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Le parti, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono ad: attivare progetti socio-educat

4.3) IL PROTOCOLLO “LIBERI DI SCEGLIERE DUE ANNI DOPO” : INTERVISTE

Art 3: Le parti, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono ad: attivare progetti socio-educat

individualizzati attraverso la istituzione di specifiche equipe multidisciplinari che prevedano la partecipazione degli assistenti sociali del servizio della Giustizia ai quali è affidata la presa in carico del minore, del Servizio sanitario regionale che assicuri l’assistenza psicologica e l’intervento educativo e di sostegno sociale degli enti territoriali, anche a garanzia della continuità dei progetti; estendere l’azione dell’equipe multidisciplinare ainuclei familiari di provenienza del minore allo scopo di evitare lacerazioni traumatiche e conflitti comunque determinati dal provvedimento di allontanamento; individuare, con successivi accordi, le linee operative che dovranno caratterizzare il funzionamento dell’equipe multidisciplinare anche in relazione all’eventualità del collocamento del minore in contesti territoriali diversi da quelli di provenienza; creare percorsi personalizzati estesi ai nuclei familiari con la collaborazione dei servizi sociali del territorio e dei servizi dell’Amministrazione della giustizia (U.S.S.M., UEPE e Istituti penitenziari);individuare un circuito di accoglienza (comunità, gruppi appartamento,

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famiglie affidatarie) per i minori e giovani allontanati dal contesto familiare e territoriale di appartenenza, anche ai sensi del D.M. 13 maggio 2005 n. 138.

Art. 4: il Ministero della Giustizia si impegna a garantirela presa in carico di tutti i minori inseriti in

contesti di criminalità organizzata peri quali sia stato emesso un provvedimento di allontanamento dal contesto familiare e/o territoriale di provenienza, provvedendo al contempo a coordinare tutte le attività dei servizi minorili dell’Amministrazione della giustizia. Il Ministero dell’Interno si impegna a mettere a disposizione dell’Autorità giudiziaria personale specializzato del Servizio centrale di protezione e della Divisione Anticrimine presso le Questure della Regione Calabria sia nella fase della esecuzione dei provvedimenti di allontanamento dei minori dal contesto familiare e/o territoriale di provenienza che in quella successiva, supportando il lavoro dell’equipe multidisciplinare e dei servizi dell’Amministrazione della giustizia. La Regione Calabria si impegna a mettere a disposizione dei servizi dell’Amministrazione della giustizia (U.S.S.M., U.E.P.E. e Istituti penitenziari) della Calabria, le figure professionali di psicologi, di specialisti in neuropsichiatra infantile e di funzionari della professionalità pedagogica. Le parti, nell’ambito delle rispettive competenze, si impegnano inoltre a verificare la

possibilità di ulteriori fonti di finanziamento volte a rafforzare la azioni previste nel presente protocollo attingendo al programma operativo nazionale PON “Legalità” 2014-2020 e ad altri programmi operativi nazionali di competenza del Dipartimento della Pubblica Sicurezza presso il Ministero dell’Interno.

Art. 5: Il presente protocollo d’intesa ha efficacia di due anni a partire dalla data di sottoscrizione dello

stesso ed è rinnovabile previo accordo tra le parti.”

Entusiaste le parole del ministro Minniti: “Insieme si raggiungono grandi risultati, fanno la civiltà e la

democrazia, proprio perché riguardano i bambini e gli adolescenti."104

“- L’ assunzione di questo accordo proprio qui, a Reggio Calabria, ha un significato particolarmente

rilevante- ha detto il Presidente Oliverio che ha inteso ringraziare, tra gli altri, i ministri Minniti e Orlando

per aver testimoniato attenzione ed impegno rispetto ad una problematica di particolare rilievo.

