei cittadini e delle istituzioni. Gli aiuti venivano erogati a fondo perduto e non erano l'unico strumento a disposizione del programma, come si dirà in seguito.

Soffermando l'attenzione sugli aspetti tecnici e innovatici di PHARE, è opportuno sottolineare che il suo bilancio veniva stabilito dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell'Unione, mentre la gestione dei fondi erogati spettava alla Commissione Europea. In ogni paese beneficiario veniva effettuata la nomina di colui che doveva coordinare e pianificare gli aiuti ovvero un coordinatore nazionale, che nella maggior parte dei casi ricopriva la carica di ministro. Dunque i paesi dovevano mostrare un buon livello di autogestione poiché le modalità con cui i fondi a loro destinati venivano gestiti dipendeva sostanzialmente dai governi degli Stati beneficiari.

Si trattava appunto di una attuazione cosiddetta decentrata infatti un ruolo di fondamentale importanza nell'avvio e nella gestione del programma spettava alle "Programme Management Unit" (PMU), il cui compito comprendeva l'organizzazione e la messa in atto dei progetti a livello locale, essendo collegate a funzionari pubblici del paese destinatario. Il progetto PHARE si orientava in primo luogo verso i settori individuati dalla Commissione e inseriti nei documenti dei Partenariati di adesione di ogni singolo paese, all'interno dei quali erano enunciati gli obiettivi e i progressi da ottenere in un lasso di tempo prestabilito.

Non è erroneo quindi definire i Partenariati un grande quadro all'interno del quale si definiscono e si mettono in pratica tutti gli interventi necessari per arrivare a possedere tutti i requisiti richiesti (stabiliti a Copenaghen) per l'effettiva adesione all'Unione Europea.

Il programma PHARE si inseriva in questo contesto, dal momento in cui esso fornisce aiuti finanziari a supporto di ogni paese per fronteggiare le problematiche nei settori dove il Consiglio ha

31

E. Calandri, M.E Guasconi, R. Ranieri, Storia politica ed economica dell'integrazione europea dal 1945 ad oggi' Edises Editore, 2015, pp. 274-277.

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individuato particolari carenze. I partenariati hanno durata pluriennale33 e vengono revisionati periodicamente, in modo da concludere interventi in ambiti che hanno raggiunto risultati soddisfacenti e concentrare gli sforzi in altri che ancora mostrano difficoltà. L'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) partecipa alla realizzazione di PHARE in quanto il suo coordinamento è commissionato al Segretario del Programma SIGMA, acronimo di Sostegno al Miglioramento delle Istituzioni Pubbliche e dei Sistemi di Gestione, che è stato avviato nel 1992 in seno all'OCSE con il fine di proporre ai paesi dell'Europa centrale e orientale particolari know how per modernizzare i sistemi di gestione del governo e dell'amministrazione pubblica. PHARE si inserisce in questo contesto in quanto rappresenta il maggiore strumento finanziario del programma SIGMA.34 Una volta l'anno ha luogo una seduta nella quale si riuniscono i rappresentanti dell'Europa centrale e orientale responsabili per le riforme della pubblica amministrazione, i rappresentanti e il segretario generale dell'OSCE e una delegazione dell'Unione Europea.35

In tale sede vengono vagliate le esigenze specifiche di ciascun paese, fornendo ad esso la necessaria consulenza su quanto descritto nel programma e garantendo un'adeguata assistenza nella realizzazione concreta del progressi. Stabilendo le linee guida dei progetti, SIGMA si attiene di solito al quadro degli orientamenti concordati nei vari partenariati per l'adesione.

Buona parte dei fondi del programma PHARE è impiegata in investimenti per un adeguato sviluppo delle infrastrutture dei paesi beneficiari, in particolare in ambito di trasporti, telecomunicazioni ma anche sostegno a piccole e medie imprese.

Potenziare questi settori è di fondamentale importanza per favorire un allineamento dei paesi candidati agli standard europei in materia di concorrenza, tutela ambientale, sicurezza energetica e adeguatezza dei trasporti sia locali che interregionali. L'importanza e l'efficienza del programma PHARE in questi ambiti sono ampliate da operazioni di cofinanziamento alle quali partecipano la Banca Mondiale e la BERS (Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo), avendo esse sottoscritto un memorandum d'intesa con la Commissione Europea, a fronte del quale esse concedono prestiti ai paesi beneficiari in settori particolarmente carenti.

Circa l'80% dei finanziamenti del programma tra il 1990 e il 1995 è stato destinato a programmi di ricostruzione e riorganizzazione nazionale, pattuiti bilateralmente da Unione e paese candidato, per rendere ancora più mirati gli interventi necessari.

33 S. Giannini, Le Relazioni fra l’Unione Europea e i Paesi dell’Europa Centro-orientale: il programma PHARE, articolo inserito nella rivista “Diritto e diritti”, Maggio 2002, p. 10

34

Approfondimenti relativi agli ambiti di azione del programma SIGMA sono reperibili presso: OECDiLibrary, SIGMA

papers, al seguente indirizzo http://www.oecd-ilibrary.org/governance/sigma-papers_20786581

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Dal 1992 per favorire la libera circolazione di merci e persone sono stati portati a termine anche interventi in ambito transfrontaliero, con l'obiettivo di rendere più agevole il passaggio tra una frontiera e l'altra, migliorando la cooperazione attraverso la risoluzione di particolari disagi ambientali e costruendo infrastrutture adeguate.

A partire dal 1994 è stato potenziato il sostegno alla ristrutturazione del sistema legislativo e amministrativo, a seguito delle conclusioni del Consiglio Europeo di Essen e gli sforzi si sono concentrati maggiormente nella promozione di progetti in supporto allo sviluppo democratico e della società civile.

Questo nuovo orientamento del programma era rivolto ai dieci paesi candidati ma in particolar modo ai cinque paesi le cui trattative erano state avviate nella primavera del 1998 ovvero Ungheria, Polonia, Estonia, Repubblica Ceca e Slovenia. L'obiettivo era quella di supportare le amministrazioni di tali paesi a recepire in toto l'acquis communautaire, riformando le istituzioni sia a livello nazionale che a livello regionale e monitorandone i progressi attraverso organi di controllo specializzati nell'integrare la legislazione e la normativa europea all'interno del tessuto politico del paese candidato.

Dunque il programma PHARE36 ha modificato nel tempo le sue finalità adattandosi alle necessità del paese a cui era destinato, arrivando a porre il suo aiuto in tutti i settori che mostravano carenze, compreso quello della giustizia e degli affari interni affinché essi raggiungessero un livello tale da non precludere l'adesione all'Unione. Il successo del programma è stato soddisfacente anche se il decentramento, sua peculiarità, ha costretto la Commissione a rinunciare ad un controllo diretto, affidandosi a esperti esterni, pur mantenendo il potere decisionale sulle procedure finanziarie e amministrative.

Questo meccanismo ha talvolta provocato lungaggini nella messa a punto dei progetti e nella realizzazione degli stessi. Altro successo innegabile è stato il trasferimento dei know how37 in quanto sono stati attivati in tutti i paesi beneficiari importanti iniziative di formazione per far acquisire alle risorse umane un livello di specializzazione adeguato alla richiesta del mercato europeo. Ne hanno tratto giovamento le imprese locali, il settore privato, le reti infrastrutturali e quelle transfrontaliere, il settore finanziario è stato riformato così come quello amministrativo.

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E. Calandri, M.E Guasconi, R. Ranieri, Storia politica ed economica dell'integrazione europea dal 1945 ad oggi' Edises Editore, 2015, pp. 274-277.

37 S. Giannini, Le Relazioni fra l’Unione Europea e i Paesi dell’Europa Centro-orientale: il programma PHARE, articolo inserito nella rivista “Diritto e diritti”, Maggio 2002, p. 11-14

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Sono stati avviati programmi di tutela ambientale a lungo termine, sono state introdotte nuove normative in ambito igienico, sanitario e fitosanitario così come la legislazione sui prodotti industriali in ottica dell'accesso al mercato europeo. Dal 2007 il programma PHARE, SAPARD e PSPA sono stati sostituiti da IPA (Instrumentfor Pre-Accession Assistance) i cui interventi hanno interessato per lo più lo sviluppo delle istituzioni e l'assistenza nella transizione all'economia di mercato, lo sviluppo di trasporti e infrastrutture, il potenziamento delle risorse umane, la cooperazione transfrontaliera e il progressivo miglioramento del settore rurale e agricolo. Il programma è stato varato per sette anni, ovvero dal 2007 al 2013, dopodiché è stato sostituito da IPA II, che sarà in vigore fino al 2020, sotto la gestione della Direzione Generale Politica di Vicinato.38

Rispetto al precedente programma, IPA II39 si caratterizza per una normativa semplificata, per permettere un accesso ai fondi più immediato e burocrazia più snella. Sarà inoltre posto un maggiore accento sui risultati, promuovendo incentivi per gli Stati più virtuosi nel raggiungimento degli obiettivi prestabiliti. Il totale dei fondi messi a disposizione dalla Commissione per il periodo 2014-2020 si aggira sulla cifra di 11 miliardi di euro, di cui il 4% circa sono destinati alla cooperazione transfrontaliera.