-La firma apposta stamani dai ministri Minniti e Orlando, insieme al governatore Mario Oliverio, segna un

deciso passo verso il riconoscimento di un impegno, quello del presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, Roberto Di Bella, che al di là delle enunciazioni e nel silenzio di un lavoro quotidiano minuzioso, sensibile ed attento sta affrancando giovani vite da un futuro di morte- . E' quanto afferma, in una

nota, il sociologo Antonio Marziale, Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza della Regione Calabria. E ancora : - È un'azione in primo luogo culturale- ha evidenziato ancora il Presidente della Regione - di recupero

sociale, di prosciugamento del primo terreno sul quale la 'ndrangheta ha espanso la sua forza e l’ha proiettata nel futuro. Ecco perché è importante quello che è stato qui prodotto, ed io credo che nel recupero , tenendo conto che si tratta di agire in rapporti non semplici, bisogna agire per fare rete. L'azione in rete e questo provvedimento hanno per ciò un grande valore. Atti assunti con grande coraggio e determinazione, nel corso di questi anni, non solo hanno prodotto innovazione nella giurisprudenza- ha proseguito Oliverio- ma hanno dato un verso molto pregnante all'azione della giustizia, perché attraverso i provvedimenti stessi

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si è aperto uno squarcio nell’organizzazione della 'ndrangheta, che soprattutto nelle strutture familistiche ha trovato forza. Questo, come noto, è stato un punto fondamentale di autoriproduzione. L'intervento, con questi provvedimenti, ha squarciato, leso, queste strutture.”105

I provvedimenti non vogliono essere preventivi ma mirati tenendo presente caso per caso se ci siano degli abusi intrafamiliari e una cattiva gestione della responsabilità genitoriale, da qui è nata l’idea della sottoscritta di intervistare il Presidente del Tribunale per i Minorenni Roberto Di Bella, che con il suo carisma, con la sua ostinazione ha voluto contribuire significativamente a infliggere un duro colpo all’ndrangheta, e la dirigente dei servizi sociali Maria Grazia Marcianò.

Interessanti sono i punti di vista, la conoscenza del protocollo, quella che si intende per prevenzione.

Altrettanto allarmante è che per quanto si tenda a precisare che l’interesse del minore prevale su quello dei genitori ecco le posizioni divergono, la percezione del problema ‘ndrangheta diverge, oppure no, semplicemente si ignora per paura.

La prima intervista è quella della dottoressa Marcianò, le viene chiesto cosa pensi del protocollo “Liberi di scegliere” - “Guardi- risponde la dottoressa- al di là del protocollo nel caso specifico che non conosco, la

politica del tribunale dei minori di Reggio la conosciamo perché un nucleo familiare lo abbiamo seguito noi come le dicevo al telefono solo uno su questi trenta perché in realtà il tribunale dei minori coincide con la provincia,quindi molti di questi allontanamenti sono stati fatti sulla ionica , non sul nostro comune, sul nostro comune abbiamo avuto un caso solo. Lo so perché mi sono confrontata con dei colleghi siciliani che fanno questo lavoro da più tempo e credo che l’idea del presidente Di Bella sia nata proprio dall’esperienza siciliana che da quella calabrese. Loro hanno sperimentato l’intervento di questo tipo già da tanti anni e alcuni colleghi fanno questo lavoro di far mettere questi ragazzi nei panni degl’altri, per cui portano questi ragazzi alle riunione dell’associazione “no pizzo”, alle associazioni delle vittime della mafia, alle celebrazioni ad eventi particolari di sostegno in maniera tale che i ragazzi che appartengono a queste famiglie vedano con i loro occhi dall’altra parte cosa si vive dall’altra parte cioè le vittime della mafia, persone che sono state uccise dai loro parenti o da persone che conoscono(…), l’idea è proprio quella di far sperimentare a questi ragazzi un punto di vista diverso e questo si può fare sul territorio facendo queste cose, però obiettivamente nel nostro caso, nel caso che abbiamo seguito noi, l’allontanamento è stato proprio radicale da Reggio Calabria ad un comune del nord .

Allora quello che ci spiega il Presidente quando andiamo a parlare con lui è che sono le mamme che spesso chiedono questi interventi, perché loro vedono i mariti, appunto, i cognati i suoceri che vengono uccisi o passano la maggior parte della loro vita in carcere loro chiedono per il loro figli una vita diversa.

Nel nostro caso l’allontanamento è stato quello della mamma con il proprio figlio.”