Novità importanti si registrano anche nei nuovi settori oggetto di intervento di IPA II, per citarne alcuni: la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, la parità di genere in ambito lavorativo e il potenziamento della società civile in ambito politico, promuovendo una maggiore partecipazione.

La seguente tabella evidenzia l'allocazione dei fondi europei nell'ambito del programma PHARE nel biennio 1998-2000, con riferimento alle aree a cui questi erano destinati. I dati sono espressi in MECU.40

Consolidamento istituzionale 2,6 MECU

Azioni politiche, coordinamento e gestione della regolamentazione 1,8 MECU

Bilancio, gestione delle spese e appalti 1,8 MECU

Gestione del servizio pubblico 1,8 MECU

Controllo finanziario, revisione dei conti e supervisione amministrativa 2,2 MECU

38

Per ulteriori informazioni sull'avanzamento del programma IPA I e II si consiglia di visitare il sito ufficiale della Commissione Europea https://ec.europa.eu/

39 IPA II è stato istituito con Regolamento UE N. 231/2014 dell'11 Marzo 2014 dal Parlamento e dal Consiglio Europeo, come riporta il sito ufficiale della Farnesina

http://www.esteri.it/mae/it/ministero/servizi/italiani/opportunita/nella_ue/gemellaggi/ipa

40 European Parliament, Nota tematica numero 33, Il programma PHARE e l'ampliamento dell'Unione Europea, l'intero testo è reperibile al seguente indirizzo http://www.europarl.europa.eu/enlargement/briefings/33a2_it.htm

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Gestione del programma 1,8 MECU

La seguente tabella evidenzia la distribuzione dei fondi del programma PHARE41, SAPARD E ISPA nei primi quattro anni di attuazione (1995/1999).42

PHARE Allocazione annuale indicativa SAPARD Allocazione annuale indicativa ISPA Allocazione annuale indicativa Totale Allocazione annuale indicativa PHARE Allocazione media 1995-99

MEuro MEuro MEuro MEuro MEuro Meuro

minima massima minima massima

Bulgaria 100 52.1 83.2 124.8 235.3 276.9 83.0 Rep.Ceca 79 22.1 57.2 83.2 158.3 184.3 69.0 Estonia 24 12.1 20.8 36.4 56.9 72.5 24.0 Ungheria 96 38.1 72.8 104 206.9 238.1 96.0 Lettonia 30 21.8 36.4 57.2 88.2 109 30.0 Lituania 42 29.8 41.6 62.4 113.4 134.2 42.0 Polonia 398 168.7 312 384.8 878.7 951.5 203.0 Romania 242 150.6 208 270.4 600.6 663 110.0 Slovacchia 49 18.3 36.4 57.2 103.7 124.5 48.0 Slovenia 25 6.3 10.4 20.8 41.7 52.1 25.0 Totale 1577 520 1040 2645 730.0 Fonte: www.imediterranei.eu/relazioni/PietroMariaPaolucci.doc

41 E. Calandri, M.E Guasconi, R. Ranieri, Storia politica ed economica dell'integrazione europea dal 1945 ad oggi, Edises Editore, 2015, pp. 274-277.

42

Le cifre sono espresse in MIOeur, i dati sono riportati dal Dott. Pietro Maria Paolucci, Dirigente e Coordinatore di servizio presso il Dipartimento per le Politiche Europee, nella sua relazione sullo stato dei finanziamenti europei del programma PHARE reperibile al seguente indirizzo www.imediterranei.eu/relazioni/PietroMariaPaolucci.doc

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1.5 La Russia di fronte al processo di ampliamento dell'Unione Europea

Nel Dicembre 1997 si tenne il Vertice Europeo di Lussemburgo e in questa occasione il Consiglio Europeo avviò i negoziati per l'adesione nei confronti di: Estonia, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia e Cipro. Venne stabilito, inoltre, la successiva apertura dei negoziati anche per i paesi del secondo gruppo, ovvero quelli che avrebbero necessitato di tempistiche più lunghe, vale a dire: Lituania, Lettonia, Romania, Bulgaria. La maggior parte dei paesi citati erano caratterizzati da un passato comune sotto l'influenza dell' ex Unione Sovietica e ancora nel 1997 questa influenza era evidente.

Tra il 1993 e il 1997 sia la Comunità degli Stati Indipendenti, succeduta alla disciolta Unione Sovietica, che l'Unione Europea avevano aumentato le esportazioni verso i paesi PECO, quindi i rapporti commerciali che si erano venuti a creare avevano un peso consistente da entrambe le parti. Proprio a causa di ciò la prospettiva di un allargamento verso Est dell'Unione Europea destava non poche preoccupazioni al Cremlino.

I timori delle autorità russe vennero alla luce il 7 Luglio 1998, durante i lavori estivi del Consiglio Economico e Sociale dell'ONU43, dove i rappresentanti russi lamentarono molte difficoltà in ambito commerciale riscontrate dalla Federazione Russa per accedere ai mercati internazionali. In particolare, i russi lamentavano eccessivi dazi per evitare fenomeni di dumping e specifiche richieste di certificazione dei prodottie questo costituiva una chiara critica all'Unione Europea in quanto, per introdurre i prodotti nel mercato dell'Unione era necessario rispettare determinati parametri e attenersi alle norme comunitarie.

Dal momento che gli Stati con cui l'Unione aveva avviato i negoziati per l'adesione erano tenuti ad armonizzare il loro diritto interno con il diritto comunitario in materia commerciale, inevitabilmente i prodotti russi incontravano sempre maggiori difficoltà nella loro immissione nei mercati di tali paesi, comportando una perdita di introiti alla Federazione. Una ulteriore fonte di preoccupazione della Russia era l'Accordo del'Europa Centrale sul libero scambio (CEFTA), firmato nel 1992 da Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria, Romania e Slovenia.44

43

Nota informativa n. 14, La Russia e l'Unione Europea, pp. 17-18, elaborata dalla Task Force ampliamento del Segretariato del Parlamento Europeo e disponibile al seguente indirizzo

http://www.europarl.europa.eu/enlargement/briefings/pdf/14a1_it.pdf 44

CEFTA (Central Europe Free Trade Agreement) costituiva una prima tappa verso l'adesione all'Unione Europea, infatti successivamente tutti i Paesi che ne facevano parte ne divennero membri. Tutte le informazioni sono disponibili sul sito ufficiale del GADIT, Guida al diritto italiano, direttore Dott. D. Cirasole, http://www.gadit.it/articolo/99523

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Questo accordo aveva l'obiettivo di mettere in atto una graduale apertura dei mercati interni ai mercati internazionali, in previsione dell'adesione all'Unione Europea, che avrebbe portato ad una vera e propria liberalizzazione dei mercati di tali paesi. La normativa delle tariffe doganali infatti subì varie modifiche che danneggiarono le esportazioni russe di gas e petrolio nella zona.

Nel Settembre 1998 il Rappresentante Permanente della Russia presso l'Unione Europea, Vasily Likhachev richiese al Consiglio Europeo di redigere un'analisi minuziosa degli effetti che il processo di allargamento dell'Unione avrebbe avuto sulla Federazione. Il 25 Agosto 1999 in una visita a Parigi, anche il Ministro Alexandre Livshits manifestò la necessità di assicurare che il processo di ampliamento non recasse danni al tessuto economico della Russia.

Con l'arrivo al potere come Primo Ministro di Vladimir Putin le critiche si fecero più decise, in particolare durante il vertice UE-Russia a Helsinki il 22 Ottobre 1999, durante il quale Putin fece presente che il processo di allargamento dell'Unione Europea comportava serie conseguenze per la Russia. Essa infatti sarebbe stata danneggiata nelle sue relazioni commerciali con i Paesi dell'Europa Orientale poiché questi avrebbero dovuto adeguarsi alle norme europee per il commercio di prodotti alimentari e farmaceutici, rispettando i criteri stabiliti dall'Unione Europea. Questo avrebbe causato una perdita di introiti nell'economia Russa. Putin portò all'attenzione della delegazione europea il fatto che i prezzi dei prodotti alimentari provenienti dai Paesi PECO avrebbero subito un innalzamento, comportando maggiori costi per il Cremlino. Venne inoltre fatto presente che il processo di ampliamento dell'Unione Europea verso Est non comportava un miglioramento delle condizioni delle minoranze russe nelle regioni baltiche, in particolare in Estonia e Lettonia.