Fin qui la dottoressa spiega a grandi linee l’orientamento del tribunale che sembra condividere, ma la sua conoscenza sembra indiretta e lontana e la domanda che sorge è perché i Servizi Sociali non siano stati coinvolti, adeguatamente formati e preparati, come mai solo una caso sia seguito dai Servizi e più di una cinquantina di ragazzi siano seguiti dai Servizi Sociali Ministeriali.

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Se da una parte come Servizi Sociali e come attitudine propria degli assistenti sociali si tende al recupero in loco in primis la dottoressa più volte ribadisce che “Se lei prende la legge quella del 98 la legge 146 del 98

parla proprio della legge dell’affido e dell’adozione , parte proprio così : il diritto del bambino , ogni bambino ha diritto a vivere nella propria famiglia, se questo non è possibile si pensa a soluzioni diverse ma qualunque convezione, quella di New York tutte ribadiscono che il bambino ha principalmente bisogno e il diritto di vivere con la propria famiglia perciò questo è un diritto di base, le alternative esistono solo quando per lui non è per lui bene vivere all’interno della sua famiglia quindi il punto principale è capire quali sono le esigenze principali di un bambino .

Per garantirgli che abbia dei valori ecc non puoi togliergli i legami affettivi per questo non si arriva , uno prende il bambino e lo porta via per questo si cerca dove è possibile di attivare reti di supporto, l’allontanamento è sempre e comunque l’ultima ratio ..noi lo vediamo quando arriva un decreto di allontanamento c’è dietro un lavoro di anni per cercare di capire se quella è la soluzione necessaria, si fanno un sacco di tentativi per cui se è possibile si sostiene la famiglia, si crea una rete di sostegno e si danno anche delle prescrizioni ai genitori che non vogliono perdere i figli su come devono comportarsi cercare di inserirli in ambienti sani .

Non so noi abbiamo, ce l’hanno molti comuni, ma noi abbiamo un servizio di assistenza domiciliare che funziona molto bene, per cui vengono inviati degli operatori a casa delle famiglie a passare del ore a casa con loro e monitorano non solo il bambino ma anche l’andamento familiare. Quindi ci si chiede quanto è possibile recuperarli se è possibile recuperarli non si arriva mai sia nel caso di disagio sociale che nel caso di mafia ma solo quando questo diventa un male necessario , l’unico modo per garantire a questi bambini u a vita diversa”.

Fin qui è tutto chiaro se non fosse per il solo e unico caso seguito dai Servizi, proprio a Reggio Calabria situata nell’area più a rischio della Calabria, uno solo? Perché?

“I servizi intervengono su delega dell’attività giudiziaria o la persona viene a segnalarci una situazione di

difficoltà e allora tu l’aiuti oppure tu agisci su incarico del tribunale – spiega Marcianò- ma certo segnalazioni a questo riguardo veramente non vengono fatte , non so ..io ricordo quando ero ragazza io e mi spostavo fuori e mi chiedevano cosa si vedesse da fuori ma n cittadino di Reggio Calabria non ha la chiara percezione di essere in un ambiente..da noi non si vede nulla tranne quando ci sono stati degli episodi negli anni 80 nella guerra di mafia ma nei periodi ordinari. Lei questa presenza la percepisce appena da cittadino cioè se tu sei un ragazzo che vive nella città probabilmente non è che trova qualcosa di strano(…)io ricordo che anche rispetto all’esperienza fatta andando a vivere a Roma , viaggiando o che so a Bologna , le altre città del nord ..anche la percezione degli stupefacenti e della prostituzione sono molto più occulte, forse solo negli ultimi anni se giri vedi qualche prostituta ma fino a 10 anni fa non se ne vedeva nessuna..tu dovevi sapere dove andare a cercare.

Queste cose da noi non si vedono per la strada, anche lo spaccio, tu giri per la strada non lo vedi , che ti offrono queste cose così da noi sono molto più…qua c’è una specie di controllo sociale che fa si che certe cose non si vedano .