La risposta delle autorità europee alle obiezioni russe fu piuttosto blanda e poco incisiva, in quanto rimise tali problematiche a eventuali accordi di libero scambio tra la Russia e i Paesi dell'Europa Orientale che avrebbero potuto attutire il malcontento. Per quanto riguarda i Paesi Baltici, essi meritano una particolare attenzione in quanto sono caratterizzati da una visione fortemente atlantista ed europeista. Questo ha permesso loro di aderire alla NATO e di inserirsi nel processo di allargamento dell'Unione Europea, sancendo di fatto il loro distacco dall'influenza russa. Durante questo processo sono state portate alla luce alcune problematiche, in particolare il problema dei confini e la tutela delle minoranze russe presenti sui loro territori.

Per risolvere il problema derivante dalla non chiarezza dei confini dei paesi baltici con la Russia, l'Unione Europea chiese di sottoscrivere accordi frontalieri per evitare l'insorgere di conflitti e

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chiese altresì ai governo dei suddetti paesi di incrementare la sorveglianza presso i propri confini, riducendo così i traffici illeciti. Per far fronte a tali importanti impegni vennero stanziati 30 milioni di ECU da destinare all'assistenza transfrontaliera e alla modernizzazione delle infrastrutture.

La Russia si mostrava spesso riluttante di fronte agli accordi per la definizione precisa dei confini, sia perché temeva di privarsi dell'influenza sui territori baltici, sia per rallentare il più possibile il processo di allargamento verso Est dell'Unione Europea45. Il 24 Ottobre 1997 la Lituania e la Russia posero la firma sul trattato frontaliero, la cui principale problematica era sancita da Kaliningrad, ovvero una exclave russa in territorio lituano, grande circa la metà del Belgio e situata tra la Lituania e la Polonia.

L'importanza strategica di Kaliningrad sta nel fatto che essa sia un territorio russo non confinante direttamente con la Russia. E' la sede della flotta russa sul Mar Baltico ed è anche l'unico porto russo affacciato sull'Europa. Kaliningrad è territorio russo dalla Conferenza di Posdam del 1945 e ospita circa mezzo milione di mezzi militari del Cremlino. Il problema era rappresentato dal fatto che se la Lituania avesse aderito all'Unione Europea, i cittadini russi di Kaliningrad avrebbero necessitato di un visto per raggiungere la Russia via terra e la Lituania aveva sottolineato la sua non disponibilità ad agevolare il passaggio, per timore di favorire il commercio illecito, già presente nella zona.

Il Trattato del 1997 confermò la necessità per i cittadini di Kaliningrad di presentare un visto per entrare in territorio Lituano.46 Più complicati risultano essere le relazioni di Estonia e Lettonia con la Russia, a causa della forte presenza di minoranze russofone nelle due Repubbliche Baltiche. Durante gli anni dell'Unione Sovietica molti russi erano approdati nei territori estoni e lettoni in cerca di lavoro e, al momento delle dichiarazioni di indipendenza delle due Repubbliche, non è stata conferita la cittadinanza ai lavoratori russi che si trovavano sul loro territorio. Questo a causa delle rigide regole di acquisizione della cittadinanza.

In Estonia, ad esempio, essa è concessa a coloro che la possedevano prima del 17 Giugno 1940 e ai loro discendenti mentre per tutti gli altri casi è previsto il calcolo degli anni di legale residenza oltre che un esame di lingua e storia estone. Per quanto riguarda la Lettonia, la situazione è

45 Nota informativa n. 14, La Russia e l'Unione Europea, p. 19, elaborata dalla Task Force ampliamento del Segretariato del Parlamento Europeo e disponibile al seguente indirizzo

http://www.europarl.europa.eu/enlargement/briefings/pdf/14a1_it.pdf

46 Nel Febbraio 2017 truppe NATO sono state schierate in Lituania, nei pressi di Kaliningrad, vista l'escalation di violenze in Crimea e nel Dombass.

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