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Ma io credo che anche i nostri ragazzi non abbiano la percezione o vivono perché appartengono a contesti familiari o come cittadino non le percepisci in maniera per cui quando succede qualcosa per esempio c’è un imprenditore che ha subito una serie di attentati ecc allora tu ti chiedi perché compaiono fuori dal negozio i militari.

Però un ragazzo che gira per la città che non appartiene a certi contesti certe cose non le percepisce non lo so sono più..”

Emerge così il primo problema, allarmante, la non percezione della mafia, l’invisibilità della mafia e se la mafia non esiste non esistono segnalazioni anche se , forse inconsapevolmente aver parlato del controllo sociale significa riconoscere che ci sia l’ndrangheta che si manifesta anche come tale.

L’intervista prosegue e cerco di capire come dal punto di vista dei Servizi sociali si possa intervenire in maniera preventiva “però di solito non è nelle scuole cioè il corso che si fa di formazione nelle scuole

secondo me a una ricaduta pratica limitata invece è molto la parte esperienziale , per esempio adesso che c’è questo confine scuola/lavoro con cui molto spesso fanno degli stage fuori questo secondo me è molto utile perché sono i ragazzi che vanno fuori a vedere altre realtà più che far andare l’esperto sulla legalità(…)se noi consideriamo che l’allontanamento debba essere l’ultima ratio probabilmente aiuterebbe una soluzione intermedia , prima di arrivare a quello se ci fosse la possibilità di far sperimentare per un certo periodo di tempo al ragazzo un’esperienza di vita diversa, anche nel contesto regionale non c’è bisogno di andare fuori . questo non c’è la possibilità adesso .

Noi quando vogliamo inserire i ragazzi in una struttura, non ragazzi che provengono dalla mafia, ma in generale noi abbiamo difficoltà perché veramente le strutture specializzate sono poche dove su questi ragazzi c’è personale che davvero ci lavora sono pochi. Dunque se avessimo questi contesti diciamo – cuscinetto- che permettono al ragazzo di fare un lavoro per cui dove si ragiona , crea relazioni con altri ragazzi in maniera più corretta, perché la mafia non è solo in ambito familiare è anche una questione di relazioni, tu hai la possibilità di sperimentare l’effetto dell’altro, com’è ..anche l’accettazione della differenza sono tutte cose che poi molto importanti ..in una forma però che deve essere assistita perché i ragazzi che sono in quelle strutture secondo me non fanno questo lavoro e quindi il lavoro costante sul ragazzo .(…) Lavoro che viene fatto in poche strutture dove vengono effettivamente seguiti , c’è un educatore affiancato al ragazzo di cui ha bisogno in maniera particolare .

I frutti di questo lavoro io lo vedo perché alcuni ragazzi che sono stati inseriti che ho seguito anche dopo sono tornati indietro. (…) Mi ricordo un ragazzo che mi diceva: “ se io mi guardo indietro e penso a quello che ho fatto , a quello che ho detto io non mi riconosco neanche perché quello non sono io” e questo è il frutto di questo lavoro .

Se ci fossero queste soluzioni intermedie, che non prevedono lo sradicamento ma che permettano al ragazzo di sperimentare un contesto di vita sano, senza andare lontano e pensare che ha perso i legami con la famiglia dove però vede che c’è una realtà diversa e impara che c’è un modo diverso di rapportarsi e dei valori i diversi, probabilmente potrebbe aiutarlo non a vivere ma…certo l’obiezione che può essere posta è ma poi torni sempre lì e tutto torna ad essere come prima.”

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Interventi che comprendono tutti non solo i ragazzi che crescono in ambienti di mafia, scavando più a fondo si arriva ad una affermazione che mette in crisi tutto quello appena detto, una difficoltà oggettiva, verissima in netto contrasto con la trasparente mafia descritta in precedenza : “In quei contesti si , per questo le dico ,

noi ne abbiamo meno la percezione però ad esempio c’è stato un convegno e quando io dicevo , rappresentavo la difficoltà degli operatori che non sono per niente tutelati. Il giudice va in giro con la scorta, gli operatori no, però il giudice decide in base a quello che scrive l’assistente sociale ma l’assistente sociale sa che se scrive alcune cose mette a repentaglio se stessa, la sua vita e dei suoi familiari quindi non si può fare gli eroi sulla pelle degl’altri, quindi bisogna essere , bisogna pensare anche a delle tutele se si vuole che si scriva quello che si vede non è che uno ci può rimettere, può avere figli , uno la domanda se la fa non è che può mettere a repentaglio la vita dei propri figli .

Questo lo diceva, lo sottolineava di più il presidente del tribunale di Locri perché da loro su questi contesti, che non sono il contesto cittadino dove questa cosa c’è ma è ad altri livelli, invece lì è tangibile ci sono delle persone che tu vedi camminando per la strada ogni giorno per cui sai vita morte e miracoli.(…) da altra parte se loro non hanno nessuno che le fa venire fuori le cose ,non riescono a decidere, si c’è la questura che da le informazioni ma sulla questione dei bambini c’è quindi questo problema della tutela e della serenità dell’operatore di poter esprimere le proprie valutazioni che oggettivamente non ci sono se non c’è la tutela.”

Il primo problema che emerge è la non conoscenza della storia dell’Ndrangheta e del sapere del padre, il non percepire non significa che non esista il problema. Emerge poi una conoscenza indiretta dell’esperienza di “Liberi di scegliere” in quanto il caso trattato dai Servizi Sociali è uno e l’intervento è stato richiesto dalla madre straniera.

Del problema se ne parla in generale mentre invece si percepisce particolarmente sentito da parte del Presidente che così commenta il protocollo: “Ecco questo sta accadendo, perché noi abbiamo deciso di

emettere questi provvedimenti che sono a tutela dei bambini e adolescenti in certi contesti che vivono un forte condizionamento mafioso sono tutti ragazzi con una profonda sofferenza di vita e solo dopo questi interventi ci siamo accorti che c’è veramente un’enorme sofferenza all’interno dell’ndrangheta e quindi l’ndrangheta non provoca sofferenza all’interno ma anche all’esterno dell’organizzazione. Inconsapevolmente, involontariamente, non era stata una cosa voluta, adottando i provvedimenti sulla responsabilità genitoriale è accaduto che le madri superata la prima fase di smarrimento, hanno fatto appelli, reclami. Quando hanno iniziato a comprendere che noi vogliamo aiutare i loro bambini, i loro ragazzi ad uscire da quel contesto terribile che porta morte, carcerazione, una vita di sofferenza… da quando hanno compreso non si oppongono più. Alcune hanno iniziato a fare dei percorsi di giustizia per salvare i propri figli, altre vengono qui fino a pochi giorni fa, talvolta vengono in segreto e vogliono delle garanzie, ci tengono ad allontanare i propri figli preoccupate, altre ancora hanno espiato pene detentive per il reato di mafia, sono donne provate dai lutti,dalle carcerazioni e ci chiedono di andare via dalla Calabria,perché dalla famiglia si dissociano non rendono dichiarazioni contro la famiglia vogliono più che altro andare via.

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E poi ci siamo accorti che c’è questo fenomeno delle vedove bianche, sono donne giovani tra i trenta e i quaranta anni e con figli piccoli e con i mariti all’ergastolo e queste donne sono intanto imprigionate nella famiglia di appartenenza perché non possono coltivare relazioni all’esterno e la famiglia le controlla e possono solo occuparsi dei figli e basta.

È chiaro che sono donne prigioniere che sono in una grossa situazione di sofferenza però vengono qui, ci chiedono aiuto per i loro figli ma in fondo anche per loro stesse. Loro continuano a sperarci nel riscatto di una vita nuova e questo sta accadendo, insomma sempre con maggior frequenza.

La prevenzione poi avverrebbe nelle strutture di recupero, vedremo poi che per il Presidente Di Bella questo avviene quando già la situazione è patologica e non si tratta di prevenzione ma recupero, infatti quest’ultimo crede fermamente che sia nelle scuole il luogo più adatto ad istruire e ad educare alla legalità dichiarando: “un ruolo e una responsabilità importante lo ha la scuola, noi facciamo interventi di prevenzione secondaria

quando le situazioni sono patologiche ma la scuola ha fatto molti progressi rispetto al passato ma si può